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Occupazioni illegittime PA

Pubblico
Venerdì, 15 Aprile, 2022 - 16:15

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda), sentenza n. 3371 del 24 marzo 2022, su occupazioni illegittime PA

N. 03371/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00876/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 876 del 2018, proposto da
F. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Domenico Giugni, con domicilio digitale in atti e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, n. 268/A;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Umberto Garofoli, con domicilio digitale in atti e domicilio fisico eletto presso la sede dell’Avvocatura dell’Ente in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la condanna

delle amministrazioni convenute in giudizio al risarcimento del danno per occupazione illegittima del … per mancata adozione del provvedimento finale di esproprio entro il termine di cinque anni, decorrenti dalla data in cui diventa efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità dell'opera (decreto del Commissario delegato per i Mondiali di Nuoto “Roma 2009” del 17 novembre 2008 n. 4051/RM2009).

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2022 la dott.ssa Eleonora Monica e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il Commissario delegato per i Mondiali di Nuoto “Roma 2009” con atto del 17 novembre 2008 prot. n. 4051/RM2009 avviava la procedura ablativa per la realizzazione del nido aziendale dell’Università degli Studi di Roma “Roma Tre”, in un’area comprensiva di talune porzioni immobiliari di proprietà della Generali Impianti s.r.l. (censiti in catasto al foglio 822, particelle 12 parte e 72 parte).

A tale atto seguiva relativi decreto di occupazione anticipata d’urgenza prot. n. 4758/RM2009 e provvedimento di occupazione di urgenza preordinata all'espropriazione prot. 5113/RM2009, entrambi notificati all’interessata il 2 aprile 2009.

Avverso tali atti la G.s.r.l. proponeva relativo ricorso a questo Tribunale, iscritto al n.r.g. 3071/2009, che veniva inizialmente sospeso in relazione alla pendenza, dinanzi al giudice ordinario, di un giudizio avente carattere pregiudiziale inerente la proprietà delle relative aree, successivamente riassunto della società ricorrente in relazione alla sentenza della Corte di Cassazione n. 22659/2015 (declaratoria dell’acquisto per usucapione dell’area oggetto del procedimento ablativo in suo favore) ed infine dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse “atteso che gli atti impugnati hanno perso efficacia a seguito della mancata adozione del provvedimento finale di esproprio” (in tal senso, la sentenza della Sezione I di questo Tribunale n. 2833/2017).

La F. s.r.l. (di seguito anche semplicemente “F.”) - successore a titolo particolare della G. s.r.l., giusto contratto di “cessione di diritti di causa per usucapione di terreno” stipulato tra le parti il 10 dicembre 2014 (in atti) - agisce affinchè Roma Capitale e/o la Presidenza del Consiglio dei Ministri vengano condannate alla restituzione dell’area libera da persone nonché al ristoro del pregiudizio conseguentemente subito per effetto dell’illegittima compressione del relativo diritto dominicale e della fruibilità dell’area medesima, sul presupposto che sia ravvisabile quantomeno una colpa non scusabile degli enti procedenti in relazione all’aver essi avviato la procedura ablativa senza giungere al completamento della medesima e successivamente omesso di procedere alla restituzione dell’area allo spirare del termine quinquennale di efficacia delle declaratoria di pubblica utilità.

Chiede, in particolare, la società ricorrente “il risarcimento del danno patito per via dell’attivazione e del mancato completamento della descritta procedura ablativa”, evidenziando in punto di fatto come:

- fin dall’immissione in possesso del 14 aprile 2009, alla F. (e prima di essa alla sua dante causa, G.s.r.l.) sia rimasta inibita la possibilità di utilizzare liberamente i beni, di locarli, di concederli in uso a terzi, di realizzare progetti di edificazione;

- questo Tribunale abbia dichiarato l’improcedibilità del cennato giudizio instaurato avverso gli atti ablatori dei beni in questione proprio sul presupposto dell’ormai intervenuta scadenza del termine quinquennale previsto dalla legge, senza che la procedura si concludesse con un valido decreto di esproprio, considerato che, nel caso di specie “il termine ultimo per l’adozione del decreto di esproprio (cfr. Ordinanza P.C.M. n. 3489 del 29/12/2005) era fissato in quello di cui all’art. 13 del D.P.R. n. 327/2001, vale a dire cinque anni, decorrenti dalla data in cui diventa efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità dell'opera; tale dichiarazione coincide, nel caso in esame, con il Decreto del Commissario delegato del 17 novembre 2008 n. 4051/RM2009, con il quale è stato approvato il piano delle opere”.

