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Art. 42-bis TUE su diversi aspetti - Cons. Stato, sez. IV, sent. n.436 del 29.01.2015

Pubblico
Lunedì, 9 Febbraio, 2015 - 01:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n. 436 del 29 gennaio 2015, sull’art.42-bis TUE 
 
N. 00436/2015REG.PROV.COLL.
N. 02754/2014 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2754 del 2014, proposto da: 
Presidenza del Consiglio dei Ministri Direzione - Commissario Delegato Emergenza Rifiuti Regione Campania, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Capo Dipartimento per la Protezione Civile, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati; 
contro
Teresa Ferraro, Giovanni Mastropietro, Franco Mastropietro, Giuseppina Mastropietro, Maria Mastropietro, Rosaria Mastropietro, rappresentati e difesi dagli avv.ti Francesco Vecchione, Mario Sanino, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180; 
Provincia di Caserta, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv.ti Pietro Romano, Michele Troisi, con domicilio eletto presso Barbara Balboni in Roma, Via Civitella D'Agliano 22; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA –Sede di NAPOLI- SEZIONE V n. 06045/2013, resa tra le parti, concernente accertamento illegittima occupazione e irreversibile trasformazione di aree - condanna ris. danni
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Teresa Ferraro e di Giovanni Mastropietro e di Franco Mastropietro e di Giuseppina Mastropietro e di Maria Mastropietro e di Rosaria Mastropietro e di Provincia di Caserta;
Visto l'atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale proposto dal ricorrente incidentale Comune di Caserta, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Ceceri, con domicilio eletto presso Segreteria Consiglio Di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’Avvocato dello Stato Palatiello, e gli Avvocati Mario Sanino, Francesco Vecchione e Antonio Lamberti su delega dell'avvocato Giuseppe Ceceri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Campania – sede di Napoli - ha in parte accolto il ricorso di primo grado proposto dall’ odierna parte appellata volto ad ottenere l’ accertamento dell’illegittima occupazione e dell’irreversibile trasformazione delle aree di proprietà in Caserta – località Lo Uttaro – di cui al fl. n.59 p.lle 225, 226, 5047, 5043, 5045 e 5049, la determinazione del corretto indennizzo per il pregiudizio subito e la determinazione dei danni ulteriori, nonché la condanna delle Amministrazioni resistenti all’adozione del provvedimento espresso di acquisizione delle aree, alla restituzione dell’area di cui alla p.lla 5044 e dei sovrastanti manufatti in quanto non irreversibilmente trasformata ed al pagamento di ogni ulteriore somma.
La parte odierna appellata aveva rappresentato di essere proprietaria singolarmente di parti delle aree in questione, oggetto di occupazione con ordinanza n.75 del 16/3/2007 nell’ambito dello smaltimento dei rifiuti non pericolosi per il presumibile beneficio finale della città di Caserta.
Nell’ordinanza suddetta era stato fissato in cinque anni il termine per l’adozione del decreto di esproprio: questo, però, che non era intervenuto entro il 16 marzo 2012 ( ciò dopo che con ordinanza n.3 del 12/1/2007 era stata già disposta l’occupazione di alcune aree limitrofe nell’ambito dell’approvazione del progetto preliminare di adeguamento del sito Lo Uttaro).
L’odierna appellata aveva dedotto l’illegittimità dell’occupazione, la violazione degli artt.42-bis e 13 del DPR n.327/2001, degli artt.3, 42 e 97 Cost., reclamando il risarcimento del danno.
Il Tar, affermata la propria competenza territoriale (nella fattispecie non vi era traccia di una “dimensione commissariale” della vicenda tale da riflettersi su interessi generali aventi rilievo nazionale, e tale da far ravvisare la competenza del Tar del Lazio) e giurisdizione, disposta l’estromissione del Comune di Caserta, e richiamati gli esiti della CTU disposta con Ordinanza in atti, ha quindi preso in esame il merito delle dedotte censure.
Ha in proposito osservato che, come evidenziato in sede di relazione di CTU nella fattispecie si contro verteva in ordine alla “sorte” di un suolo sito in Caserta - località Lo Uttaro – p.lle 225, 226, 5043, 5044, 5045, 5047 e 5049 del fl.59, facente parte del più ampio tenimento già utilizzato per discarica controllata di rifiuti solidi urbani e ad impianto di produzione di biogas, ubicato nella zona industriale a sud del territorio del Comune di Caserta, a confine con i comuni di Maddaloni e San Marco Evangelista, caratterizzata dalla presenza di numerose iniziative a carattere produttivo e favorito dal progressivo sviluppo delle reti di comunicazione di zona, dal momento che il suolo era nelle immediate adiacenze dello svincolo di Viale delle Industrie della strada a scorrimento veloce denominata “Tangenziale di Caserta” che collega il nuovo casello autostradale sulla A1 di Santa Maria Capua Vetere con il centro di Caserta e, proseguendo, con Maddaloni e, da qui, con la SS 7 che conduceva a Benevento e la bretella di raccordo con lo svincolo dell’A1 di Caserta sud.
Con ordinanza n.75 del 16/3/2007 il Commissario Delegato per l’Emergenza Rifiuti della Regione Campania legge n.290/06 approvava il progetto definitivo di “Adeguamento del sito in località LO UTTARO – cava Mastropietro per lo smaltimento di rifiuti non pericolosi”, disponendo contestualmente l’occupazione di parte delle aree di loro proprietà per fronteggiare la grave crisi legata al fenomeno della emergenza rifiuti. L’occupazione interessava la superficie complessiva di 6.360 mq che copriva un invaso in precedenza utilizzato per lo smaltimento dei rifiuti dalla Ecologica Meridionale e su parte della quale, come da verbale di consistenza in data 9/11/2007, insistevano alcuni manufatti edilizi.
Risultava pacifica ed incontestata la mancata adozione del decreto di esproprio nei termini di legge dopo che con ordinanza n.3 del 12/1/2007 era stata disposta l’occupazione.
