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Il TAR Lazio offre diversi spunti sull'art. 42-bis

Pubblico
Giovedì, 3 Maggio, 2018 - 10:10

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Prima Quater), sentenza n. 4705 del 28 aprile 2018, sull’art. 42-bis TUE
 
Il TAR Lazio afferma che la realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato costituisce un mero fatto non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, e come tale inidonea a determinare il trasferimento della proprietà, in quanto tale trasferimento può dipendere solo da un formale atto di acquisto della predetta da parte dell'amministrazione secondo i modi previsti dall'ordinamento, non vertendosi in tema di demanio necessario in cui la stessa natura del bene comporta la sua qualificazione demaniale, fatto conto che i terreni di proprietà privata sono stati trasformati in una strada che può essere di proprietà pubblica, può essere anche privata e che affinché un'area privata venga a far parte del demanio stradale non è sufficiente che sulla strada si svolga di fatto il transito pubblico essendo, invece necessaria l'intervenuta adozione di un atto che ne abbia trasferito il dominio alla pubblica amministrazione e che la strada sia destinato ad uso pubblico da parte della stessa (ex multis C. Stato n. 4953/2013).
Il TAR Lazio apre a maggiori spazi per l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 42-bis che, a proprio avviso, deve essere apprezzata in termini sostanziali e non meramente formali. In particolare l'atto ex art. 42-bis, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 va preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, al fine di consentire al privato di interloquire attivamente con l'Autorità pubblica per l'esercizio dei propri diritti partecipativi, tale presidio partecipativo non è comunque necessario allorchè la possibilità di un provvedimento di acquisizione ex art. 42-bis del cit. d.P.R. n. 327 del 2001 sia stata prefigurata in sede giudiziale, atteso che in questa ipotesi il privato è reso edotto dell'eventuale avvio del relativo iter, con conseguente possibilità di attivarsi facendo constare all'Amministrazione gli elementi che, a suo dire, condizionerebbero negativamente l'esercizio di tale facoltà, ovvero i parametri cui l'Amministrazione (sempre ad avviso del privato) dovrebbe conformarsi.
 
N. 04705/2018 REG.PROV.COLL.
N. 05891/2014 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5891 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
OMISSIS, rappresentata e difesa dall'avvocato Domenico Tomassetti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. Pierluigi Da Palestrina, 19; 
contro
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Elisa Caprio, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, 27; 
Società Astral Azienda Strade Lazio Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Mancini, con domicilio eletto presso lo studio Giuliano Raschetti in Roma, via Flaminia n.357; 
per l'ottemperanza
della sentenza del TAR Lazio Sezione I-Ter n. 10615/2013 del 31 ottobre 2013, pubblicata in data 10 dicembre 2013 e
per l’annullamento del decreto della Regione Lazio del 2 aprile 2014.
 
 
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lazio e di Soc Astral Azienda Strade Lazio Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2017 il dott. Fabio Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
 
FATTO e DIRITTO
Con atto (n. 5891/2014) la sig.ra OMISSIS ha adito questo Tribunale ex art. 112 e ss. c.p.a. per ottenere l’integrale esecuzione della sentenza della Sezione I ter di questo Tribunale n. 10615/2013, con conseguente nomina di un commissario ad acta, la restituzione dei terreni alla ricorrente, il risarcimento per equivalente dei danni non suscettibili di risarcimento in forma specifica, la fissazione di una somma di denaro per il ritardo nell’esecuzione della citata decisione e per la rimessione della questione alla Corte costituzionale per illegittimità costituzionale dell’art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001.
Premette di aver proposto (ricorso r.g. 5061/2012) domanda giudiziale di annullamento del decreto del Presidente della Regione Lazio avente ad oggetto “Accordo di programma sottoscritto in data 24 febbraio 2016 tra la Regione Lazio, la Provincia di Roma ed i Comuni di Roma, Ciampino, Grottaferrata, Marino e Rocca di Papa, approvato con decreto del presidente della Regione Lazio del 7 aprile 2006…..proroga termini di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera”, e contestuale istanza di risarcimento dei danni patiti.
A sostegno di tale domanda la sig.ra P. afferma di essere proprietaria di alcuni immobili interessati dalla procedura espropriativa per la realizzazione dell’intervento denominato “Nodo Squarciarelli, IV stralcio funzionale – collegamento Villa Senni, Marino, Grottaferrata, Rocca di Papa” il cui progetto definitivo è stato approvato con determinazione regionale del 23.12.2005, con la previsione di un termine di inizio e di compimento della procedura espropriativa, rispettivamente in tre ed in trentasei mesi dalla data della predetta determinazione, richiamato anche dal provvedimento di approvazione dell’accordo di programma sottoscritto tra la Regione Lazio ed i Comuni di Roma, Ciampino, Grottaferrara, Marino e Rocca di Papa.