Lamenta, poi, la F. come “Il compendio immobiliare oggi in proprietà alla ricorrente è, infatti, andato soggetto al vincolo imposto da detta procedura, che non è giunta a perfezionamento, con il conseguente mancato versamento a suo favore di qualsivoglia indennità, per la mera inerzia dell’Amministrazione procedente, che ha lasciato decorrere il termine di cui all’art. 13 DPR n. 327/2001” e come “i beni immobili versano ormai in uno stato di abbandono, che ne ha completamente disperso ogni valore economico”.

Roma Capitale, nel costituirsi in giudizio, eccepiva in rito il suo difetto di legittimazione passiva rispetto alla pretesa risarcitoria avanzata da controparte, evidenziando come la procedura ablatoria sia stata avviata nel lontano 2008 dal Commissario delegato per i Mondiali di Nuoto “Roma 2009” e come a tale Ente, dopo lo svolgimento della manifestazione sportiva, sia succeduta ai sensi dell’art. 1, comma 3, dell’O.P.C.M. n. 3854/2010 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con lo specifico compito, tra l’altro, di curare le attività liquidatorie residuali.

Sostiene, altresì, l’amministrazione comunale l’infondatezza nel merito delle pretese risarcitorie, sia per mancanza di prova che per l’intervenuto decorso dei termini, nonché l’inammissibilità della domanda restitutoria rivolta nei suoi confronti, essendo essa “nell’evidente impossibilità materiale e giuridica di restituire un’area di cui non è mai entrata in possesso”.

Anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri si costituiva in giudizio, eccependo, oltre al proprio difetto di legittimazione passiva, in ogni caso l’inammissibilità del gravame per difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo.

La ricorrente con successiva memoria insisteva per l’accoglimento del gravame, rimettendo al Collegio l’individuazione dell’amministrazione soccombente.

All’udienza pubblica del 9 febbraio 2022 la causa veniva trattata e, dunque, trattenuta in decisione.

Seguendo l’ordine logico delle questioni sollevate, occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione, formalmente sollevata da Terna nella memoria depositata il 24 gennaio 2020 in relazione all’asserita “matrice civilistica” della pretesa azionata, volta ad ottenere una “tutela del diritto reale dominicale” del tutto “scoordinat(a) da qualsivoglia ambito procedimentale o sindacato sulla legittimità provvedimentale”.

Orbene, ritiene il Collegio che la presente controversia, diversamente da quanto vorrebbe la Presidenza del Consiglio dei Ministri, debba essere trattenuta alla potestas iudicandi di questo T.A.R., ai sensi della norma generale di cui all’art. 133, comma 1, lett. g), del cod. proc. amm. che, infatti, devolve al giudice amministrativo la giurisdizione per “le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità”, ferma restando “la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”.

Soccorre al riguardo quel consolidato indirizzo giurisprudenziale (ispirato dalle celebri pronunce della Corte Costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006) secondo il quale, in materia di espropriazione per pubblica utilità, ad eccezione dei casi in cui l’amministrazione espropriante abbia agito nell’assoluto difetto di una potestà ablativa (ipotesi attribuite alla giurisdizione ordinaria), sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione - anche a fini risarcitori - di un’attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguente ad una dichiarazione di pubblica utilità, anche se il procedimento all’interno del quale tale attività è stata posta in essere non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprietà (in tal senso, questo T.A.R., sez. III ter, n. 637/2017 e altra pregressa giurisprudenza ivi citata), sicchè sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche in caso di (lamentati) danni conseguenti a contestati comportamenti di impossessamento del bene altrui, purchè tali comportamenti siano pur sempre collegati all’esercizio, anche se (in tesi) illegittimo, di un pubblico potere.

