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Contratto preliminare e art.42-bis - TAR Lombardia, sez. III, sent. n.225 del 21.01.2015

Pubblico
Lunedì, 30 Marzo, 2015 - 02:00

Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, (Sezione Terza), sentenza n.225 del 21 gennaio 2015, contratto preliminare e art.42-bis 
 
 
N. 00225/2015 REG.PROV.COLL.
 
N. 02469/2013 REG.RIC.
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
 
(Sezione Terza)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 2469 del 2013, proposto da: 
Orlandi Arrigoni Domenico Massimiliano Wolfango Timoteo, in qualità in Amministratore di sostegno di Ticozzelli Antonia, Fabio Ticozzelli, Francesco Ticozzelli, Maria Carla Ticozzelli, Maurizio Ticozzelli, Oscar Paolo Ticozzelli, Oliviero Ticozzelli, Erika Monica Ticozzelli, Patrizia Ticozzelli, Valeria Antonella Ticozzelli, Maria Domenica Pafumi, Rosaria Pafumi, rappresentati e difesi dall'avv. Rocco Baldassini, con domicilio eletto presso lo Studio dell’avv. Gloria Silvestrini in Milano, viale Corsica, n. 83; 
contro
Comune di Magenta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Caliandro, con domicilio eletto presso lo Studio dello stesso in Milano, Via Pietro Mascagni, n. 24; 
per l'accertamento
dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Magenta sull’istanza del 26 agosto 2013 di emissione del decreto ai sensi dell’art. 42 bis DPR n. 327/2001.
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Magenta;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014 la dott.ssa Valentina Mameli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
La questione oggetto del ricorso indicato in epigrafe si inserisce nell’ambito di una procedura espropriativa intrapresa dal Comune di Magenta tra 1976 e il 1979 per la costruzione di un edificio scolastico.
In tale contesto, compiutamente realizzata l’opera, le parti sono pervenute alla decisione di procedere alla cessione bonaria delle aree, di proprietà dei ricorrenti e loro dante causa, utilizzate per la realizzazione della scuola, stipulando in data 30 maggio 1985 un atto preliminare di cessione bonaria.
In tale atto le parti, premesso che l’immissione in possesso delle aree era avvenuta in data 28 aprile 1979, e che l’edificio scolastico era stato pienamente realizzato, hanno stabilito il corrispettivo della cessione delle aree per una somma omnicomprensiva pari £ 359.715.930, determinando le modalità di pagamento. Nel richiamato atto è stato altresì stabilito che l’atto definitivo di cessione bonaria sarebbe stato stipulato entro e non oltre il 31 gennaio 1986, al momento del saldo totale del prezzo.
Le parti private si sono obbligate ad estinguere, prima della stipulazione dell’atto pubblico, l’ipoteca gravante sui beni oggetto di cessione.
Il Comune, alle scadenze stabilite, ha corrisposto ai privati, inizialmente, le somme di £ 110.000.000 e £ 50.000.000, a titolo di acconto, e, in data 4 dicembre 1986, l’ulteriore somma di £ 50.000.000.
In data 10 novembre 1987 il Comune ha diffidato i privati a compiere le attività necessarie per pervenire alla stipula dell’atto definitivo di trasferimento della proprietà delle aree, ed in particolare ad estinguere l’ipoteca gravante sui beni nonché ad acquisire l’autorizzazione del Giudice tutelare per i minori cedenti.
Con successiva nota del 26 aprile 1988, indirizzata al legale dei privati proprietari, il Comune ha rammentato di aver più volte invitato gli interessati a presentarsi dal notaio incaricato per la stipulazione dell’atto di trasferimento nonché a provvedere agli adempimenti a loro carico necessari a tal fine.
Con nota del 24 luglio 1990 i privati hanno autorizzato il Comune a versare direttamente all’Amministrazione finanziaria, creditrice dei privati stessi, gran parte della residua somma loro spettante, che risultava pari a £ 149.715.930. Il Comune quindi in data 30 ottobre 1990 ha versato la somma di £ 147.136.000 direttamente all’Amministrazione finanziaria.
Successivamente l’Amministrazione, prima di corrispondere a saldo la somma residua pari a £ 2.579.930, con nota del 22 febbraio 1995, ha richiesto, nuovamente, ai proprietari di adempiere alle obbligazioni assunte nel preliminare fornendo al notaio incaricato la documentazione necessaria indicata dal Comune nella predetta nota.
Con nota del 18 luglio 2012, in riscontro ad una richiesta del legale delle parti private, il Comune ha trasmesso i documenti rilevanti per la vicenda, compresa la documentazione attestante l’erogazione delle somme fino a quel momento corrisposte.
Senonchè in data 26 agosto 2013 i proprietari delle aree hanno inviato al Comune una diffida volta a sollecitare l’esercizio dei poteri sanciti dall’art. 42 bis del DPR. 327/2001 per conseguire il pagamento delle somme a titolo d’indennizzo e di risarcimento prospettando, in difetto, la necessità di procedere alla restituzione delle aree previa demolizione dell’opera pubblica realizzata.
Il Comune con nota prot. 33633 del 10 ottobre 2013 ha rappresentato che l’indennità dovuta a saldo per l’acquisizione del terreno era prevista dal bilancio comunale ma che, prima della conclusione della pratica, era comunque necessario che gli interessati producessero i titoli di proprietà debitamente trascritti alla Conservatoria dei registri immobiliari e l’aggiornamento della situazione catastale, precisando che la procedura per la conclusione della pratica sarebbe proseguita dopo l’acquisizione della documentazione attestante la quota di proprietà di ciascun richiedente.
Non risulta che gli interessati abbiano riscontrato la predetta nota producendo la documentazione richiesta.
Con ricorso notificato all’Amministrazione comunale in data 25 ottobre 2013 e depositato il successivo 4 novembre 2013 gli interessati hanno censurato il silenzio serbato dal Comune sull’istanza del 26 agosto 2013 di emissione del decreto ai sensi dell’art. 42 bis DPR 327/2001, chiedendo la condanna del Comune a pronunciarsi sull’istanza stessa nonché, in subordine, la condanna alla cessazione immediata dell’occupazione sine titulo dei terreni di proprietà dei ricorrenti e a valutare se concludere un accordo bonario con i proprietari ovvero emettere il decreto ai sensi dell’art. 42 bis richiamato.
Si è costituito in giudizio il Comune di Magenta che, oltre a contestare nel merito la fondatezza del ricorso, ne ha eccepito l’inammissibilità sotto diversi profili.
Con memoria depositata in data 21 novembre 2014 i ricorrenti hanno dedotto che la nota del comune del 10 ottobre 2013 non sarebbe idonea ad integrare gli estremi del provvedimento espresso.
Alla camera di consiglio del 2 dicembre 2014 la parte ricorrente ha chiesto che sia disposta la sospensione del giudizio in attesa della sentenza della Corte Costituzionale dell'art. 42 bis del T.U. sugli espropri.
Indi la causa è stata trattenuta per la decisione.
 