Conseguentemente il ricorso doveva ritenersi fondato in maniera assorbente sotto il profilo dell’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità non essendo mai intervenuto il decreto di esproprio(DPR n.327/2001, il cui art.13, al comma 6, contemplava la sanzione dell’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità nel caso di omessa emanazione del decreto di esproprio entro il termine di cinque anni dalla data in cui era diventato efficace l’atto che aveva dichiarato la pubblica utilità dell’opera).
Accertata la fondatezza nell’an del dato storico rappresentato dalla odierna parte appellata, il Tar ha vagliato le conseguenze che dallo stesso dovevano discendere in ordine al petitum risarcitorio proposto.
Tenuto conto dell’orientamento comunitario (Corte Europea Diritti Uomo, 6.3.2007, n.43662) che precludeva di ravvisare una “espropriazione indiretta” o “sostanziale” in assenza di un idoneo titolo previsto dalla legge ha ripercorso le vicende normative nazionali sfociate, dapprima nell’art. 43 del TU Espropriazioni, successivamente dichiarato incostituzionale(Corte cost. 8 ottobre 2010, n. 293) e, poi, del sopravvenuto art. 42 bis del TU Espropriazioni ( con l’art.34 del Decreto-Legge 6.7.2011, n.98 convertito in Legge 15.7.2011, n.111 il Legislatore reintrodusse l’istituto dell’acquisizione sanante, depurato dai profili di incompatibilità costituzionale).
Rilevato quindi che spettava solo a Commissario Delegato per l’Emergenza Rifiuti per la Regione Campania, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Provincia di Caserta la valutazione discrezionale in merito all’acquisizione delle aree o alla loro restituzione previa riduzione in pristino e rilevata la illegittimità dell’operato di Commissario Delegato per l’Emergenza Rifiuti per la Regione Campania, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Provincia di Caserta, il primo giudice - anche in ragione della ratio dell’art.42-bis di disporre che l’acquisizione del bene avvenga previa liquidazione in favore di parte ricorrente del valore venale del bene – ha indicato gli elementi sulla base dei quali avrebbe dovuto eventualmente essere commisurato il quantum risarcitorio da corrispondere.
A tale proposito, ha fatto presente che come evidenziato in sede di relazione di CTU, in epoca antecedente all’occupazione il terreno ricadeva in Zona Omogenea D2 - Insediamenti produttivi industriali, nonché nel piano di zona ASI – Agglomerato di Caserta, zona di San Nicola. Seguendo il procedimento diretto o di stima sintetica previa comparazione basata su dati elementari di mercato concernenti i prezzi e le caratteristiche estrinseche ed intrinseche di suoli, analoghi a quelli da valutare, compravenduti in epoca coeva al momento di riferimento della stima, il valore unitario del suolo esaminato all’anno 2007 e all’attualità (2013) poteva essere stimato in € 42,86 al mq (indice alla decorrenza 106,80, indice alla scadenza 107,60, raccordo indici 1,373) per un complessivo valor capitale del terreno occupato di 6.360 mq pari a € 272.589,60; tenuto conto della specifica valenza del comprensorio industriale esaminato, il valore delle aree pertinenziali qui esaminate poteva stimarsi in misura dell’83,6% del valore pieno dei suoli industriali, per cui il deprezzamento subito dalla superficie residuata dall’occupazione risultava di € 461.399,90.
Il totale valore delle aree occupate, comprensivo della svalutazione subita dalle superficie residuate, risultava quindi di € 733.989,50 (€ 272.589,60 + € 461.399,90), cui doveva essere aggiunto il valore attuale di surrogazione (costo di riproduzione deprezzato) dei vari manufatti esistenti sull’area al momento dell’occupazione che, attese le caratteristiche degli stessi e l’assenza di descrizione del relativo stato d’uso al momento dell’occupazione, risultava di € 27.258,96 .
Conclusivamente, il Tar ha ritenuto che il valore del suolo occupato comprensivo di deprezzamento delle superfici residuate nonché del valore dei manufatti consistiti era di complessivi € 761.248,46 (€ 733.989,50 + € 27.258,96).
Tale valore di mercato della proprietà di parte originaria ricorrente, ad avviso del Tar, era riferibile sia all’epoca dell’occupazione (anno 2007) sia all’attualità, stante la sostanziale invariabilità in tale periodo (2007-13) dei parametri economici influenti sulla valutazione del bene.
Il primo giudice ha quindi dato atto delle obiezioni sollevate dalle amministrazioni resistenti.
Esse avevano ipotizzato la possibilità di ammettere per le aree di specie un valore “non edificatorio” in ragione dell’inclusione dei suoli in una zona interessata da Piano Strategico per le Compensazioni Ambientali, nonché di interesse nazionale con possibilità di attivazione di procedure di sostituzione in danno dei soggetti obbligati in casi di acclarata necessità di bonifica e di ripristino ambientale.
Ad avviso del primo giudice, però, esse non erano condivisibili sol a considerare i valori contenuti dell’Avviso di Accertamento Valori n. 921V004934 emesso dal Ministero delle Finanze in data 9/6/94 per gli analoghi suoli di proprietà dei originarii ricorrenti e le risultanze della sentenza n.151/2012 della Corte di Appello di Napoli.
Q
Ciò adottando un provvedimento col quale gli stessi venissero acquisiti non retroattivamente al patrimonio indisponibile comunale, prevedendo che, entro il termine di trenta giorni, ai proprietari in solido fossero corrisposti i valori dovuti e recando l’indicazione delle circostanze che avevano condotto all’indebita utilizzazione dell’area e la data dalla quale essa aveva avuto inizio.
La odierna parte appellante, già resistente e rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha ripercorso le principali tappe del complesso contenzioso ed anche la fase infraprocedimentale, ed ha fatto presente che pendevano svariati procedimenti, sia relativi alla irregolarità dei lavori di adibizione a discarica successivi all’ordinanza commissariale ed alla occupazione dell’area, ma anche precedenti alla detta ordinanza.
In particolare, il giudice penale aveva contestato la illiceità (anche per il periodo precedente alla Ordinanza commissariale di occupazione) dell’adibizione dell’area a discarica.
