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Incentivazione energetica

Privato
Mercoledì, 7 Maggio, 2025 - 09:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), sentenza n. 3264 del 16 aprile 2025, sulla incentivazione enegetica 

MASSIMA

Il meccanismo di incentivazione conosciuto con la denominazione di “certificati bianchi” o "titoli di efficienza energetica (TEE)", secondo la giurisprudenza, si struttura come “a formazione successiva o progressiva” in quanto consta di due fasi: quella di preliminare approvazione della proposta di progetto e di programma di misura (PPPM) e quella successiva, di validazione delle richieste di verifica e certificazione (RVC) presentata al gestore dei servizi energetici (GSE).

SENTENZA

N. 03264/2025REG.PROV.COLL.

N. 01223/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1223 del 2023, proposto dalla OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Lirosi e Elisabetta Gardini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Società Gestore dei servizi energetici – OMISSIS., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Segato e Antonio Pugliese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Panama, n. 68;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza ter, 2 agosto 2022, n. 10898, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società Gestore dei servizi energetici – G.S.E. s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 25 marzo 2025, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Elisabetta Gardini e l’avvocato Andrea Segato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1.Oggetto del presente giudizio è l’annullamento d’ufficio da parte della Società Gestore del servizio energetico s.p.a. (d’ora in avanti solo G.S.E. o “il Gestore”) del provvedimento di accoglimento della Proposta di Progetto e di Programma di Misura (PPPM) e delle tre successive Richieste di Verifica e Certificazione (RVC), già avallate, con contestuale rigetto della quarta richiesta, presentata dalla Società OMISSIS (d’ora in avanti solo “la Società” o “OMISSIS”) in data 13 gennaio 2016.

1.1. Va premesso in fatto che la OMISSIS oggi in liquidazione, è una società di servizi energetici (Energy Saving Company, o OMISSIS) accreditata che svolge attività di consulenza in materia di ottimizzazione e risparmio energetico per terzi.

1.2. In tale veste ha presentato, in data 8 aprile 2013, per conto della Società Sulpol s.r.l. di Borgo Trevi (PG), una PPPM avente ad oggetto un intervento di efficientamento energetico consistente nella sostituzione del compressore in uso a quest’ultima per la produzione di aria compressa destinata all’alimentazione degli azionamenti meccanici delle macchine stampatrici di componenti in EPS (polistirolo espanso) e degli apparati ausiliari. Ciò al fine di garantire l’assorbimento della sola potenza necessaria a mantenere l’equilibrio del circuito di aria compressa, evitando il lavoro della macchina in ogni istante di carico con massimo assorbimento di potenza elettrica, come avveniva con il precedente macchinario. Il progetto veniva approvato dal G.S.E. in data 13 giugno 2013, peraltro all’esito di apposita richiesta di chiarimenti del 3 maggio 2013 riferiti nello specifico all’impianto e agli strumenti di misura utilizzati, al loro posizionamento e alla frequenza delle operazioni di taratura di tutta la strumentazione installata.

1.3. Le prime tre RVC (rispettivamente in data 9 maggio 2014, 22 maggio 2015 e 13 ottobre 2015) andavano a buon fine; la quarta, invece, datata 13 gennaio 2016, veniva valutata sfavorevolmente, anche nella versione aggiornata del 25 febbraio 2016 presentata unitamente al riscontro alle richieste di chiarimenti avanzate da ENEA con nota del 15 febbraio 2016.

Da qui l’atto impugnato del 17 giugno 2016, preceduto da comunicazione di avvio del procedimento del 29 aprile 2016, con il quale il Gestore dichiarava sia di annullare d’ufficio, ai sensi della legge n. 241 del 1990, il provvedimento di accoglimento della PPPM (n. 0388428023513T149) e le precedenti richieste di certificazione (RVC n. 0388428023514R2012, n. 0388428023514R2012-1#1 e n. 0388428023514R2012-1#2), sia di respingere l’ultima (0388428023514R2012-1#3), «in quanto dalla documentazione trasmessa risulta che i risparmi generali dell’intervento sono non addizionali, poiché si sarebbero comunque verificati per effetto dell’evoluzione tecnologica, normativa e del mercato». Il solo risparmio di energia elettrica (75 tep/anno), infatti, calcolato sulla base dei risparmi dichiarati con le RVC presentate, già di per sé avrebbe consentito un risparmio economico «significativamente superiore al costo dell’investimento dichiarato».

2. La Società Cloros s.r.l. impugnava il provvedimento dinnanzi al T.a.r. per il Lazio, articolando tre distinti motivi di gravame (estesi da pagina 13 a pagina 27), con i quali lamentava plurime violazioni dei principi della legge n. 241 del 1990, e segnatamente quelli in materia di autotutela, essendo stato ampiamente superato il termine di diciotto mesi previsto per il suo esercizio dalla normativa applicabile ratione temporis. Lamentava altresì la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 115 del 2008, del d.lgs. n. 28 del 2011, dell’art. 6 del d.m. 28 dicembre 2012 e degli articoli 1 e 6 dell’Allegato “A” alla Delibera AEEG n. EEN 9/11, stante che la nozione di addizionalità prospettata –peraltro in maniera non chiara – dal G.S.E., non troverebbe alcun riscontro nella cornice normativa di riferimento, che non reca traccia dell’ammortizzamento dei costi dell’investimento e del tempo minimo di rientro dell’intervento.

3. Il Tribunale adito con la sentenza n.10898 del 2022, segnata in epigrafe, ha respinto il ricorso ritenendo non corretta la qualificazione dell’atto impugnato, da ricondurre piuttosto al genus della decadenza, espressione dello «speciale e vincolato potere di verifica e controllo, estraneo al paradigma dell’autotutela (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 18/2020)», di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011. Quanto detto a prescindere dal richiamo ai principi afferenti la stessa introdotti nella norma dalla riforma del 2020 - peraltro inapplicabili al caso in esame - stante che la stessa «come più volte detto, non ha mutato la natura del potere, ma solo esteso alla decadenza i presupposti di cui all’art. 21-novies per il suo esercizio». Ha quindi escluso l’avvenuta violazione di qualsivoglia garanzia procedimentale, nonché la sussistenza di contraddizioni di sorta tra l’originaria valutazione positiva della PPPM e il ripensamento della stessa in sede di istruttoria della quarta RVC, in quanto ciò risponderebbe alla peculiarità del meccanismo di accesso ai titoli di efficienza energetica (TEE) o certificati bianchi, che presuppone una “formazione progressiva”, ovvero l’integrazione della fase di avallo preventivo della proposta, con il periodico riscontro delle richieste di verifica e certificazione dei risparmi conseguiti. La riscontrata mancanza del requisito dell’addizionalità, condizione essenziale e fondamentale del sistema incentivante, da interpretare in senso economico, con onere probatorio della sussistenza a carico del richiedente, ben giustificherebbe l’adozione della decadenza.

