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Giurisdizione provvedimento art. 42-bis TUE

Pubblico
Lunedì, 10 Maggio, 2021 - 09:30

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, (Sezione Prima), sentenza n. 757 del 29 aprile 2021, sul provvedimento di acquisizione ex art. 42-bis TUE

MASSIMA

Nella fattispecie delineata dall’ art. 42 bis d.p.r. n. 327 del 2001 l’illecita o illegittima utilizzazione di un bene immobile da parte dell’Amministrazione per scopi di interesse pubblico costituisce soltanto il presupposto indispensabile, unitamente alle altre specifiche condizioni previste da tale disposizione, per l’adozione – nell’ambito di un apposito procedimento espropriativo, del tutto autonomo rispetto alla precedente attività della stessa Amministrazione – del peculiare provvedimento di acquisizione ivi previsto; ne consegue che l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, in quanto previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che avere la medesima natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l’ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione o di corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’ art. 53, comma 2, d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’ art. 133, lett. g), ultima parte, c.p.a.” (cfr. Corte di Cassazione, sezioni unite, 21 febbraio 2019, n. 5201).

SENTENZ A

N. 00757/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00152/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 152 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Società Immobiliare Santa Croce di Impagliatelli Matteo & C. s.a.s., rappresentata e difesa dagli avvocati Enrico Follieri, Ilde Follieri, Francesco Follieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Bari, Via P. Fiore, 14;

contro

Comune di San Giovanni Rotondo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Ernesto Cerisano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- del provvedimento emesso dal dirigente dell’ufficio tecnico - settore urbanistica del Comune di San Giovanni Rotondo in data 11.12.2020, con cui è stata respinta l’istanza di permesso di costruire un fabbricato nell’area compresa tra Via Santa Croce e Viale Cappuccini in San Giovanni Rotondo, presentata dalla ricorrente in data 14.9.2020; della deliberazione di C.C. n. 59 del 4.12.2020, con cui si è disposto di procedere all’acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42 bis del DPR 327/2001, dell’area sopra indicata; nei limiti dell’interesse fatto valere in giudizio, della comunicazione dell’11.12.2020 del predetto dirigente, con cui è stata data comunicazione di avvio del procedimento; della deliberazione di C.C. n. 168 del 19 gennaio 2021, con riserva di motivi aggiunti, nonché dei pareri amministrativi, tecnici e finanziari intervenuti, ancorché non conosciuti: atti impugnati con il ricorso principale;

- della deliberazione di C.C. n. 168/2021, mediante la quale si è disposta l’acquisizione al patrimonio indisponibile comunale del suolo controverso di proprietà della ricorrente e si è determinato l’indennizzo complessivamente spettante in €. 1.562,50: atto impugnato con ricorso per motivi aggiunti depositato il 15.3.2021.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Giovanni Rotondo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2021 il dott. Angelo Fanizza;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso ritualmente proposto la Società Immobiliare Santa Croce di Impagliatelli Matteo & C. s.a.s. ha impugnato e chiesto l’annullamento del provvedimento emesso dal dirigente dell’ufficio tecnico - settore urbanistica del Comune di San Giovanni Rotondo in data 11.12.2020, con cui è stata respinta l’istanza di permesso di costruire un fabbricato nell’area compresa tra Via Santa Croce e Viale Cappuccini in San Giovanni Rotondo, presentata dalla ricorrente in data 14.9.2020; della deliberazione di C.C. n. 59 del 4.12.2020, con cui si è disposto di procedere all’acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42 bis del DPR 327/2001, dell’area sopra indicata; nei limiti dell’interesse fatto valere in giudizio, della comunicazione dell’11.12.2020 del predetto dirigente, con cui è stata data comunicazione di avvio del procedimento; della deliberazione di C.C. n. 168 del 19 gennaio 2021, con riserva di motivi aggiunti, nonché dei pareri amministrativi, tecnici e finanziari intervenuti, ancorché non conosciuti.

L’area oggetto del contendere è stata oggetto di un piano di lottizzazione proposto dalla Ditta Sabatelli Michele, originaria proprietaria dell’immobile, in attuazione del quale in data 6.5.1964 è stato sottoscritto un “atto di disciplinare” in cui si è, tra l’altro, previsto che:

a) “la proprietà della Ditta Sabatelli Michele sita alla contrada S.Croce al bivio del Viale dei Cappuccini con la strada per S.Marco in Lamis, giusto progetto che si allega, viene lottizzata in modo da ricavarne n. 16 lotti o aree edificatorie, intersecate da n. 3 strade di nuovo piano regolatore”;

b) “la Ditta Sabatelli si obbliga di lasciare a completa disposizione dell’Amministrazione comunale di S.Giovanni Rotondo e senza corrispettivo alcuno, le zone tratteggiate in rosso del piano di lottizzazione viaria, mentre dovrà provvedere a tutte sue cure e spese per la sistemazione a verde della zona tratteggiata in nero”;

c) “ogni e qualsiasi variante al presente disciplinare non potrà essere a carattere unilaterale, bensì concordata tra le parti contraenti e aventi causa, e comunque nel rispetto delle leggi presenti e future”.