DIRITTO
In via preliminare va esaminata la richiesta, formulata in occasione della camera di consiglio del 2 dicembre 2014, con la quale parte ricorrente ha chiesto che sia disposta la sospensione del giudizio nelle more della decisione della Corte Costituzionale in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 42 bis DPR 327/2001 sollevata dalla Corte di Cassazione Sezioni Unite con ordinanza 13 gennaio 2014 n. 441.
La domanda non può essere accolta poiché, come meglio si dirà infra, l’applicazione dell’art. 42 bis citato non è invocabile nel presente giudizio.
Devono ora essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate, sotto diversi profili, dall’Amministrazione resistente:
1) la domanda di declaratoria di illegittimità del silenzio serbato sarebbe inammissibile non potendo il comportamento del Comune equivalere ad un silenzio. L’Amministrazione infatti ha riscontrato la diffida con la nota del 10 ottobre 2013. In ogni caso il Comune non avrebbe potuto provvedere diversamente non essendoci certezza sulla titolarità del diritto di proprietà, tenuto conto delle successioni intervenute e della sussistenza di ulteriori eredi diversi dagli odierni ricorrenti. Inoltre la disposizione di cui all’art. 42 bis del DPR 327/2001 fornisce all’Amministrazione una facoltà e non determina, invece, un obbligo;
2) stante l’incertezza sulla titolarità del diritto di proprietà e delle quote di ciascun proprietario, il ricorso sarebbe inammissibile in quanto proposto in forma cumulativa;
3) inammissibilità del ricorso per carenza di interesse alla decisione, stante l’intervenuta usucapione degli immobili a favore del Comune.
In accoglimento della prima eccezione formulata dal Comune di Magenta il ricorso, nella parte in cui chiede la declaratoria di illegittimità del silenzio, va dichiarato inammissibile.
Il Collegio osserva che l’Amministrazione ha riscontrato la diffida ad emettere il provvedimento ex art. 42 bis DPR n. 327/2001, facendo (implicito) riferimento all’articolata vicenda che ha interessato le aree in questione, dichiarando la disponibilità in bilancio della (esigua) somma residua a titolo di omnicomprensivo corrispettivo di cessione nonché subordinando la conclusione della “pratica” (id est la stipulazione dell’atto definitivo di cessione) alla produzione da parte dei privati della documentazione necessaria (titoli di proprietà debitamente trascritti e aggiornamento della situazione catastale).
Ciò rilevato, questa Sezione aderisce all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il silenzio inadempimento della pubblica amministrazione è configurabile solo nei casi in cui alla presentazione di un'istanza corrisponda un obbligo giuridico di provvedere; viceversa ciò non accade nel caso in cui il proprietario di un fondo illecitamente occupato chiede all’amministrazione l'emanazione di un provvedimento di acquisizione ex art. 42bis, D.P.R. 327/2001, poiché la norma invocata configura una facoltà e non un obbligo dell'amministrazione (cfr.T.A.R. Parma 18 settembre 2014 n. 353; T.A.R. Toscana, sez. I, 22 gennaio 2014, n. 124 e 23 dicembre 2013 n. 1756).
Ciò, di per sé, determina l’impossibilità per il Giudice amministrativo di ordinare all’amministrazione di adottare il provvedimento di acquisizione sanante né, tanto meno, può nominare un commissario ad acta che agisca in vece dell’amministrazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 34 comma 2 cod. proc. amm., posto che, come precisato, l’adozione o meno del provvedimento di cui all’art. 42 bis rientra nella discrezionalità dell’Amministrazione.
Il Collegio non ignora l’esistenza di un altro orientamento giurisprudenziale secondo il quale in capo alla p.a. sussisterebbe l’obbligo di provvedere nel caso in cui il privato abbia formalmente richiesto l’adozione del provvedimento ex art. 42 bis DPR 327/2001, in presenza di occupazione "sine titulo" di beni immobili appartenenti a privati (Consiglio di Stato sez. IV 15 settembre 2014 n. 4696).
Tuttavia nel caso di specie l’applicazione di tale orientamento è, comunque, precluso dalla sussistenza delle peculiari circostanze di fatto, che determinano altresì l’infondatezza delle domande proposte in via subordinata (la condanna del Comune alla cessazione immediata dell’asserita occupazione sine titulo dei terreni, ovvero all’adozione di un provvedimento ai sensi dell’art. 42 bis).
