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Art.42-bis TUE: Il TAR Brescia afferma la giurisdizione GA per ristoro economico - TAR Brescia, sez. II, sent. n.1157 del 04.11.2014

Pubblico
Lunedì, 10 Novembre, 2014 - 01:00

 

 

 Art-42-bis TUE - giurisdizione - indennizzo - risarcimento 

Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, (Sezione Seconda), sentenza n. 1157 del 4 novembre 2014, sull’art.42-bis TUE

La massima

In tema di acquisizione sanante. posto che - al di là del nomen iuris attribuito dall'art. 42 bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327 - l'"indennizzo" costituisce nella sua eziologia un risarcimento del danno cagionato da fatto illecito della Pubblica amministrazione, le relative controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Il provvedimento ex art. 42 bis, quale strumento per porre rimedio all’originario “errore” in cui è incorsa la pubblica amministrazione nel non portare a conclusione il procedimento espropriativo nei termini previsti, rientra a pieno titolo nell’ambito dell’esercizio del potere ablatorio da parte dell’ente espropriante, con conseguente attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di ogni questione risarcitoria connessa allo stesso.

Il termine per il pagamento delle somme di cui all’art.42-bis è ordinatorio.

La sentenza
N. 01157/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00853/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 853 del 2013, proposto da:
M.A.Co. Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Leali, con domicilio eletto in Brescia presso la Segreteria del T.A.R., via Carlo Zima, 3;
contro
Anas S.p.a., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliata in Brescia, via S. Caterina, 6;
per l'annullamento
- dell’atto di acquisizione – art. 42 bis DPR 327/2001 e s.m.i. del 9 aprile 2013, rep 72/13 notificato il 26 giugno 2013, nonché del pagamento dell’importo ivi fissato, avvenuto in data 13 agosto 2013;
- di tutti gli atti preordinati e/o connessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della società Anas S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2014 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Il 20 gennaio 1997, l’impresa LIS è stata autorizzata ad occupare, in nome e per conto di ANAS s.p.a., alcuni terreni di proprietà della ricorrente per la sistemazione della SS n. 573 Ogliese.
Il ricorso avverso tale atto, rubricato sub RG 541/98 si è estinto, così come il giudizio pendente presso la Corte d’Appello per la rideterminazione dell’indennità, a causa della mancata conclusione della procedura espropriativa.
Le parti hanno, dunque, cercato un accordo stragiudiziale, ma non avendolo raggiunto, l’ANAS s.p.a. ha adottato il decreto di acquisizione oggetto del ricorso in esame.
Nel proprio ricorso avverso tale provvedimento, in punto di fatto, la ricorrente ha evidenziato come vi sia stato, sin dall’inizio del procedimento ablatorio in questione, un problema di individuazione delle aree effettivamente occupate: 2183 mq nel decreto di occupazione d’urgenza, 2219 nell’offerta di indennità, 3082 mq secondo la commissione provinciale espropri, 4510 mq quelli risultanti dal frazionamento operato dalla ricorrente stessa per l’esatta individuazione dell’area rimasta nella disponibilità della medesima e divenuta “produttiva di espansione” con l’adozione del PGT del Comune di Palosco. Frazionamento fatto proprio da Anas s.p.a. che lo ha richiamato nel provvedimento impugnato.
Quest’ultimo sarebbe illegittimo per le seguenti ragioni:
- nella parte dispositiva la superficie da acquisire è stata indicata in 4500 mq e non anche 4510 (come risultante dal tipo di frazionamento e riportato nelle premesse);
- non sarebbe stata considerata, in sede di determinazione del valore, la potenzialità edificatoria dell’area confermata dalla sopravvenuta classificazione, nel PGT, come produttiva di espansione: tale sarebbe la destinazione urbanistica da prendere in considerazione, atteso che il provvedimento traslativo della proprietà è stato adottato solo ora e l’indennizzo deve, dunque, essere rapportato al valore al momento dell’acquisizione. Per una corretta quantificazione del valore di mercato, parte ricorrente ha, quindi, prodotto copia del preliminare di vendita con tre soggetti e della perizia disposta da una banca per la concessione di credito, le quali indicano come valore dell’area quello di 120,00 Euro/mq (per un totale di 541.200,00);
- si è dato atto di una sorta di acquiescenza (in data 8 aprile 2013) che non sarebbe mai intervenuta, avendo la ricorrente comunicato solo le proprie coordinate bancarie, ma non anche l’accettazione delle “modalità e le condizioni di pagamento”;
- le premesse del provvedimento darebbero atto, dunque, di un’accettazione di MACO che non è mai intervenuta, tanto che la stessa ANAS s.p.a. denomina il proprio provvedimento come atto di acquisizione unilaterale;
- la ricorrente ha accettato il pagamento di ANAS s.p.a. solo come acconto, tant’è che ha formalmente contestato alla stessa la quantificazione dell’indennizzo (note inviate tramite PEC il 19 luglio 2013 e l’11 settembre 2013);
- il pagamento non è avvenuto nel termine di trenta giorni;
- il provvedimento sarebbe privo di motivazione, in quanto non darebbe conto delle ragioni che hanno condotto all’indebita utilizzazione dell’area e alla mancata adozione di un provvedimento di “regolarizzazione” per 15 anni dalla conclusione dei lavori, risalente al 1998;
- non sarebbe mai stato disposto il pagamento “dell’indennità”, la quale dovrebbe oggi essere rapportata al valore del bene. Il ricorso non specifica, però, a quale indennità ci si riferisca e si limita, nella voce successiva, a parlare di danno da mancata utilizzabilità dell’area;
- non è stata prevista alcuna somma a compensazione del danno conseguente alla mancata utilizzabilità dell’area e cioè derivante dall’impossibilità di realizzare capannoni sui 4510 mq occupati, la cui edificazione avrebbe condotto ad un utile di impresa di 450.000 euro;
- non sono state rimborsate le somme corrisposte dalla proprietà per il fatto di essere rimasta formalmente titolare delle aree negli anni e cioè ICI e somme richieste dal Consorzio di Bonifica;
- non sono state riconosciute le ulteriori voci di danno corrispondenti al mancato guadagno aziendale, alle spese sostenute e alle conseguenze negative dell’eccessiva durata della procedura;
- l’importo dovuto doveva essere maggiorato del 10 %, in quanto l’indennità provvisoria offerta originariamente era di gran lunga inferiore a 8/10 (ovviamente questa voce non compete, dal momento che riguarda l’ipotesi della legittima conclusione della procedura espropriativa.).
ANAS s.p.a. si è difesa eccependo, in primo luogo, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo rispetto alla quantificazione dell’indennizzo dovuto per l’acquisizione di cui all’art. 42 bis del d. lgs. 327/2001.
Nel merito, essa ha dato conto di aver quantificato l’indennizzo dovuto tenendo in considerazione i principi stabiliti da questo stesso Tribunale con riferimento al ricorso proposto da altro proprietario proprio in relazione all’occupazione finalizzata alla realizzazione della medesima opera stradale (sentenza n. 940/2011), peraltro smentendo di aver mai sostenuto, come invece affermato da parte ricorrente, di aver concordato, in tutto o in parte, il provvedimento censurato con il suo destinatario.
La difesa erariale ha, poi, sostenuto l’infondatezza degli ulteriori vizi dedotti.
Parte ricorrente ha, a sua volta, svolto considerazioni in replica.
Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2014, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Deve essere preliminarmente rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione introdotta dall’Amministrazione resistente, atteso che, ciò di cui si controverte non è la corretta quantificazione di un’indennità di espropriazione, incontestatamente rimessa alla cognizione del giudice ordinario da sempre, bensì della determinazione del risarcimento dovuto a fronte di un’attività asseritamente non conforme alla legge, posta in essere dall’Amministrazione.