Quanto alle successive vicende, la ricorrente ha esposto che, “nell’esercizio del possesso e quale proprietaria del terreno, delimitava l’area con picchetti di 1,30 mt. ciascuno, collegati da un nastro”; ciò in quanto “attualmente vi sono dei blocchi di cemento, posti a seguito di atti vandalici che hanno eliminato i picchetti”, ma che il Comune, pure a fronte di tale situazione, emetteva l’ordinanza dirigenziale n. 181 del 9.11.2017, con cui si ingiungeva all’odierna ricorrente – subentrata nella titolarità dell’area – di rimuovere tali picchetti entro il termine di dieci giorni dalla notifica dell’ordinanza, con avvertimento che, in difetto, l’Amministrazione avrebbe provveduto in via diretta.

La ricorrente ha impugnato tale provvedimento – e gli atti connessi – innanzi a questo Tribunale, che, con sentenza n. 808 del 4 giugno 2020 della III Sezione ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato i provvedimenti gravati, peraltro disponendo, in sede istruttoria, una verificazione.

In data 14.9.2020 è stata presentata una domanda di permesso di costruire relativa ad un progetto finalizzato alla “realizzazione di un manufatto, ancorchè di modeste dimensioni, improntato a razionalismo espressionista, frutto della ricerca tesa a qualificare l’importante punto della Città sul quale sarebbe sorto l’edificio, e costruito a “zero emissioni” per l’alta efficienza energetica” (cfr. pag. 4).

A stretto giro, però, con deliberazione n. 59 del 4.12.2020 il Consiglio comunale ha espresso l’indirizzo per l’acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42 bis del DPR 327/2001, dell’area in questione, a dire della ricorrente “sull’inesistente presupposto del possesso da parte del Comune per l’uso a parcheggio pubblico” (cfr., ancora, pag. 4).

Il che ha determinato l’emissione, in data 11.12.2020, della comunicazione del diniego del permesso di costruire sul presupposto che per effetto della delibera consiliare n. 59/2020 sarebbe stata “sancita la destinazione pubblica dell’area che pertanto è sottratta all’utilizzo per scopi edificatori privati”; e, in pari data, della comunicazione di avvio del procedimento di acquisizione sanante.

A nulla è valsa la nota che la società ricorrente ha trasmesso in data 14.12.2020, volta a contestare i provvedimenti sopra indicati; né diverso esito ha avuto l’iniziativa della “minoranza consiliare”, la quale ha depositato “il 15 gennaio 2021 la proposta di delibera di C.C. n. 2 dell’8 gennaio 2021 per l’annullamento d’ufficio della precedente delibera n. 59 del 4 dicembre 2020”; proposta respinta dall’assise cittadina (cfr. pag. 5).

A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:

1°) violazione della normativa urbanistica ed eccesso di potere.

Con tale motivo la ricorrente ha censurato la legittimità del diniego con richiamo alla motivazione della deliberazione n. 59/2020 nella quale si è opposta “l’attualità e la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione dell’area” di proprietà della società immobiliare Santa Croce e sulla imminente adozione del provvedimento di acquisizione sanante: una previsione che, tuttavia, “non è ancora intervenuta, per cui il diniego non può basarsi sulla previsione consiliare, non ancora cogente sino a quando non saranno eseguiti gli adempimenti volti ad acquisire la proprietà dell’area” (cfr. pag. 5).

2°) Illegittimità derivata del diniego di permesso di costruire, in conseguenza del precedente motivo.

3°) Violazione dell’art. 42 bis del DPR 327/2001; nullità e/o illegittimità delle deliberazioni consiliari per violazione ed elusione del giudicato di cui alla sentenza TAR Puglia – Bari n. 808/2020; eccesso di potere per errore, travisamento dei fatti, sviamento di potere, abnormità, difetto d’istruttoria e di motivazione.

Con tale motivo, riferito al procedimento di acquisizione sanante, la ricorrente ha contestato la deliberazione n. 59/2020 per aver evidenziato l’interesse pubblico sotteso all’acquisizione di un compendio immobiliare “adibito almeno dal 1964 a snodo viario e parcheggio pubblico di grande rilevanza a vantaggio dell’intera collettività, sebbene occupato dall’ente pubblico in assenza di un valido titolo”; un’area interessata da numerosi sottoservizi pubblici “quali rete idrica e fognaria, gas, telefonia, fibra ottica e, soprattutto, il posizionamento delle linee elettriche ed i fari illuminanti la vicina biblioteca comunale” (cfr. pag. 8): presupposti che sostanzierebbero la decisione comunale.

