Consenso all'uso dei cookie

Tu sei qui

CODICE APPALTI: PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO SUL DECRETO CORRETTIVO

Pubblico
Mercoledì, 5 Aprile, 2017 - 16:03

Numero 00782/2017 e data 30/03/2017 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Adunanza della Commissione speciale del 22 marzo 2017
NUMERO AFFARE 00432/2017
OGGETTO:
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Ufficio legislativo
Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;
LA SEZIONE
Vista la relazione prot. n. 9633 del 7 marzo 2017, pervenuta il successivo 8 marzo, con cui il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;
visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 40 del 9 marzo 2017, che ha istituito la Commissione speciale per la trattazione dell’affare in questione;
visti i contributi del Comune di Verona – Stazione appaltante Gara Gas ATEM Verona 1 e Nord, trasmesso al Consiglio di Stato in data 10 marzo 2017, dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE), trasmesso al Consiglio di Stato in data 15 marzo 2017, della Federazione Industrie e Costruzioni (FINCO), trasmesso al Consiglio di Stato in data 23 marzo 2017 e di IGI Istituto Grandi Infrastrutture, trasmesso al Consiglio di Stato in data 24 marzo 2017;
Considerato che nell’adunanza del 22 marzo 2017, presenti anche i Presidenti aggiunti Rosanna De Nictolis, Marco Lipari, Antonino Anastasi, Carlo Saltelli ed i Consiglieri Gerardo Mastrandrea e Carlo Deodato, la Commissione speciale ha esaminato gli atti e udito i relatori Consiglieri Roberto Giovagnoli, Umberto Realfonzo, Vincenzo Neri, Vincenzo Lopilato, Fabio Franconiero, Luigi M. Tarantino, Claudio Boccia, Giancarlo Luttazi, Luca Lamberti, Daniela Di Carlo, Valerio Perotti, Dario Simeoli, Italo Volpe, Nicola D’Angelo, Stefano Fantini e Antimo Prosperi;
Premesso e considerato
Sommario:
1.L’evoluzione del quadro normativo: il codice, l’errata corrige, gli atti attuativi pubblicati, gli atti attuativi in itinere, i pareri del Consiglio di Stato
2.I limiti al decreto correttivo
3.La funzione del decreto correttivo e le diverse tipologie di correzioni richieste dal codice dei contratti pubblici
4.Le modalità di redazione dei decreti correttivi, l’AIR e la VIR
5.I tempi per i decreti correttivi
6.Un decreto correttivo unico come occasione unica
7.Esame del decreto correttivo: metodo
8.Osservazioni sui singoli articoli
9.L’evoluzione del quadro normativo: il codice, l’errata corrige, gli atti attuativi pubblicati, gli atti attuativi in itinere, i pareri del Consiglio di Stato
1.1. Nella G.U. del 19 aprile 2016, con entrata in vigore lo stesso giorno (art. 220), è stato pubblicato il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
All’ultimo momento non ha preso né il nome chiesto dalla legge delega 28 gennaio 2016 n. 11 (codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione) né quello suggerito dal Consiglio di Stato (codice dei contratti pubblici), e ha ricevuto un nome ben più lungo: “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.
Il “soprannome” di codice dei contratti pubblici, gli è rimasto, legificato, nell’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., oltre che nelle numerose disposizioni dell’articolato che hanno continuato a fare riferimento al “presente codice”.
Nella G.U. del 15 luglio 2016, è stato pubblicato un copioso avviso di rettifica, avente ad oggetto un elevato numero di norme (circa la metà dei 220 articoli) del nuovo codice dei contratti pubblici. L’intervento è servito a porre rimedio ad una serie di errori materiali ed omissioni, secondo quanto disposto dagli artt. 8, d.P.R. n. 1092 del 1985 (recante il t.u. delle disposizioni sulla promulgazione e pubblicazione delle leggi), e 14 e 18, d.P.R. n. 217 del 1986 (recante il regolamento di esecuzione del medesimo t.u.).
Fra i vari interventi, alcuni hanno riguardato l’art. 216 sulla disciplina transitoria, altri correzioni formali di errati riferimenti normativi esterni; altri ancora la correzione di riferimenti interni al testo.
L’unica modifica normativa che ha fino ad ora interessato il d.lgs. n. 50 del 2016 è stata introdotta dall’art. 9, comma 4, del decreto legge 30 dicembre 2016, n. 244, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19.
La novella ha riguardato l’art. 216, comma 11, terzo periodo ed ha prorogato l’applicazione della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità dei bandi e degli avvisi per l’affidamento dei contratti pubblici (di cui dall’art. 66, comma 7, dell’abrogato codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 163/2006) dal 31 dicembre 2016 fino all’entrata in vigore del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di cui all’art. 73, comma 4, del nuovo codice.
Si tratta del decreto che doveva essere adottato, d’intesa con l’ANAC, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del medesimo codice, per la definizione degli indirizzi generali di pubblicazione degli avvisi e dei bandi, al fine di garantire la certezza della data di pubblicazione e adeguati livelli di trasparenza e di conoscibilità, anche con l’utilizzo della stampa quotidiana maggiormente diffusa nell’area interessata. Nelle more il decreto in questione è stato adottato (d.m. 2 dicembre 2016, n. 248 “Definizione degli indirizzi generali di pubblicazione degli avvisi e dei bandi di gara, di cui agli articoli 70, 71 e 98 del d.lgs. n. 50 del 2016”) ed è stato pubblicato nella G.U. del 25 gennaio 2017.
1.2. Il codice, come è noto, ha abbandonato il modello del regolamento unico, optando per un sistema attuativo più snello e flessibile demandato ad una pluralità di strumenti normativi ed amministrativi.