5. Avverso la sentenza la Cloros s.r.l. interponeva appello, di fatto riproponendo in chiave critica i tre motivi di diritto (estesi da pagina 11 a pagina 26) avanzati in primo grado, ovvero:

i) error in iudicando con riferimento al primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Il T.a.r. per il Lazio avrebbe indebitamente (ri)qualificato l’atto, dichiaratamente espressivo del potere di autotutela, come esercizio del controllo finalizzato alla decadenza, seppure esso neppure menzioni al suo interno l’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011. Trattandosi invece di una chiara ipotesi di annullamento d’ufficio anche alla luce dei principi consolidati nella giurisprudenza amministrativa per distinguere tra i due istituti (v. Cons. Stato, sez. II, 28 settembre 2021, n. 6516), ne andava affermata l’illegittimità, in quanto non rispettoso di alcuno dei presupposti che lo legittimano. Mancherebbero, cioè, sia il vizio dell’atto da annullare, sia il rispetto del termine di diciotto mesi, ma anche di quello “ragionevole”, ove si intenda fale riferimento alla originaria formulazione della norma (motivo d’appello sub § 1.2.1), sia infine l’interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità lesa, da ritenere prevalente su quello del destinatario al mantenimento dell’efficacia dell’atto (motivi sub 1.2.2 e 1.2.3, quest’ultimo specificamente rubricato: « Il legittimo affidamento della Società»);

ii) error in iudicando con riferimento al secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, relativo alla omessa valutazione delle osservazioni formulate dalla Società all’esito della ricezione dell’avvio del procedimento, non essendone dimostrativa la mera menzione nelle premesse dell’atto. Un’attenta analisi delle stesse, infatti, avrebbe consentito di confermare la riconosciuta addizionalità, tanto più che la stessa è quantificata nella misura del 100 % nella scheda analitica n. 31E, ove fosse stata utilizzata la rendicontazione standardizzata, che la Società all’epoca dubitava potesse estendersi ai casi di sostituzione di compressori senza inverter con nuovi compressori, come invece chiarito in epoca successiva dal G.S.E.;

iii) error in iudicando con riferimento al terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Il requisito dell’addizionalità andrebbe ricavato dalla definizione di risparmio netto, ossia il risparmio lordo depurato dai risparmi energetici che si stima si sarebbero comunque verificati, anche in assenza di un intervento o di un progetto, per effetto dell’evoluzione tecnologica, normativa e del mercato. Il G.S.E., invece, avrebbe introdotto -peraltro ex post- un concetto di addizionalità estraneo al quadro normativo in quanto riferito al riassorbimento dei costi di investimento.

5.1. A corredo del gravame accludeva copiosa documentazione, tra cui due istanze inoltrate al G.S.E. rispettivamente in data 23 ottobre 2020 e 28 aprile 2022, per la revoca dell’annullamento d’ufficio, e la conseguente riammissione al meccanismo incentivante a far data dall’interruzione dell’erogazione dei relativi titoli di efficienza energetica. Ciò in applicazione delle previsioni contenute nei commi 3-bis e 3-ter dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, introdotti dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, seppure con espressa clausola di salvezza delle ragioni alla base dell’attuale contenzioso.

6. In data 20 febbraio 2023 si costituiva in giudizio il G.S.E. che instava per il rigetto dell’appello in quanto infondato nel merito.

7. In data 21 febbraio 2025, le parti depositavano memoria ex art. 73 c.p.a. in vista dell’udienza.

7.1. L’appellante insisteva per le conclusioni proposte nel proprio atto introduttivo.

7.2. Il G.S.E. ribadiva la correttezza dell’inquadramento dell’atto impugnato come declaratoria di decadenza. La mancata analisi della documentazione prodotta dalla Cloros s.r.l. nel corso del procedimento, pertanto, quand’anche veritiera, sarebbe stata ininfluente, stante che la giurisprudenza è costante nel ritenere che l’amministrazione non è tenuta a svolgere un’analitica confutazione delle deduzioni introdotte ai sensi dell’art. 10-bis della l. n. 241/1990, essendo sufficiente ai fini della giustificazione una motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto finale. Infine, in merito al requisito dell’addizionalità dell’intervento, ha richiamato la ratio sottesa al rilascio dei TEE, che è quella di premiare soltanto gli interventi che, in assenza degli incentivi, non avrebbero potuto essere realizzati: conformemente al c.d. effetto di incentivazione, che costituisce uno dei principali pilastri della disciplina degli aiuti di Stato, il sistema ha cioè di mira l’obiettivo di stimolare i potenziali beneficiari ad intraprendere attività economiche che altrimenti non avrebbero intrapreso in assenza della concessione dell’aiuto. Il che porterebbe ad escludere la valenza “premiale” dell’intervento proposto.

8. All’udienza pubblica del 25 marzo 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

9. L’appello va accolto, con le precisazioni di seguito chiarite.

10. In via preliminare il Collegio reputa opportuno inquadrare l’atto di cui è causa, che sotto il profilo degli effetti deve essere annoverato tra quelli a contenuto plurimo. Come la Sezione ha già avuto modo di precisare (Cons. Stato, sez. II, 4 aprile 2024, n. 3105), l’atto a contenuto plurimo si caratterizza per la concentrazione delle finalità che normalmente connotano atti distinti in un unico contesto, spesso anche motivazionale, giusta la stretta interconnessione e talvolta conseguenzialità, fra le (diverse) scelte operate dall’Amministrazione. Esso non necessariamente ha anche una pluralità di destinatari, come avviene invece per l’atto plurimo stricto sensu inteso, ove la pluralità dei provvedimenti nasce dalla loro omogeneità di contenuto, che ne rende inutilmente dispendiosa la moltiplicazione in ragione del numero dei soggetti nella cui sfera giuridica si va ad incidere.