La ricorrente ha, però, sottolineato che la sentenza n. 808/2020 ha ribadito che “l’area è di proprietà dell’Immobiliare Santa Croce e quest’ultima la possiede e detiene” e che, in definitiva, “qui si discute di 463 mq che consentirebbero il parcheggio a 4, massimo 5 vetture, considerando la necessità dello spazio di manovra, per cui appare sproporzionata, non corrispondente al vero ed abnorme la motivazione sull’interesse pubblico a munire di parcheggio adeguato la zona de qua” (cfr. pag. 8).

In pratica, ai fini della configurazione dei presupposti della contestata acquisizione sanante osterebbe il giudicato formatosi sulla predetta pronuncia.

Non si sarebbe, inoltre, considerata l’attuale destinazione residenziale ed i relativi indici edificatori, impressa “sicuramente dal 1987 (approvazione del P.R.G.) e confermato dal P.U.G. adottato nel 2016”, ma ad oggi non ancora approvato.

4°) Violazione dell’art. 42 bis, comma 3 e dell’art. 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7 del DPR 327/2001; eccesso di potere per travisamento dei fatti e sviamento.

La ricorrente ha, infine, dedotto che l’impugnata deliberazione ha determinato il valore dell’area come se la destinazione fosse agricola “o non edificabile stabilendo euro 2,50 al mq.”, mentre “le aree edificatorie in San Giovanni Rotondo, e specie nel punto centrale in cui è sita la proprietà dell’Immobiliare Santa Croce, hanno un valore venale non meno di euro 800,00 al mq.” (cfr. pag. 10).

Si è costituito in giudizio il Comune di San Giovanni Rotondo (20.2.2021), il quale ha osservato che in esito al contenzioso definito dalla sentenza n. 808/2020 vi sarebbe “da risolvere la questione, rimasta impregiudicata, posta dall’evidente iato esistente tra l’uso pubblico del sito e la sua appartenenza alla proprietà privata; questione divenuta peraltro assai urgente allorquando la ditta proprietaria, in data 14 settembre 2020, richiedeva il rilascio di un permesso di costruire per impegnare quell’area con un fabbricato, assumendo di esercitare un proprio diritto” (cfr. pag. 6); ha eccepito l’inammissibilità del primo motivo sul presupposto che sarebbe stata impugnata, altresì, la deliberazione consiliare n. 59/2020 e che, pertanto, sarebbe stata la stessa ricorrente a riconoscere l’implicita lesività di tale provvedimento, oltre al fatto che con la deliberazione di C.C. n. 168 del 19.2.2021, notificata in pari data, sarebbe stata dichiarata l’indisponibilità dell’area per le finalità perseguite con la domanda di permesso di costruire; ha soggiunto che “la destinazione urbanistica del fondo per cui è causa è quella di “area stradale”, così come peraltro risulta non solo dallo stato di fatto, ma anche dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato in data 18.02.2021”; e che “un’ipotetica destinazione edificatoria, che comunque allo stato non sussiste, sarebbe in contrasto con le prescrizioni e gli assetti urbanistici che derivano dalla lottizzazione approvata nel 1964” (cfr. pag. 8); ha, poi, opposto che la lottizzazione Sabatelli del 1964 ha previsto che l’area oggetto del contendere fosse destinata a sede viaria, e che proprio in relazione a tale destinazione sarebbe stata consentita l’edificazione sui restanti lotti previsti dal piano attuativo, con la conseguenza che tale area “non possa oggi in alcun modo essere edificata, e tanto poiché essa ha già assunto, indipendentemente dall’assetto proprietario, la destinazione pubblica prevista dal piano” (cfr. pag. 10); con riguardo al secondo motivo, ha eccepito che sulla c.d. dicatio ad patriam il TAR Puglia non si sarebbe espresso con efficacia di giudicato; ha, inoltre, opposto che “il mancato avvio di un procedimento espropriativo da parte del Comune nel termine decennale di validità della lottizzazione, evidentemente giustificato dal convincimento che il possesso del fondo ottenuto per atto privato (il disciplinare di lottizzazione del 1964) fosse sufficiente per assecondare la destinazione pubblica e pacifica dell’area”, non precluderebbe l’acquisizione sanante (cfr. pag. 14), tenuto conto che l’assetto urbanistico della zona, in particolare con riferimento all’attuazione della lottizzazione Sabatelli innanzi richiamata, sarebbe “ormai irreversibile da oltre mezzo secolo”, e lo snodo viario costituito dall’area in questione sarebbe “assolutamente indispensabile al corretto deflusso del traffico cittadino e al regolare reperimento di spazi destinati al parcheggio” (cfr. pag. 17); ha, infine, eccepito l’inammissibilità, per difetto di giurisdizione, del motivo riguardante la misura dell’indennizzo.

All’udienza in Camera di Consiglio del 24 febbraio 2021 la domanda di sospensione è stata cancellata dal ruolo alla luce dell’intenzione della ricorrente (oggetto di istanza di rinvio depositata il 19.2.2021) di impugnare la deliberazione di C.C. n. 168/2021, mediante la quale si è disposta l’acquisizione al patrimonio indisponibile comunale del suolo controverso di proprietà della ricorrente e si è determinato l’indennizzo complessivamente spettante in €. 1.562,50.