Nel caso di specie, il “comportamento” contestato dalla ricorrente (consistente nell’occupazione delle aree in questione per la realizzazione del nido aziendale dell’Università degli Studi di Roma “Roma Tre” in asserita assenza di una regolare procedura espropriativa) è indubbiamente riconducibile all’esercizio del pubblico potere ablatorio, risultando incontestato tra le parti che, con riferimento all’occupazione di cui si discorre, sia stato adottato il provvedimento del Commissario delegato per i Mondiali di Nuoto “Roma 2009” del 17 novembre 2008 prot. n. 4758/RM2009 recante “Disposizioni urgenti per lo svolgimento nel territorio della Provincia di Roma dei mondiali di Nuoto “Roma 2009”” di approvazione tra l’altro del piano delle opere relative alla realizzazione dell’asilo nido di cui si discorre, recante un’implicita dichiarazione di pubblica utilità.

Ne discende, dunque, l’evidente ricomprensione della presente controversia nell’ambito della giurisdizione esclusiva dell’adito giudice amministrativo, in quanto chiaramente connessa e correlata all’esercizio di pubblici poteri, afferendo essa ad un’ipotesi non già di “occupazione usurpativa” (per mancanza ab origine della dichiarazione di pubblica utilità o sua nullità), del tutto svincolata dall’esercizio del potere amministrativo, bensì di “occupazione acquisitiva” (per mancata adozione di un successivo decreto di esproprio), nell’ambito di una procedura espropriativa di cui si contesta la legittimità (ex multis, Sezioni Unite di Cassazione, 7 dicembre 2016 n. 25044 e Consiglio di Stato, Sezione IV, 12 giugno 2012 n. 3456).

Deve essere, ugualmente, respinta anche l’ulteriore eccezione apoditticamente formulata in rito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, di “decadenza dall’azione di risarcimento del danno ex art. 30, comma 5, c.p.a.”, osservando il Collegio come il presente gravame – instaurato con ricorso notificato il 19/20 gennaio 2018 e depositato il 24 dello stesso mese – risulti essere stato proposto nel rispetto del termine ivi previsto di centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che si sia pronunciata sull’azione di annullamento degli atti amministrativi in relazione ai quali si lamenta il pregiudizio, atteso che il deposito della citata sentenza n. 2833/2017 il 24 febbraio 2017 e suo passaggio il 24 settembre 2017 (per decorso del termine di sei mesi di cui all’art. 92 del c.p.a.), con conseguente tempestività dell’azione proposta da Fingem.

Quanto poi alla legittimazione passiva, il Collegio ritiene che essa spetti a Roma Capitale nonostante la controversia risarcitoria afferisca ad una procedura ablativa avviata dal citato Commissario delegato per i Mondiali di Nuoto “Roma 2009”, come longa manus del Presidente del Consiglio, atteso l’intervenuta abrogazione ad opera del d.l. n. 1/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2012, dell’art. 5 bis, comma 5, del d.l. n. 343/2001, convertito con modificazioni dalla l. n. 401/2001, che aveva introdotto nell’ambito delle competenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento protezione civile i cosiddetti “Grandi eventi”.

Venuta meno, dunque, con la novella legislativa del 2012 sopra richiamata, la competenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di “Grandi eventi” ed una volta cessata la gestione commissariale per il “grande evento” dei Mondiali di Nuoto Roma 2009, la legittimazione passiva ad causam deve, infatti, essere individuata nell’ente locale ordinariamente competente in tutti i rapporti attivi e passivi, anche in atto, facenti capo al Commissario cessato, atteso il disposto dell’art. 1, comma 422, della l. n. 147 del 27 dicembre 2013 ai sensi del quale “Alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti … subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi dell’art. 110 del codice di procedura civile …”.