10.1. La nota del 17 giugno 2016 reca infatti in sé sia l’annullamento d’ufficio del provvedimento di accoglimento della PPPM presentata da Cloros s.r.l. per conto di Sulpol s.r.l e delle prime tre RVC afferenti il progetto, sia il rigetto della RVC n. 0388428023514R2012-1#3, quale conseguenza del primo (si veda l’incipit dell’atto impugnato in parte qua, che reca: «[…] e, conseguentemente […]»).

10.2. Per contro, proprio tale duplicità contenutistica, in verità ignorato sia dalle parti che dal primo giudice, evidenzia le specificità della cornice normativa sottesa alla vicenda, sulla quale è ora opportuno soffermarsi brevemente.

11. Come la giurisprudenza, anche della Sezione, ha avuto modo di ricordare in plurime occasioni (ex multis, Cons. Stato, sez. II, 24 marzo 2025, n. 2433), il meccanismo dei certificati bianchi, o titoli di efficienza energetica (TEE), è stato introdotto dal d.m. 20 luglio 2004, recante «Nuova individuazione degli obiettivi quantitativi per l’incremento dell’efficienza energetica negli usi finali di energia, ai sensi dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79», allo scopo di incentivare i distributori di energia elettrica e di gas naturale a raggiungere annualmente obiettivi quantitativi di risparmio di energia primaria, espressi in “Tonnellate Equivalenti di Petrolio” (TEP) risparmiate. La relativa disciplina è stata successivamente integrata dai d.m. 28 dicembre 2012 - di interesse ai fini di causa -, 11 gennaio 2017 e 10 maggio 2018 (adottati in attuazione dell’art. 29 del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28).

11.1. Il d.m. 28 dicembre 2012 ha anche trasferito al G.S.E. l’attività di gestione, valutazione e certificazione dei risparmi correlati ai progetti di efficienza energetica nell’ambito del meccanismo dei certificati bianchi, già di competenza dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (art. 5), conservando l’applicazione, fino all’entrata in vigore del decreto di approvazione del relativo adeguamento, delle linee guida di cui alla delibera EEN 09/11 del 27 ottobre 2011 della precedente Autorità di settore, nelle parti non incompatibili con il medesimo decreto (art. 6) (sul punto, v. Cons. Stato, sez. II, 9 ottobre 2023, n. 8762; id., 30 marzo 2022, nn. 2342, 2340, 2334 e 2329).

12. Il meccanismo di accesso ai certificati bianchi è stato definito dalla giurisprudenza, in verità in maniera non del tutto propria, come “a formazione progressiva o successiva”, per valorizzare la circostanza che dopo l’approvazione della PPPM è comunque necessaria una richiesta di valutazione e certificazione del risparmio conseguito agendo in conformità e coerenza con la stessa. La rendicontazione dei risparmi ottenuti dal progetto di efficienza energetica in un determinato periodo di monitoraggio avviene, cioè, mediante la presentazione al G.S.E. di una richiesta di certificazione (RVC), che può assumere modalità diverse.

12.1. La modalità di rendicontazione è correlata alla tipologia di progetto che si è inteso presentare, che -limitandosi alle due casistiche qui di specifico interesse- può essere “a consuntivo” (PC), implicante una misura puntuale delle grandezze caratteristiche sia nella configurazione ex ante, sia in quella post-intervento, ovvero “standardizzato” (PS), che comporta invece che al verificarsi di specifiche condizioni di ripetitività e non convenienza economica, possano misurarsi le grandezze caratteristiche di un idoneo campione rappresentativo dei parametri di funzionamento del progetto.

12.1.1. Nella specie, va da subito ricordato come la Società ha scelto la ( a suo dire più gravosa) metodologia a consuntivo, sicché non può ora dolersi della circostanza che utilizzando quella standardizzata avrebbe potuto utilizzare il modello 31E, riguardante l’«installazione di sistemi elettronici di regolazione della frequenza (inverter) in motori elettrici operanti su sistemi per la produzione di aria compressa con potenza uguale o superiore a 11 kW», per la quale al quadro 1.2 si indica un coefficiente di addizionalità del 100 %: ciò in particolare in ragione del fatto che l’effettiva sovrapponibilità della propria progettualità, afferente la sostituzione del macchinario precedente con altro più performante dotato di inverter, alla ivi menzionata installazione di inverter su strumentazione già in essere, avrebbe dovuto essere oggetto di specifica dimostrazione, non di mera affermazione, per giunta postuma, effettuata evocando le “Faq” chiarificatrici in tal senso pubblicate dallo stesso Gestore.

13. L’art. 1 della richiamata deliberazione EEN 09/11, stabilisce che il «risparmio netto (RN) è il risparmio lordo, depurato dei risparmi energetici non addizionali, cioè di quei risparmi energetici che si stima si sarebbero comunque verificati, anche in assenza di un intervento o di un progetto, per effetto dell’evoluzione tecnologica, normativa e del mercato».

13.1. Il concetto di “addizionalità”, che costituisce uno dei principi fondamentali per il funzionamento dei fondi strutturali e di investimento europei, con riferimento al regime dei certificati bianchi evoca, anche da un punto di vista meramente terminologico, la necessità che la progettualità proposta realizzi un valore aggiunto da incentivare. Essa, cioè, deve integrare ovvero arricchire, senza risolversi nella stessa, la soluzione tecnologica standard di per sé utilizzabile alla data di realizzazione del progetto, ancorché essa stessa già migliorativa dello status quo antecedente. In tale contesto, la verifica del rapporto tra il costo sostenuto per la realizzazione del progetto e i risparmi conseguibili rappresenta effettivamente uno degli strumenti utili per comprovare che agli stessi non si sarebbe comunque addivenuti «per effetto dell’evoluzione tecnologica, normativa e del mercato». In particolare, bassi valori di tale parametro costituiscono certamente un segnale dell’opportunità per il proponente di realizzare l’intervento a prescindere dalla concessione dell’incentivo, grazie alla disponibilità di soluzioni tecnologiche in grado di garantire ritorni dell’investimento in tempi ridotti.

13.2. In merito alle voci da considerare per la costruzione del rapporto di cui sopra, dunque, il G.S.E. ha nel tempo chiarito che il proponente deve inoltrare informazioni proprio sui costi di realizzazione strettamente connessi all’intervento, sui costi supplementari di manutenzione, sui costi di fornitura di tutti i combustibili impiegati, dell’energia elettrica e di eventuali altri vettori energetici (es. vapore).