Non si ravvisa, dunque, ragione di discostarsi dalle conclusioni cui è giunto, anche recentemente, il Consiglio di Stato (sentenza 993 del 3 marzo 2014), secondo cui, in tema di acquisizione sanante. posto che - al di là del nomen iuris attribuito dall'art. 42 bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327 - l'"indennizzo" costituisce nella sua eziologia un risarcimento del danno cagionato da fatto illecito della Pubblica amministrazione, le relative controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. E’ innegabile, infatti, si legge nella suddetta sentenza: “che il presupposto dell'esercizio di siffatto potere ablatorio sia il pregresso cattivo uso dell'ordinario potere espropriativo, al quale sopravvive l'esigenza dell'amministrazione di continuare a trattenere il bene in considerazione della perdurante utilizzazione nell'interesse pubblico”.
Pertanto, il provvedimento ex art. 42 bis, quale strumento per porre rimedio all’originario “errore” in cui è incorsa la pubblica amministrazione nel non portare a conclusione il procedimento espropriativo nei termini previsti, rientra a pieno titolo nell’ambito dell’esercizio del potere ablatorio da parte dell’ente espropriante, con conseguente attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di ogni questione risarcitoria connessa allo stesso.
Tutto ciò premesso in rito, l’effettiva portata della pretesa fatta valere da parte ricorrente con un ricorso piuttosto confuso e talvolta fuorviante può essere compresa solo prendendo in considerazione le conclusioni, nel merito, di parte ricorrente.
A pag.18 del ricorso la ricorrente chiede, espressamente:
1. “l’annullamento dell’atto di acquisizione e comunque l’inefficacia dell’iter acquisitivo adottato da Anas spa”;
2. la condanna della medesima “al risarcimento dei danni subiti da MACO srl in conseguenza dell’illegittima occupazione dei beni, con determinazione del corrispettivo spettante a MACO srl per tali titoli, che viene in questa sede quantificato dal ricorrente con riferimento al valore venale del bene nell’importo di Euro 541.200,00 o di quell’altro importo che verrà ritenuto di giustizia”;
3. la condanna, comunque, di ANAS al pagamento “dell’importo dovuto per la perdita del bene ed a titolo di risarcimento del danno, sia diretto che indiretto subito, oltre interessi compensativi”.
Queste due ultime domande possono essere, in realtà considerate come una sola, con la conseguenza che verranno trattate congiuntamente nel paragrafo dedicato alla quantificazione del danno (sub B).
A) LA LEGITTIMITA’ DEL PROVVEDIMENTO
Per quanto attiene al primo profilo, la ricorrente ha genericamente affermato (pag. 5 del ricorso), che i provvedimenti impugnati “vengono ritenuti illegittimi sotto svariati profili, per eccesso di potere stante la palese violazione di legge e la falsa applicazione di legge, nonché la contraddittorietà con altri provvedimenti che costituiscono parte integrante dell’iter acquisitivo”.
I. Deve essere preliminarmente escluso che sulla legittimità del provvedimento possa incidere il fatto che, nella parte dispositiva dello stesso, la superficie da acquisire sia stata indicata in 4500 metri, anziché 4510 mq: trattasi, infatti, di un lapsus calami che non può inficiare la legittimità del provvedimento impugnato, l’oggetto del quale è inequivocabilmente individuato dagli elaborati tecnici allegati allo stesso, prevalenti sull’indicazione sintetica contenuta nella parte dispositiva del provvedimento.
II. Per quanto riguarda il valore di mercato delle aree in questione, si può concordare con parte ricorrente sul fatto che lo stesso deve essere determinato con riferimento al momento dell’offerta dell’indennizzo. Principio, che, peraltro, risulta essere stato rispettato da ANAS che, nella quantificazione del medesimo ha attribuito un valore medio dei terreni di oltre 11 euro al mq.
Ciò che, invece, non può essere affatto condiviso è la tesi secondo cui le aree in questione avrebbero natura edificabile e il loro valore sarebbe, per ciò stesso, pari a 120 Euro il mq.
A tale proposito deve tenersi conto che, nonostante parte ricorrente tenti di indurre confusione sul punto, facendo generico riferimento al valore delle aree espropriate, quelle occupate per la realizzazione dell’opera pubblica non hanno mai mutato, né avrebbero potuto, pena l’illogicità della previsione urbanistica, la loro destinazione d’uso. Parte ricorrente ha, dunque, omesso di precisare che la destinazione urbanistica prodotta in atti (conseguente all’adozione del nuovo PGT intervenuta il 3 dicembre 2008 e alla sua approvazione del 4 aprile 2009), che dà conto di una qualificazione come aree di trasformazione con destinazione urbanistica, riguarda esclusivamente le porzioni residue dei mappali e, più in generale, del compendio espropriati e cioè quei terreni che sono rimasti di proprietà della MACO e non sono mai stati occupati dall’opera pubblica.
I terreni che sono stati oggetto della procedura espropriativa avevano, dunque, destinazione urbanistica agricola e in alcun modo può rilevare il fatto che quelli circostanti abbiano beneficiato di un mutamento di destinazione che ne ha notevolmente aumentato il valore, dal momento che ciò sarebbe stato comunque precluso dall’esistenza dell’opera, ancorchè non formalmente regolarizzata nell’assetto proprietario.
E che il valore di mercato riconosciuto da ANAS sia quello effettivo dei terreni in questione è dimostrato per tabulas dal fatto che la stessa ricorrente, nel formulare la propria richiesta di risarcimento del danno datata 8 aprile 2012, ha indicato l’indennizzo dovuto in complessivi 59.261,40 euro (4510 x 10,95 euro, più il 20 %). Poiché è notorio che nel corso degli ultimi anni il mercato immobiliare non ha conosciuto alcuna crescita, ma semmai una contrazione, tale valore può essere assunto come parametro di riferimento anche ad oggi.
III. I riferimenti contenuti nei due punti successivi del ricorso, volti ad escludere l’esistenza di una sorta di acquiescenza da parte di MACO appaiono privi di rilevanza: indiscussa la natura autoritativa del provvedimento adottato (che, dunque, per ciò stesso non necessita di alcuna accettazione da parte del destinatario) e preso atto che parte ricorrente ha accettato il pagamento della somma offerta a mero titolo di acconto, l’accorata difesa volta ad escludere ogni accettazione dell’operato di ANAS non appare rilevare se non ai fini dell’ammissibilità del ricorso, peraltro non messa in discussione.
IV. Sulla legittimità del provvedimento non può incidere, secondo il Collegio, nemmeno la circostanza che il pagamento non sia avvenuto entro trenta giorni. Tale termine, che non è qualificato come perentorio dalla norma, deve, proprio in ragione di ciò e del fatto che non è espressamente prevista alcuna sanzione per il suo superamento, essere qualificato come ordinatorio.
V. In ordine alla lamentata carenza di motivazione del provvedimento adottato, va evidenziato come la motivazione debba riguardare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento di acquisizione di cui si controverte (e cioè i motivi di pubblico interesse per cui l’opera pubblica realizzata deve rimanere in esercizio, nella sua collocazione attuale e, dunque, ciò legittimi l’acquisizione della proprietà su cui insiste) e non anche le ragioni che hanno determinato la mancata conclusione della procedura di espropriazione che avrebbe dovuto portare al trasferimento della proprietà prima del completamento dei lavori.