In tal senso, si è anche pronunciata la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 8/2016, nel confermare la legittimità della citata normativa, ha evidenziato come, (anche) “con riguardo ai cosiddetti "grandi eventi"”, “Il "venir meno" della struttura commissariale, per il cui tramite lo Stato ha in concreto esercitato la funzione emergenziale, integra dunque il presupposto di una necessitata successione nei rapporti da questa posti in essere, che risultino ancora in atto, la cui riconduzione al fenomeno della successione universale è scelta legislativa non incongrua rispetto alle premesse che la sorreggono. I rapporti implicati da tale successione, infatti, sono correlati all'esercizio di una competenza che si è dispiegata su un tessuto fattuale (sociale ed economico) e giuridico, quello afferente al territorio inciso dalla situazione emergenziale, sul quale … opera l'ente territorialmente competente secondo il normale assetto delle attribuzioni costituzionali (legislative, regolamentari e amministrative). Ed è perciò ragionevole che le conseguenze (sia fattuali che) giuridiche, che residuano alla cessazione dello stato di emergenza e insistono ancora sull'anzidetto assetto territoriale, siano governate nuovamente in base all'ordinario sistema di competenze”, sicchè “il subentro dell'ente ordinariamente competente … investe appunto in toto la situazione in essere su cui lo Stato non può più esercitare alcuna competenza giuridica” e riguarda “i rapporti (anche ex iudicato) e i giudizi pendenti risalenti alla gestione commissariale … in consonanza con i principi sostanziali e processuali di riferimento, non potendosi sostenere che il successore a titolo universale, in quanto tale (e, dunque, titolare dello stesso rapporto sostanziale oggetto di giudicato), sia vulnerato nelle sue garanzie difensive dalla norma dell'art. 110 cod. proc. civ., la quale, in ogni caso, si appalesa pertinente a regolare il fenomeno in luogo dell'art. 111 cod. proc. civ., che attiene alla successione a titolo particolare”.

Ne discende la legittimazione passiva della resistente amministrazione comunale, atteso che, dopo la cessazione dell’ufficio commissariale inerente lo svolgimento del grande evento “Mondiali di Nuoto Roma 2009”, i rapporti pendenti – ivi incluso quello intercorrente con la società ricorrente - sono ormai tornati nel pieno esercizio delle prerogative di Roma Capitale.

Passando, dunque, ad esaminare il merito del ricorso, la pretesa di parte ricorrente è fondata e deve, quindi, essere accolta, seppur con le seguenti precisazioni.

La Fingem ha proposto un’azione ex art. 30 c.p.a., volta ad ottenere - previa dichiarazione dell’illegittimità dell’occupazione del terreno in questione per non essere intervenuto alcun provvedimento che ne sancisse il definitivo passaggio in mano pubblica - la condanna di Roma Capitale alla restituzione del fondo in proprio favore e, quindi, al risarcimento del danno in forma specifica, oltre al risarcimento del danno da occupazione illegittima, ovvero, in subordine, la condanna della stessa resistente al risarcimento del danno per equivalente monetario, fermo restando il diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima, come sopra specificato.

Ebbene la giurisprudenza amministrativa è granitica nell’affermare come l’occupazione e la trasformazione di un bene immobile per scopi di interesse pubblico in presenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità e di un legittimo decreto di occupazione d’urgenza, ma senza tuttavia adottare il provvedimento definitivo di esproprio, non possano giammai determinare un effetto traslativo della proprietà bensì debbano essere qualificate come occupazione sine titolo e dunque, illecito di carattere permanente, sicchè è fatto obbligo primario all’amministrazione di risarcire integralmente il relativo danno mediante la restituzione del fondo illegittimamente detenuto previa sua riduzione in pristino (ex art. 2058 c.c.) o, in alternativa, per equivalente, atteso che solo un formale atto di acquisizione del fondo riconducibile ad un negozio giuridico ovvero al provvedimento ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 (introdotto a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 43 dello stesso decreto) potrà, infatti, precludere la restituzione del bene.

Ciò posto, nel caso di specie - stante l’assenza di un titolo, valido ed efficace, idoneo al trasferimento della proprietà (decreto di esproprio, contratto o provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001) - deve essere affermata la permanenza della situazione di illiceità in cui versa Roma Capitale per l’attuale occupazione del terreno in questione.