13.3. La giurisprudenza ha a sua volta precisato che il requisito dell’addizionalità dei risparmi deve essere inteso in termini non legati soltanto all’evoluzione tecnologica, ma estesi anche ai profili economici (o di “mercato”) che sono sottesi alla messa in atto dell’intervento. Ciò significa che devono essere escluse dal sostegno le tecnologie già rappresentative del mercato stesso o del settore di riferimento, nonché gli interventi che devono essere realizzati per effetto di obblighi normativi. Quelli suscettibili di incentivazione sono, quindi, concretamente “aggiuntivi” rispetto a quanto si sarebbe realizzato per evidenti esigenze di competitività pure in assenza dell’incentivazione. Diversamente opinando, essa finirebbe per debordare in sussidi all’impresa da parte dello Stato, in quanto tale lesiva dei principi a tutela della concorrenza (Cons. Stato, sez. II, 23 maggio 2023, n. 5095, di conferma della sentenza del T.a.r. per il Lazio, riferita a fattispecie di annullamento d’ufficio da parte del G.s.e. dei provvedimenti con i quali aveva approvato la PPPM e la prima richiesta di verifica e controllo, riconoscendo alla società l’accesso ai benefici; in senso analogo, sez. IV, 12 aprile 2019, n. 2380 del 2019).

13.4. Il Collegio ritiene dunque che diversamente da quanto opinato dall’appellante la cornice normativa non osti affatto all’individuazione - recte, alla dimostrazione - di un concetto di addizionalità che in quanto “economica” attinga anche ai costi dell’investimento e al loro ammortamento nel tempo, evitando sostanzialmente di duplicarne la redditività intrinseca, riconducibile ad esempio alla minor spesa per l’energia elettrica ex se. Ma di ciò occorre dare chiaramente conto nella motivazione del provvedimento, stante che lo stesso concetto di «evoluzione tecnologica» ha un intrinseco connotato di dinamicità che ne rende mutevole la definizione, sicché in astratto il ripensamento ben potrebbe dipendere dalla constatata diffusione della strumentazione proposta ovvero della sua accessibilità, anche in termini di costo. La velocità di invecchiamento di una tecnologia, peraltro, è direttamente proporzionale al suo livello di sofisticazione, che impone cambiamenti, anche repentini, in tempi limitati, e ben giustificherebbe un mutamento prospettico rispetto ad una prima scelta ponderata, piuttosto che l’individuazione nella stessa di un errore, peraltro non esplicitato.

13.5. Vero è che la prova dell’addizionalità dell’intervento deve essere fornita dal proponente, secondo la metodologia di valutazione a consuntivo ex art. 6 della delibera EEN 9/11 al fine di stabilire se il risparmio energetico che si ritiene incentivabile non sia da ricondurre al semplice approvvigionamento di strumenti tecnologici di mercato, che, per le dinamiche evolutive che lo contraddistinguono, comportano una progressiva riduzione di dispendio energetico (Cons. Stato, sez. II, n. 5095 cit. supra; v. anche 7 aprile 2022, n. 2581). Ma nella specie la Società, almeno fino alla richiesta di cambio dell’algoritmo di calcolo, si è limitata ad indicare i risparmi (peraltro insussistenti in un certo lasso di tempo) in applicazione della progettualità approvata, all’esito peraltro delle ricordate interlocuzioni istruttorie che ne rendevano chiara nella sua configurazione la relativa prospettazione.

13.6. Quanto alla valutazione del Gestore circa l’assenza del requisito di addizionalità, tipica espressione di discrezionalità tecnica, «[…] la consolidata giurisprudenza amministrativa riconosce, alle valutazioni del Gestore in merito all’addizionalità del risparmio energetico, adeguati spazi di discrezionalità tecnica, così che il sindacato sulle stesse, avendo pur sempre ad oggetto la legittimità e non il merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, ovvero altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti […]» (cfr. Cons. Stato, sez. II, 24 marzo 2025, n. 2423; id., 28 marzo 2025, n. 2593). Il che avrebbe forse legittimato una valutazione negativa ex ante, non un successivo ripensamento non supportato da adeguata motivazione. Se è vero dunque che il requisito dell’addizionalità è condizione essenziale e fondamentale del sistema incentivante che non può ricavarsi automaticamente dall’avvenuta approvazione della PPPM (cfr. Cons. Stato, sez. II, 28 marzo 2025, n. 2593), lo è in egual misura che esso, proprio in ragione della sua strategicità, non può essere messo in discussione sine die una volta che ridetta approvazione sia intervenuta, lasciando presumere che ne sia stata vagliata in senso positivo la sussistenza.

14. Oltre ai distributori di energia, la normativa consente la partecipazione al menzionato meccanismo anche ad altri soggetti volontari, tipicamente rappresentati dalle società di Servizi Energetici (ESCO), come di fatto accaduto nel caso di specie, o dalle società che abbiano nominato un esperto certificato in gestione dell’energia (EGE).

15. Tornando alla presentazione delle RVC, se la valutazione ha esito positivo, il G.S.E. autorizza il Gestore dei mercati energetici (G.M.E.) all’emissione dei titoli di efficienza energetica. A contrario, può accadere che una o più RVC vengano esitate negativamente, senza che ciò implichi il necessario coinvolgimento delle precedenti, ovvero, ancor più radicalmente, la caducazione della proposta progettuale di partenza. L’art. 14 del d.m. 28 dicembre 2012 consente infatti verifiche a campione all’esito delle quali, nel solo caso in cui «siano rilevate modalità di esecuzione non regolari o non conformi al progetto, che incidono sulla quantificazione o l’erogazione degli incentivi, il GSE dispone l’annullamento dei certificati imputabili all’irregolarità riscontrata e applica al soggetto responsabile le misure di cui all’articolo 23, comma 3, del d.lgs. 28/2011, provvedendo, ai sensi dell’articolo 42 del medesimo decreto, a darne segnalazione alle autorità competenti, ivi inclusa l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ai fini dell’irrogazione delle eventuali sanzioni».

16. Con la modifica introdotta dall’art. 56, comma 7, del d.l. n. 76/2020 all’originario comma 3 dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, alla decadenza sono stati estesi i presupposti di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, che pertanto si aggiungono a quelli propri del potere esercitato, senza mutarne la natura, né il carattere vincolato.