Un ruolo importante è stato assegnato alle linee guida, che nella delega e nello schema iniziale del codice, erano riconducibili, con uno sforzo di ricostruzione esegetica, a tre tipologie, che sono diventate sei nel testo finale del codice (v. in particolare art. 83, comma 1; art. 181, comma 4; art. 214, comma 12, codice). Esistono comunque anche altri, più tradizionali atti attuativi destinati ad assumere la forma di decreti ministeriali, interministeriali, e D.P.C.M.
Tra linee guida e altri atti si possono individuare 53 atti attuativi, che diventeranno 55 con il correttivo, a cui vanno aggiunti i regolamenti di organizzazione con cui l’ANAC disciplina l’esercizio di propri compiti specifici:
– 17 decreti del Ministro delle infrastrutture e trasporti;
– 16 atti dell’ANAC;
– 6 D.P.C.M.;
– 16 decreti di altri Ministri.
In questo primo anno di vita, la complessa fase attuativa prevista dal codice ha avuto concretamente inizio, con l’emanazione dei primi atti di attuazione.
1.3. Gli atti attuativi espressamente nominati dal codice, e sinora pubblicati, sono i seguenti, in ordine cronologico:
1) d.m. 24.5.2016 sui CAM (criteri ambientali minimi) per alcuni servizi e forniture; d.m. 11.1.2017 CAM per gli arredi per interni, per l’edilizia e per i prodotti tessili; d.m. 15.2.2017 CAM da inserire obbligatoriamente nei capitolati tecnici delle gare d’appalto per l’esecuzione dei trattamenti fitosanitari sulle o lungo le linee ferroviarie e sulle o lungo le strade;
2) d.m. 17.6.2016 sugli onorari professionali;
3) d.P.C.M. 10.8.2016 sulla cabina di regia; non sono stati sottoposti al parere del Consiglio di Stato;
4) Linee guide dell’ANAC n. 3/2016 sul RUP;
5) Linee guide dell’ANAC n. 4/2016 in materia di procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria;
6) Linee guide dell’ANAC n. 5/2016, relative ai criteri di scelta dei commissari di gara e all’iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni aggiudicatrici;
7) Linee guide dell’ANAC n. 6/2016 sull’indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possono considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), codice;
8) d.m. del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 10.11.2016 n. 248 sulle opere superspecialistiche ex art. 89, c. 11;
9) d.m. del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 2.12.2016 (in GURI 25.1.2017), recante “Definizione degli indirizzi generali di pubblicazione degli avvisi e dei bandi di gara, di cui agli artt. 70, 71 e 98 codice”;
10) d.m. del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 2.12.2016 n. 263 (in GURI 13.2.2017), recante “Regolamento recante definizione dei requisiti che devono possedere gli operatori economici per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria e individuazione dei criteri per garantire la presenza di giovani professionisti, in forma singola o associata, nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione e di idee”, ex art. 24, c. 2 e 5, codice;
11) Linee guida dell’ANAC n. 7/2017 per l’iscrizione nell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house.
1.4. Sono stati adottati anche alcuni atti attuativi non espressamente nominati dal codice.
Quelli sinora pubblicati, sono i seguenti, in ordine cronologico:
1) Linee guide dell’ANAC n. 1/2016 sui servizi di architettura e di ingegneria;
2) Linee guide dell’ANAC n. 2/2016 sull’offerta economicamente più vantaggiosa;
3) provvedimento ANAC 5.10.2016, sul il rilascio dei pareri di precontenzioso, ai sensi dell’art. 211 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50;
4) regolamento ANAC 15.2.2017 sulla vigilanza e sulle raccomandazioni vincolanti.
1.5. Sono in dirittura d’arrivo altri atti attuativi:
– due linee guida dell’ANAC (su forniture infungibili ex art. 63, monitoraggio PPPC),
– due linee guida del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (sul direttore dei lavori e sul direttore dell’esecuzione del contratto);
– il d.m. del Ministro delle infrastrutture de trasporti sui livelli della progettazione ex art. 23;
-il d.m. del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sui contenuti degli atti di programmazione di lavori, servizi e forniture ex art. 21;
– il d.m. del Ministro dei beni culturali e ambientali per i lavori relativi a beni culturali ex artt. 146 e 147;
– il d.m. del Ministro dello sviluppo economico sul servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto;
– il d.m. del Ministro degli affari esteri recante le direttive generali per i contratti all’estero.
1.6. Il Consiglio di Stato ha dato il suo contributo alla fase di implementazione della riforma, mediante i pareri sugli atti attuativi ad esso sottoposti. In un’ottica di leale collaborazione, in tali pareri il Consiglio di Stato ha anche segnalato al Governo le criticità del codice, meritevoli di correzione.