Ciò chiarito, l’atto censurato appare adeguatamente motivato dal riferimento al fatto che l’arteria realizzata è attualmente in uso, soddisfacendo, in tal modo, l’interesse pubblico che aveva indotto alla sua realizzazione.
VI. Segue, nel ricorso, una parte in cui la ricorrente fa un confuso riferimento all’illegittimità che sarebbe derivata dal fatto che non è mai stato disposto il pagamento di una, non meglio definita, “indennità”, la quale dovrebbe oggi essere rapportata al valore del bene. Appare ragionevole presumere che si intendesse fare riferimento all’indennità d’esproprio. Indennità che, però, non è dovuta nel caso di specie e anche se fosse stata corrisposta prima della scadenza dei termini della dichiarazione di pubblica utilità (e, dunque, nell’ambito del procedimento ablatorio) dovrebbe essere decurtata dall’indennizzo ex art. 42 bis, in quanto si darebbe luogo, diversamente, ad un doppio pagamento allo stesso titolo, cioè a fronte dell’acquisizione dell’area. La mancata conclusione della procedura espropriativa ha determinato, pertanto, la perdita del diritto alla corresponsione dell’indennità d’espropriazione (corrispettivo per l’acquisizione, in via legittima, della proprietà) e l’insorgere del diritto alla corresponsione del risarcimento del danno (a seguito dell’acquisto della proprietà trasformata facendo ricorso allo strumento dell’art. 42 bis DPR 327/2001).
B) QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO DEL DANNO
Le ulteriori censure tendono solo indirettamente a denunciare l’illegittimità del provvedimento di acquisizione, la quale deriverebbe dalla non corretta quantificazione del risarcimento del danno dovuto.
VII. Secondo parte ricorrente, sarebbe stata illegittimamente omessa la quantificazione di una somma a compensazione del danno conseguente alla mancata utilizzabilità dell’area e cioè derivante dall’impossibilità di realizzare capannoni sui 4510 mq occupati: possibilità che avrebbe generato un utile di impresa di 450.000 euro. Tale pretesa non risulta avere alcun fondamento normativo. La destinazione urbanistica che ha reso edificabili a fini produttivi i terreni residui del compendio occupato è del 2008 e, quindi, di molto successiva alla realizzazione dell’opera, la quale è andata a insistere su terreni che avevano destinazione agricola, che non hanno mai avuto, né potranno avere nel futuro destinazione edificabile. La ricorrente non è mai stata, dunque, titolare dell’aspettativa all’edificazione dei 4510 mq occupati dall’arteria in questione e si trovava, per ciò stessa, nella medesima condizione di chi subisca una diminuzione o un non incremento del valore dei propri terreni a causa della scelta urbanistica di attribuire loro una certa destinazione, anziché un’altra.
La stessa documentazione in atti evidenzia come la società fosse pienamente cosciente di ciò, tanto da aver richiesto, in sede di pianificazione urbanistica, la trasformazione dell’area agricola in area produttiva di espansione solo per la parte del compendio non interessata dall’opera pubblica.
VIII. In linea di principio potrebbe risultare accettabile la richiesta di rimborso delle somme corrisposte dalla proprietà per il fatto di essere rimasta formalmente titolare delle aree negli anni e cioè ICI e somme richieste dal Consorzio di Bonifica. Tale domanda non è stata però sviluppata con l’indicazione delle somme in concreto corrisposte e, dunque, in assenza dell’effettiva prova del danno subito, non può essere riconosciuto alcun risarcimento.
IX. Per lo stesso motivo deve essere rigettata la pretesa a vedersi riconosciute le ulteriori voci di danno corrispondenti al mancato guadagno aziendale, alle spese sostenute e alle conseguenze negative dell’eccessiva durata della procedura, solo elencate, senza che ne sia stato prodotto alcun principio di prova.
X. Infine risulta essere priva di ogni fondamento normativo la pretesa che l’importo dovuto sia maggiorato del 10 %, in quanto l’indennità provvisoria offerta originariamente era di gran lunga inferiore a 8/10. La previsione normativa è inequivocabile nel prevedere che questa voce competa esclusivamente nell’ipotesi di legittima conclusione della procedura espropriativa, trattandosi di un elemento dell’indennità di esproprio (e non anche dell’indennizzo ex art. 42 bis).
Alla luce di tutto ciò e considerato che l’importo del valore di mercato dei terreni quantificato da parte ricorrente nel 2012 risulta essere maggiorato di un 20 % di cui non è data alcuna motivazione tecnica, deve ritenersi congrua la stima effettuata da ANAS, che ha quantificato il valore venale del bene in 59.120,00 euro, ha liquidato il danno non patrimoniale nella misura forfetaria prevista dalla legge (10 %, per un importo di Euro 5.913,00) e ha riconosciuto un indennizzo per illegittima occupazione pari a 50.260,50 (nemmeno censurato da parte ricorrente, né in ordine ai parametri utilizzati, né in ordine al periodo considerato).
L’importo complessivo così offerto (pari a 115.303,50) deve, dunque, ritenersi conforme alla legge, con la conseguenza che, escluso ogni altro profilo di illegittimità dedotto, anche per quanto riguarda la congruità del risarcimento corrisposto, il provvedimento censurato risulta essere immune dai vizi ravvisati nel ricorso.
Le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la natura interpretativa delle questioni dedotte, comunque connesse alla quantificazione di un danno ingiusto generato da ANAS.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Consigliere
Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, (Sezione Seconda), sentenza n. 1157 del 4 novembre 2014, sull’art.42-bis TUE
La massima
In tema di acquisizione sanante. posto che - al di là del nomen iuris attribuito dall'art. 42 bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327 - l'"indennizzo" costituisce nella sua eziologia un risarcimento del danno cagionato da fatto illecito della Pubblica amministrazione, le relative controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Il provvedimento ex art. 42 bis, quale strumento per porre rimedio all’originario “errore” in cui è incorsa la pubblica amministrazione nel non portare a conclusione il procedimento espropriativo nei termini previsti, rientra a pieno titolo nell’ambito dell’esercizio del potere ablatorio da parte dell’ente espropriante, con conseguente attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di ogni questione risarcitoria connessa allo stesso.
Il termine per il pagamento delle somme di cui all’art.42-bis è ordinatorio.
La sentenza
N. 01157/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00853/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 853 del 2013, proposto da:
M.A.Co. Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Leali, con domicilio eletto in Brescia presso la Segreteria del T.A.R., via Carlo Zima, 3;
contro
Anas S.p.a., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliata in Brescia, via S. Caterina, 6;
per l'annullamento
- dell’atto di acquisizione – art. 42 bis DPR 327/2001 e s.m.i. del 9 aprile 2013, rep 72/13 notificato il 26 giugno 2013, nonché del pagamento dell’importo ivi fissato, avvenuto in data 13 agosto 2013;
- di tutti gli atti preordinati e/o connessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della società Anas S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2014 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Il 20 gennaio 1997, l’impresa LIS è stata autorizzata ad occupare, in nome e per conto di ANAS s.p.a., alcuni terreni di proprietà della ricorrente per la sistemazione della SS n. 573 Ogliese.
Il ricorso avverso tale atto, rubricato sub RG 541/98 si è estinto, così come il giudizio pendente presso la Corte d’Appello per la rideterminazione dell’indennità, a causa della mancata conclusione della procedura espropriativa.
Le parti hanno, dunque, cercato un accordo stragiudiziale, ma non avendolo raggiunto, l’ANAS s.p.a. ha adottato il decreto di acquisizione oggetto del ricorso in esame.