Precisa che l’opera anzidetta avrebbe dovuto concludersi entro il 23 marzo 2009 e che l’Amministrazione espropriante, in data 19 maggio 2011, ha illegittimamente adottato il decreto presidenziale di proroga dei predetti termini ad oltre due anni di distanza dal termine perentorio finale fissato per il compimento dei lavori (23.3.2009), il quale è stato oggetto d’impugnativa (r.g. n. 5061/2012) con istanza, in via principale, di restituzione dei beni, e, in via subordinata, di risarcimento dei danni per equivalente.
Riferisce che, nelle more del giudizio di primo grado, è stato dato inizio ai lavori di esecuzione dell’opera pubblica (28.1.2013) mediante interventi di sbancamento che hanno comportato una trasformazione irreversibile dei suoi beni immobiliari.
Riferisce che con sentenza n. 10615/2013 il TAR Lazio ha dichiarato inefficace la procedura ablatoria con accoglimento dell’istanza risarcitoria ordinando alla P.A. di provvedere entro sessanta giorni, ex art. 42 bis, a compiere una valutazione discrezionale all’esito della quale procedere alternativamente alla restituzione degli immobili espropriati ed al risarcimento dei danni patiti con ristoro delle spese necessarie per la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, o all’adozione del provvedimento ex art. 42 bis, oltre al risarcimento dei danni, secondo quanto statuito nella succitata sentenza (in caso di acquisizione liquidare alla ricorrente il valore venale del bene al momento della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera - 7.4.2006 – aumentato del 10% a titolo di ristoro forfettario del pregiudizio, nonché il 5% del valore che l’immobile aveva in ogni anno successivo alla scadenza del termine utile per il completamento della procedura espropriativa - 7.4.2009 – detratto quanto eventualmente già corrisposto a titolo di indennità, subordinando l’effetto traslativo al pagamento delle somme (pag.7 ricorso); lo stesso sistema in caso di restituzione del bene).
Riferisce, altresì, che la sentenza di primo grado è stata gravata in appello nella parte in cui ha ritenuto di non accogliere nessuna delle due forme alternative di tutela risarcitoria e statuito di rimettere la scelta all’Amministrazione ordinandole di provvedere ai sensi del succitato art. 42 bis e che in tale sede la domanda cautelare è stata respinta per insussistenza di un pregiudizio grave ed irreparabile in ragione della natura economica del danno paventato.
Espone che sia la Regione Lazio che ASTRAL s.p.a. non hanno dato alcuna esecuzione alla decisione di primo grado entro il termine di sessanta giorni previsto dalla succitata sentenza di primo grado.
La sig.ra P. ha chiesto, dunque, l’esecuzione della predetta sentenza di primo grado, che ha rimesso all’Amministrazione resistente di procedere ad una valutazione discrezionale in esito alla quale decidere se restituire gli immobili espropriati con conseguente risarcimento del danno patito e ristoro delle spese necessarie per la riduzione in pristino dello stato dei luoghi o adottare il provvedimento di cui all’articolo 42 bis del d.p.r. 327 del 2001 e disporre il risarcimento del danno nella misura indicata dal TAR Lazio, esprimendo la sua preferenza per la restituzione dei beni con assunzione da parte dell’Amministrazione dei costi necessari per la rimessione in pristino dei luoghi indicati in euro 272.485,02, oltre ad euro 28.288,79 a titolo di occupazione temporanea, ad euro 40.080,60 a titolo di danni per mancato reddito derivante dalla produzione oliviticola, ad euro 16.234,05 per costi funzionali di ripristino delle coltivazioni arboree rimosse, oltre alle somme pagate a titolo di tributi per il periodo di occupazione illegittima, nonchè ad un’ulteriore somma pari al 20% del danno patrimoniale patito a titolo danni morali patiti; il tutto per complessivi euro 493.114,46, con interessi legali e rivalutazione monetaria.
In caso di adozione del provvedimento di cui all’art. 42 bis, alternativo alla restituzione dei terreni, e conseguente acquisizione sanante, la ricorrente chiede al Collegio la rimessione alla Corte costituzionale della questione di illegittimità dell’art. 42 bis per contrasto con gli artt. 3, 24, 42, 97 e 113 della Costituzione, in linea con quanto già ritenuto dalla Suprema Corte di Cassazione con ordinanza di rimessione del 13 gennaio 2014, n. 441.