I pareri del Consiglio di Stato, oltre a quello sullo schema di codice 1.4.2016 n. 855, sono i seguenti:
1) parere Comm. spec., 2.8.2016 n. 1767 reso sulle linee guida dell’ANAC concernenti il RUP, l’offerta economicamente più vantaggiosa e i servizi di architettura e di ingegneria;
2) Id., 13.9.2016 n. 1903 reso sulle linee guida dell’ANAC in materia di procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria;
3) Id., 14.9.2016 n. 1919, reso sulle linee guida dell’ANAC relative ai criteri di scelta dei commissari di gara e all’iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni aggiudicatrici;
4) Id., 14.9. 2016 n. 1920, reso sullo schema di regolamento redatto dall’ANAC per il rilascio dei pareri di precontenzioso, ai sensi dell’art. 211 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50;
5) Cons. St., sez. affari normativi, 20.10.2016 n. 2189 sullo schema di decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti recante l’individuazione delle opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica e dei requisiti di specializzazione richiesti per la loro esecuzione, ai sensi dell’art. 89, comma 11, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;
6) Cons. St., sez. affari normativi, comm. spec., 3.11.2016 n. 2282, sullo schema di decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di approvazione delle linee guida sul Direttore dei lavori e sul Direttore dell’esecuzione (art. 111, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50);
7) Id., parere interlocutorio 3.11.2016 n. 2284, sulle linee guida ANAC relative alle procedure negoziate senza pubblicazione di un bando di gara nel caso di forniture e servizi ritenuti infungibili (art. 63, comma 2, lett. b) 3, lett. b, e 5, d.lgs. n. 50/2016);
8) Id., 3.11.2016 n. 2285, sullo schema di decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti recante “definizione dei requisiti che devono possedere gli operatori economici per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria e individuazione dei criteri per garantire la presenza di giovani professionisti, in forma singola o associata, nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione e di idee, ai sensi dell’art. 24, commi 2 e 4, d.lgs. 18.4.2016, n. 50”;
9) Id., 3.11.2016 n. 2286 sullo schema di linee guida redatte dall’ANAC sull’indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possono considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), codice;
10) Id., 28.12.2016 n. 2777 sullo schema di regolamento in materia di attività di vigilanza sui contratti pubblici di cui all’art. 211, comma 2, e 213, codice;
11) Id., parere interlocutorio 10.1.2017 n. 22 sullo schema di decreto sulla definizione dei contenuti della progettazione in materia di lavori pubblici nei tre livelli progettuali, ai sensi dell’art. 23, comma 3, d.lgs. 18.4.2016, n. 50;
12) Id., 30.1.2017 n. 263 sullo schema di decreto interministeriale relativo agli appalti per i beni culturali ex artt. 146 codice;
13) Id., 1.2.2017 n. 282, sulle linee guida dell’ANAC sull’albo delle società in house ex art. 192 codice;
14) Id., 3.2. 2017 n. 287 sullo schema di regolamento relativo ai servivi sostitutivi di mensa (c.d. buoni pasto);
15) Id., 13.2.2017 n. 351 sullo schema del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti concernente la programmazione triennale dei lavori pubblici e il programma biennale per servizi e forniture ex art. 21, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016;
16) Id. 29.3.2017 n. 775, sulle linee guida ANAC sui PPPC.
2. I limiti al decreto correttivo.
2.1. L’art. 1, comma 8, della legge delega n. 11/2016 ha previsto che entro un anno dalla data di entrata in vigore del codice, il Governo potrà adottare disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e della procedura dettati dalla delega per il codice (art. 1, comma 8, legge delega).
A quasi un anno dall’adozione del citato decreto legislativo n. 50 del 2016, il Governo ha deciso di avvalersi di tale facoltà, approvando, nella seduta del Consiglio dei ministri del 23 febbraio 2017, lo schema del decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Con nota del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ufficio di Gabinetto, n. 9633 del 7 marzo 2017, lo schema del decreto è stato tramesso a questo Consiglio di Stato, ai fini dell’acquisizione del prescritto parere.
2.2. Occorre, preliminarmente, considerare i limiti dello strumento del decreto correttivo nella logica complessiva del codice dei contratti pubblici e in quella generale del ‘modello’ dei decreti legislativi correttivi.
È pertanto opportuno effettuare, sinteticamente, alcune considerazioni di massima sul ruolo dei decreti integrativi e correttivi: una figura non prevista dall’art. 76 Cost., ma ormai stabile nella più recente prassi costituzionale (cfr. Corte cost. n. 156 del 1985; Id. n. 172 del 1994; Id. 206 del 2001).
A tal proposito non può che confermarsi il consolidato orientamento (ribadito, da ultimo, nel parere Comm. speciale, 14 marzo 2017, n. 638), secondo cui il mancato recepimento di una parte della delega entro il termine di scadenza consuma definitivamente il relativo potere, e tale mancato esercizio non può essere recuperato in sede di adozione di decreti correttivi.
Tramite questi ultimi sono consentite, appunto, “integrazioni e correzioni” (anche rilevanti), a seguito di una periodo di “sperimentazione applicativa”, riguardanti le parti di delega già esercitate, ma non un esercizio tardivo, per la prima volta, della delega.
Inoltre, lo strumento del correttivo non può nemmeno costituire una sorta di ‘nuova riforma’, pur rispettosa della delega originaria, che modifichi le scelte di fondo operate in sede di primo esercizio della delega, attuando un’opzione di intervento radicalmente diversa da quella del decreto legislativo oggetto di correzione (cfr. Corte cost. 26 giugno 2001 n. 206; Cons. St., ad. gen., 6 giugno 2007 n. 1; Cons. St., sez. norm., 9 luglio 2007 n. 2660/07; Id., 5 novembre 2007 n. 3838/07; Id., 26 luglio 2011 n. 2602).
3. La funzione del decreto correttivo e le diverse tipologie di correzioni richieste dal codice dei contratti pubblici
Gli interventi correttivi ed integrativi richiesti dal decreto legislativo n. 50 del 2016 possono essere classificati in quattro categorie principali.
3.1. In primo luogo, il codice presenta, ad una analisi complessiva, numerosi refusi ed errori, che sembrerebbero prima facie meramente materiali, spesso imputabili ai tempi ristretti di confezionamento del codice.
Molti di questi errori, oltre 180, sono stati già corretti con il già citato avviso di rettifica pubblicato nel luglio 2016.
Molti altri ne restano, e la circostanza che si tratti spesso di refusi o errori materiali, non rende meno impellente l’esigenza di correzione, atteso che essi sono, comunque, fonte di incertezze e di dubbi applicativi.
Si tratta, dunque, di una prima tipologia di correzioni indispensabili (rimozione di errori materiali e refusi), anche se esulano, a stretto rigore, dal proprium di un decreto correttivo, volto a introdurre modifiche prevalentemente di carattere “sostanziale”, che si rendono necessarie o opportune dopo un congruo periodo di applicazione pratica.
3.2. Una seconda tipologia di correzioni riguarda la disciplina di coordinamento “esterno” e le conseguenti abrogazioni delle numerose disposizioni di leggi speciali che hanno inciso sulla materia dei contratti pubblici. Tali interventi correttivi sono necessari per un migliore coordinamento del nuovo codice con altre leggi vigenti, coordinamento quasi del tutto mancato in sede di adozione del codice: si pensi solo a titolo di esempio, al mancato coordinamento con il codice del processo amministrativo, i cui artt. 120 e ss., in materia di rito appalti, e l’art. 133, lett. e), n. 2) in materia di giurisdizione continuano a rinviare a disposizioni del d.lgs. n. 163/2006.