Nel proprio ricorso avverso tale provvedimento, in punto di fatto, la ricorrente ha evidenziato come vi sia stato, sin dall’inizio del procedimento ablatorio in questione, un problema di individuazione delle aree effettivamente occupate: 2183 mq nel decreto di occupazione d’urgenza, 2219 nell’offerta di indennità, 3082 mq secondo la commissione provinciale espropri, 4510 mq quelli risultanti dal frazionamento operato dalla ricorrente stessa per l’esatta individuazione dell’area rimasta nella disponibilità della medesima e divenuta “produttiva di espansione” con l’adozione del PGT del Comune di Palosco. Frazionamento fatto proprio da Anas s.p.a. che lo ha richiamato nel provvedimento impugnato.
Quest’ultimo sarebbe illegittimo per le seguenti ragioni:
- nella parte dispositiva la superficie da acquisire è stata indicata in 4500 mq e non anche 4510 (come risultante dal tipo di frazionamento e riportato nelle premesse);
- non sarebbe stata considerata, in sede di determinazione del valore, la potenzialità edificatoria dell’area confermata dalla sopravvenuta classificazione, nel PGT, come produttiva di espansione: tale sarebbe la destinazione urbanistica da prendere in considerazione, atteso che il provvedimento traslativo della proprietà è stato adottato solo ora e l’indennizzo deve, dunque, essere rapportato al valore al momento dell’acquisizione. Per una corretta quantificazione del valore di mercato, parte ricorrente ha, quindi, prodotto copia del preliminare di vendita con tre soggetti e della perizia disposta da una banca per la concessione di credito, le quali indicano come valore dell’area quello di 120,00 Euro/mq (per un totale di 541.200,00);
- si è dato atto di una sorta di acquiescenza (in data 8 aprile 2013) che non sarebbe mai intervenuta, avendo la ricorrente comunicato solo le proprie coordinate bancarie, ma non anche l’accettazione delle “modalità e le condizioni di pagamento”;
- le premesse del provvedimento darebbero atto, dunque, di un’accettazione di MACO che non è mai intervenuta, tanto che la stessa ANAS s.p.a. denomina il proprio provvedimento come atto di acquisizione unilaterale;
- la ricorrente ha accettato il pagamento di ANAS s.p.a. solo come acconto, tant’è che ha formalmente contestato alla stessa la quantificazione dell’indennizzo (note inviate tramite PEC il 19 luglio 2013 e l’11 settembre 2013);
- il pagamento non è avvenuto nel termine di trenta giorni;
- il provvedimento sarebbe privo di motivazione, in quanto non darebbe conto delle ragioni che hanno condotto all’indebita utilizzazione dell’area e alla mancata adozione di un provvedimento di “regolarizzazione” per 15 anni dalla conclusione dei lavori, risalente al 1998;
- non sarebbe mai stato disposto il pagamento “dell’indennità”, la quale dovrebbe oggi essere rapportata al valore del bene. Il ricorso non specifica, però, a quale indennità ci si riferisca e si limita, nella voce successiva, a parlare di danno da mancata utilizzabilità dell’area;
- non è stata prevista alcuna somma a compensazione del danno conseguente alla mancata utilizzabilità dell’area e cioè derivante dall’impossibilità di realizzare capannoni sui 4510 mq occupati, la cui edificazione avrebbe condotto ad un utile di impresa di 450.000 euro;
- non sono state rimborsate le somme corrisposte dalla proprietà per il fatto di essere rimasta formalmente titolare delle aree negli anni e cioè ICI e somme richieste dal Consorzio di Bonifica;
- non sono state riconosciute le ulteriori voci di danno corrispondenti al mancato guadagno aziendale, alle spese sostenute e alle conseguenze negative dell’eccessiva durata della procedura;
- l’importo dovuto doveva essere maggiorato del 10 %, in quanto l’indennità provvisoria offerta originariamente era di gran lunga inferiore a 8/10 (ovviamente questa voce non compete, dal momento che riguarda l’ipotesi della legittima conclusione della procedura espropriativa.).
ANAS s.p.a. si è difesa eccependo, in primo luogo, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo rispetto alla quantificazione dell’indennizzo dovuto per l’acquisizione di cui all’art. 42 bis del d. lgs. 327/2001.
Nel merito, essa ha dato conto di aver quantificato l’indennizzo dovuto tenendo in considerazione i principi stabiliti da questo stesso Tribunale con riferimento al ricorso proposto da altro proprietario proprio in relazione all’occupazione finalizzata alla realizzazione della medesima opera stradale (sentenza n. 940/2011), peraltro smentendo di aver mai sostenuto, come invece affermato da parte ricorrente, di aver concordato, in tutto o in parte, il provvedimento censurato con il suo destinatario.
La difesa erariale ha, poi, sostenuto l’infondatezza degli ulteriori vizi dedotti.
Parte ricorrente ha, a sua volta, svolto considerazioni in replica.
Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2014, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Deve essere preliminarmente rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione introdotta dall’Amministrazione resistente, atteso che, ciò di cui si controverte non è la corretta quantificazione di un’indennità di espropriazione, incontestatamente rimessa alla cognizione del giudice ordinario da sempre, bensì della determinazione del risarcimento dovuto a fronte di un’attività asseritamente non conforme alla legge, posta in essere dall’Amministrazione.
Non si ravvisa, dunque, ragione di discostarsi dalle conclusioni cui è giunto, anche recentemente, il Consiglio di Stato (sentenza 993 del 3 marzo 2014), secondo cui, in tema di acquisizione sanante. posto che - al di là del nomen iuris attribuito dall'art. 42 bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327 - l'"indennizzo" costituisce nella sua eziologia un risarcimento del danno cagionato da fatto illecito della Pubblica amministrazione, le relative controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. E’ innegabile, infatti, si legge nella suddetta sentenza: “che il presupposto dell'esercizio di siffatto potere ablatorio sia il pregresso cattivo uso dell'ordinario potere espropriativo, al quale sopravvive l'esigenza dell'amministrazione di continuare a trattenere il bene in considerazione della perdurante utilizzazione nell'interesse pubblico”.
Pertanto, il provvedimento ex art. 42 bis, quale strumento per porre rimedio all’originario “errore” in cui è incorsa la pubblica amministrazione nel non portare a conclusione il procedimento espropriativo nei termini previsti, rientra a pieno titolo nell’ambito dell’esercizio del potere ablatorio da parte dell’ente espropriante, con conseguente attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di ogni questione risarcitoria connessa allo stesso.
Tutto ciò premesso in rito, l’effettiva portata della pretesa fatta valere da parte ricorrente con un ricorso piuttosto confuso e talvolta fuorviante può essere compresa solo prendendo in considerazione le conclusioni, nel merito, di parte ricorrente.
A pag.18 del ricorso la ricorrente chiede, espressamente:
1. “l’annullamento dell’atto di acquisizione e comunque l’inefficacia dell’iter acquisitivo adottato da Anas spa”;
2. la condanna della medesima “al risarcimento dei danni subiti da MACO srl in conseguenza dell’illegittima occupazione dei beni, con determinazione del corrispettivo spettante a MACO srl per tali titoli, che viene in questa sede quantificato dal ricorrente con riferimento al valore venale del bene nell’importo di Euro 541.200,00 o di quell’altro importo che verrà ritenuto di giustizia”;
3. la condanna, comunque, di ANAS al pagamento “dell’importo dovuto per la perdita del bene ed a titolo di risarcimento del danno, sia diretto che indiretto subito, oltre interessi compensativi”.
Queste due ultime domande possono essere, in realtà considerate come una sola, con la conseguenza che verranno trattate congiuntamente nel paragrafo dedicato alla quantificazione del danno (sub B).