Addirittura a partire dal 1992, si contestava una fraudolenta trasformazione della particella 42 del fg 59 del comune di Caserta ed illecita utilizzazione del sito a discarica, al gestore pro-tempore Sig. Francesco Mastopietro, mentre altri simili reati erano stati contestati al Sig. Aniello Mastopietro .
Il sequestro giudiziario operato il 13.11.2007 in alcune particelle della discarica Lo Uttaro relative al progetto per il quale era stata disposta l’occupazione (ex particella 42 del fg 59 del comune di Caserta) costituiva factum principis impediente il completamento della procedura espropriativa ed interruttivo del termine quinquennale di emissione del decreto di esproprio.
Quanto agli esiti della CTU acriticamente fatti propri dal Tar, essi erano errati e approdavano al paradossale risultato di valorizzare la pregressa adibizione dell’area a discarica abusiva.
Il valore quasi pari da 800.000 Euro raggiunto era eccessivo.
Parimenti errata era l’individuazione dell’arco temporale della occupazione abusiva: il Tar aveva ritenuto che la mancata emissione del decreto di esproprio retroagisse, rendendo illegittima l’occupazione, sin dal 12.1.2007 (e da ciò aveva fatto discendere che la corresponsione degli interessi moratori del 5% “partisse” da detta data).
Senonchè, i lavori erano stati eseguiti ed ultimati nel corso della occupazione legittima, coerente con la dichiarazione di PU, e, quindi, l’opera era stata realizzata durante la vigenza del periodo di occupazione legittima (trattavasi di occupazione appropriativa, e non usurpativa).
In ogni caso, non perteneva alla Gestione Commissariale (e quindi alla Presidenza del Consiglio) il compito di emettere l’eventuale decreto ex art. 42bis del TU: lo stato di emergenza era cessato il 31.12.2009 e le competenze del servizio gestorio dei rifiuti erano state restituite alle Province della Regione Campania.
Il petitum restitutorio articolato nei confronti della Gestione Commissariale (e quindi della Presidenza del Consiglio)era inammissibile.
Tale potere/dovere perteneva alla Provincia di Caserta.
L’appellata ha depositato una articolata memoria confutando le critiche appellatorie ed in seno a quest’ultima ha proposto appello incidentale, anche in via autonoma.
Riepilogata anche sotto il profilo cronologico la fase infraprocedimentale e quella contenziosa, ivi ha sostenuto innanzitutto che il Tar aveva errato nell’estromettere (immotivatamente) l’amministrazione comunale di Caserta dal processo di primo grado.
Le eventuali inadempienze della Gestione Commissariale nei confronti del comune di Caserta costituivano meri –ed irrilevanti- atti interni e relativi ai rapporti tra le dette amministrazioni.
Dal Protocollo d’intesa dell’11 novembre 2006 (stipulato tra la Gestione Commissariale il comune di Caserta e la Provincia di Caserta) , invece, risultava che sarebbe stato proprio il Comune l’ente che avrebbe dovuto acquisire al proprio patrimonio la discarica.
In quanto beneficiario finale della procedura ablativa questi non avrebbe potuto essere estromesso dal processo di primo grado.
Peraltro la vigente legislazione prevedeva il subentro dei Comuni alle Province nella gestione del ciclo dei rifiuti, a partire dal 30.6.2014 (cfr dL n. 1/2013).
La sentenza era viziata ex art. 112 cpc per non avere considerato tali emergenze, già veicolate nel processo di primo grado.
Ha chiesto che venisse rilevato che l’appello principale era inammissibile perché introduceva in ammissibilmente nuove domande nuove eccezioni e nuove prove nel processo di appello, laddove in primo grado l’Amministrazione si era limitata a rilevare il difetto di competenza del Tar periferico e la carenza di legittimazione passiva della gestione Commissariale.
Tutte le considerazioni svolte e relative ai processi penale pendenti (circostanze già conosciute al tempo del giudizio di primo grado) erano del tutto nuove ed inammissibili.
Nel merito ha chiesto che comunque il mezzo venisse dichiarato infondato posto che i due processi penali rievocati nell’appello erano del tutto ininfluenti.
Quanto al secondo motivo dell’appello dell’Amministrazione volto ad aggredire l’esito della disposta CTU, parimenti ne doveva essere affermata la infondatezza (peraltro la PA neppure aveva nominato un proprio consulente in primo grado, né aveva preso parte alle operazioni peritali).
La supposta carenza dell’autorizzazione alla utilizzazione delle aree quali discarica costituiva un refuso ascrivibile al parallelo ricorso n. 2761/2014.
Nell’ambito del processo n. 2754/2014 il valore dell’area era stato stimato in relazione alla utilizzabilità a fini industriali.
In ogni caso dette considerazioni erano del tutto ininfluenti in quanto la stima era stata resa in astratto (costituiva jus receptum quello per cui l’area doveva essere stimata in relazione all’’attività ivi esercitabile, non rilevando l’attività esercitata, ovvero la carenza nel momento dell’occupazione, di licenze, autorizzazioni amministrative, etc).
In ordine al calcolo reso dal CTU, la stima era esatta e scevra da mende.
Anche le considerazioni appellatorie in punto di durata dell’occupazione erano errate: doveva tenersi conto del periodo di effettiva privazione del bene, posto che il procedimento non era culminato nella tempestiva emissione del decreto di esproprio.
Spettava alla Gestione commissariale l’emissione dell’eventuale provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazioni in quanto quest’ultima aveva dato causa all’illecito.
Il Comune di Caserta, estromesso dal giudizio di primo grado, ha depositato un atto di costituzione, nel quale si preannunciava il deposito di un appello incidentale (il cui contenuto si “anticipava” in detto atto) nell’ambito del quale ha fatto presente di essere stato destinatario della notifica dell’appello incidentale (da valere anche in via autonoma) da parte dell’originaria parte ricorrente in data 11.6.2014.