Il Collegio rinviene, infatti, nel contestato comportamento tutti gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana per danno ingiusto, ravvisando sia il compimento di un atto illecito, derivante dalla perdurante occupazione sine titulo del fondo di parte ricorrente, sia l’elemento psicologico della colpa, per la negligenza dimostrata nella mancata conclusione della procedura espropriativa, sia il nesso causale tra l’azione appropriativa e il danno patito per effetto della sottrazione del bene e la trasformazione dei luoghi.

Con specifico riferimento al fatto illecito, costituiscono, infatti, principi acquisiti quelli per cui:

i) è oramai espunto dal nostro ordinamento giuridico l’istituto dell’occupazione acquisitiva - che, in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità o di una dichiarazione d'indifferibilità e urgenza esplicita o implicita, dell'occupazione dell'area e dell'irreversibile trasformazione del fondo nonché della scadenza del termine di occupazione legittima senza adozione di un decreto di esproprio ovvero in caso di annullamento giurisdizionale della procedura espropriativa, ipotizza un acquisto a titolo originario della proprietà del fondo in capo all’amministrazione occupante (legittimando il privato proprietario ad agire esclusivamente per il risarcimento del danno), in ragione dell'evidente contrasto con l’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU (secondo cui “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”), al cui rispetto il legislatore è vincolato in forza dell'art. 117, comma 1, della Costituzione;

ii) caduto il presupposto della possibilità di affermare in via interpretativa che da un’attività illecita dell’amministrazione possa derivare la perdita del diritto di proprietà da parte del privato, diviene applicabile lo schema generale degli artt. 2043 e 2058 c.c., il quale non solo non consente l’acquisizione autoritativa alla mano pubblica del bene altrui su cui sia stata realizzata un’opera di pubblica utilità o di pubblico interesse, ma attribuisce al proprietario, rimasto tale, la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell'immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione, ecc.), oltre al consueto risarcimento del danno - limitato, però, al valore d’uso del bene - secondo i parametri dell’art. 2043 c.c. (ex plurimis, Sezioni Unite di Cassazione, sentenza n.735 del 19 gennaio 2015);

iii) il privato, il cui bene sia stato illegittimamente occupato dall’amministrazione, ne rimane in ogni caso proprietario (non potendosi attribuire efficacia abdicativa della proprietà neppure all’eventuale domanda risarcitoria per equivalente), sicché il risarcimento del danno subito dovrà coprire non già il valore venale del bene, bensì il solo valore d’uso del bene medesimo, dal momento della sua illegittima occupazione fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie, ovvero fino al momento in cui l’amministrazione acquisterà legittimamente la proprietà dell’area, vuoi con il consenso della controparte mediante contratto, vuoi mediante l’adozione del provvedimento autoritativo di acquisizione sanante ex art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (in tal senso, T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 23 maggio 2018, n. 3368);

iv) “alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 71 del 2015, l'adozione dell'atto acquisitivo ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001 è consentito quale "extrema ratio" per la soddisfazione di "attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico", solo quando siano state escluse, all'esito di una effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati, le altre opzioni sopra configurate” (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 2690 del 17 giugno 2016).

Dall’applicazione delle superiori coordinate ermeneutiche al caso in esame discende, dunque, l’illiceità dell’occupazione e detenzione del suolo di proprietà della società ricorrente con conseguente:

- accertamento in capo a Roma Capitale dell’obbligo (civilistico) di procedere al ripristino del diritto di proprietà, mediante la restituzione del suolo occupato e detenuto in assenza di un titolo legittimante, salva la facoltà dell’ente di continuare a utilizzare i fondi purché li acquisisca legittimamente, mediante lo strumento autoritativo previsto dall’art. 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001, con le conseguenze patrimoniali ivi indicate, ovvero attraverso gli ordinari strumenti privatistici, con il consenso del privato anche in relazione ai corrispettivi patrimoniali da corrispondere;

- condanna di Roma Capitale al risarcimento del danno da occupazione illegittima per tutto il periodo in cui la società ricorrente è stata privata del possesso del bene, vale dire dal momento in cui l’occupazione è divenuta tale (14 aprile 2009) fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie (restituzione del bene ovvero sua acquisizione mediante l’adozione del provvedimento di cui al citato art. 42 bis o la stipula di un contratto).