Occorre, pertanto, procedere a ulteriori abrogazioni espresse di disposizioni rimaste extravaganti e a operazioni di coordinamento, che talora sono molto delicate (come, ad esempio, nel caso del rapporto con il d.lgs. n. 208/2011 in tema di appalti nel settore delle armi).
3.3. Una terza tipologia di correzioni si rende necessaria al fine di rimuovere alcuni errori di recepimento delle direttive e di attuazione della legge delega, che si traducono in altrettante illegittimità delle disposizioni del codice per contrasto con le direttive o per eccesso di delega.
3.4. Infine, ma non per ordine di importanza, una quarta tipologia di correzioni è finalizzata a rimediare a difficoltà insorte nella prima applicazione dei nuovi istituti, come emerso dalle audizioni, dal dibattito dottrinale e dalla prima giurisprudenza.
Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, vanno evidenziate le – rilevantissime – potenzialità e utilità del decreto correttivo.
Esse sono intrinsecamente connesse – e per questo sono ancora più importanti – alla “fase cruciale dell’attuazione” di ogni riforma, come il Consiglio di Stato l’ha definita in molteplici occasioni (in relazione al codice dei contratti pubblici, cfr. Comm. spec. n. 855/2016, ai punti II.f).4, II.f).5 e II.g).1; in relazione ai decreti di attuazione della l. n. 124 del 2016, cfr. pareri: Sez. consultiva atti normativi 24 febbraio 2016, n. 515, al punto 3; Comm. spec. 30 marzo 2016, n. 839, al punto 1 del ‘considerato’; Comm. spec. 7 aprile 2016, n. 890, al punto 1 del ‘considerato’; Comm. spec. 15 aprile 2016, n. 929, punti 1.5 e 3.1 del ‘considerato’; Comm. spec. 3 maggio 2016, n. 1075, al punto 2, parte I del ‘premesso e considerato’; Comm. spec. 5 maggio 2016, n. 1113, al punto 2; Comm. spec. 9 maggio 2016, n. 1142, ai punti 2.4 e 3.3, parte I, e 6.8.1, parte II, del ‘considerato’; Comm. spec. 12 maggio 2016, n. 1183, punto 2.2 del ‘considerato’; Comm. spec. 13 luglio 2016, n. 1640, al punto 2 del ‘premesso e considerato’; Comm. spec. 4 agosto 2016, n. 1784/2016, punto A-2 del ‘considerato’).
Come si è ripetuto più volte (in primis, con parere 1 aprile 2016, n. 855 reso sullo schema del codice), una riforma è tale solo quando raggiunge un’effettiva attuazione, che sia percepita da cittadini e imprese e rilevata dai dati statistici. A questo scopo, l’adozione dei decreti legislativi attuativi di una legge(-delega) di riforma non è sufficiente: l’esperienza internazionale insegna che sempre più spesso le riforme ‘si perdono’ nelle prassi amministrative conservative, nel difetto di un’adeguata informatizzazione, nel mancato apprendimento dei meccanismi da parte degli operatori pubblici, nel difetto di comunicazione con i cittadini e le imprese, che non riescono a conoscere, e quindi a rivendicare, i loro nuovi diritti.
Orbene, questa “fase cruciale” dell’attuazione passa, innanzitutto, attraverso la verifica delle disfunzioni – giuridiche, amministrative o anche semplicemente pratiche – del testo originario. Nessuna riforma nasce subito perfetta, ma molte possono diventarlo con una fase di progressivo adattamento: per tale ragione, i decreti “integrativi e correttivi” di un decreto legislativo hanno un ruolo essenziale.
Con tali decreti, infatti, si può (e si deve) intervenire, da un lato, per garantire la “qualità formale” del testo, con l’eliminazione di illegittimità, refusi, difetti di coordinamento, errori tecnici, illogicità, contraddizioni, dall’altro – e forse soprattutto – per apportare le correzioni e le integrazioni che l’applicazione pratica renda opportune, se non indispensabili, per il buon funzionamento della riforma.
Tali misure non sono ‘aggiuntive’ rispetto alla riforma medesima, ma fanno parte integrante della stessa, e ne possono determinare il successo in misura rilevante.
Può dunque affermarsi che, così come il ‘modello’ della legislazione delegata disegnato dall’art. 76 Cost. e attuato nella prassi costituzionale costituisce, potenzialmente, uno degli strumenti di intervento più efficaci per costruire una riforma organica (nella sua interazione tra Parlamento e Governo, tra indirizzi di policy e normativa di dettaglio, e con un decision making process ormai partecipato e arricchito dai vari pareri), così il ‘modello’ del decreto legislativo integrativo e correttivo costituisce uno strumento fondamentale altrettanto importante per assicurarne la realizzazione in concreto.
Difatti, nel rispetto del principio di stabilità dell’ordinamento giuridico, occorre assicurare che le norme abbiano un tempo ragionevole di applicazione e di assimilazione, consentendo agli operatori di adeguarsi ad esse. Continui cambiamenti non giustificati da un effettivo riscontro nella pratica nuocciono alla certezza delle regole, alla stabilità del quadro regolatorio, alla efficienza di amministrazioni e imprese.
Non a caso, già con il parere 1 aprile 2016 n. 855, il Consiglio di Stato, al paragrafo II.f).5, ha avuto modo di affermare che un’attività diversa, ma non meno importante di quella attuativa, è l’attività di monitoraggio e di valutazione ex post dell’impatto della regolazione, anche “quale punto di partenza essenziale per i successivi interventi correttivi e di fine tuning della riforma”.