Essa, nel ribadire la propria estraneità al giudizio, e carenza di legittimazione passiva (in sostanza chiedendo la conferma del capo della sentenza di primo grado che ne aveva disposto la estromissione) ha sostenuto la erroneità del capo di sentenza che aveva accordato un risarcimento del danno del tutto sproporzionato e sottovalutato una serie di importanti elementi che dimostravano la infondatezza del detto petitum o comunque, a tutto concedere, la riconoscibilità di una somma largamente inferiore.
All’adunanza camerale del 29 aprile 2014 la Sezione con ordinanza ha disposto l’acquisizione del fascicolo d’ufficio non trasmesso dal Tar ed ha differito la trattazione della istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione alla adunanza camerale del 17 giugno 2014: in detta occasione la trattazione della causa su richiesta delle parti è stata differita al merito.
Alla odierna pubblica udienza del 18 novembre 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio
DIRITTO
1.L’appello principale è solo parzialmente fondato e deve essere parzialmente accolto, unicamente con riferimento alla censure rubricate ai motivi n. 8 e n. 9 del mezzo. Per il resto deve essere in parte dichiarato inammissibile, ed in parte respinto, nei termini di cui alla motivazione che segue. L’appello incidentale è fondato nella parte in cui si duole della avvenuta estromissione dalla causa del comune di Caserta e per il resto è improcedibile ed infondato nella parte in cui chiede che venga confermata la tesi per cui il periodo di occupazione illegittima delle aree venga computato dalla data di immissione in possesso.
1.1.Vanno preliminarmente esaminate le numerose questioni preliminari prospettate sia dall’amministrazione appellante principale che dall’appellante incidentale. Esse assumono portata pregiudiziale sia in punto di perimetrazione “soggettiva” (id est: individuazione del novero dei soggetti tenuti a partecipare all’odierno giudizio) che “oggettiva” (id est: individuazione delle censure ammissibili e del materiale cognitivo esaminabile).
1.1.1 Quanto al materiale cognitivo scrutinabile dal Collegio (ed alla dedotta inammissibilità delle censure 1-4 dell’appello principale) è fondata, ai sensi dell’art. 104 del cpa, l’eccezione con cui l’appellante incidentale sostiene la inammissibilità (anche parziale)dell’appello proposto dall’Amministrazione in quanto contenente censure ed eccezioni “nuove” od intempestive (con ciò riferendosi, in massima parte, alle produzioni e deduzioni relative ai processi penali relativi a supposti reati che sarebbero stati in passato commessi al fine di ottenere la adibizione a discarica del sito). La giurisprudenza ha già avuto modo di precisare, in linea generale, che nel giudizio amministrativo il divieto dei motivi nuovi concerne esclusivamente i motivi sollevati da chi introduce il giudizio di prime cure, mentre il divieto delle nuove eccezioni, sancito dal secondo comma del medesimo articolo, non si applica alle mere difese, che sono sempre esaminabili per la prima volta in grado di appello; e ciò in quanto il divieto di proporre motivi nuovi in appello è riferibile solo al ricorrente originario e non anche ai resistenti, che possono addurre qualunque motivo (salve le preclusioni previste dalla legge) per dimostrare al giudice di secondo grado l'infondatezza della domanda del ricorrente (Cons. Stato Sez. IV, 29-08-2013, n. 4315 Cons. stato, sez. VI, 24 febbraio 2011 n. 1154).
Senonchè, laddove le stesse – non soltanto come nel caso di specie siano integralmente nuove, ma anche- si colleghino a fatti pregressi, già noti (rectius: quantomeno agevolmente conoscibili) all’epoca in cui fu celebrato il processo di primo grado, e di cui la difesa erariale non poteva non essere a conoscenza (essendo essa deputata a difendere l’amministrazione in ogni sede) i corrispondenti motivi devono essere dichiarati inammissibili (rectius: seppur teoricamente dichiarati ammissibili devono essere respinti per difetto di prova, previa declaratoria di inammissibilità della documentazione documentale “nuova”che li supporta integralmente) in ossequio al principio di parità delle parti.
Per altro verso, neppure si potrebbe, nel caso di specie, fare utile riferimento al concetto di “integrazione documentale”, per le condivisibili ragioni condivisibilmente esposte nella recente sentenza della Sezione n. 5509/2014 (la cui motivazione appare plasticamente traslabile alla fattispecie per cui è causa ed è da intendersi integralmente trascritta in questa sede).
Senza recesso alcuno dalla superiore prospettazione ritiene tuttavia il Collegio utile anticipare (il tema verrà più diffusamente esplorato nel prosieguo della presente esposizione) che in ogni caso, anche ove ammessa, la produzione documentale di parte appellante non avrebbe potuto recare giovamento alcuno alla propria posizione: anche se sommariamente, quindi, le questioni dalla stessa prospettate verranno esaminate nel prosieguo della presente trattazione dedicato alla esposizione del punto di vista del Collegio sulle questioni di merito, al fine di dimostrare, comunque, la inaccoglibilità delle censure di cui ai motivi 1-4-dell’atto di appello .
1.2.Al contrario di quanto sinora precisato, rileva invece il Collegio che l’omessa articolazione di critiche, nel corso del giudizio di primo grado, alla relazione del CTU nominato dal Tar non priva la parte soccombente della possibilità di proporre appello sul punto, e pertanto le eccezioni di inammissibilità articolate da parte appellante incidentale con riferimento a tale profilo del mezzo principale vanno disattese, non rilevando che la parte appellante sia rimasta sostanzialmente inerte durante il corso del giudizio di primo grado sull’incombente istruttorio disposto dal Tar.
1.3.Quanto alle questioni relative alla avvenuta estromissione dal giudizio di primo grado del comune di Caserta sollevate da parte appellante incidentale, esse –che,lo si anticipa,sono fondate - possono essere congiuntamente esaminate con quelle contenute nel motivo n. 11 dell’ appello principale, laddove si sostiene che la competenza ad emettere il provvedimento ex art. 42 bis del TU espropriazioni spetti alla Provincia di Caserta.