Tale impugnazione si è inverata nei motivi aggiunti depositati il 15.3.2021, con cui sono stati dedotti, in prosecuzione rispetto alle censure già proposte, i seguenti motivi:

5°) violazione dell’art. 42 bis del DPR 327/2001; nullità e/o illegittimità delle deliberazioni consiliari per violazione ed elusione del giudicato di cui alla sentenza TAR Puglia – Bari n. 808/2020; eccesso di potere per errore, travisamento dei fatti, violazione del principio di proporzionalità, sviamento di potere, abnormità, difetto d’istruttoria e di motivazione.

La ricorrente ha riepilogato il giudizio che ha condotto all’emissione della sentenza n. 808/2020, in particolare soffermandosi sulle risultanze della verificazione e sulla motivazione della pronuncia in cui si è dato conto del fatto che l’Amministrazione comunale non avrebbe ceduto né espropriato l’area in questione; ha, inoltre, evidenziato che “per la dicatio ad patriam, la sua decisione ha carattere di delibazione ex art. 8 c.p.a., ma non per il resto che riguarda precisi accertamenti di fatto essenziali per stabilire la legittimità degli atti di riduzione in pristino adottati dal Comune ed oggetto di ricorso” (cfr. pag. 7); ha, poi, rimarcato che le deliberazioni di Consiglio comunale n. 118 del 15.5.1974 e n. 37 del 15.3.1975, relative a lavori di sistemazione del piazzale e richiamate nella deliberazione con cui è stata disposta l’acquisizione sanante, non riguarderebbero l’area controversa, ma il bivio “tra Viale Cappuccini e Via San Marco” (cfr. pag. 9); ha lamentato, altresì, che non si sarebbero mai verificate “condizioni di effettivo utilizzo da parte della collettività poiché dai luoghi doveva risultare, se parcheggio pubblico, quantomeno la presenza di stalli segnalati con strisce orizzontali che delimitassero gli spazi per il posizionamento delle autovetture ovvero di cartelli stradali indicanti che l’area è riservata a parcheggio” (cfr., ancora, pag. 9); ha ribadito che l’area sarebbe “edificabile e destinata urbanisticamente a zona B1 di completamento” (cfr. pag. 12), che l’obbligo della dante causa di lasciare a disposizione del Comune resistente una porzione di proprietà (punto 4° del disciplinare) sarebbe inefficace per decorso del tempo e che “non vi sono sottoservizi pubblici che passano sotto l’area della ricorrente” (cfr. pag. 13).

6°) Violazione dell’art. 42 bis, comma 3 e dell’art. 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7 del DPR 327/2001; eccesso di potere per travisamento dei fatti e sviamento.

La ricorrente ha premesso di aver proposto ricorso per opposizione alla stima innanzi alla Corte di Appello di Bari, rappresentando che la somma totale dell’indennizzo ammonterebbe ad €. 987.153,22 (cfr. pag. 16); il tutto nel contesto della censura all’illegittimo potere esercitato dal Comune ai sensi dell’art. 42 bis del DPR 327/2001.

In vista dell’udienza in Camera di Consiglio per la trattazione della domanda cautelare, fissata per il 14 aprile 2021, le parti hanno depositato le rispettive memorie, senza aggiungere elementi di sostanziale novità alle argomentazioni sviluppare nei precedenti scritti; a tale udienza il Collegio – dopo aver rappresentato alle parti la necessità, ai fini del decidere, di acquisire gli atti del fascicolo RG 23/2018, e ciò mediante consultazione diretta dal sito intranet della Giustizia Amministrativa, e ottenendo dalle stesse espressa accettazione – ha avvisato i difensori delle parti costituite della possibile definizione della controversia con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo e, non avendo registrato opposizioni, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Il ricorso principale è fondato e, pertanto, va accolto, sebbene con le precisazioni contenute in motivazione.

Sono, anzitutto, improcedibili, per sopravvenuta carenza di interesse, i primi due motivi di ricorso, tenuto conto che con deliberazione di C.C. n. 168 del 19.2.2021 (in merito alla quale la ricorrente aveva formulato riserva di motivi aggiunti) è stata disposta l’acquisizione al patrimonio indisponibile comunale del suolo controverso di proprietà della ricorrente e si è determinato l’indennizzo complessivamente spettante in €. 1.562,50.

È, invece, fondato – ma nei sensi di seguito illustrati – il terzo motivo.

Il piano di lottizzazione approvato in data 6.5.1964 “è stato approntato per una zona di notevole e vitale espansione dell’aggregato edilizio urbano”, ma il relativo progetto “tiene nel dovuto conto lo sviluppo della viabilità in rapporto alle future esigenze di nuovo piano regolatore della zona, prevedendo fin d’ora strade di larghezza di m. 12 e m. 8 a senso di vigente regolamento”: il che allude ad una edificazione da condurre secondo una equilibrata e predefinita individuazione delle aree di intervento.