Più specificamente, questo Consiglio di Stato ha anche affermato (con riguardo al secondo decreto legislativo in materia di SCIA (Comm. spec. 4 agosto 2016, n. 1784/2016, punto A-2.2 del ‘considerato’) che ciascun intervento correttivo “postula un’azione di costante monitoraggio del funzionamento delle norme, volta a verificarne l’idoneità a perseguire in concreto gli obiettivi fissati dalla legge: ciò rende necessaria anche una verifica di impatto successiva all’entrata in vigore delle nuove norme (la cd. VIR, di cui al d.P.C.M. 19 novembre 2009, n. 212, di attuazione dell’art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 244), così da identificare (e subito ridurre) eventuali oneri di comprensione, interpretazione, pratica applicazione da parte di tutti i destinatari, nonché per prevenire il possibile contenzioso con interventi correttivi o di chiarimento”.
Difatti, la VIR e in generale il monitoraggio sono indispensabili per due ragioni:
– da un lato, per verificare se la riforma ha effettivamente raggiunto gli obiettivi attesi, ha davvero migliorato l’attività di cittadini e imprese (e quindi, come si è detto, se la riforma “annunciata” è stata anche ‘percepita’ e ‘rilevata’);
– dall’altro, per predisporre su una base istruttoria seria e ‘quantitativamente informata’ i più efficaci interventi integrativi e correttivi”.
In altri termini, l’analisi ex post (compiuta tramite la VIR) degli effetti dell’intervento iniziale deve trasfondersi, dopo una fase di prima attuazione adeguata, nella costruzione di interventi integrativi e correttivi mirati.
Dell’impatto auspicato di questi ultimi deve darsi conto nella scheda di AIR dell’intervento correttivo, che deve dare espressamente conto di tale processo, traendo il suo principale fondamento istruttorio proprio dalla VIR del testo da correggere.
Alla stregua di quanto esposto, questa Commissione speciale, partendo dal fermo convincimento che il decreto correttivo debba introdurre – senza assumere la consistenza di una ‘nuova riforma’ – tutte le modifiche che si rendono necessarie per un buon funzionamento, in sede applicativa, dell’originario decreto legislativo, si soffermerà non soltanto sulle modifiche apportate con lo schema di correttivo, ma anche sulle disposizioni del testo unico per le quali lo schema non propone modifiche (v. infra, par. 7).
Verrà, pertanto, dedicata particolare attenzione sia alle questioni, già segnalate col primo parere (1 aprile 2016, n. 855), che si ritengono ancora meritevoli di considerazione, sia a quelle che sono state segnalate in dottrina o che sono emerse nella pratica (anche alla luce del primo contenzioso) successivamente alla pubblicazione del d.lgs. n. 50 del 2016.
4. Le modalità di redazione dei decreti correttivi, l’AIR e la VIR.
Così esaminati i limiti e le potenzialità della figura del decreto correttivo, occorre ora far cenno alle sue modalità di redazione, alla stregua dei più recenti principi di qualità della regolazione.
Oltre alla necessaria analisi tecnico-giuridica della normativa da emendare, è opportuno – nella prospettiva di realizzare il “miglioramento della qualità normativa, la semplificazione e l’efficienza di procedure e organismi, cui lo sforzo riformatore del Governo si è indirizzato” (Cons. St., sez. norm., parere 24 febbraio 2016 n. 515) – che la correzione presupponga l’individuazione di una criticità applicativa, di cui va dato adeguato conto con strumenti ad hoc, presenti da tempo nell’ordinamento e più volte richiamati da questo Consiglio di Stato nella sua recente giurisprudenza consultiva, quali l’AIR (analisi di impatto della regolamentazione) e – soprattutto – la VIR (verifica di impatto della regolamentazione).
Tornando allo schema di correttivo in esame, occorre rilevare che, nel caso di specie, la scheda VIR risulta del tutto carente.
Essa, infatti, nella Sezione 5, dedicata appunto alle “Criticità”, si limita a dare genericamente atto dello svolgimento di un’indagine conoscitiva parlamentare (mediante audizioni dei rappresentanti delle grandi stazioni appaltanti, delle imprese pubbliche, dei sindacati e delle associazioni di categoria di operatori economici) e della ricognizione, da parte della Cabina di regia, dello stato di attuazione del codice, attraverso una consultazione rivolta ai RUP delle stazioni appaltanti.
Nel descrivere i risultati acquisiti tramite questi strumenti di conoscenza, la VIR si presenta lacunosa, perché si limita solo ad indicare, in modo spesso generico, i macro-istituti o i macro-settori rispetto ai quali sarebbero state segnalate criticità (ad esempio: affidamenti sotto soglia; criteri di esclusione dalle procedure di gara; criteri di calcolo e dell’anomalia dell’offerta; disciplina dell’aggregazione di qualificazione delle committenze), senza, tuttavia, evidenziare alcuna specifica criticità emersa in sede applicativa, e, soprattutto, senza spiegare in alcun modo il legame funzionale esistente tra i risultati delle indagini svolte le modifiche introdotte in sede di correttivo.
In molti casi, non è dato, così, comprendere la giustificazione delle misure correttive introdotte rispetto alle concrete esigenze emerse nella prassi applicativa, esigenze che, al contrario, avrebbero dovuto essere individuate in sede di monitoraggio e poi rappresentate in sede di VIR.
Emblematica di tale inadeguatezza è la stessa “Sintesi della VIR – Conclusioni” (par. 6), nella quale, in poche righe, ci si limita, da un lato, a dare atto della sostanziale impossibilità di avere il quadro complessivo dell’impatto del codice (in ragione del breve tempo trascorso e in attesa del completamento della disciplina attuativa) e, dall’altro lato, ad indicare interventi migliorativi e correttivi del codice “sulla base delle esperienze applicative maturate nel corso del breve periodo di vigenza dello stesso, con l’obiettivo di risolvere le criticità segnalate dagli operatori del settore e dai privati”.