1.3.1. Quanto al primo versante, può senz’altro concordarsi con la critica appellatoria incidentale secondo cui la sibillina motivazione posta dal Tar a sostegno della statuizione con cui è stata disposta la estromissione dal giudizio di primo grado del comune di Caserta renda difficoltoso comprendere la ratio della scelta giudiziale. Come è noto, però, la insufficienza/carenza motiva non è causa di annullamento con rinvio della sentenza di primo grado ( financo l’omessa pronuncia ex art. 112 cpc non integra causa di regressione processuale: ex aliis Consiglio Stato, sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3289) per cui il Collegio esaminerà la dedotta censura.
1.3.2.Essa appare pienamente condivisibile, fondandosi sulla dedotta “qualità” di beneficiario della espropriazione in capo al Comune.
Si rammenta in proposito che la giurisprudenza di legittimità ha ormai stabilmente affermato il principio per cui (Cass. civ. Sez. I, 19-07-2012, n. 12541) “parte del rapporto espropriativo ed obbligato al pagamento dell'indennità nei confronti del proprietario espropriato e come tale legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima promosso dall'espropriato è il soggetto espropriante a cui favore è pronunciato il decreto di espropriazione anche nell'ipotesi di concorso di più enti nella realizzazione dell'opera pubblica dovendo egualmente aversi riguardo a detti fini esclusivamente al soggetto che nel provvedimento ablatorio risulta beneficiario dell' espropriazione, salvo che dal decreto stesso non emerga che ad altro ente in virtù di legge o di atti amministrativi, e mediante figure sostitutive a rilevanza esterna, sia stato conferito il potere ed il compito di procedere all'acquisizione delle aree occorrenti e di promuovere e curare direttamente, agendo in nome proprio, le necessarie procedure espropriative ed addossati i relativi onere.”.
Ciò però riguarda il pagamento della indennità, e, quindi, la procedura espropriativa “legittima”, e non già l’azione risarcitoria per una procedura (divenuta) illegittima, quale certamente è quella sulla quale si controverte, ed in ordine alla quale assume portata centrale il principio di cui all’art. 2043 CC.
Nel caso di specie si ravvisa senz’altro l’evenienza scolpita nella seconda parte della massima che precede (che alla gestione commissariale fosse stato conferito il detto potere non è neppure contestato dall’appellante incidentale); ma è ben vero, però, che il coinvolgimento “genetico” del comune medesimo nel procedimento espropriativo suddetto è espressamente affermato nel Protocollo di intesa del quale invano il comune tenta di svalutare la portata considerandolo (e non è ben chiaro a quali fini) “atto di rilievo politico”.
Ed allora, se è appena il caso di precisare che alcune delle considerazioni (contrarie alla estromissione del comune) tratte dall’ appellante incidentale dalla legislazione superveniens in punto di competenza nella gestione del ciclo dei rifiuti non rilevano decisivamente, posto che il principio del "tempus regit actum", governa il procedimento amministrativo anche in punto di individuazione del soggetto competente ad esercitare l’azione amministrativa e, quindi, soggetto all’azione risarcitoria conseguente (Cons. Stato Sez. IV, 21-08-2012, n. 4583, Cass. civ. Sez. VI, 22-02-2012, n. 2672), è parimenti corretto porre in luce che proprio dal citato Protocollo 11.11.2006 all’art. 2, emergeva il coinvolgimento comunale nella detta procedura espropriativa.
Ciò basta ad escludere la esattezza della estromissione disposta dal Tar e ad affermare che in parte qua l’appello incidentale (pienamente ammissibile sul punto,in quanto “autonomo”) deve essere accolto,fermo restando che le problematiche in punto di ripartizione di responsabilità tra le parti pubbliche esulano dall’odierno processo e potranno eventualmente essere dalle stesse fatte valere in separati giudizi innanzi al plesso giurisdizionale competente.
1.4.Per “omogeneità di materia”, può adesso essere esaminata la censura proposta dall’appellante principale (punto 9 dell’appello) volta a sostenere che la competenza ad emettere il provvedimento ex art. 42 bis del TU espropriazioni spetti alla Provincia di Caserta.
1.4.1. Anche questa, contrariamente a quanto dedotto sul punto dalle controparti, appare appare ammissibile (non è “nuova” in quanto concerne una statuizione resa nella sentenza di primo grado e non articolabile in precedenza) e fondata, nei termini di seguito chiariti.
1.4.2. Come è noto, il comma 1 della citata disposizione di cui all’art. 42 bis, prevede che “valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.”.
Saranno consentite, sul punto, due brevi considerazioni.
La disposizione di cui al citato art. 42 bis, attribuisce alle Amministrazioni una (mera) facoltà aggiuntiva, della quale possono avvalersi, a loro insindacabile scelta.
Essa riposa nella possibilità di evitare la restituzione del bene immobile illegittimamente occupato e trasformato, mercè il pagamento di un indennizzo (ex aliis: “l'art. 42 bis del T.U. Espropriazione per pubblica utilità -D.P.R. n. 327 del 2001-, come introdotto dal D.L. n. 98 del 2011, rubricato "Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico", ha reintrodotto il potere discrezionale già disciplinato dall'art. 43 del T.U. Espropriazioni per pubblica utilità dichiarato incostituzionale. Ed infatti, l'Amministrazione competente, valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto, può decidere se demolire in tutto o in parte l'opera, sostenendone le relative spese, e restituire l'area al proprietario, oppure se disporre l'acquisizione, sì da evitare che venga demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito.” Consiglio di Stato Sez. VI, sent. n. 6351 del 01-12-2011).
L’inequivoco tenore di cui al comma 8 del predetto articolo 42 bis (“le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione; in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell'interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.”) e le consolidate affermazioni della pacifica giurisprudenza consentono di affermare che la norma in questione si applichi ai processi in corso, ed anche ove essi concernano procedure espropriative pregresse.