Tale ultima affermazione, alla quale il Collegio intende conformarsi, non impedisce tuttavia di riconoscere alla riforma la giusta spinta ideologica nel senso di arginare le precedenti letture che facendo leva sulla diversità terminologica tra annullamento d’ufficio e decadenza, finivano per disattendere la chiara voluntas legis della riforma della legge n. 241 del 1990 operata dalla c.d. delega “Madia” del 2015 e in attuazione della stessa. Di ciò è chiara traccia anche nei pareri resi dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato sui decreti legislativi c.d. “SCIA 1” e “SCIA 2”. Sottraendo l’istituto al regime generale dell’autotutela caducatoria con effetto ex tunc per vizi originari dell’atto, e nel contempo legittimando la reazione della “decadenza con recupero” a distanza di anni, si consentiva cioè sempre e comunque di prescindere da ogni valutazione dell’elemento soggettivo, in nome di una malintesa prevalenza ex lege dell’interesse pubblico a rientrare in possesso di quanto illegittimamente concesso, in un ambito peraltro di significativa importanza quale l’incentivazione delle politiche energetiche alternative.

16.1. Pur essendo indubbia l’applicazione della (nuova) regola ai soli procedimenti avviati dopo la sua entrata in vigore e fermo restando il regime transitorio di cui all’art. 56, comma 8, del d.l. n. 76/2020, la nuova disciplina conferma la sentita necessità di un allineamento in tutti gli ambiti alle regole poste a tutela della certezza delle situazioni giuridiche e all’importanza sempre più significativa attribuita al fattore tempo delle decisioni amministrative.

17. Proprio ispirandosi a tali principi, ancor prima delle modifiche del 2020, si era fatto strada un orientamento giurisprudenziale volto a distinguere dal potere di decadenza quello di annullamento d’ufficio, facendo leva proprio sui principi generali di cui alla l. n. 241 del 1990. Si voleva così impedire che la speciale decadenza di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, con tutte le peculiarità che la connotano (v. ancora Cons. Stato, A.P. n. 18 del 2020), finisse per fagocitare, attraendoli nella propria orbita per una forza centripeta assorbente, tali istituti generali, rendendoli sostanzialmente inapplicabili nella materia de qua. L’irrilevanza del nomen iuris evocata dal primo giudice, è stata dunque utilizzata piuttosto in senso diametralmente opposto, ovvero per neutralizzare la indebita qualificazione come decadenza di provvedimenti chiaramente riconducibili alla categoria dell’annullamento d’ufficio. Ciò sull’assunto che non può non ritenersi illegittima l’indiscriminata rimessa in discussione dei presupposti iniziali favorevolmente valutati, senza il rispetto delle necessarie garanzie e degli affidamenti in capo alle imprese direttamente coinvolte. Una volta pertanto che il procedimento si è concluso con il vaglio positivo degli elementi forniti dal privato, il riesame dei medesimi elementi, non indotto da successive emersioni, ovvero non dovuto a omissioni informative o false rappresentazioni, o inadempimenti ad obblighi assunti, deve seguire i canoni ed i presupposti dell’esercizio del potere di autotutela, sotto tutti i punti di vista, ivi compresa la denominazione formale. Ne discende che «anche l’esercizio di poteri di revisione del precedente assenso regolatorio debbano essere esercitati nel rispetto dei principi dettati, in generale per le tradizionali autorità, con riferimento al potere di autotutela. Ciò non solo con riferimento al formale rispetto dei presupposti, ma anche relativamente alla verifica istruttoria e motivazionale degli elementi forniti dai soggetti passivi, sia in relazione ai presupposti iniziali sia rispetto alle alternative che le stesse società avrebbero potuto perseguire, in specie dinanzi al mutamento di interpretazione dell’autorità». (Cons. Stato, sez. VI, 29 luglio 2019 n. 5324).

17.1. La strategicità della funzione di controllo della corretta erogazione di risorse pubbliche assegnata al G.S.E., che non consente una limitazione nel tempo della stessa, neppure legittima però superficialità ovvero mancate istruttorie, confidando proprio sulla possibilità di recuperare in qualsiasi momento, sub specie di vigilanza, appunto, elementi che ben avrebbero potuto –recte, dovuto – essere immediatamente stigmatizzati. Quanto detto a maggior ragione ove si abbia a mente che l’intero sistema normativo degli incentivi energetici guarda con favore alla loro diffusione in un’ottica di risparmio e salvaguardia ambientale rispondente a precisi obiettivi europei. In sintesi, l’evoluzione del sistema si è attestata via via nel senso del pretendere, senza eccezioni di sorta, e dunque anche nell’ambito delle erogazioni delle risorse pubbliche, il rispetto di quei principi di leale collaborazione che da ultimo il legislatore ha inteso positivizzare inserendo un apposito comma nell’art. 1 della l. n. 241 del 1990 (comma 2-bis, inserito dall’art. 12, comma 1, del più volte citato d.l. n. 76/2020).

18. Anche con riferimento al potere del G.S.E. in materia di certificati bianchi, sono intervenute novelle legislative alla cornice giuridica originaria cui occorre fare cenno in questa sede. In particolare, con la legge annuale per il mercato e la concorrenza n. 124 del 4 agosto 2017, al preciso scopo di formalizzare il possibile iato tra i due segmenti procedimentali (l’approvazione della PPPM e l’avvallo delle RVC), sono stati introdotti nell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011 i commi 3-bis e 3-ter, riferiti proprio alla materia dei certificati bianchi. Le disposizioni in questione, anche nella versione conseguita alle ulteriori modifiche apportate anche ad esse dal d.l. n. 76/2020, dispongono la salvezza delle rendicontazioni già approvate, e quindi un effetto lato sensu decadenziale ex nunc, purché le difformità dal progetto proposto e approvato, non derivino da dichiarazioni non veritiere rese dal proponente. Il comma 3-ter, in particolare, che riguarda nello specifico « […]gli effetti del rigetto dell’istanza di rendicontazione, disposto a seguito dell’istruttoria», ne dispone la decorrenza «dall’inizio del periodo di rendicontazione oggetto della richiesta di verifica e certificazione dei risparmi». Con ciò ammettendo che il procedimento possa avere esiti diversi avuto riguardo a ciascuna verifica richiesta.

18.1. Finanche nel caso in cui si addivenga ad annullamento del provvedimento di precedente avallo delle RVC, disposto a seguito di verifica, si prevede che gli effetti decorrano dalla sua adozione, in sostanziale deroga dalle regole di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990.