Rappresenta, in punto di fatto, che la sua proprietà risulta esser stata divisa in due porzioni a causa della realizzazione della predetta opera stradale che ha comportato anche la costruzione di un terrapieno, destinato a sede stradale, che è stato sopraelevato di circa cinque metri rispetto al piano di calpestio originario dell’abitazione, tanto da rendere inaccessibile ed inutilizzabile la restante parte della sua proprietà, sostenendo che il risarcimento danni patiti sarebbe da liquidarsi ex art. 2043 c.c. in complessivi euro 1.182.986,78, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria.
Chiede, conclusivamente, che il Tribunale disponga la immediata, corretta ed integrale esecuzione della sentenza del Tar Lazio n. 10615/2013, provvedendo alla nomina di un commissario ad acta che disponga la restituzione dei terreni alla ricorrente, il risarcimento per equivalente dei danni quantificati in complessivi euro 493.114,46, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria, oltre la fissazione di una somma di denaro dovuta per ogni inosservanza o ritardo nell’esecuzione della succitata sentenza, oltre alla sospensione del giudizio con trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale in caso di accertata rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 42 bis del d.p.r. 327 del 2001.
Con sentenza non definitiva n. 4251 dell’8 aprile 2016 la Sezione I ter ha rigettato la domanda proposta dalla ricorrente ex art. 114 c.p.a. per ottenere l’ottemperanza della sentenza TAR Lazio n. 10615 del 31 ottobre 2013, in ragione dell’adozione da parte della Regione Lazio di un provvedimento, ex art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, gravato per la via dei motivi aggiunti, e, dunque, adottato in esecuzione – pur prescindendo dalla pendenza di un giudizio di costituzionalità dell’art. 42 bis, a seguito dell’ordinanza della Corte di Cassazione SS.UU. n. 441/2014.
Come appena riferito, con atto propositivo di motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato il decreto dirigenziale del 2 aprile 2014 - emesso in esecuzione della sentenza del TAR Lazio n. 10615/2013 - che ha disposto l’acquisizione sanante ex art. 42 bis dei beni interessati dalla procedura espropriativa al patrimonio della Regione Lazio e la liquidazione in favore della ricorrente della somma complessiva di euro 107,470,11 di cui euro 78.420,00 a titolo di indennizzo per il pregiudizio patrimoniale, quantificato nella misura corrispondente al valore venale complessivo degli immobili, riferito alla data di emissione della dichiarazione di pubblica utilità; euro 7.842,00 a titolo di indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale, determinato nella misura forfettaria di legge, corrispondente al 10% del valore venale complessivo degli immobili interessati dalla procedura espropriativa; euro 21.208,11, a titolo di indennizzo per il pregiudizio derivante dall’occupazione illegittima consumata nel periodo dal 27 aprile 2009 all’attualità, quantificato nella misura forfettaria di legge corrispondente al 5% di interesse calcolato sul valore venale attribuibile agli immobili anzidetti all’inizio di ciascuna annualità di occupazione illegittima.
Avverso tale decreto la sig.ra P. ha dedotto le seguenti censure:
1)Violazione falsa applicazione dell’articolo 42 bis del d.p.r. 327 del 2001; eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti, illogicità e sviamento di potere.
Premette che la sentenza del TAR Lazio n. 10615/2013 che ha rimesso alla scelta dell’Amministrazione di procedere all’acquisizione sanante dei terreni, ovvero alla loro restituzione, è stata appellata ( r.g. n. 1665/2014), nella parte in cui ha ritenuto di non condividere la tesi attorea secondo la quale nel caso in cui sia stato realizzato un tratto stradale che è bene dichiaratamente demaniale, non vi è necessità di ricorrere ad alcun procedimento di acquisizione sanante, il quale ove avviato costituirebbe una chiara violazione dell’articolo 42 bis del d.p.r. 327 del 2001, sostenendo, a tale proposito, che i beni acquisibili con la procedura di cui al citato articolo siano da considerarsi solo quelli indicati agli articoli 826 e seguenti del codice civile e, dunque, non anche quei beni appartenenti allo Stato, alle Province ed ai comuni i quali non siano della specie di quelli indicati negli articoli 822 seguenti, cioè che non siano beni demaniali.