Relativamente all’area controversa, occorre considerare che la conformazione corrisponde ad un immaginario triangolo (grosso modo a forma di isoscele), delineato da due lati corrispondenti alla Via San Marco e Viale Cappuccini, e da una mediana (grosso modo corrispondente ad una bisettrice) corrispondente alla Via Santa Croce; la superficie oggetto del programmato intervento edilizio è data dalla metà del predetto triangolo, che ha per (altrettanto immaginari) lati la detta Via Santa Croce e Viale Cappuccini, come meglio si evince dall’esame delle planimetrie contenute nel fascicolo del giudizio RG 23/2018.

Si è evidenziato in narrativa che a fronte della previsione di cui al punto 1° dell’atto di disciplinare, secondo cui “la proprietà della Ditta Sabatelli Michele sita alla contrada S.Croce al bivio del Viale dei Cappuccini con la strada per S.Marco in Lamis, giusto progetto che si allega, viene lottizzata in modo da ricavarne n. 16 lotti o aree edificatorie, intersecate da n. 3 strade di nuovo piano regolatore”, si è previsto, al successivo punto 4°, che “la Ditta Sabatelli si obbliga di lasciare a completa disposizione dell’Amministrazione comunale di S.Giovanni Rotondo e senza corrispettivo alcuno, le zone tratteggiate in rosso del piano di lottizzazione viaria, mentre dovrà provvedere a tutte sue cure e spese per la sistemazione a verde della zona tratteggiata in nero”.

A giudizio del Collegio risulta palese che il punto 1° ha sostanziato il riconoscimento di uno jus aedificandi in favore della dante cause dell’odierna ricorrente, mentre il punto 4° ha inibito alla lottizzante (e ai suoi aventi causa) – sull’area tratteggiata in rosso nell’allegata planimetria al disciplinare – qualsiasi modificazione e, dunque, anche lo jus aedificandi.

Nel corso del giudizio RG 23/2018, però, la ricorrente ha sostenuto che “la disciplina urbanistica dell’area è poi cambiata almeno dal 1987, ossia dall’approvazione del PRG del Comune di San Giovanni Rotondo attualmente vigente. Secondo questo strumento urbanistico, infatti, l’area in questione ricade in zona B1” (cfr. pag. 8 del relativo ricorso); e che, soprattutto, “il progetto del piano di lottizzazione risalente al 1964, sottoscritto dall’allora proprietario Sabatelli, non dimostra “la protrazione dell’uso stesso risalente nel tempo”, in quanto è stato superato dai già richiamati strumenti urbanistici adottati dal Comune” (cfr. pag. 9 della memoria del 13.9.2019; cfr., altresì, pag. 2 delle osservazioni tecniche alla disposta verificazione, nelle quali si insite nel dedurre che “quanto previsto dal piano di lottizzazione di Sabatelli è stato poi superato dallo strumento urbanistico vigente”).

Nella sentenza n. 808/2020 si è, poi, osservato che “l’atto di disciplinare del piano di lottizzazione Sabatelli del 1964 prevedeva un “obbligo” di trasferire l’area che non ha avuto adempimento in un atto di trasferimento del diritto di proprietà, né in un atto di consegna materiale del bene, per cui è divenuto inefficace, per essere trascorsi 10 anni dall’approvazione della lottizzazione”; e che “di fronte ai titoli di proprietà del ricorrente e a una previsione di piano di lottizzazione, non adempiuta e non attuata, modificata da due piani urbanistici generali successivi, si può ritenere – in risposta al terzo quesito - che non possa attribuirsi alcun rilievo al disciplinare di lottizzazione del 1964”; con la conclusione “che il ricorrente ha un titolo valido per l’affermazione del suo diritto di proprietà sull’area, mentre il Comune non ha nessun titolo”.

Ritiene il Collegio che pur essendo ineccepibile la conclusione, relativa alla permanente titolarità dell’area oggetto del contendere, non siano parimenti condivisibili – né vincolanti in chiave di giudicato – le due precedenti affermazioni.

In primo luogo, dalla piana lettura della previsione di cui al punto 4° dell’atto di disciplinare non si ricava – anzitutto dall’interpretazione letterale – alcun obbligo di cessione dell’area dalla Ditta Sabatelli al Comune.

Ma tale obbligo non si ricava neppure in applicazione del criterio generale di cui all’art. 1362 del codice civile, secondo cui “nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”.

Senza contare che, all’epoca della stipulazione della convenzione (6.5.1964), l’art. 28 della legge 1150/1942 prevedeva che, in caso di lottizzazione, “il podestà ha facoltà di invitare i proprietari di aree fabbricabili esistenti nei singoli isolati, che non siano stati già lottizzati nello stesso piano particolareggiato, a presentare entro un congruo termine, un progetto di lottizzazione tra loro concordato, che assicuri la razionale utilizzazione delle aree stesse”, e che, perciò, la legislazione non imponeva alcuna cessione.