18.2. Conseguenza esplicitata di tale regime, è dunque il fatto che per entrambe le fattispecie indicate sono fatte salve le rendicontazioni già approvate relative ai progetti medesimi.

19. La genesi delle norme introdotte con la legge n. 124/2017 va ricercata proprio nella constatazione che in sede di verifiche e controlli, il G.S.E. ha rilevato, nel corso degli anni, che molti progetti approvati e realizzati conformemente a quelli presentati non rispondessero alla normativa vigente al tempo dell’approvazione. Pur essendo il fenomeno stato attribuito spesso a comportamenti poco virtuosi di alcuni operatori economici, che, de facto, hanno illegittimamente speculato sul meccanismo dei TEE, si è preferito accordare preferenza alla salvaguardia delle situazioni in cui gli stessi non sono evidentemente ravvisabili, scongiurando di fatto la declaratoria di illegittimità dei provvedimenti di riconoscimento dei TEE ab origine, con conseguente annullamento e restituzione di quanto percepito. Al fine, cioè, di tutelare la posizione e l’affidamento degli operatori economici sulla correttezza dell’operato dell’amministrazione, gli articoli in oggetto hanno disposto, in tali casi, il solo rigetto della singola istanza di RVC in istruttoria; l’annullamento, che consegue sempre a verifiche, del provvedimento di riconoscimento dei TEE, ha comunque efficacia ex nunc, con salvezza cioè di quelli già conseguiti.

19.1. La giurisprudenza, anche della Sezione, ha negato portata di interpretazione autentica a tali disposizioni, facendo leva in particolare sulla disciplina transitoria contenuta al riguardo nell’art. 56, comma 8, del più volte ricordato d.l. n. 76 del 2020 (Cons. Stato, sez. II, 18 dicembre 2023, n. 10920). A ben guardare, tuttavia, tale norma, contiene le regole di diritto intertemporale di tutte le modifiche all’art. 42 del d.lgs. m. 28 del 2011 arrecate dal decreto, comunque contenute nel comma 7 del medesimo art. 56 (ivi comprese, dunque, quelle già ricordate afferenti il richiamo all’art. 21-novies nell’irrogazione della decadenza). In relazione ai commi 3-bis e 3-ter dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011 tali modifiche afferiscono soltanto all’ampliamento dei casi di inapplicabilità del meccanismo di salvaguardia del pregresso ai casi di errata rappresentazione dello stato di fatto, essendo stata inserita la dicitura «discordanze tra quanto trasmesso dal proponente e la situazione reale dell’intervento» e così di fatto allineando la previsione alla casistica di cui al comma 2-bis dell’art. 21-novies della l. n. 241 del 1990 in tema di c.d. autotutela doverosa, ove si distinguono le «false rappresentazioni dei fatti» dalle « dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato». Sicché sembrerebbe difficile ipotizzare che attraverso tale disciplina transitoria si sia andati ad incidere retroattivamente su istituti già in vigore, almeno nella loro impalcatura generale. In relazione poi all’annullamento d’ufficio l’art. 56, comma 8, del d.l. n. 76 del 2020, esclude l’applicabilità della regola ai soli procedimenti «in corso» alla data di entrata in vigore della novella (17 luglio 2020). Così testualmente la norma: «Le disposizioni di cui al comma 7 si applicano anche ai progetti di efficienza energetica oggetto di procedimenti amministrativi di annullamento d’ufficio in corso e, su richiesta dell’interessato, a quelli definiti con provvedimenti del GSE di decadenza dagli incentivi, oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti […]». Il diverso regime transitorio rispetto a quanto stabilito per la decadenza, la cui nuova configurazione trova applicazione anche in caso di contenzioso in corso, ben si giustifica in ragione della eccezionalità della previsione in materia di certificati bianchi, che addirittura introduce un’ipotesi di annullamento d’ufficio che produce sulle approvazioni della RVC gli effetti di una revoca, giusta la sua affermata efficacia ex nunc e non ex tunc.

20. Pur senza attribuire, dunque, anche alla (sola) novella del 2017 portata di interpretazione autentica, essa può essere utilizzata al fine di meglio comprendere il meccanismo dei certificati bianchi, per come sopra delineato. In particolare, essa consente di apportare i giusti correttivi alla ritenuta formazione progressiva del credito da incentivi, nel senso di tracciare uno iato tra approvazione della PPPM e validazione delle RVC, in quanto le seconde, autonome le une dalle altre, presuppongono la prima, e ne ereditano le criticità, ma non può sempre affermarsi il reciproco, ovvero che l’emersione di ridette criticità travolga necessariamente l’efficacia e la validità della progettualità originaria, almeno fino a tale momento.

21. Chiarito tutto quanto sopra, è ora possibile utilizzare il complesso paradigma descritto nello scrutinio della controversia in esame, “recuperando” innanzi tutto la preliminare distinzione tra il contenuto di annullamento d’ufficio e quello di rigetto della quarta RVC, entrambi oggetto dell’atto impugnato.

22. Appare dunque evidente la fondatezza del primo e del secondo motivo di gravame.

23. Con il primo motivo di ricorso l’appellante contesta la riqualificazione operata dal T.a.r. per il Lazio di un atto che lo stesso G.S.E. ha ritenuto riconducibile alla categoria dell’annullamento d’ufficio anziché della decadenza. Ridetta riqualificazione è stata peraltro effettuata ex officio, in assenza di qualsivoglia argomento a supporto da parte del G.S.E. resistente, che si è limitato a richiamare i principi di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 18 del 2020 in materia di (sola) decadenza (v. in particolare la memoria difensiva versata agli atti del giudizio di primo grado il 6 maggio 2022).

23.1. Il Collegio ritiene che tale riqualificazione, proprio in quanto non trova riscontro in alcun atto successivo adottato dal G.S.E., finisca per risolversi in una sorta di integrazione postuma dei contenuti effettivi dell’atto impugnato, finalizzata a salvaguardarne la legittimità, evidentemente inammissibile.

24. Nel merito, essa finisce per negare l’applicabilità dell’istituto dell’annullamento d’ufficio cui, al contrario, vanno ricondotti anche gli atti denominati di decadenza, ove ne presentino le caratteristiche sostanziali.