Secondo la difesa della ricorrente i beni interessati dalla procedura d’esproprio sarebbero da considerarsi già “beni demaniali” in quanto irreversibilmente trasformati per effetto dei lavori eseguiti e il decreto dirigenziale gravato per la via dei motivi aggiunti avrebbe disposto l’acquisizione sanante senza considerare la sottoposizione dell’articolo 42 bis al vaglio della Corte Costituzionale e la pendenza dell’appello proposto dalla odierna ricorrente avverso la sentenza di primo grado del giudice amministrativo (r.g. n. 1665/2014).
2) Violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 327/2001 e della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere sotto differenti profili, essendo stato il provvedimento gravato adottato in assenza di qualsivoglia comunicazione alla ricorrente dell’inizio del procedimento, di cui afferma aver avuto cognizione solo in occasione della relativa notificazione, con conseguente compromissione del principio di partecipazione procedimentale nella materia dell’espropriazione ed in particolare nei casi di occupazione sanante.
Sotto altro profilo lamenta che con il decreto del 2 aprile 2014 l’amministrazione avrebbe ad essa precluso di partecipare alla fase procedimentale di individuazione delle soluzioni alternative individuate dalla sentenza di primo grado.
3) Incompetenza del Direttore della Direzione regionale infrastrutture, ambiente e politiche abitative ad adottare il provvedimento ex art. 42 bis, in ragione della competenza di Astral s.p.a., sulla base dei compiti e delle funzioni a questa attribuiti (funzioni e compiti amministrativi concernenti la progettazione e la realizzazione della rete viaria regionale, ivi comprese le funzioni di compiti amministrativi relativi all’espletamento delle procedure espropriativa e ed all’adozione dei relativi provvedimenti finali) in virtù di contratti di servizi stipulati tra l’amministrazione regionale e detta società per azioni, ad adottare il provvedimento del 2 aprile 2014.
4) Violazione e falsa applicazione del comma 1 dell’art. 42 bis del d.p.r. 327 del 2001, per insussistenza dei presupposti di cui al citato articolo, non potendosi configurare il provvedimento di acquisizione sanante quale strumento di sanatoria di procedimenti illegittimi, ma quale esercizio di un nuovo potere il quale però è, ex lege, subordinato a specifici presupposti indicati dall’articolo 42 bis di cui il provvedimento gravato non offre alcuna specifica indicazione.
5) Illegittimità costituzionale dell’articolo 42 bis del d.p.r. 327 del 2001 per contrasto con i principi di cui agli articoli 3,24, 42,97, 113,117 della Costituzione anche alla luce dell’art. 6 e dell’art. 1 del protocollo addizionale della CEDU, trovando il provvedimento gravato il proprio presupposto in una norma (articolo 42 bis) manifestamente contrastante con i riferiti principi costituzionali.
Lamenta, altresì, che l’art. 42 bis non avrebbe in alcun modo previsto e disciplinato i casi di espropriazione parziale e la diminuzione del valore patita dalla porzione residua del fondo , e, quanto alla fissazione del corrispettivo determinato dall’amministrazione a titolo di indennizzo, che l’Amministrazione non avrebbe valutato i danni conseguenti alla separazione in due parti del terreno di proprietà della ricorrente rispetto alla originaria ed unitaria consistenza, liquidabili secondo la ricorrente, ex art. 2043 c.c., per un importo pari ad euro 1.075.498,67, ossia in misura nettamente superiore rispetto alla somma complessiva individuata dall’amministrazione titolo di risarcimento danni pari ad euro 107.470,11.
6) Erronea valutazione dell’indennizzo e del risarcimento del danno non patrimoniale
Deduce che la somma di euro 107.470,11 sarebbe stata determinata dalla Regione sulla base di una relazione del 19.2.2014 redatta da Astral s.p.a. con riferimento a valori venali per metro quadro per i quali non è stata indicata la fonte, con palese erroneità della base di calcolo, ancor più tenuto conto dell’esistenza di tabelle dei valori agricoli medi individuati di un anno in anno dall’Agenzia del territorio della provincia di Roma i quali costituiscono, invece, un apposito e corretto parametro di riferimento.