Posto che la detta disposizione prevede l’eccezionale facoltà per le Amministrazioni di evitare di subire una statuizione reipersecutoria trattenendo la disponibilità del compendio immobiliare trasformato, in una ottica collaborativa tra le Amministrazioni coinvolte, suonerebbe persino paradossale che le stesse si “rimpallino” la facoltà di procedere all’acquisizione “sanante” (tutte le amministrazioni coinvolte, infatti, dovrebbero avere un identico interesse, e semmai la problematica potrebbe porsi laddove due o più di esse manifestino valutazioni divergenti in ordine alla opportunità – o meno- di acquisire il compendio immobiliare illegittimamente trasformato).
E’ appena il caso di sottolineare, infatti, che ove l’Amministrazione competente a disporre l’acquisizione ex art. 42 bis del TU Espropriazione dovesse esprimere l’intenzione di non accedere a tale “rimedio” ciò non farebbe venire meno l’obbligo risarcitorio incombente sulla (diversa,eventualmente) Amministrazione tenuta a risarcire il danno.
E posto che il risarcimento comprenderebbe la rimessione in pristino dell’area, potrebbe verificarsi la eventualità per cui la Amministrazione responsabile dell’illecito potrebbe essere costretta ad un esborso addirittura maggiormente oneroso del versamento della somma dovuta ex art. 42bis, e per soprammercato del tutto “inutile” perché il bene non verrebbe acquisito alla mano pubblica.
Il Collegio non può astenersi dall’evidenziare che può fondatamente dubitarsi della complessiva “coerenza” (ex art. 97 della Costituzione che fa riferimento all’efficienza “complessiva” dell’Amministrazione) di simili linee defensionali.
1.4.3.Senonchè, a fronte della eccezione/censura prospettata, non resta al Collegio che evidenziare che il chiaro tenore del primo comma della norma suindicata affida alla “l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico,” in via esclusiva il compito di valutare se emettere – o meno- il provvedimento ivi contemplato.
La statuizione del Tar, sul punto, è stata la seguente.
Dapprima ha affermato (capo 5.2.) che spettasse “solo all’Amministrazione statale la valutazione discrezionale in merito all’acquisizione delle aree o alla loro restituzione previa riduzione in pristino”; in seguito ha statuito (capo 6) l’obbligo di Commissario Delegato per l’Emergenza Rifiuti per la Regione Campania, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Provincia di Caserta a determinarsi con indicazione del risarcimento dovuto a parte originaria ricorrente”.
Posto che il provvedimento ex art. 42 bis del TU 327/2001 deve contenere l’indicazione dell’indennizzo, non è del tutto chiara la statuizione del Tar.
Ritiene comunque sul punto di affermare il Collegio che la detta facoltà di emissione del provvedimento acquisitivo sanante spetti in via esclusiva all’autorità che, al momento della “condanna” alla emissione del provvedimento giudiziale utilizza il bene (comma 1: “Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.”); che non è contestato né contestabile, in virtù dell’avvenuta cessazione dello stato di emergenza e della legislazione a partire dal 2008 che questa fosse – e sia- la Provincia di Caserta; che pertanto su quest’ultima gravi la competenza a valutare i presupposti per la emissione del provvedimento e l’obbligo di determinare e versare l’indennizzo (comprensivo della porzione risarcitoria di cui al comma 3 dell’art. 42 bis predetto), fermo restando ovviamente, che ciò non preclude alla Provincia di Caserta la intrapresa di eventuali azioni di regresso, innanzi alla competente giurisdizione, nei confronti dell’Amministrazione che adottò le condotte contestate.
Tale possibile profilo di contenzioso tra le Amministrazioni, ovviamente, non può incidere sulla posizione attiva del privato, il quale dovrà essere soddisfatto nel suo credito dall’Autorità che decida di procedere ex art. 42 bis del TU: ed è, per contro, scontato evidenziare che, laddove non si addivenga alla emissione di un simile provvedimento, la eventuale responsabilità risarcitoria affermata non potrebbe che rimanere ad esclusivo carico dell’Amministrazione che, ratione temporis, si rese protagonista dell’illecito.
Alla stregua di quanto sinora esposto, va pertanto accolta la doglianza contenuta al n. 9 dell’appello principale e va affermato che, in ipotesi di positiva affermazione di responsabilità da illecita occupazione, la facoltà/competenza ad emettere l’eventuale provvedimento ex art. 42 bis pertenga alla Autorità che al momento della emissione del provvedimento giudiziale utilizzava il bene e questa va individuata nella Provincia di Caserta, essendo l’emergenza cessata alla data del 19.12.2009.
L’appellante incidentale ha contestato detto approdo facendo presente che la Presidenza del Consiglio dei Ministri era subentrata alla gestione commissariale: ma non ha tenuto conto che l’utilizzo dell’indicativo presente al comma 1 del più volte citato art. 42 bis del TU (“, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico”) obbliga a far riferimento soltanto alla attualità del momento e non alla situazione pregressa rispetto al momento in cui sopravviene il provvedimento giudiziale “condannatorio” e facultizzante l’esercizio della facoltà ivi contemplata.
2.Possono adesso essere esaminate le doglianze di merito articolate nell’appello principale.
2.1.L’appellante amministrazione (motivi 1-4)non contesta che occupazione vi sia stata sostiene però che non possa affermarsi che essa fosse divenuta illegittima sebbene rispondesse al vero che il relativo decreto di esproprio non era intervenuto entro il 12 gennaio 2012.
A differenza infatti di ciò che è avvenuto nel – quasi identico- procedimento iscritto al n. 2761/2014, del pari chiamato in decisione alla odierna pubblica udienza laddove l’appellante non ha articolato alcuna censura sul punto, invece, nell’odierno procedimento (vedasi ultima parte del punto 4 dell’atto di appello) l’appellante principale ha sostenuto che l’intervenuto decreto di sequestro preventivo penale dell’area avesse interrotto i termini di emissione del decreto di esproprio per cui non potesse sostenersi l’avvenuto decorso dei cinque anni per la emissione del decreto di esproprio predetto e che, conseguentemente, non potesse affermarsi che la procedura espropriativa fosse divenuta illegittima .