25. Nel caso di specie, dirimente è il fatto che non solo il provvedimento del 17 giugno 2016, ma anche e ancor prima la comunicazione di avvio del procedimento del 29 aprile 2016 si autoqualificano come finalizzati a, ovvero aventi ad oggetto l’annullamento d’ufficio ai sensi della l. n. 241 del 1990, mentre il d.lgs. n. 28 del 2011, e segnatamente il suo art. 42, relativo all’attività di vigilanza del G.S.E., non vengono neppure citati. La derubricazione a improprio utilizzo di un nomen iuris inadeguato, peraltro non trova giustificazione ove si abbia a mente che ad utilizzare tale denominazione è non il quisque de populo, ma l’organismo preposto a sovrintendere alla corretta erogazione di risorse pubbliche in ambito energetico, ben consapevole della tipologia di competenze e poteri di propria spettanza.

25.1. D’altro canto, che quella fosse la volontà del G.S.E. a fronte della situazione concretamente verificatasi trova piena rispondenza nell’analisi dei passaggi procedurali posta a base dell’atto: dopo aver chiesto chiarimenti sulla quarta RVC, che effettivamente si basa su un algoritmo implementato rispetto ai precedenti, non tiene affatto conto delle conseguenza dello stesso, ma in ragione della ritenuta mancanza di addizionalità, nega ex post che «la PPPM in oggetto e conseguentemente le RVC accolte e la RVC in valutazione non risultano conformi alle previsioni di cui al D.M. 28 dicembre 2012 in quanto dalla documentazione trasmessa risulta che i risparmi generati dall’intervento sono non addizionali, poiché si sarebbero comunque verificati per effetto dell’evoluzione tecnologica e del mercato».

26. L’Adunanza Plenaria, nella pronuncia dell’ 11 settembre 2020, n. 18, richiamata sia dal T.a.r. che dall’Amministrazione appellata, ha perimetrato il confine tra autotutela e decadenza, precisando come solo quest’ultima si caratterizza, oltre che per un’espressa e specifica previsione da parte della legge e per il carattere vincolato del relativo potere, anche per la tipologia di vizio, individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto. In presenza di tali situazioni, il potere in questione è «un atto vincolato di decadenza accertativa dell’assodata mancanza dei requisiti oggettivi condizionanti ab origine l’ammissione al finanziamento pubblico» (Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2017, n. 50; id., 24 gennaio 2022, n. 462; 20 gennaio 2021, n. 594; sez. VI, 3 gennaio 2022, n. 9; id., 28 settembre 2021, n. 6516; Corte cost., 13 novembre 2020, n. 237).

26.1. Nella specie tali presupposti mancano e, al contrario, depongono nel senso della riconducibilità dell’atto impugnato alla categoria dell’annullamento d’ufficio la circostanza che esso non si fonda su nessuna delle circostanze sopra menzionate, ma consegue alla ritenuta non conformità della PPPM e delle RCV accolte alle previsioni normative del d.m. 28 dicembre 2012. Solo in occasione degli approfondimenti effettuati in sede di scrutinio della RVC del 13 gennaio 2016, ENEA, incaricata delle verifiche, si è dunque accorta della mancanza del requisito della addizionalità, «poiché il minor consumo di energia elettrica consente un risparmio economico tale da compensare l’investimento dichiarato», e chiesto, allo scopo di inquadrare meglio la vicenda, di «giustificare e chiarire il notevole aumento dei risparmi rendicontati (+ 115%) rispetto alla RVC precedente, a parità di periodo di monitoraggio», giustificando altresì «le notevoli differenze di rendicontazione tra le RVC precedenti». Avendo Cloros semplicemente ribadito la conformità a progetto, contestando in diritto la (nuova) interpretazione di addizionalità, il G.S.E. è addivenuto all’annullamento.

26.2. In definitiva, l’assenza delle condizioni per accedere al meccanismo incentivante viene pronunciata sulla base di una mera riconsiderazione, ora per allora, dello stesso materiale istruttorio già nella disponibilità del Gestore (da qui la necessità di valutare attentamente l’affidamento del privato). Per contro, ove si fosse trattato di decadenza, quell’assenza avrebbe dovuto essere rilevata all’esito di un nuovo percorso procedimentale, nel cui contesto sono acquisiti – nel doveroso esercizio dell’attività di verifica e controllo – ulteriori elementi conoscitivi che, valutati anche unitamente a quelli già disponibili, ne avrebbero legittimano l’irrogazione. L’effettuazione di controlli sulla base di nuovi elementi istruttori traccia dunque la linea di demarcazione tra autotutela e decadenza (Cons. Stato, sez. II, 7 Marzo 2024, n. 2254).

27. Una volta acclarato, dunque, che nel caso di specie, contrariamente a quanto autonomamente stabilito dal giudice di primo grado, il potere esercitato non è riconducibile alla decadenza prevista dall’art. 42 del d.lgs. n. 28/2011, ma all’ autotutela di cui all’art 21-nonies della l. n. 241/1990, non può negarsi la mancanza dei requisiti previsti per il relativo esercizio.

27.1. L’atto non contiene alcuna motivazione circa l’avvenuta comparazione tra interessi in gioco, limitandosi a richiamare in maniera del tutto generica «l’interesse pubblico, concreto e attuale, volto a garantire il corretto riconoscimento di benefici gravanti su risorse pubbliche, per il quale […] è previsto lo strumento dell’autotutela da parte dell’Amministrazione». Affermazione tautologica, ove tale interesse sia da considerare sempre e comunque prevalente su quello del privato; lacunosa, ove invece intenda dare atto dell’esito di un bilanciamento di cui non è traccia alcuna.

28. Quanto al rispetto del requisito temporale, l’annullamento d’ufficio è sopravvenuto dopo 36 mesi dalla data di approvazione del PPPM, ovvero il 17 giugno 2016 laddove l’approvazione della PPPM risaliva al 13 giugno 2013.

28.1. Vero è che nella specie non può trovare applicazione, ratione temporis, la novella apportata all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 dalla già ricordata delega Madia, legge 7 agosto 2015, n. 124, che ha inteso quantificare l’originario “termine ragionevole” in diciotto mesi dall’adozione dell’atto (poi ulteriormente ridotti a dodici, in un percorso di sempre più accentuata sensibilità per le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e di tutela dell’affidamento del cittadino nella correttezza dell’operato della p.a.). Ma anche attingendo al solo concetto di “ragionevolezza”, i relativi limiti erano già stati travalicati alla data del 7 agosto 2015, di entrata in vigore della modifica, tanto più che nella specie la verifica richiesta non implicava particolari approfondimenti tecnici, ma una mera valutazione giuridica della prospettazione fornita. I 26 mesi circa trascorsi a tale data assumono un rilievo ancora maggiore se si tiene conto proprio della peculiarità del meccanismo dei certificati bianchi, ovvero della circostanza che a tale data erano già state avallate ben due delle tre RVC esitate positivamente, pur essendo esse pienamente coerenti con la progettualità proposta e approvata.