La previsione sulla cessione delle aree, piuttosto, è stata introdotta – circa tre anni dopo la predetta stipulazione – a seguito dell’entrata in vigore della legge 765/1967, prevedendosi, al citato art. 28, che “l’autorizzazione comunale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda: 1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate dall'art. 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2; 2) l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni”.

Quindi, a tutto concedere, nell’astratta ipotesi di un obbligo di cessione dell’area al Comune di San Giovanni Rotondo vi sarebbe dovuto essere un correlato obbligo della Ditta Sabatelli di realizzare le opere di urbanizzazione primaria e una quota di quelle di urbanizzazione secondaria: ma ciò non è stato affatto previsto, nel senso che la lottizzazione viaria è stata affidata alla mano pubblica comunale ed alla lottizzante si è imposto (soltanto) di “provvedere a tutte sue cure e spese per la sistemazione a verde della zona tratteggiata in nero”.

L’analisi dei punti rilevanti del disciplinare di lottizzazione, sopra evocati, evidenzia – allora – un assetto del tutto diverso, fondato su un sinallagma costituito dall’attribuzione di un diritto di edificazione su 16 lotti a fronte dell’imposizione di un obbligo di “lasciare a completa disposizione dell’Amministrazione comunale di S.Giovanni Rotondo e senza corrispettivo alcuno” alcune zone “tratteggiate in rosso del piano di lottizzazione”; e, come si è precisato a pag. 8 della verificazione – postulato non smentito nella sentenza n. 808/2020 – “in una delle zone in rosso menzionate, ricade proprio l’area in questione”.

Dunque, nel disciplinare si è determinata una precisa delimitazione tra aree da edificare (nella proprietà del lottizzante) e aree da non edificare (nella proprietà del lottizzante ma asservite alla sistemazione della proprietà viaria pubblica, c.d. lottizzazione viaria), di cui i profili obbligatori sulle parti contraenti rappresentano soltanto il riflesso.

In particolare, la previsione di cui al punto 4° si riferisce alla costituzione di una servitus non aedificandi: il che è provato dal fatto che alla Ditta Sabatelli è stato imposto di non intervenire in alcun modo, in attuazione, cioè, del principio servitus in faciendo consistere nequit.

E la lottizzante ha accettato la suddetta imposizione e si è obbligata a lasciare a completa disposizione del Comune un’area previamente individuata e delimitata di comune accordo.

L’imposizione della servitù ha, dunque, conformato l’area di proprietà del lottizzante; ne deriva che l’antagonismo – alimentato nel presente giudizio e, prima di questo, nel giudizio RG 2372018 – tra la situazione del proprietario dell’area servente e quella dell’Amministrazione titolare della servitù di non edificazione va composto nel senso che quest’ultima situazione debba prevalere sulla prima; e, prevalendo sulla proprietà del fondo servente, la servitù oggetto del 4° punto si risolve in un limite posto all’esercizio del diritto di proprietà.

L’obbligo a carico della Ditta Sabatelli, proprietaria del fondo servente, si è tradotto, quindi, in un “pati”, cioè – in altri termini – nel sopportare il divieto di edificazione lasciando “a completa disposizione” del Comune l’area oggetto del contendere, ma senza intaccare il diritto dominicale, ossia la proprietà privata (quanto, piuttosto, legittimando il possesso dell’Amministrazione).

Diversamente opinando, non si comprenderebbe la ragione per cui le parti non abbiano utilizzato termini chiari e cristallini per sostanziare in sede negoziale un effetto traslativo: come ad esempio riferimenti alla compravendita, alla permuta immobiliare, alla donazione, al comodato immobiliare e via dicendo.

La predetta servitù, inoltre, non si è mai estinta per rinuncia o per prescrizione.

Non è inopportuno precisare, altresì, che nella specie si è fissato un profilo limitativo che nulla ha in comune con la costituzione di una servitù di uso pubblico che – per utilizzare le parole della sentenza n. 808/2020 – si sarebbe tradotta nella “tolleranza all’esercizio della servitù da parte della collettività”, vale a dire il nucleo fondante della dicatio ad patriam opposta dal Comune nel corso del giudizio RG 23/2018.

Servitus non aedificandi e dicatio ad patriam rappresentano, infatti, due istituti giuridici del tutto diversi.

Trattandosi di una condotta desistente imposta dal disciplinare alla lottizzante e da questa accettata, cioè di una concordata preclusione di qualsiasi intervento nell’area in questione (mediante l’ipotetica realizzazione di opere o mediante l’occupazione materiale dei luoghi: perché soltanto così può intendersi l’espressione “lasciare a completa disposizione”), non desta alcuna sorpresa che – come si è rilevato nella sentenza n. 808/2020 – risulta “dalla documentazione in atti che l’area contestata non è mai stata ceduta al Comune, né espropriata né usucapita dalla P.A., né rinunciata in via abdicativa dai proprietari”.