Si tratta, tuttavia, di espressioni tautologiche e apodittiche, che non sono in grado di fare emergere l’effettivo impatto prodotto dal codice in questi primi mesi di vita e che, di conseguenza, si rivelano inidonee ad evidenziare le specifiche criticità applicative alle quali il correttivo in esame vorrebbe dare risposta.
Anche gli indicatori utilizzati per “misurare” l’impatto del codice (ovvero la domanda di contratti pubblici in termini sia di numero delle procedure di affidamento, sia di valore dell’importo complessivo di contratti messi a gare) si rivelano, per molti versi inadeguati.
Oltre alla domanda di contratti pubblici, ci sono, infatti, altri significativi indicatori che non possono essere trascurati nell’ambito della verifica dell’impatto della nuova disciplina, quali, ad esempio, per indicarne solo alcuni: i tempi medi di conclusione delle procedure di gara; i dati relativi all’offerta di contratti pubblici da parte delle imprese, la quantità (e i tempi) del contenzioso; il numero dei ricorsi accolti; la funzione effettivamente deflattiva dei nuovi strumenti di precontenzioso affidati all’ANAC.
Manca, ancora, un’analisi dettagliata delle prassi applicative seguite dalle stazioni appaltanti e della loro rispondenza agli obiettivi perseguiti con il codice. Sotto questo profilo, non si può non evidenziare la lacunosità della Sezione 4 della scheda VIR, dedicata al “livello di osservanza della prescrizioni”, la quale si limita a dare atto dell’assenza di segnalazioni relative all’inosservanza della prescrizioni del codice da parte dei destinatari”, senza alcuna ulteriore indicazione.
Si tratta, evidentemente, di un riscontro insufficiente a verificare la realizzazione del principale obiettivo di ogni riforma, ovvero che essa sia stata effettivamente percepita da amministrazioni e imprese e che i principali profili di novità non siano vanificati da prassi applicative elusive o conservative.
Deve, in conclusione, constatarsi la mancanza di una effettiva rilevazione, “in concreto”, delle disfunzioni della normativa vigente, ovvero del mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il mancato raccordo tra monitoraggio, VIR e correttivo rappresenta la vera occasione mancata dell’intervento, che, in assenza di una adeguata analisi preventiva, rischia di trasformarsi in un intervento poco efficace, se non oneroso e controproducente.
5. I tempi per i decreti correttivi.
5.1. Come già segnalato dal parere del Consiglio di Stato 855/2016, “i correttivi conseguono un effetto utile se intervengono dopo un ragionevole periodo di applicazione pratica, necessario per una compiuta verifica di impatto della regolamentazione. Nel caso di codificazioni settoriali, specie se, come in questo caso, vi sono numerosi regimi transitori, un periodo ragionevole di osservazione è almeno biennale.
Sicché, l’obiettivo del correttivo rischia di essere vanificato se viene previsto un periodo troppo breve”.
Sotto tale profilo, questo Consiglio esprime l’auspicio che il Governo possa sensibilizzare il Parlamento in ordine a un allungamento da uno a due anni del termine per i correttivi.”.
A tale considerazione va aggiunto che una parte importante della riforma degli appalti è stata affidata dal d.lgs. n. 50/2016 ad atti attuativi ad oggi non varati, quali: la qualificazione degli operatori economici e il rating di impresa; la qualificazione delle stazioni appaltanti; i commissari di gara esterni; la informatizzazione delle procedure di gara.
Sicché, per tali ambiti, è ad oggi impossibile procedere a correzioni precedute da verifica di impatto della regolazione, atteso che gli istituti non hanno avuto pratica applicazione.
La stessa scheda VIR dà atto (in particolare nella Sezione 6 – Sintesi della VIR – Conclusioni) di tale impossibilità, evidenziando come “per avere il quadro complessivo dell’impatto del codice sul settore degli appalti pubblici e delle concessioni occorre attendere il completamento della regolamentazione della materia da parte dei decreti attuativi e delle linee guida dell’ANAC ivi previsti e la concreta applicazione della stessa”.
Pertanto il Parlamento dovrebbe prevedere almeno un ulteriore biennio, decorrente dal 19 aprile 2017, per le correzioni necessarie.
6. Un decreto correttivo unico come occasione unica
Allo stato della normativa vigente, comunque, e pur con il rinnovato auspicio di un allungamento del termine, questo in esame è l’unico decreto legislativo correttivo che il Governo potrà emanare.
Si tratta, quindi, dell’unica occasione che il Governo ha a disposizione per apportare direttamente le modifiche e le integrazioni necessarie al fine di assicurare la piena riuscita della riforma varata con l’approvazione del nuovo codice.
È importante, allora, che le potenzialità offerte dal correttivo vengano sfruttate nella loro pienezza, perché ogni intervento che oggi viene omesso non potrà essere più recuperato in futuro, salvo nuove deleghe legislative.
L’utilizzo del correttivo in tutte le sue potenzialità, e, quindi, al fine di introdurre ora tutte le modifiche necessarie, si collega, peraltro, anche all’esigenza di evitare che il nuovo codice possa essere oggetto di continue e numerose modifiche normative, così come accaduto con il d.lgs. n. 163/2006.
Come questo Consiglio ha già evidenziato, nel citato parere n. 855/2016, il precedente codice è stato modificato, in dieci anni di vita, da 52 atti normativi (inclusi i tre decreti correttivi intervenuti nel primo biennio).
Non si può che auspicare che il nuovo codice conosca una maggiore stabilità, perché le continue modifiche legislative causano stratificazione e frammentazione normativa, sono fonte di incertezza applicativa (basti solo pensare al sovrapporsi dei regimi transitori) ed aumentano il contenzioso e i costi amministrativi sia per le imprese, soprattutto piccole e medie, sia per le amministrazioni.
Come già segnalato nel parere n. 855/2016 (cfr. paragrafo II.e.8)), nella materia degli appalti pubblici sarebbero utili strumenti quali le leggi annuali di revisione o sessioni parlamentari dedicate, al fine di impedire interventi polverizzati e non adeguatamente ponderati.