2.2. Senza recesso alcuno dalle considerazioni prima svolte che avevano condotto all’approdo per cui i connessi primi quattro motivi articolati in appello (e la produzione documentale ad esso sottesa) in quanto radicalmente “nuovi” fossero inammissibili, puntualizza il Collegio che dette doglianze sarebbero state comunque infondate, per considerazioni del tutto assorbenti.
Si rammenta che l'art.13 del D.P.R. n.327 del 2001 , dal titolo "Contenuto ed effetti dell'atto che comporta la dichiarazione di pubblica utilità", al comma 3 prevede che "nel provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera può essere stabilito il termine entro il quale il decreto di esproprio va emanato"; al successivo comma 4 poi è espressamente contemplato che "se manca l'espressa determinazione del termine di cui al comma 3, il decreto di esproprio può essere emanato entro il termine di cinque anni, decorrente dalla data in cui diventa efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità dell'opera"; ancora, al comma 5 è stabilito che "l'autorità che dichiarato la pubblica utilità dell'opera può disporre la proroga dei termini previsti dai commi 3 e 4 per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni.
Come chiarito dalla giurisprudenza, la proroga può essere disposta anche d'ufficio, prima della scadenza del termine, per un periodo non superiore a due anni; quindi al sesto comma è previsto che "la scadenza del termine entro il quale può essere emanato il decreto di esproprio determina l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità". Sulla natura perentoria e non ordinatoria del termine quinquennale entro cui adottare l'atto conclusivo del procedimento ablativo, non pare sussistano dubbi, in ossequio ad un più che ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale al termine finale va riconosciuto, a differenza del termine iniziale, natura perentoria e tanto con riferimento anche al regime giuridico descritto sul punto dall'art.13 della legge n.2359 del 1865, norma sostanzialmente riprodotta nell'omologo art.13 del D.P.R. n.327/2001 (ex aliisConsiglio di Stato Sez. IV, Sentenza n. 4457 del 26-07-2011).
Sostiene l’appellante che il detto termine si fosse interrotto per effetto dell’intervento sequestro preventivo penale sull’area.
La censura non può essere accolta.
Come è noto il sequestro preventivo priva il destinatario della disponibilità dell’area, ma non incide sulla proprietà.
Non si può negare che l’intervenuto sequestro preventivo di un manufatto, mentre è in corso la procedura espropriativa, introduca elementi di rilevante incertezza nel procedimento avviato (tanto più in un caso qual quello in esame, considerato che le aree adibite a discarica non autorizzata sarebbero passibili di confisca ai sensi dell'art. 256, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006).
Senonchè, da un canto risulta che l’appellante amministrazione neppure ebbe a prorogare i termini di emissione del decreto di esproprio, e d’altro canto, neppure ebbe a dichiarare la formale sussistenza di una causa di interruzione/sospensione procedimentale incidente sul termine (perentorio) scolpito nell’art. 13 del TU.
Essa rimase del tutto inerte, impedendo al destinatario della procedura espropriativa di difendersi sul punto e comunque non adottando alcuna determinazione.
Ammesso quindi, in tesi, che il termine perentorio scolpito sub art. 13 del TU potesse essere interrotto/sospeso a cagione dell’intervenuto sequestro, la circostanza che l’appellante amministrazione neppure abbia disposto (come pur poteva)la proroga del detto termine (a fronte di sequestri penali già disposti illo tempore) impedisce di considerare plausibile la tesi per cui il procedimento potesse considerarsi sine die sospeso.
E ciò anche laddove – come confusamente sostenuto da parte appellante principale – i processi penali dalla stessa richiamati avessero spiegato una concreta incidenza sulla fattispecie per cui è causa.
Il vero è poi che – come chiarito e dimostrato dall’appellante incidentale, e rimasto non smentito dall’incartamento processuale- i due procedimenti penali citati, non riguardano alcuno degli originarii ricorrenti e la posizione del Mastropietro Aniello è stata ivi archiviata.
3.Anche a volere prendere in esame detti dati processuali discendenti dai procedimenti penali mentovati dall’appellante, essi non possono produrre le conseguenze pretese da parte appellante principale.
E neppure possono –per le identiche ragioni sinora rassegnate- introdurre elementi di incertezza nella delimitazione dell’area oggetto di occupazione, fondata sulla redazione dello stato di consistenza al momento dell’immissione in possesso e riscontrata dalle attente verifiche svolte in sede di CTU.
 
4. Disattesa quindi la tesi logicamente principale secondo cui non potesse riscontrarsi alcuna illegittimità della procedura espropriativa occorre interrogarsi sulla fondatezza – o meno- delle ulteriori doglianze, volte a sostenere che la quantificazione del danno risarcibile resa in sentenza sia errata.
4.1.Si rammenta in proposito che l’appellante difesa erariale contesta l’esito della CTU; sostiene che, sia successivamente all’adozione dei provvedimenti commissariali (vedasi punto 2 dell’appello) che – circostanza ancor più rilevante -precedentemente alla adozione dei provvedimenti commissariali (punto n. 3 ) del tutto illegittimamente l’area de qua fosse stata adibita a discarica dai precedenti titolari e che perciò essa fosse soggetta a confisca obbligatoria. Evidenzia poi che il piano di esproprio indicava le particelle 40 e 42.
Ma mentre in ordine alla particella occupata recante n. 40 non v’era contrasto, quanto alla 42 essa non esisteva, esistendo le nn. 5059, 5060, 5061.
L’invaso di discarica insisteva sulla 5060 quest’ultima derivava sì da frazionamento della particella n. 42; in passato, però, era stata illegittimamente inglobata alla particella 42 (autorizzata a discarica) l’area di cui alla particella 147 che invece non era autorizzata a tale fine.
Di fatto, l’autorizzazione relativa all’area di cui alla particella 42 era stata fraudolentemente estesa anche ad un'altra area- corrispondente alla particella 147 – che era stata inglobata illegittimamente nella particella 42.
Quest’ultima, quindi, era aumentata di consistenza; e l’autorizzazione alla adibizione a discarica si era estesa comprendendo un area (part. 147) non autorizzata
Ne era derivato che soltanto parte dell’area era autorizzata come discarica e che l’ illecito, a cascata., era proseguito anche dopo il frazionamento ulteriore della particella n. 42 sfociato nn. 5059, 5060, 5061.