A) LA LEGITTIMITA’ DEL PROVVEDIMENTO
Per quanto attiene al primo profilo, la ricorrente ha genericamente affermato (pag. 5 del ricorso), che i provvedimenti impugnati “vengono ritenuti illegittimi sotto svariati profili, per eccesso di potere stante la palese violazione di legge e la falsa applicazione di legge, nonché la contraddittorietà con altri provvedimenti che costituiscono parte integrante dell’iter acquisitivo”.
I. Deve essere preliminarmente escluso che sulla legittimità del provvedimento possa incidere il fatto che, nella parte dispositiva dello stesso, la superficie da acquisire sia stata indicata in 4500 metri, anziché 4510 mq: trattasi, infatti, di un lapsus calami che non può inficiare la legittimità del provvedimento impugnato, l’oggetto del quale è inequivocabilmente individuato dagli elaborati tecnici allegati allo stesso, prevalenti sull’indicazione sintetica contenuta nella parte dispositiva del provvedimento.
II. Per quanto riguarda il valore di mercato delle aree in questione, si può concordare con parte ricorrente sul fatto che lo stesso deve essere determinato con riferimento al momento dell’offerta dell’indennizzo. Principio, che, peraltro, risulta essere stato rispettato da ANAS che, nella quantificazione del medesimo ha attribuito un valore medio dei terreni di oltre 11 euro al mq.
Ciò che, invece, non può essere affatto condiviso è la tesi secondo cui le aree in questione avrebbero natura edificabile e il loro valore sarebbe, per ciò stesso, pari a 120 Euro il mq.
A tale proposito deve tenersi conto che, nonostante parte ricorrente tenti di indurre confusione sul punto, facendo generico riferimento al valore delle aree espropriate, quelle occupate per la realizzazione dell’opera pubblica non hanno mai mutato, né avrebbero potuto, pena l’illogicità della previsione urbanistica, la loro destinazione d’uso. Parte ricorrente ha, dunque, omesso di precisare che la destinazione urbanistica prodotta in atti (conseguente all’adozione del nuovo PGT intervenuta il 3 dicembre 2008 e alla sua approvazione del 4 aprile 2009), che dà conto di una qualificazione come aree di trasformazione con destinazione urbanistica, riguarda esclusivamente le porzioni residue dei mappali e, più in generale, del compendio espropriati e cioè quei terreni che sono rimasti di proprietà della MACO e non sono mai stati occupati dall’opera pubblica.
I terreni che sono stati oggetto della procedura espropriativa avevano, dunque, destinazione urbanistica agricola e in alcun modo può rilevare il fatto che quelli circostanti abbiano beneficiato di un mutamento di destinazione che ne ha notevolmente aumentato il valore, dal momento che ciò sarebbe stato comunque precluso dall’esistenza dell’opera, ancorchè non formalmente regolarizzata nell’assetto proprietario.
E che il valore di mercato riconosciuto da ANAS sia quello effettivo dei terreni in questione è dimostrato per tabulas dal fatto che la stessa ricorrente, nel formulare la propria richiesta di risarcimento del danno datata 8 aprile 2012, ha indicato l’indennizzo dovuto in complessivi 59.261,40 euro (4510 x 10,95 euro, più il 20 %). Poiché è notorio che nel corso degli ultimi anni il mercato immobiliare non ha conosciuto alcuna crescita, ma semmai una contrazione, tale valore può essere assunto come parametro di riferimento anche ad oggi.
III. I riferimenti contenuti nei due punti successivi del ricorso, volti ad escludere l’esistenza di una sorta di acquiescenza da parte di MACO appaiono privi di rilevanza: indiscussa la natura autoritativa del provvedimento adottato (che, dunque, per ciò stesso non necessita di alcuna accettazione da parte del destinatario) e preso atto che parte ricorrente ha accettato il pagamento della somma offerta a mero titolo di acconto, l’accorata difesa volta ad escludere ogni accettazione dell’operato di ANAS non appare rilevare se non ai fini dell’ammissibilità del ricorso, peraltro non messa in discussione.
IV. Sulla legittimità del provvedimento non può incidere, secondo il Collegio, nemmeno la circostanza che il pagamento non sia avvenuto entro trenta giorni. Tale termine, che non è qualificato come perentorio dalla norma, deve, proprio in ragione di ciò e del fatto che non è espressamente prevista alcuna sanzione per il suo superamento, essere qualificato come ordinatorio.
V. In ordine alla lamentata carenza di motivazione del provvedimento adottato, va evidenziato come la motivazione debba riguardare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento di acquisizione di cui si controverte (e cioè i motivi di pubblico interesse per cui l’opera pubblica realizzata deve rimanere in esercizio, nella sua collocazione attuale e, dunque, ciò legittimi l’acquisizione della proprietà su cui insiste) e non anche le ragioni che hanno determinato la mancata conclusione della procedura di espropriazione che avrebbe dovuto portare al trasferimento della proprietà prima del completamento dei lavori.
Ciò chiarito, l’atto censurato appare adeguatamente motivato dal riferimento al fatto che l’arteria realizzata è attualmente in uso, soddisfacendo, in tal modo, l’interesse pubblico che aveva indotto alla sua realizzazione.
VI. Segue, nel ricorso, una parte in cui la ricorrente fa un confuso riferimento all’illegittimità che sarebbe derivata dal fatto che non è mai stato disposto il pagamento di una, non meglio definita, “indennità”, la quale dovrebbe oggi essere rapportata al valore del bene. Appare ragionevole presumere che si intendesse fare riferimento all’indennità d’esproprio. Indennità che, però, non è dovuta nel caso di specie e anche se fosse stata corrisposta prima della scadenza dei termini della dichiarazione di pubblica utilità (e, dunque, nell’ambito del procedimento ablatorio) dovrebbe essere decurtata dall’indennizzo ex art. 42 bis, in quanto si darebbe luogo, diversamente, ad un doppio pagamento allo stesso titolo, cioè a fronte dell’acquisizione dell’area. La mancata conclusione della procedura espropriativa ha determinato, pertanto, la perdita del diritto alla corresponsione dell’indennità d’espropriazione (corrispettivo per l’acquisizione, in via legittima, della proprietà) e l’insorgere del diritto alla corresponsione del risarcimento del danno (a seguito dell’acquisto della proprietà trasformata facendo ricorso allo strumento dell’art. 42 bis DPR 327/2001).
B) QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO DEL DANNO
Le ulteriori censure tendono solo indirettamente a denunciare l’illegittimità del provvedimento di acquisizione, la quale deriverebbe dalla non corretta quantificazione del risarcimento del danno dovuto.
VII. Secondo parte ricorrente, sarebbe stata illegittimamente omessa la quantificazione di una somma a compensazione del danno conseguente alla mancata utilizzabilità dell’area e cioè derivante dall’impossibilità di realizzare capannoni sui 4510 mq occupati: possibilità che avrebbe generato un utile di impresa di 450.000 euro. Tale pretesa non risulta avere alcun fondamento normativo. La destinazione urbanistica che ha reso edificabili a fini produttivi i terreni residui del compendio occupato è del 2008 e, quindi, di molto successiva alla realizzazione dell’opera, la quale è andata a insistere su terreni che avevano destinazione agricola, che non hanno mai avuto, né potranno avere nel futuro destinazione edificabile. La ricorrente non è mai stata, dunque, titolare dell’aspettativa all’edificazione dei 4510 mq occupati dall’arteria in questione e si trovava, per ciò stessa, nella medesima condizione di chi subisca una diminuzione o un non incremento del valore dei propri terreni a causa della scelta urbanistica di attribuire loro una certa destinazione, anziché un’altra.