28.2. D’altro canto, il Collegio ben conosce l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale il nuovo termine introdotto dalla l. n. 241 del 1990 troverebbe applicazione ai procedimenti in corso solo a far data dall’entrata in vigore della novella, costituente pertanto il dies a quo per il computo dei 18 mesi: ma è di tutta evidenza che tale lettura deve essere armonizzata con la ratio della riforma ( e di quella successivamente intervenuta), sì da non risolversi in un sostanziale azzeramento del tempo già trascorso, facendo ripartire sempre e comunque il nuovo computo. Così opinando, ovvero operando ridetto azzeramento completo del periodo già trascorso per calcolare ex novo quello normativamente indicato, la sua introduzione si sarebbe risolta in una sostanziale rimessione in termini, tale da renderli “irragionevoli”, ovvero in contrasto con la formulazione precedente della stessa.

29. Meritevole di accoglimento appare anche il secondo motivo di gravame. Al riguardo deve rilevarsi che sebbene la giurisprudenza abbia da tempo precisato che l’obbligo, previsto dall’articolo 10 della legge n. 241 del 1990, di esaminare le memorie e i documenti, prodotti dagli interessati nel corso del procedimento amministrativo, non si concretizzi nell’imposizione all’amministrazione di una specifica ed analitica confutazione di tutte le singole avverse argomentazioni esposte, cionondimeno deve osservarsi che l’esercizio dei diritti partecipativi non può risolversi in un vuoto rituale privo di alcuna rilevanza giuridica nello sviluppo della funzione amministrativa. La previsione di tale espresso obbligo di legge (art. 10), destinato a refluire nella motivazione del provvedimento finale (art. 3), impone l’esame del materiale istruttorio introdotto nel procedimento da parte dei privati interventori nonché la necessità di poter comprendere le ragioni poste a fondamento del giudizio di irrilevanza eventualmente formulato al riguardo dall’amministrazione procedente, al pari di quelle su cui poggia il carattere in ipotesi recessivo delle deduzioni difensive articolate, rispetto all'ipotesi decisionale fatta propria dall'organo decidente.

29.1. Nel caso di specie il G.S.E. si è limitato a nominare le osservazioni, senza nulla dire della loro portata anche in relazione ai chiarimenti richiesti da ENEA, che finiscono per trascolorare in meri pretesti ai quali non si è inteso dare il benché minimo rilievo. Quanto detto a fronte di una motivazione in larga parte mutuata dalla declinazione normativa dei casi di esclusione dell’addizionalità, nel quale la conclusione finale circa la fungibilità tra risparmio di energia e fruizione dell’incentivo si aggiunge senza alcun nesso di conseguenzialità logica, prima ancora che giuridica.

30. Va ora esaminato l’atto nella parte in cui rigetta la quarta RVC proposta dalla Società.

30.1. Rileva il Collegio come a tale contenuto non possano estendersi le considerazioni svolte in relazione all’annullamento d’ufficio. E ciò per l’evidente ragione che la mancanza di addizionalità, ove effettivamente emersa, nonché, a monte, il cambio del paradigma di calcolo della stessa, mai avallato formalmente, benché richiesto con la terza RVC, giustificherebbe il mancato rilascio dei TEE, così come ab origine avrebbe giustificato la mancata approvazione della PPPM. Tale approvazione, tuttavia, a maggior ragione ove basata su valutazioni ex post riconosciute errate, non può risolversi nella cristallizzazione del diritto a continuare a percepire un beneficio che il Gestore non ritiene spettante o non ritiene più spettante.

30.2. Che ciò sia possibile trova oggi conferma nella disciplina dei commi 3-bis e 3-ter dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, sopra richiamati, che seppure solo a far data dal 2017, hanno operato una inequivoca distinzione tra quanto già percepito e quanto da percepire in futuro sia nel caso, come quello che ci occupa, di rigetto di un RVC, sia in quello di annullamento d’ufficio dello stesso.

30.3. In sintesi, ove l’applicazione dei principi generali in materia di autotutela inducano, come nella specie, a negare legittimità alla caducazione postuma dell’atto di avallo originario, ciò non significa anche che la permanenza dello stesso nell’ordinamento gli consenta comunque di produrre effetti correlati ad ulteriori verifiche intermedie, generando cioè, con effetto di trascinamento, la continuità di fruizione di un incentivo che il G.S.E., autoemendandosi, ritenga erogato illegittimamente.

31. Nel caso di specie, tuttavia, il rigetto della RVC non reca alcuna autonoma motivazione, ma si basa solo sulla disposta caducazione della PPPM, quale ineludibile conseguenza della stessa: a ciò consegue che venuta meno la prima, con la medesima conseguenzialità non può che venire meno anche il secondo. Resta tuttavia salva la possibilità dell’amministrazione di riesercitare il proprio potere valutativo dell’ultima RVC, anche confermandone il rigetto, ove non ne ritenga possibile l’avallo all’esito di esplicita motivazione in merito che tenga doverosamente conto degli esiti dell’attuale giudizio. Rileva al riguardo il Collegio, al solo scopo di meglio chiarire l’effetto conformativo della pronuncia, come in tal modo il G.S.E. finirà per dare anche seguito alla duplice istanza della Società, formulata ai sensi dell’art. 42, commi 3-bis e 3-ter del d.lgs. n. 28 del 2011 che quand’anche applicabili, consentirebbero solo di circoscrivere il rigetto della RVC ai TEE correlati alla stessa, non a quelli in precedenza riconosciuti.

32. Per tutto quanto sopra detto, l’appello deve essere accolto, con le precisazioni di cui in motivazione, e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 10898 del 2022, deve essere accolto il ricorso di primo grado e annullata la nota del 17 giugno 2016.

33. La complessità e parziale novità di alcune delle questioni trattate, giustificano la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, nei limiti di cui in motivazione.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2025 con l’intervento dei magistrati:

Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente

Francesco Frigida, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Carmelina Addesso, Consigliere

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere

 

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Antonella Manzione

Giulio Castriota Scanderbeg

 

IL SEGRETARIO

 

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