Orbene, quanto al risarcimento del danno, il Collegio pronuncia sentenza ai sensi dell’art. 34, comma 4, del cod. proc. amm. (che, infatti, consente al giudice, in caso di condanna pecuniaria, di stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine), stabilendo che Roma Capitale, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ovvero della sua notifica su istanza di parte se anteriore, proponga alla Fingem il pagamento delle somme dovute - da quantificarsi secondo i criteri di liquidazione di seguito esposti - e proceda al relativo versamento entro i sessanta giorni successivi al raggiungimento del relativo accordo.

Nello specifico, stabilisce a tal fine il Collegio che:

- tale danno potrà quantificarsi, con valutazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., nell'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene, in linea con il parametro fatto proprio dal legislatore all’art. 42 bis, comma 3, del d.P.R. n. 327/2001, suscettibile di applicazione analogica in quanto espressione di un principio generale (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli Sez. V, sentenza n. 4873/2019);

- quanto alla determinazione del valore venale del bene, da valutarsi unicamente per definire il parametro per la determinazione del danno patrimoniale da illegittima occupazione (pari al 5% annuo), l’ente intimato dovrà, tenuto conto della destinazione urbanistica dell’area:

i) utilizzare il metodo di stima diretta (o sintetica), che consiste nella determinazione del più probabile valore di mercato di un bene mediante la comparazione di valori di beni della stessa tipologia di quello oggetto di stima (atti di compravendita di terreni finitimi e simili), avuto, altresì, riguardo alle indicazioni della società ricorrente quanto all'accertamento del valore di mercato del terreno de quo;

ii) devalutare e rivalutare annualmente i valori medi a metro quadro indicati per il terreno interessato, secondo gli indici dell'andamento dei prezzi del mercato immobiliare pubblicati nei siti internet delle maggiori e più accreditate società di studi e di osservatori del mercato immobiliare, per comprendere il periodo che va dall’inizio dell’illegittima detenzione fino all’attualità;

iii) su tali ultimi valori - devalutati al momento dell'illegittimo possesso e aggiornati all'attualità - andranno, computati, a titolo di risarcimento del danno dovuto, gli interessi nella misura del 5% per ogni anno di occupazione illegittima sino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie.

Il Collegio ricorda - altresì - che in caso di mancata offerta, di mancato accordo sulla somma offerta o di mancato adempimento dell’accordo il rimedio esperibile è, ai sensi del citato 34, comma 4, del cod. proc. amm., quello del giudizio di ottemperanza.

In conclusione, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, il ricorso deve essere accolto, con la condanna di Roma Capitale a:

- la reintegra nel possesso, mediante restituzione in favore della Fingem, previo ripristino dell’originario stato, del suolo attualmente oggetto di occupazione illegittima, fatta salva la facoltà dell’ente comunale di continuare a utilizzare il fondo purché lo acquisisca legittimamente, mediante lo strumento autoritativo previsto all’art. 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001, con le conseguenze patrimoniali ivi indicate, ovvero attraverso gli ordinari strumenti privatistici, con il consenso del privato anche in relazione ai corrispettivi patrimoniali da corrispondere;

- il risarcimento, in favore della società ricorrente, del danno patrimoniale da occupazione illegittima, calcolato secondo i criteri sopra indicati.

Le spese di lite seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo ponendole a carico di Roma Capitale mentre possono essere compensate per quanto riguarda la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, per l’effetto condannando Roma Capitale:

a) alla reintegra nel possesso, mediante restituzione in favore della F., previo ripristino dell'originario stato, dei suoli siti nel territorio comunale, attualmente oggetto di occupazione illegittima, fatta salva l’adozione di provvedimenti volti alla regolarizzazione postuma della fattispecie;

b) al risarcimento del danno patrimoniale conseguentemente subito dalla società ricorrente da liquidarsi, su accordo delle parti, ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm., secondo i criteri e nei tempi indicati in motivazione.

Condanna Roma Capitale alla refusione, in favore della società ricorrente, delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato, over versato.

Spese compensate con la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Riccio, Presidente

Eleonora Monica, Primo Referendario, Estensore

Michele Tecchia, Referendario

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Eleonora Monica

Francesco Riccio

IL SEGRETARIO

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