La stessa documentazione in atti evidenzia come la società fosse pienamente cosciente di ciò, tanto da aver richiesto, in sede di pianificazione urbanistica, la trasformazione dell’area agricola in area produttiva di espansione solo per la parte del compendio non interessata dall’opera pubblica.
VIII. In linea di principio potrebbe risultare accettabile la richiesta di rimborso delle somme corrisposte dalla proprietà per il fatto di essere rimasta formalmente titolare delle aree negli anni e cioè ICI e somme richieste dal Consorzio di Bonifica. Tale domanda non è stata però sviluppata con l’indicazione delle somme in concreto corrisposte e, dunque, in assenza dell’effettiva prova del danno subito, non può essere riconosciuto alcun risarcimento.
IX. Per lo stesso motivo deve essere rigettata la pretesa a vedersi riconosciute le ulteriori voci di danno corrispondenti al mancato guadagno aziendale, alle spese sostenute e alle conseguenze negative dell’eccessiva durata della procedura, solo elencate, senza che ne sia stato prodotto alcun principio di prova.
X. Infine risulta essere priva di ogni fondamento normativo la pretesa che l’importo dovuto sia maggiorato del 10 %, in quanto l’indennità provvisoria offerta originariamente era di gran lunga inferiore a 8/10. La previsione normativa è inequivocabile nel prevedere che questa voce competa esclusivamente nell’ipotesi di legittima conclusione della procedura espropriativa, trattandosi di un elemento dell’indennità di esproprio (e non anche dell’indennizzo ex art. 42 bis).
Alla luce di tutto ciò e considerato che l’importo del valore di mercato dei terreni quantificato da parte ricorrente nel 2012 risulta essere maggiorato di un 20 % di cui non è data alcuna motivazione tecnica, deve ritenersi congrua la stima effettuata da ANAS, che ha quantificato il valore venale del bene in 59.120,00 euro, ha liquidato il danno non patrimoniale nella misura forfetaria prevista dalla legge (10 %, per un importo di Euro 5.913,00) e ha riconosciuto un indennizzo per illegittima occupazione pari a 50.260,50 (nemmeno censurato da parte ricorrente, né in ordine ai parametri utilizzati, né in ordine al periodo considerato).
L’importo complessivo così offerto (pari a 115.303,50) deve, dunque, ritenersi conforme alla legge, con la conseguenza che, escluso ogni altro profilo di illegittimità dedotto, anche per quanto riguarda la congruità del risarcimento corrisposto, il provvedimento censurato risulta essere immune dai vizi ravvisati nel ricorso.
Le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la natura interpretativa delle questioni dedotte, comunque connesse alla quantificazione di un danno ingiusto generato da ANAS.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Consigliere
Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, (Sezione Seconda), sentenza n. 1157 del 4 novembre 2014, sull’art.42-bis TUE
La massima
In tema di acquisizione sanante. posto che - al di là del nomen iuris attribuito dall'art. 42 bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327 - l'"indennizzo" costituisce nella sua eziologia un risarcimento del danno cagionato da fatto illecito della Pubblica amministrazione, le relative controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Il provvedimento ex art. 42 bis, quale strumento per porre rimedio all’originario “errore” in cui è incorsa la pubblica amministrazione nel non portare a conclusione il procedimento espropriativo nei termini previsti, rientra a pieno titolo nell’ambito dell’esercizio del potere ablatorio da parte dell’ente espropriante, con conseguente attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di ogni questione risarcitoria connessa allo stesso.
Il termine per il pagamento delle somme di cui all’art.42-bis è ordinatorio.
La sentenza
N. 01157/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00853/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 853 del 2013, proposto da:
M.A.Co. Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Leali, con domicilio eletto in Brescia presso la Segreteria del T.A.R., via Carlo Zima, 3;
contro
Anas S.p.a., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliata in Brescia, via S. Caterina, 6;
per l'annullamento
- dell’atto di acquisizione – art. 42 bis DPR 327/2001 e s.m.i. del 9 aprile 2013, rep 72/13 notificato il 26 giugno 2013, nonché del pagamento dell’importo ivi fissato, avvenuto in data 13 agosto 2013;
- di tutti gli atti preordinati e/o connessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della società Anas S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2014 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Il 20 gennaio 1997, l’impresa LIS è stata autorizzata ad occupare, in nome e per conto di ANAS s.p.a., alcuni terreni di proprietà della ricorrente per la sistemazione della SS n. 573 Ogliese.
Il ricorso avverso tale atto, rubricato sub RG 541/98 si è estinto, così come il giudizio pendente presso la Corte d’Appello per la rideterminazione dell’indennità, a causa della mancata conclusione della procedura espropriativa.
Le parti hanno, dunque, cercato un accordo stragiudiziale, ma non avendolo raggiunto, l’ANAS s.p.a. ha adottato il decreto di acquisizione oggetto del ricorso in esame.
Nel proprio ricorso avverso tale provvedimento, in punto di fatto, la ricorrente ha evidenziato come vi sia stato, sin dall’inizio del procedimento ablatorio in questione, un problema di individuazione delle aree effettivamente occupate: 2183 mq nel decreto di occupazione d’urgenza, 2219 nell’offerta di indennità, 3082 mq secondo la commissione provinciale espropri, 4510 mq quelli risultanti dal frazionamento operato dalla ricorrente stessa per l’esatta individuazione dell’area rimasta nella disponibilità della medesima e divenuta “produttiva di espansione” con l’adozione del PGT del Comune di Palosco. Frazionamento fatto proprio da Anas s.p.a. che lo ha richiamato nel provvedimento impugnato.
Quest’ultimo sarebbe illegittimo per le seguenti ragioni:
- nella parte dispositiva la superficie da acquisire è stata indicata in 4500 mq e non anche 4510 (come risultante dal tipo di frazionamento e riportato nelle premesse);
- non sarebbe stata considerata, in sede di determinazione del valore, la potenzialità edificatoria dell’area confermata dalla sopravvenuta classificazione, nel PGT, come produttiva di espansione: tale sarebbe la destinazione urbanistica da prendere in considerazione, atteso che il provvedimento traslativo della proprietà è stato adottato solo ora e l’indennizzo deve, dunque, essere rapportato al valore al momento dell’acquisizione. Per una corretta quantificazione del valore di mercato, parte ricorrente ha, quindi, prodotto copia del preliminare di vendita con tre soggetti e della perizia disposta da una banca per la concessione di credito, le quali indicano come valore dell’area quello di 120,00 Euro/mq (per un totale di 541.200,00);
- si è dato atto di una sorta di acquiescenza (in data 8 aprile 2013) che non sarebbe mai intervenuta, avendo la ricorrente comunicato solo le proprie coordinate bancarie, ma non anche l’accettazione delle “modalità e le condizioni di pagamento”;
- le premesse del provvedimento darebbero atto, dunque, di un’accettazione di MACO che non è mai intervenuta, tanto che la stessa ANAS s.p.a. denomina il proprio provvedimento come atto di acquisizione unilaterale;
- la ricorrente ha accettato il pagamento di ANAS s.p.a. solo come acconto, tant’è che ha formalmente contestato alla stessa la quantificazione dell’indennizzo (note inviate tramite PEC il 19 luglio 2013 e l’11 settembre 2013);
- il pagamento non è avvenuto nel termine di trenta giorni;
- il provvedimento sarebbe privo di motivazione, in quanto non darebbe conto delle ragioni che hanno condotto all’indebita utilizzazione dell’area e alla mancata adozione di un provvedimento di “regolarizzazione” per 15 anni dalla conclusione dei lavori, risalente al 1998;
- non sarebbe mai stato disposto il pagamento “dell’indennità”, la quale dovrebbe oggi essere rapportata al valore del bene. Il ricorso non specifica, però, a quale indennità ci si riferisca e si limita, nella voce successiva, a parlare di danno da mancata utilizzabilità dell’area;
- non è stata prevista alcuna somma a compensazione del danno conseguente alla mancata utilizzabilità dell’area e cioè derivante dall’impossibilità di realizzare capannoni sui 4510 mq occupati, la cui edificazione avrebbe condotto ad un utile di impresa di 450.000 euro;
- non sono state rimborsate le somme corrisposte dalla proprietà per il fatto di essere rimasta formalmente titolare delle aree negli anni e cioè ICI e somme richieste dal Consorzio di Bonifica;
- non sono state riconosciute le ulteriori voci di danno corrispondenti al mancato guadagno aziendale, alle spese sostenute e alle conseguenze negative dell’eccessiva durata della procedura;
- l’importo dovuto doveva essere maggiorato del 10 %, in quanto l’indennità provvisoria offerta originariamente era di gran lunga inferiore a 8/10 (ovviamente questa voce non compete, dal momento che riguarda l’ipotesi della legittima conclusione della procedura espropriativa.).