E in più, non trattandosi di un contratto reale (avente cioè ad oggetto la traslazione di immobili) o con effetti obbligatori a carico dell’Amministrazione – ma trattandosi, al contrario, di una servitù di non edificazione che si è consolidata in una consapevole rinuncia, sancita in via convenzionale, allo jus aedificandi che di norma pertiene al diritto di proprietà, quindi nell’osservanza di un obbligo di “patire” gli effetti di un altrui prerogativa sull’area (la lottizzazione viaria) – non ha alcuna rilevanza il rilievo secondo cui “dal punto di vista giuridico, gli obblighi assunti con il piano di lottizzazione, non adempiuti nei dieci anni dall’approvazione del piano, sono divenuti inefficaci”.

E ciò non soltanto perché la lottizzazione non ha previsto alcun obbligo traslativo; ma anche e soprattutto perché, in merito all’attivazione del Comune nell’ottica della sistemazione viaria, nella relazione del verificatore si legge (cfr. pag. 16) che “l’area è stata interamente ed irreversibilmente trasformata dal Comune tra il 1974 e il 1975 mediante lo sbancamento necessario per la realizzazione del piazzale (ricomprendente l'area di cui è causa) e la conseguente creazione del muraglione di contenimento, oltre agli altri lavori di sistemazione e finitura, considerato che l’assetto del territorio in origine era caratterizzato da un “costone roccioso”, così come riportato in atti”.

Dunque, è provata l’utilitas che il Comune resistente ha realmente tratto dalla servitù di non edificazione prevista al punto 4° dell’atto di disciplinare; se tale previsione non fosse stata imposta ed accettata, la sistemazione viaria oggi esistente non sarebbe stata posta in essere, perché l’Amministrazione comunale non avrebbe avuto titolo per farlo (se non mediante una soluzione di carattere espropriativo, non opzionata dalle parti nel 1964).

Il tutto si è, quindi, svolto in piena aderenza al complessivo programma definito nell’atto di disciplinare del 1964; che poi sull’area sia stato allocato un parcheggio pubblico che prospetta inconvenienti gestori, è questione che non lede, né derubrica la finalità non equivoca (“lottizzazione viaria”) espressamente prevista dal citato punto 4°.

Il punto capitale della controversia è, infatti, se la regolazione di interessi intercorsa nel 1964 tra le parti possa, o meno (come ritiene il Collegio), legittimare il diritto della società ricorrente di edificare nell’area controversa il manufatto oggetto della domanda di permesso di costruire del 14.9.2020.

In ragione dell’inquadramento dei rapporti sottesi al piano di lottizzazione, e per analizzare uno dei profili dedotti col terzo motivo, il Collegio non ravvisa, allora, alcuna vincolatività del giudicato formatosi sulla sentenza n. 808/2020 che vada oltre l’incontrovertibile titolarità della proprietà dell’area oggetto del contendere in capo alla ricorrente: e, perciò, non ravvisa alcuna violazione e/o elusione del giudicato in questione.

Il terzo motivo è, invece, fondato con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 42 bis del DPR 327/2001.

Una determinazione che, a ben vedere, non è stata il risultato di una ponderazione circa i presupposti previsti dalla cennata disposizione legislativa, quanto, piuttosto, l’ipotizzata soluzione ad una interpretazione degli effetti della sentenza n. 808/2020.

Si è trattato, tuttavia, di una interpretazione assai singolare, non priva di irragionevolezza.

Sintomatici, sul punto, alcuni passaggi del dibattito in Consiglio comunale.

Dai verbali della seduta del 4.12.2020 si evince che ad avviso del segretario generale la deliberazione finalizzata all’adozione del provvedimento di acquisizione sanante “va a dire che, essendo esercitato un dominio pubblico per 60 anni in funzione di un accordo nato nel 1964, oggi l’Ente va a imprimere un carattere, sulla base, appunto, di un conclamato uso e che il Tar ha consigliato una procedura, nel senso che ha detto per ottenere il riconoscimento della proprietà bisogna andare davanti al giudice civile questa è la regola, su questo non ci sono dubbi, ma il Consiglio di stasera è chiamato a stabilire un percorso alternativo (…) questa è un’altra cosa rispetto a quello che ha stabilito il Tar, il Tar ha detto che bisogna andare davanti al giudice civile come se fossero due proprietari confinanti, insomma di una qualsiasi proprietà privata però, ecco, questo provvedimento è ciò che altro si può fare, come diceva anche l’assessore Di Martino, secondo le possibilità fornite dall’ordinamento”.