In ogni caso, ogni successiva modifica dovrà avvenire nel rispetto della “riserva di codice” (e non con disposizioni ad esso esterne) e sempre valutando, attraverso un attento utilizzo dell’AIR, il costo delle innovazioni a carico di privati e imprese.
7. Esame del decreto correttivo: metodo.
Prima di iniziare l’esame dell’articolato, alcune premesse di metodo.
Per comodità di lettura, le osservazioni verranno fatte non sugli articoli del correttivo, ma sugli articoli del codice, come emendati.
In particolare, seguendo l’ordine degli articoli del codice, per ogni articolo si esprimeranno, ove occorra, le osservazioni al correttivo e ulteriori osservazioni su aspetti non toccati dal correttivo, avendo cura di tenerle distinte.
Per le correzioni non condivise, si indicherà se appaiono illegittime, per contrasto con le direttive o legge delega, se appaiono semplicemente incoerenti o inutili, se si profilano questioni di opportunità, se non risultano sufficientemente giustificate nelle schede AIR e VIR.
Ove ritenuto necessario, verranno formulate osservazioni anche su articoli del codice non toccati dal correttivo, ivi compresi rilievi su quelle norme del codice, nella misura in cui sollevano criticità, su cui questo Consiglio non si è potuto esprimere in occasione del parere n. 855/2016, in quanto esse non erano presenti nello schema di decreto sottoposto al vaglio consultivo, ma inserite solo nel testo finale.
8. Osservazioni sui singoli articoli.
ARTICOLO 3 (DEFINIZIONI)
Nell’art. 3 viene inserita la nuova lett. oo-ter)recante la definizione di lavori scorporabili. Essa non appare chiara, in quanto non si comprende se il testo dia una definizione di genus e poi un’esemplificazione (come nella previgente disciplina del 2006-2010) o se le categorie scorporabili siano solo quelle di importo superiore al 10% del totale o a 150.000 euro.
Se l’incidenza quantitativa è un requisito generale sarebbe allora utile riformulare la definizione dei “lavori di categoria scorporabile” come “la categoria di lavori, individuata dalla stazione appaltante nei documenti di gara tra quelli non appartenenti alla categoria prevalente e comunque di importo superiore al 10 per cento dell’importo complessivo dell’opera o lavoro, ovvero di importo superiore a 150.000 euro ovvero ancora appartenenti alle categorie di cui all’articolo 89, comma 11.”.
In ogni caso la definizione di cui alla lettera in rassegna non sembra coordinata con la definizione, assai sintetica, contenuta nell’art. 48, comma 1. Le due previsioni vanno quindi coordinate.
Si inserisce poi una nuovalett. ggggg-bis) recante la definizione di “univocità dell’invio”.
Si osserva che è preferibile riferirsi al “principio di unicità dell’invio”, piuttosto che al “principio di univocità dell’invio”, trattandosi di una prescrizione quantitativa (invio una volta sola) e non qualitativa (carattere univoco e cioè non ambiguo) dell’invio.
Inoltre, trattandosi di un principio, sembra impropria la definizione dello stesso quale “criterio”.
Pertanto le parole “il criterio” possono, con maggiore proprietà, essere sostituite dalle parole “il principio” o, volendo evitare ripetizioni, dalla parola “quello”.
Quanto alla delimitazione dell’ambito applicativo del principio, la formulazione utilizzata appare ridondante e rischia di lasciar fuori alcune ipotesi. Inoltre essa non risolve nemmeno la questione se il principio si applichi o meno anche ai “contratti esclusi” ove per essi vi siano obblighi di comunicazione alle banche dati. Si suggerisce pertanto di sostituire le parole “nonché alle procedure per l’affidamento di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici ci progettazione, di concorsi di idee e di concessioni” con le seguenti: “nonché a tutte le procedure di affidamento di contratti pubblici soggette al presente codice, e a quelle da esso escluse, in tutto o in parte, ogni qualvolta siano imposti dal presente codice obblighi di comunicazione a una banca dati”.
Si ricorda inoltre in questa sede la segnalazione al Governo già fatta con il parere del Consiglio di Stato 29.3.2017 n. 775 in tema di PPPC, relativa all’art. 3, lett. zz): con riguardo al c.d. rischio operativo, mentre la lett. zz) dell’art. 3, comma 1, richiama solo il “concessionario”, l’art. 180, comma 8, fa riferimento, oltre che alla concessione (di costruzione e gestione e di servizi) anche ad altre figure (la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche di cui ai commi precedente).
Occorre pertanto armonizzare le due previsioni.
ARTICOLO 4 (PRINCIPI RELATIVI ALL’AFFIDAMENTO DI CONTRATTI PUBBLICI ESCLUSI)
Nel parere n. 855/2016 questo Consesso aveva espresso l’auspicio che in futuro il codice degli appalti potesse diventare il codice dei contratti pubblici tout court, compresi quelli “attivi” ancora regolati dalla legislazione di contabilità di Stato, auspicio non immediatamente traducibile in un riordino dei contratti attivi nel codice, mancando in tal senso un principio espresso di delega.
Per tali contratti attivi non si dubita che, oltre a doversi rispettare eventuali specifiche regole contenute nella legislazione di contabilità di Stato e nelle discipline settoriali, vanno rispettati i principi generali di tutela della concorrenza e parità di trattamento.
L’art. 1, lett. n) della legge delega, pone tra i criteri direttivi quello della individuazione dei “contratti esclusi” dall’ambito di applicazione del codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione.
Il principio di delega è stato già interpretato, dal codice, nel senso che oltre a individuarsi i contratti esclusi, vada per essi dettato un “nucleo minimo” di “principi” applicabili, e a tanto provvede l’art. 4 del codice.
Non vi è dubbio che i “contratti attivi” rientrino tra i contratti esclusi.