Da ciò derivava che la particella ex 42, oggi 5060, occupata e ove esiste la discarica, non sarebbe stata in precedenza utilizzabile legittimamente come discarica e che, pertanto, la quantificazione resa dal CTU era del tutto incongrua e si doveva soltanto fare riferimento alla destinazione d’uso del suolo ed alla vocazione industriale dell’area ove era ubicato il terreno.
4.2. Pare al Collegio che la censura sia frutto di un refuso ascrivibile dalla inserzione nell’odierno atto di appello di doglianze in realtà riferibili al parallello procedimento n. 2761/2014 , pure chiamato in decisione alla odierna udienza pubblica (nell’ambito del quale si è gravata la sentenza “gemella n. 46/2013) .
Invero, la quantificazione resa in sede di CTU, nell’ambito del presente processo, non si è incentrata affatto sulla potenzialità dell’area ove adibita a discarica, ma sulla conformità del ristoro alla destinazione d’uso prevalente di “area industriale”.
Tale parte dell’appello pagg. 14-16 introduce censure e considerazioni non aderenti alla causa in esame.
4.2.1.Anche depurata dal suddetto errore, peraltro, la critica appellatoria (ultima parte del motivo n. 7) non coglie nel segno, in quanto pretenderebbe di censurare l’analitica attribuzione valoriale di cui alla CTU fatta propria nell’atto di appello, dall’inserimento dei suoli nella zona interessata dal Piano Strategico per le Compensazioni ambientali.
Ciò, ad avviso dell’appellante amministrazione centrale implicherebbe il non condivisibile disconoscimento: del dato risultante dalla destinazione urbanistica impressa sull’area; della circostanza che il valore dell’area va determinato in relazione alla destinazione del fondo in epoca antecedente all’occupazione (il terreno ricadeva in Zona Omogenea D2 - Insediamenti produttivi industriali, nonché nel piano di zona ASI – Agglomerato di Caserta, zona di San Nicola); essa introduce nel processo elementi apodittici ed ipotetici che diffusamente sono stati confutati da parte appellante incidentale nella propria memoria contenente appello incidentale e nei successivi scritti difensivi.
Esattamente poi, il Tar ha richiamato l’Avviso di Accertamento Valori n. 921V004934 del 9.6.1994 e la sentenza della Corte di Appello n. 151/2002 in chiave rafforzativa dell’esito fornito dal CTU
4.2.2. In parte qua, la sentenza, rifacendosi agli articolati esiti della Ctu, va confermata.
 
4.3.Resta da porre in luce che l’appellante principale (punto 8 dell’atto di appello) ha anche censurato la individuazione da parte del Tar del periodo di occupazione illegittima delle aree.
4.3.1.La censura coglie certamente nel segno e vanno disattese le contrarie considerazioni articolate dall’appellante incidentale nella propria memoria.
Invero nel caso di specie ci si trova al cospetto non già di una procedura espropriativa geneticamente illegittima per vizi incidenti sulla dichiarazione di PU poi annullata, e neppure di una fattispecie classificabile qual usurpativa “pura” per carenza di spendita del potere amministrativo – su quest’ultima, poi, il plesso amministrativo sarebbe addirittura carente di giurisdizione.
La procedura è divenuta illegittima a cagione della omessa tempestiva emissione del decreto di esproprio.
Durante la vigenza della occupazione (ab origine legittima) l’area venne trasformata: la declaratoria di illegittimità della procedura non implica che per detto periodo di occupazione “legittima” al proprietario possa essere corrisposto altro che la indennità mentre di risarcimento può discorrersi soltanto per il periodo successivo: per il periodo, cioè, in cui l’occupazione divenne illegittima a cagione della non tempestiva emissione del decreto di esproprio (arg: Cass. civ. Sez. I, 13-05-2010, n. 11719; Cons. Stato Sez. IV, 28-01-2010, n. 367).
Tale approdo ancora di recente riconfermato dalla giurisprudenza di merito (T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., 08-07-2014, n. 336) appare coerente con la espressa distinzione contenuta nel comma 3, secondo periodo, dell'art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, a norma del quale "per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma".
Né appare traslabile alla fattispecie la sentenza della Sezione n. 2960/2011 richiamata da parte appellante incidentale, laddove si consideri che nel caso ivi preso in esame i decreti di occupazione d'urgenza erano stati a loro volta precedentemente annullati (circostanza, questa, non riscontrabile nel caso de quo).
Il periodo di occupazione illegittima va quindi individuato successivamente alla invano trascorsa scadenza del termine per emettere il decreto di esproprio.
4.4. Con le precisazioni e le integrazioni sinora rese in motivazione, va quindi confermato anche il capo 5.3. della sentenza gravata, in punto di obbligo dell’amministrazione (da individuarsi per quanto si è sin qui detto nella Provincia di Caserta) tenuta ad emettere il provvedimento ex art. 42bis del TU Espropriazione a determinarsi sul valore dell’area, tenendo conto, nella determinazione dell’“indennizzo dovuto” di quanto sinora chiarito dal Collegio.
5. Conclusivamente, l’appello principale va accolto, nei termini di cui alla motivazione soltanto con riguardo alle censure di cui ai motivi n. 8 e n. 9 e va per il resto in parte disatteso ed in parte dichiarato inammissibile. L’appello incidentale va accolto unicamente con riferimento alle censure attingenti la disposta estromissione dal processo del Comune di Caserta e va per il resto dichiarato improcedibile ed infondato, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
6. La estrema complessità delle questioni esaminate e la non integrale soccombenza delle parti processuali impongono la scelta del Collegio di compensare integralmente tra le parti le spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello principale nei termini di cui alla motivazione soltanto con riguardo alle censure di cui ai motivi n. 8 e n. 9 e lo respinge nella restante parte. Accoglie l’appello incidentale unicamente con riferimento alla disposta estromissione dal processo del Comune di Caserta e lo dichiara improcedibile ed infondato per il resto.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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