Precisa che in relazione alle predette tabelle il valore venale complessivo per l’anno 2006 dell’intera superficie di metri quadri 7125,00 doveva determinarsi in euro 233.276,20 in luogo di euro 78.375,00; per l’anno 2007 il valore venale complessivo per l’intera superficie doveva determinarsi in euro 227.476,4 in luogo di euro 78.375,00; per l’anno 2008 in euro 296.783,00 in luogo di euro 78.375,00; per l’anno 2009 in euro 296.780,00 in luogo di euro 78.375,00; per l’anno 2010 in euro 302.255,00 in luogo di euro 81 mila 937,50; per l’anno 2011 in euro 326.375,00 in luogo di euro 85.500,00; per l’anno 2012 e per l’anno 2013 in euro 326.375,00 per ciascun anno in luogo di euro 89.062,50; con conseguente determinazione, a titolo di indennizzo del pregiudizio patrimoniale, della somma complessiva di euro 233.390,20 (di cui euro 233.276,20 per l’intera superficie di metri quadri 7125,00; euro 114,00 per la porzione di corte di fabbricato- 38/mq x3)
Deduce che a titolo d’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale avrebbe dovuto vedersi corrispondere la somma complessiva di euro 23.339,02 determinata nella misura forfettaria di legge, corrispondente al 10% dei valori venali anzidetti, cui aggiungere la somma complessiva di euro 78.936,50 per il pregiudizio derivante dall’occupazione illegittima del terreno della porzione di corte di fabbricato, nel periodo intercorso dall’aprile 2009 sino all’attualità, determinato forfettariamente nella misura del 5% di interesse calcolato sul valore attribuito al terreno ed alla porzione di fabbricato per ogni singola annualità di riferimento, con conseguente corresponsione in suo favore della somma complessiva di euro 335.665,72 di cui euro 233.390,20 quale valore venale del bene al momento della dichiarazione di pubblica utilità, euro 23.339,02 10% a titolo di ristoro del pregiudizio patrimoniale non patrimoniale subito, euro 78.936,50 pari al 5% del valore che l’immobile aveva in ogni anno successivo alla scadenza del termine utile per il completamento della procedura espropriativa, cui aggiungere l’indennità di occupazione ex articolo 50 del d.p.r. 327 del 2001 per il periodo di occupazione illegittima a far data dalla 7 aprile 2009, da calcolarsi in importo superiore rispetto ad euro 7941,31 determinato dall’amministrazione nel provvedimento gravato.
Si è costituita in giudizio la Regione Lazio che chiede il rigetto del ricorso per infondatezza delle doglianze dedotte.
Si è costituita in giudizio Astral s.p.a. che in via pregiudiziale eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva, in ragione dell’adozione del decreto regionale del 2 aprile 2014 da parte della Regione Lazio.
Il Collegio, per quanto premesso, ritiene doversi pronunciare sulla legittimità del citato decreto, dopo aver statuito sull’eccezione di difetto di legittimazione opposta da Astral la quale non può considerarsi suscettibile di positiva definizione, in ragione del proprio ruolo attivo nella procedura da cui è originato tutto il presente contenzioso.
Con il primo motivo di ricorso la sig.ra P., premesso che la sentenza del TAR Lazio n. 10615/2013 che ha rimesso alla scelta dell’Amministrazione di procedere all’acquisizione sanante dei terreni, ovvero alla loro restituzione, è stata in parte qua oggetto d’appello ( r.g. n. 1665/2014), nella parte in cui ha ritenuto di non condividere la tesi attorea secondo la quale nel caso in cui sia stato realizzato un tratto stradale che è bene dichiaratamente demaniale, non vi è necessità di ricorrere ad alcun procedimento di acquisizione sanante, il quale ove avviato costituirebbe una chiara violazione dell’articolo 42 bis del d.p.r. 327 del 2001, deduce che i beni interessati dalla procedura d’esproprio sarebbero da considerarsi già “beni demaniali” in quanto irreversibilmente trasformati per effetto dei lavori eseguiti e che il decreto dirigenziale gravato per la via dei motivi aggiunti avrebbe disposto l’acquisizione sanante senza considerare la sottoposizione dell’articolo 42 bis al vaglio della Corte Costituzionale e la pendenza dell’appello proposto dalla odierna ricorrente avverso la sentenza di primo grado del giudice amministrativo (r.g. n. 1665/2014).
La doglianza è priva di pregio e, pertanto, va respinta.
Il Collegio ha già avuto modo di rilevare che pur a seguito dell’irreversibile modificazione delle aree, quand’anche illecitamente occupate, la proprietà delle stesse permane in capo agli originari proprietari.
Difatti a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 43 del d.p.r. n. 327/2001, l’art. 42 bis prevede che all'autorità amministrativa che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità è attribuito il potere di disporre, valutato gli interessi in conflitto, che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfettariamente liquidato nelle misure ivi indicate.