Mentre, a seguito della domanda della consigliera comunale Canistro sulla decisione di non appellare la sentenza del Tar Bari, sempre il segretario generale ha risposto “quale utilità riceverebbe l’amministrazione da un appello al Consiglio di Stato? Il solco è stato già tracciato con la decisione del Tar, sicuramente il Consiglio di Stato avrebbe fatto riferimento al giudice di primo grado. Se il primo grado ha detto che per poter ottenere come due qualsiasi cittadini di questa nazione italiana, per potere ottenere un riconoscimento di proprietà, devono andare davanti al giudice civile, per avere un titolo, poi da trascrivere. Se questo non c’è, sarebbe una lite temeraria cioè andare ad insistere su un argomento che è già chiaro in primo grado. Quindi secondo me il secondo grado sarebbe stato veramente inutile su questo argomento”.

Si vuol dire, in altri termini, che tutto il dibattito consiliare e la successiva impostazione operativa del Comune sono stati centrati sul profilo traslativo dell’area controversa: ma la piana lettura del punto 4° dell’atto di disciplinare conferma che non vi fosse tra le parti della lottizzazione alcuna previsione di un obbligo di trasferimento della proprietà dalla Ditta Sabatelli al Comune.

Ne deriva che il passaggio della sentenza n. 808/2020 in cui si è affermato che “l’atto di disciplinare del piano di lottizzazione Sabatelli del 1964 prevedeva un “obbligo” di trasferire l’area che non ha avuto adempimento in un atto di trasferimento del diritto di proprietà” e, soprattutto, l’impossibilità giuridica di tale trasferimento a causa della sopravvenuta inefficacia del piano di lottizzazione, costituiscono aspetti che alludono ad una condotta “proattiva” dell’Amministrazione, ma – questo è il punto – affatto imposta dal disciplinare, il quale ha, invero, molto più banalmente prescritto una condotta desistente alla società proprietaria.

Di conseguenza, soltanto rispetto all’inevaso (ma non prescritto) adempimento relativo al perfezionamento dell’acquisto dell’area si può ritenere opponibile il giudicato – parrebbe, al più, implicito – formatosi sulla sentenza n. 808; se, invece, la lettura è quella che si correla alla risalente costituzione di una servitù di non edificazione si deve, giocoforza, concludere che la conformazione dell’area controversa determini precise conseguenze sulla disciplina regolante il suo utilizzo.

Il travisamento dell’Amministrazione – di cui più sopra si è detto – ha, però, condotto a ritenere plausibile l’acquisizione sanante.

Ma sul punto, come ha statuito l’Adunanza plenaria 9 febbraio 2016, n. 2, va osservato che “l’art. 42 bis, invece, configura un procedimento ablatorio sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall’Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell’infrastruttura realizzata sine titulo”.

Un’impostazione confermata, più recentemente, dall’Adunanza plenaria 18 febbraio 2020, n. 5, secondo la quale l’art. 42 bis “si applica a tutte le ipotesi in cui un bene immobile altrui sia utilizzato e modificato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, e dunque quale che sia la ragione che abbia determinato l’assenza di titolo che legittima alla disponibilità del bene”.

Un titolo che, nella specie, è rappresentato dal punto 4° dell’atto di disciplinare e che esclude la configurazione di un illecito.

Nei termini illustrati va, quindi, accolto il terzo motivo (che comporta l’annullamento del diniego di permesso di costruire per vizio di motivazione) e il simmetrico – per identità delle deduzioni – quinto motivo, proposto mediante ricorso per motivi aggiunti (che comporta l’annullamento della deliberazione di C.C. n. 168 del 19 gennaio 2021).

Sono, da ultimo, inammissibili per difetto di giurisdizione il quarto e sesto motivo, afferenti alla determinazione dell’indennizzo da corrispondere per la disposta acquisizione sanante, e ciò alla luce dell’orientamento secondo cui “nella fattispecie delineata dall’ art. 42 bis d.p.r. n. 327 del 2001 l’illecita o illegittima utilizzazione di un bene immobile da parte dell’Amministrazione per scopi di interesse pubblico costituisce soltanto il presupposto indispensabile, unitamente alle altre specifiche condizioni previste da tale disposizione, per l’adozione – nell’ambito di un apposito procedimento espropriativo, del tutto autonomo rispetto alla precedente attività della stessa Amministrazione – del peculiare provvedimento di acquisizione ivi previsto; ne consegue che l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, in quanto previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che avere la medesima natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l’ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione o di corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’ art. 53, comma 2, d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’ art. 133, lett. g), ultima parte, c.p.a.” (cfr. Corte di Cassazione, sezioni unite, 21 febbraio 2019, n. 5201).

In conclusione, il ricorso principale e i motivi aggiunti vanno accolti, nei termini di cui in motivazione.

La particolare complessità delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso principale e i motivi aggiunti vanno accolti, nei termini di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2021 con l'intervento dei magistrati:

Angelo Scafuri, Presidente

Rita Tricarico, Consigliere

Angelo Fanizza, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Angelo Fanizza

Angelo Scafuri

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

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