ANAS s.p.a. si è difesa eccependo, in primo luogo, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo rispetto alla quantificazione dell’indennizzo dovuto per l’acquisizione di cui all’art. 42 bis del d. lgs. 327/2001.
Nel merito, essa ha dato conto di aver quantificato l’indennizzo dovuto tenendo in considerazione i principi stabiliti da questo stesso Tribunale con riferimento al ricorso proposto da altro proprietario proprio in relazione all’occupazione finalizzata alla realizzazione della medesima opera stradale (sentenza n. 940/2011), peraltro smentendo di aver mai sostenuto, come invece affermato da parte ricorrente, di aver concordato, in tutto o in parte, il provvedimento censurato con il suo destinatario.
La difesa erariale ha, poi, sostenuto l’infondatezza degli ulteriori vizi dedotti.
Parte ricorrente ha, a sua volta, svolto considerazioni in replica.
Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2014, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Deve essere preliminarmente rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione introdotta dall’Amministrazione resistente, atteso che, ciò di cui si controverte non è la corretta quantificazione di un’indennità di espropriazione, incontestatamente rimessa alla cognizione del giudice ordinario da sempre, bensì della determinazione del risarcimento dovuto a fronte di un’attività asseritamente non conforme alla legge, posta in essere dall’Amministrazione.
Non si ravvisa, dunque, ragione di discostarsi dalle conclusioni cui è giunto, anche recentemente, il Consiglio di Stato (sentenza 993 del 3 marzo 2014), secondo cui, in tema di acquisizione sanante. posto che - al di là del nomen iuris attribuito dall'art. 42 bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327 - l'"indennizzo" costituisce nella sua eziologia un risarcimento del danno cagionato da fatto illecito della Pubblica amministrazione, le relative controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. E’ innegabile, infatti, si legge nella suddetta sentenza: “che il presupposto dell'esercizio di siffatto potere ablatorio sia il pregresso cattivo uso dell'ordinario potere espropriativo, al quale sopravvive l'esigenza dell'amministrazione di continuare a trattenere il bene in considerazione della perdurante utilizzazione nell'interesse pubblico”.
Pertanto, il provvedimento ex art. 42 bis, quale strumento per porre rimedio all’originario “errore” in cui è incorsa la pubblica amministrazione nel non portare a conclusione il procedimento espropriativo nei termini previsti, rientra a pieno titolo nell’ambito dell’esercizio del potere ablatorio da parte dell’ente espropriante, con conseguente attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di ogni questione risarcitoria connessa allo stesso.
Tutto ciò premesso in rito, l’effettiva portata della pretesa fatta valere da parte ricorrente con un ricorso piuttosto confuso e talvolta fuorviante può essere compresa solo prendendo in considerazione le conclusioni, nel merito, di parte ricorrente.
A pag.18 del ricorso la ricorrente chiede, espressamente:
1. “l’annullamento dell’atto di acquisizione e comunque l’inefficacia dell’iter acquisitivo adottato da Anas spa”;
2. la condanna della medesima “al risarcimento dei danni subiti da MACO srl in conseguenza dell’illegittima occupazione dei beni, con determinazione del corrispettivo spettante a MACO srl per tali titoli, che viene in questa sede quantificato dal ricorrente con riferimento al valore venale del bene nell’importo di Euro 541.200,00 o di quell’altro importo che verrà ritenuto di giustizia”;
3. la condanna, comunque, di ANAS al pagamento “dell’importo dovuto per la perdita del bene ed a titolo di risarcimento del danno, sia diretto che indiretto subito, oltre interessi compensativi”.
Queste due ultime domande possono essere, in realtà considerate come una sola, con la conseguenza che verranno trattate congiuntamente nel paragrafo dedicato alla quantificazione del danno (sub B).
A) LA LEGITTIMITA’ DEL PROVVEDIMENTO
Per quanto attiene al primo profilo, la ricorrente ha genericamente affermato (pag. 5 del ricorso), che i provvedimenti impugnati “vengono ritenuti illegittimi sotto svariati profili, per eccesso di potere stante la palese violazione di legge e la falsa applicazione di legge, nonché la contraddittorietà con altri provvedimenti che costituiscono parte integrante dell’iter acquisitivo”.
I. Deve essere preliminarmente escluso che sulla legittimità del provvedimento possa incidere il fatto che, nella parte dispositiva dello stesso, la superficie da acquisire sia stata indicata in 4500 metri, anziché 4510 mq: trattasi, infatti, di un lapsus calami che non può inficiare la legittimità del provvedimento impugnato, l’oggetto del quale è inequivocabilmente individuato dagli elaborati tecnici allegati allo stesso, prevalenti sull’indicazione sintetica contenuta nella parte dispositiva del provvedimento.
II. Per quanto riguarda il valore di mercato delle aree in questione, si può concordare con parte ricorrente sul fatto che lo stesso deve essere determinato con riferimento al momento dell’offerta dell’indennizzo. Principio, che, peraltro, risulta essere stato rispettato da ANAS che, nella quantificazione del medesimo ha attribuito un valore medio dei terreni di oltre 11 euro al mq.
Ciò che, invece, non può essere affatto condiviso è la tesi secondo cui le aree in questione avrebbero natura edificabile e il loro valore sarebbe, per ciò stesso, pari a 120 Euro il mq.
A tale proposito deve tenersi conto che, nonostante parte ricorrente tenti di indurre confusione sul punto, facendo generico riferimento al valore delle aree espropriate, quelle occupate per la realizzazione dell’opera pubblica non hanno mai mutato, né avrebbero potuto, pena l’illogicità della previsione urbanistica, la loro destinazione d’uso. Parte ricorrente ha, dunque, omesso di precisare che la destinazione urbanistica prodotta in atti (conseguente all’adozione del nuovo PGT intervenuta il 3 dicembre 2008 e alla sua approvazione del 4 aprile 2009), che dà conto di una qualificazione come aree di trasformazione con destinazione urbanistica, riguarda esclusivamente le porzioni residue dei mappali e, più in generale, del compendio espropriati e cioè quei terreni che sono rimasti di proprietà della MACO e non sono mai stati occupati dall’opera pubblica.
I terreni che sono stati oggetto della procedura espropriativa avevano, dunque, destinazione urbanistica agricola e in alcun modo può rilevare il fatto che quelli circostanti abbiano beneficiato di un mutamento di destinazione che ne ha notevolmente aumentato il valore, dal momento che ciò sarebbe stato comunque precluso dall’esistenza dell’opera, ancorchè non formalmente regolarizzata nell’assetto proprietario.