Deve al riguardo riaffermarsi che la lettera dell'articolo 42 bis include l'esercizio da parte dell'amministrazione di un potere discrezionale finalizzato a disporre l'acquisizione sanante, consentendo l'emanazione del provvedimento anche successivamente all'annullamento dell'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, dell'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o del decreto di esproprio od anche durante la pendenza del giudizio per l'annullamento di tali atti.
Per quanto premesso, la doglianza non è suscettibile di positiva definizione posto che, in caso contrario, si ricadrebbe nella fattispecie dell'occupazione acquisitiva ormai definitivamente espunta dal nostro ordinamento giuridico.
Peraltro, (cfr sentenza n. 10615/2013), il Tribunale ha già affermato che la realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato costituisce un mero fatto non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, e come tale inidonea a determinare il trasferimento della proprietà, in quanto tale trasferimento può dipendere solo da un formale atto di acquisto della predetta da parte dell'amministrazione secondo i modi previsti dall'ordinamento, non vertendosi in tema di demanio necessario in cui la stessa natura del bene comporta la sua qualificazione demaniale, fatto conto che i terreni di proprietà privata sono stati trasformati in una strada che può essere di proprietà pubblica, può essere anche privata e che affinché un'area privata venga a far parte del demanio stradale non è sufficiente che sulla strada si svolga di fatto il transito pubblico essendo, invece necessaria l'intervenuta adozione di un atto che ne abbia trasferito il dominio alla pubblica amministrazione e che la strada sia destinato ad uso pubblico da parte della stessa (ex multis C. Stato n. 4953/2013).
Occorre osservare che il provvedimento del 2 aprile 2014 è stato, seppur in ritardo, adottato in attuazione dell’art. 42 bis, nonché del decisum di questo Tribunale (sentenza n. 10615/2013), proprio in ragione del presupposto riconoscimento della titolarità del bene in questione in capo alla odierna ricorrente, a nulla rilevando la pendenza dell’appello dinanzi al Consiglio di Stato, peraltro risoltosi con una declataroria di improcedibilità (sentenza n. 596/2016) proprio a seguito dell’adozione del succitato decreto di acquisizione delle aree controverse al patrimonio indisponibile della Regione Lazio, nonché la pendenza del vaglio della legittimità costituzionale del medesimo art. 42 bis dichiarata, anche se successivamente all’adozione del provvedimento gravato, inammissibile con sentenza della Corte costituzionale n. 7/2015.
QUESTIONE COMUNICAZIONE AVVIO PROCEDIMENTO TRATTATA DAL TAR LAZIO (NDR)
Deve considerarsi infondato anche il secondo motivo di ricorso con cui la sig.ra P. lamenta l’adozione del decreto regionale del 2 aprile 2014 in assenza di qualsivoglia comunicazione dell’inizio del relativo procedimento di cui afferma di aver avuto cognizione solo in occasione della sua notificazione, con conseguente compromissione del principio di partecipazione procedimentale nella materia dell’espropriazione ed in particolare nei casi di occupazione sanante.
Sotto altro profilo lamenta che con il decreto del 2 aprile 2014 l’amministrazione avrebbe precluso alla sig.ra P. di partecipare alla fase procedimentale di individuazione delle soluzioni alternative individuate dalla sentenza di primo grado.
La doglianza non può essere condivisa, atteso che l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento deve essere apprezzata in termini sostanziali e non meramente formali, in quanto il procedimento preordinato all'acquisizione sanante dell'area di proprietà della ricorrente, costituisce, alla luce della sentenza del TAR Lazio n. 10615/2013, una inevitabile appendice di quello espropriativo non portato a termine, nel corso del quale è stata assicurata ampia partecipazione alla ricorrente che, in più occasioni, ha potuto offrire il proprio contributo e presentare osservazioni e/o richieste. E' evidente che, attesa l'identità sotto il profilo contenutistico dei due procedimenti non si poneva alcun obbligo di una nuova e autonoma comunicazione di avvio del procedimento.
Giova, peraltro, rammentare ( cfr. Consiglio di Stato sez. IV 13 aprile 2016 n. 1465) che anche a ritenere che l'atto ex art. 42-bis, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 va preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, al fine di consentire al privato di interloquire attivamente con l'Autorità pubblica per l'esercizio dei propri diritti partecipativi, tale presidio partecipativo non è comunque necessario allorchè la possibilità di un provvedimento di acquisizione ex art. 42-bis del cit. d.P.R. n. 327 del 2001 sia stata prefigurata in sede giudiziale, atteso che in questa ipotesi il privato è reso edotto dell'eventuale avvio del relativo iter, con conseguente possibilità di attivarsi facendo constare all'Amministrazione gli elementi che, a suo dire, condizionerebbero negativamente l'esercizio di tale facoltà, ovvero i parametri cui l'Amministrazione (sempre ad avviso del privato) dovrebbe conformarsi.