Va premesso che il più volte richiamato art. 42 bis del DPR 327/2001 è stato introdotto per colmare il vuoto normativo venutosi a creare a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 43 DPR 327/2001 per violazione dell’art. 76 Cost. (Corte Cost. n. 293/2010).
L’art. 43 prevedeva un “meccanismo” traslativo (mediante acquisizione coattiva del bene al patrimonio pubblico) pressoché identico a quello di cui all’art. 42 bis, riconoscendo al proprietario del bene il risarcimento dei danni.
L’istituto di cui all’art. 42 bis presenta degli elementi di novità rispetto all’acquisizione sanante di cui all’art. 43.
La disposizione ha in primo luogo cercato di individuare un nuovo punto di equilibrio tra i contrapposti interessi che emergono in seguito all’occupazione senza titolo: l’interesse dell’amministrazione a conservare l’opera e quello del privato ad un ristoro effettivo per l’azione illegittima subita. Ha disposto che l’acquisizione al patrimonio non operi retroattivamente e ha previsto che al privato proprietario spetti la corresponsione di un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito.
La richiamata disposizione postula quindi, necessariamente, la sussistenza di un perdurante comportamento illecito dell’Amministrazione, consistente in un’occupazione sine titulo del fondo privato che abbia determinato una lesione ingiusta del relativo diritto soggettivo.
Nel caso di specie tale illecita occupazione non sussiste a far tempo dal 30 maggio 1985, ovvero dalla data di stipulazione del contratto preliminare di cessione delle aree.
Tale negozio, dichiaratamente, si inserisce nell’ambito del “procedimento di espropriazione per la realizzazione della Scuola Media Fraz. Pontevecchio Comune di Magenta”.
Il suddetto contratto, nel quale le parti danno atto reciprocamente della già avvenuta immissione nel possesso del fondo da parte dell’Amministrazione, pur producendo effetti obbligatori e non traslativi, determina tuttavia un effetto anticipato quanto al possesso - che dunque diventa “titolato” - in vista della definitiva stipulazione del contratto definitivo, anche tenuto conto che l’opera pubblica era stata già interamente realizzata.
Non vi sono pertanto i presupposti teorici per fare applicazione dell’art. 42 bis del DPR 327/2001 non potendosi ravvisare, nel caso concreto, un’occupazione sine titulo.
Diversamente la fattispecie di cui è causa rientra nello schema procedimentale oggi positivizzato nell’art. 20 DPR 327/2001 (cfr. Cons. Stato Consiglio di Stato sez. IV 21 ottobre 2014 n. 5175), con i rimedi ivi previsti per addivenire alla stipulazione definitiva della cessione delle aree (v. comma 9).
Deve in proposito osservarsi che la mancata stipulazione dell’atto definitivo di cessione non è imputabile all’Amministrazione, bensì ai privati. Il Comune infatti ha corrisposto ai proprietari, fin dal 1990, la quasi totalità del prezzo convenuto (come detto residua una somma pari a £ 2.579.930, a fronte di un prezzo complessivo di £ 359.715.930) e ha più volte invitato gli stessi alla produzione della documentazione necessaria alla stipulazione del negozio definitivo, indicando il notaio incaricato.
Sotto tale profilo appare contrario al principio di buona fede – sub specie del divieto di venire contra factum proprium – il comportamento tenuto dai privati che dapprima hanno incamerato quasi per intero il corrispettivo stabilito per la cessione e ora invocano la sopraggiunta inefficacia dell’accordo preliminare per mancata stipulazione nei termini del contratto definitivo, pretendendo di far valere a loro favore il loro stesso inadempimento.
Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
 
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, a favore del Comune di Magenta, delle spese del presente giudizio che liquida in € 3.000,00 (tremila) oltre oneri fiscali e previdenziali di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Adriano Leo,Presidente
Alberto Di Mario,Primo Referendario
Valentina Santina Mameli,Referendario, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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