E che il valore di mercato riconosciuto da ANAS sia quello effettivo dei terreni in questione è dimostrato per tabulas dal fatto che la stessa ricorrente, nel formulare la propria richiesta di risarcimento del danno datata 8 aprile 2012, ha indicato l’indennizzo dovuto in complessivi 59.261,40 euro (4510 x 10,95 euro, più il 20 %). Poiché è notorio che nel corso degli ultimi anni il mercato immobiliare non ha conosciuto alcuna crescita, ma semmai una contrazione, tale valore può essere assunto come parametro di riferimento anche ad oggi.
III. I riferimenti contenuti nei due punti successivi del ricorso, volti ad escludere l’esistenza di una sorta di acquiescenza da parte di MACO appaiono privi di rilevanza: indiscussa la natura autoritativa del provvedimento adottato (che, dunque, per ciò stesso non necessita di alcuna accettazione da parte del destinatario) e preso atto che parte ricorrente ha accettato il pagamento della somma offerta a mero titolo di acconto, l’accorata difesa volta ad escludere ogni accettazione dell’operato di ANAS non appare rilevare se non ai fini dell’ammissibilità del ricorso, peraltro non messa in discussione.
IV. Sulla legittimità del provvedimento non può incidere, secondo il Collegio, nemmeno la circostanza che il pagamento non sia avvenuto entro trenta giorni. Tale termine, che non è qualificato come perentorio dalla norma, deve, proprio in ragione di ciò e del fatto che non è espressamente prevista alcuna sanzione per il suo superamento, essere qualificato come ordinatorio.
V. In ordine alla lamentata carenza di motivazione del provvedimento adottato, va evidenziato come la motivazione debba riguardare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento di acquisizione di cui si controverte (e cioè i motivi di pubblico interesse per cui l’opera pubblica realizzata deve rimanere in esercizio, nella sua collocazione attuale e, dunque, ciò legittimi l’acquisizione della proprietà su cui insiste) e non anche le ragioni che hanno determinato la mancata conclusione della procedura di espropriazione che avrebbe dovuto portare al trasferimento della proprietà prima del completamento dei lavori.
Ciò chiarito, l’atto censurato appare adeguatamente motivato dal riferimento al fatto che l’arteria realizzata è attualmente in uso, soddisfacendo, in tal modo, l’interesse pubblico che aveva indotto alla sua realizzazione.
VI. Segue, nel ricorso, una parte in cui la ricorrente fa un confuso riferimento all’illegittimità che sarebbe derivata dal fatto che non è mai stato disposto il pagamento di una, non meglio definita, “indennità”, la quale dovrebbe oggi essere rapportata al valore del bene. Appare ragionevole presumere che si intendesse fare riferimento all’indennità d’esproprio. Indennità che, però, non è dovuta nel caso di specie e anche se fosse stata corrisposta prima della scadenza dei termini della dichiarazione di pubblica utilità (e, dunque, nell’ambito del procedimento ablatorio) dovrebbe essere decurtata dall’indennizzo ex art. 42 bis, in quanto si darebbe luogo, diversamente, ad un doppio pagamento allo stesso titolo, cioè a fronte dell’acquisizione dell’area. La mancata conclusione della procedura espropriativa ha determinato, pertanto, la perdita del diritto alla corresponsione dell’indennità d’espropriazione (corrispettivo per l’acquisizione, in via legittima, della proprietà) e l’insorgere del diritto alla corresponsione del risarcimento del danno (a seguito dell’acquisto della proprietà trasformata facendo ricorso allo strumento dell’art. 42 bis DPR 327/2001).
B) QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO DEL DANNO
Le ulteriori censure tendono solo indirettamente a denunciare l’illegittimità del provvedimento di acquisizione, la quale deriverebbe dalla non corretta quantificazione del risarcimento del danno dovuto.
VII. Secondo parte ricorrente, sarebbe stata illegittimamente omessa la quantificazione di una somma a compensazione del danno conseguente alla mancata utilizzabilità dell’area e cioè derivante dall’impossibilità di realizzare capannoni sui 4510 mq occupati: possibilità che avrebbe generato un utile di impresa di 450.000 euro. Tale pretesa non risulta avere alcun fondamento normativo. La destinazione urbanistica che ha reso edificabili a fini produttivi i terreni residui del compendio occupato è del 2008 e, quindi, di molto successiva alla realizzazione dell’opera, la quale è andata a insistere su terreni che avevano destinazione agricola, che non hanno mai avuto, né potranno avere nel futuro destinazione edificabile. La ricorrente non è mai stata, dunque, titolare dell’aspettativa all’edificazione dei 4510 mq occupati dall’arteria in questione e si trovava, per ciò stessa, nella medesima condizione di chi subisca una diminuzione o un non incremento del valore dei propri terreni a causa della scelta urbanistica di attribuire loro una certa destinazione, anziché un’altra.
La stessa documentazione in atti evidenzia come la società fosse pienamente cosciente di ciò, tanto da aver richiesto, in sede di pianificazione urbanistica, la trasformazione dell’area agricola in area produttiva di espansione solo per la parte del compendio non interessata dall’opera pubblica.
VIII. In linea di principio potrebbe risultare accettabile la richiesta di rimborso delle somme corrisposte dalla proprietà per il fatto di essere rimasta formalmente titolare delle aree negli anni e cioè ICI e somme richieste dal Consorzio di Bonifica. Tale domanda non è stata però sviluppata con l’indicazione delle somme in concreto corrisposte e, dunque, in assenza dell’effettiva prova del danno subito, non può essere riconosciuto alcun risarcimento.
IX. Per lo stesso motivo deve essere rigettata la pretesa a vedersi riconosciute le ulteriori voci di danno corrispondenti al mancato guadagno aziendale, alle spese sostenute e alle conseguenze negative dell’eccessiva durata della procedura, solo elencate, senza che ne sia stato prodotto alcun principio di prova.
X. Infine risulta essere priva di ogni fondamento normativo la pretesa che l’importo dovuto sia maggiorato del 10 %, in quanto l’indennità provvisoria offerta originariamente era di gran lunga inferiore a 8/10. La previsione normativa è inequivocabile nel prevedere che questa voce competa esclusivamente nell’ipotesi di legittima conclusione della procedura espropriativa, trattandosi di un elemento dell’indennità di esproprio (e non anche dell’indennizzo ex art. 42 bis).
Alla luce di tutto ciò e considerato che l’importo del valore di mercato dei terreni quantificato da parte ricorrente nel 2012 risulta essere maggiorato di un 20 % di cui non è data alcuna motivazione tecnica, deve ritenersi congrua la stima effettuata da ANAS, che ha quantificato il valore venale del bene in 59.120,00 euro, ha liquidato il danno non patrimoniale nella misura forfetaria prevista dalla legge (10 %, per un importo di Euro 5.913,00) e ha riconosciuto un indennizzo per illegittima occupazione pari a 50.260,50 (nemmeno censurato da parte ricorrente, né in ordine ai parametri utilizzati, né in ordine al periodo considerato).
L’importo complessivo così offerto (pari a 115.303,50) deve, dunque, ritenersi conforme alla legge, con la conseguenza che, escluso ogni altro profilo di illegittimità dedotto, anche per quanto riguarda la congruità del risarcimento corrisposto, il provvedimento censurato risulta essere immune dai vizi ravvisati nel ricorso.
Le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la natura interpretativa delle questioni dedotte, comunque connesse alla quantificazione di un danno ingiusto generato da ANAS.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Consigliere
Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

 

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