Con specifico riferimento al caso di specie, il Collegio osserva che deve ritenersi operante la disposizione ex art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, richiamata da Astral Lazio nei suoi scritti difensivi, in ragione delle motivazioni ivi espresse rinvenute nella improrogabile necessità di aprire la strada al traffico veicolare, nonché nella impossibilità di pervenire a soluzioni differenti rispetto a quelle perseguite con il decreto del 2 aprile 2014, tra cui l’indispensabilità dell’acquisizione delle aree di proprietà della sig.ra P., ivi specificamente individuate, per il perseguimento dell’interesse pubblico ad una migliore circolazione viaria nella zona interessata.
E ciò anche in considerazione delle ragioni espresse dalle intimate riguardo alla impraticabilità di soluzioni concordate, anche ex art. 11 della legge 241/1990, stante la pregressa proposizione di proposte ritenute dall’Amministrazione non assentibili.
Con il terzo motivo di ricorso la sig.ra P. deduce l’incompetenza dell’Amministrazione regionale – Direzione Infrastrutture, Ambiente Politiche Abitative ad adottare il provvedimento di acquisizione sanante.
La doglianza è infondata.
QUESTIONE COMPETENZA TRATTATA DAL TAR LAZIO (NDR)
Occorre rilevare, al fine del decidere, che l’art. 42 bis del T.U. degli espropri espressamente rinviene la competenza ad adottare il provvedimento in capo all’Autorità utilizzatrice del bene per finalità pubbliche, quale appunto è la Regione Lazio, potere esercitato al di fuori della procedura espropriativa già annullata con la sentenza n. 10625/2013, tanto da rendere inapplicabile gli effetti della delega o di qualsiasi atto convenzionale intercorsi tra Regione ed Astral.
Anche il quarto motivo di ricorso è insuscettibile di positiva definizione.
Osserva il Collegio che in materia di acquisizione sanante l’art 42 bis, sopra richiamato, dispone che “1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorita' che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilita', puo' disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
2. Il provvedimento di acquisizione puo' essere adottato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilita' di un'opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione puo' essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l'amministrazione che ha adottato l'atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente gia' erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell'interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo”.
Ciò premesso, quanto alla sussistenza dei presupposti invocati dalla ricorrente, dal provvedimento del 2 aprile 2014 è dato rilevare l’indicazione del complesso iter procedimentale che ha condotto alla decisione di optare per l’acquisizione sanante con particolare riguardo alla sussistenza dell’interesse pubblico, discrezionalmente valutato dalla Regione, coincidente con la definizione dell’opera quale “… un’importante arteria viaria di interesse regionale, con positive ricadute sulla circolazione stradale dei territori comunali interessati” con persistenza di un “interesse pubblico all’acquisizione degli immobili di proprietà della Sig.ra P., anche in considerazione del fatto che non vi sono, tecnicamente valide alternative possibili”.
Trattasi, pertanto, ad avviso del Collegio, di presupposti, concretamente rilevati, legittimanti l’adozione del provvedimento ex articolo 42 bis del d.p.r. 327 del 2001.
Con il quinto motivo di ricorso la sig.ra P. deduce l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42 bis del d.p.r. 327 del 2001 per contrasto con i principi di cui agli articoli 3,24, 42,97, 113,117 della Costituzione anche alla luce dell’art. 6 e dell’art. 1 del protocollo addizionale della CEDU, trovando il provvedimento gravato il proprio presupposto in una norma (articolo 42 bis) manifestamente contrastante con i riferiti principi costituzionali, altresì lamentando che l’Amministrazione non avrebbe valutato i danni conseguenti alla separazione in due parti del terreno di proprietà della ricorrente rispetto alla originaria ed unitaria consistenza, liquidabili secondo la ricorrente, ex art. 2043 c.c., per un importo pari ad euro 1.075.498,67, ossia in misura nettamente superiore rispetto alla somma complessiva individuata dall’amministrazione titolo di risarcimento danni pari ad euro 107.470,11.
SULLA SOMMA PREVISTA DALL’ART. 42-BIS (NDR)
Con il sesto ed ultimo motivo la ricorrente deduce che la somma di euro 107.470,11 sarebbe stata determinata dalla Regione sulla base di una relazione del 19.2.2014 redatta da Astral s.p.a. con riferimento a valori venali per metro quadro per i quali non è stata indicata la fonte, con palese erroneità della base di calcolo, ancor più tenuto conto dell’esistenza di tabelle dei valori agricoli medi individuati di un anno in anno dall’Agenzia del territorio della provincia di Roma i quali costituiscono, invece, un apposito e corretto parametro di riferimento.
Precisa che in relazione alle predette tabelle il valore venale complessivo per l’anno 2006 dell’intera superficie di metri quadri 7125,00 doveva determinarsi in euro 233.276,20 in luogo di euro 78.375,00; per l’anno 2007 il valore venale complessivo per l’intera superficie doveva determinarsi in euro 227.476,4 in luogo di euro 78.375,00; per l’anno 2008 in euro 296.783,00 in luogo di euro 78.375,00; per l’anno 2009 in euro 296.780,00 in luogo di euro 78.375,00; per l’anno 2010 in euro 302.255,00 in luogo di euro 81 mila 937,50; per l’anno 2011 in euro 326.375,00 in luogo di euro 85.500,00; per l’anno 2012 e per l’anno 2013 in euro 326.375,00 per ciascun anno in luogo di euro 89.062,50; con conseguente determinazione, a titolo di indennizzo del pregiudizio patrimoniale, della somma complessiva di euro 233.390,20 (di cui euro 233.276,20 per l’intera superficie di metri quadri 7125,00; euro 114,00 per la porzione di corte di fabbricato- 38/mq x3)
Deduce che a titolo d’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale avrebbe dovuto vedersi corrispondere la somma complessiva di euro 23.339,02 determinata nella misura forfettaria di legge, corrispondente al 10% dei valori venali anzidetti, cui aggiungere la somma complessiva di euro 78.936,50 per il pregiudizio derivante dall’occupazione illegittima del terreno della porzione di corte di fabbricato, nel periodo intercorso dall’aprile 2009 sino all’attualità, determinato forfettariamente nella misura del 5% di interesse calcolato sul valore attribuito al terreno ed alla porzione di fabbricato per ogni singola annualità di riferimento, con conseguente corresponsione in suo favore della somma complessiva di euro 335.665,72 di cui euro 233.390,20 quale valore venale del bene al momento della dichiarazione di pubblica utilità, euro 23.339,02 10% a titolo di ristoro del pregiudizio patrimoniale non patrimoniale subito, euro 78.936,50 pari al 5% del valore che l’immobile aveva in ogni anno successivo alla scadenza del termine utile per il completamento della procedura espropriativa, cui aggiungere l’indennità di occupazione ex articolo 50 del d.p.r. 327 del 2001 per il periodo di occupazione illegittima a far data dalla 7 aprile 2009, da calcolarsi in importo superiore rispetto ad euro 7941,31 determinato dall’amministrazione nel provvedimento gravato.
Quanto al quinto motivo di ricorso il Collegio non può che rilevarne l’infondatezza tenuto conto del decisum della Corte Costituzionale n. 71/2015 che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001.
Riguardo al sesto ed ultimo motivo il Collegio ritiene il ricorso inammissibile, in parte qua, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in considerazione della previsione di cui all’art. 133 lett. g) del c.p.a., atteso che in materia di espropriazione per pubblica utilità, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia relativa alla determinazione e corresponsione dell'indennizzo previsto in relazione alla fattispecie di “acquisizione sanante” ex art. 42-bis, d.P.R. n. 327 del 2001, unitamente alla controversia avente ad oggetto l'interesse del cinque per cento del valore venale del bene, dovuto per il periodo di occupazione senza titolo, ai sensi del comma 3, ultima parte, di detto articolo, “a titolo di risarcimento del danno”, giacché esso, ad onta del tenore letterale della norma, costituisce solo una voce del complessivo “indennizzo per il pregiudizio patrimoniale” di cui al precedente comma 1, secondo un'interpretazione imposta dalla necessità di salvaguardare il principio costituzionale di concentrazione della tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti ablatori, con conseguente devoluzione di tali controversie, tra cui in parte qua quella in esame, alla cognizione del giudice ordinario.
Pertanto, per le considerazioni che precedono, il ricorso è in parte respinto poiché infondato, in parte deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Le spese e gli onorari di giudizio possono essere integralmente compensati, fra le parti in causa, tenuto conto della peculiarità della controversia in esame.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge, in parte lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
Fabio Mattei, Consigliere, Estensore
Laura Marzano, Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabio Mattei Salvatore Mezzacapo
 
 
 
 
 
IL SEGRETARIO
 

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