Pertanto i principi di cui all’art. 4 del codice andrebbero estesi anche ai contratti attivi, e a tal fine nell’art. 4, comma 1, dopo le parole “contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture,” andrebbero aggiunte le parole “dei contratti attivi,”.
ARTICOLO 5 (PRINCIPI COMUNI IN MATERIA DI ESCLUSIONE PER CONCESSIONI, APPALTI PUBLBICI E ACCORDI TRA ENTI E AMMINISTRAZIONI AGGIUDICATRICI NELL’AMBITO DEL SETTORE PUBBLICO)
In relazione alla modifica apportata al comma 1 lett. c) dell’art. 5 non è chiaro se l’esercizio di “controllo o potere di veto” costituisca una delle possibili specificazioni del concetto generale di “influenza determinante” o se, al contrario, si voglia significare che tale influenza sussiste solo se la persona giuridica controllante gode di potere di controllo o di veto, come formalmente definito. Vista la delicatezza dei problemi giuridici coinvolti si evidenzia l’esigenza di un chiarimento al riguardo.
Più in generale, la Commissione speciale formula i seguenti rilievi.
In primo luogo, sarebbe opportuno un coordinamento con il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che rappresenta la base legale di regolazione delle tipologie di società ammissibili, incluse le società in house. La definizione del tipo, in conformità alle regole europee, è contenuta, infatti, in tale decreto (art. 2), il quale ha limitato in modo rigoroso le attività che dette società possono porre in essere. L’ambito dei contratti pubblici costituisce appunto uno dei settori in cui il legislatore consente il loro intervento. Per ragioni di coerenza sistematica e al fine di assicurare una visione unitaria delle riforme amministrative in atto sarebbe, pertanto, opportuno che, in sede di correzione del testo in esame, si rinvii al d.lgs. n. 175/2016 in relazione alla definizione di in house, limitando la regolazione settoriale alla disciplina specifica.
Si rileva altresì che questo Consiglio, con parere 14 marzo 2017, n. 638, ha segnalato al Governo la necessità di apportare talune modifiche anche al decreto sulle società pubbliche, il cui correttivo è in corso di approvazione. Tali segnalazioni si collocano anch’esse nella indicata logica unitaria e sono finalizzate a proporre l’eliminazione di quei profili di discrasia rispetto non solo al modello di in house elaborato in sede europea ma anche alla stessa definizione di in house contenuta nella versione vigente del codice dei contratti pubblici. E’ pertanto necessario che i citati decreti correttivi in fase di adozione vengano necessariamente coordinati al fine di pervenire ad una complessiva regolazione dell’in house che contempli nel testo unico n. 175/2016 la sua unitaria nozione sostanziale e nel testo in esame la disciplina di una parte rilevante della sua attività.
In secondo luogo, si ribadisce quanto già rilevato nel parere n. 855 del 2016, in ordine alla opportunità di riprodurre in apposito comma dell’art. 5 il contenuto dell’art. 192, sopprimendo di conseguenza tale articolo.
ARTICOLO 23 (LIVELLI DELLA PROGETTAZIONE PER GLI APPALTI, PER LE CONCESSIONI DI LAVORI NONCHE’ PER I SERVIZI)
La modifica apportata al comma 16 dell’art. 23, mutuando una previsione già dettata dall’art. 133, comma 8, codice n. 163/2006, stabilisce ora che i prezziari regionali scadono il 31 dicembre di ogni anno e possono essere utilizzati transitoriamente fino al 30 giugno dell’anno successivo.
La nuova previsione pone due questioni.
In primo luogo non è specificato cosa accade se i prezziari non vengono tempestivamente aggiornati. Non potendosi certo ipotizzare che il mancato aggiornamento del prezziario paralizzi le gare, occorre sostituire le parole “è determinato” con le seguenti “è, di regola, determinato”.
In via alternativa (o cumulativa) sarebbe opportuno prevedere un potere sostitutivo ministeriale nell’adozione dei prezziari. In tal senso si ricorda che l’art. 133, comma 8, del codice n. 163/2006 prevedeva che: “In caso di inadempienza da parte dei predetti soggetti, i prezzari possono essere aggiornati dalle competenti articolazioni territoriali del Ministero delle infrastrutture di concerto con le regioni interessate.”
Più in generale si sottolinea che nel passato la normativa (art. 133, comma 8 codice n. 163/2006) faceva riferimento ai prezziari delle stazioni appaltanti, per le quali i prezziari regionali erano un criterio di orientamento privo di portata vincolante.
Nel nuovo quadro normativo, che ora fa riferimento ai soli prezziari regionali, si pone poi la questione di coordinare il carattere vincolante dei prezziari regionali menzionati nell’art. 23, comma 16, con “i costi standard dei lavori” che vengono fissati a livello nazionale dall’ANAC, ai sensi dell’art. 213, lett. h-bis), inserito dal correttivo.
Trattandosi di una valutazione di natura non esclusivamente giuridica, dovendosi regolare il rapporto tra competenze dell’ANAC e delle Regioni, la si rimette all’attenzione del Governo.
In relazione al periodo, aggiunto in fine al comma 16, relativo allo scorporo del costo della manodopera e dei costi della sicurezza dall’importo assoggettato a ribasso d’asta, si osserva poi quanto segue.
Tale periodo riprende nella sostanza il previgente d.lgs. n. 163/2006, art. 82, comma 3-bis (c.d. ‘emendamento Damiano’) che, nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, imponeva di scorporare gli oneri della manodopera ai fini della determinazione del prezzo più basso, all’evidente fine di impedire tensioni competitive destinate a riverberarsi sui diritti dei lavoratori.
In sede di prima stesura del nuovo codice la previsione in questione non fu riprodotta presumibilmente per le seguenti ragioni:
1) perché il criterio del prezzo più basso è tendenzialmente superato per i lavori;
2) perché, in ogni caso, l’aggiudicazione al prezzo più basso è sempre impedita nel caso di lavorazioni ad alta intensità di manodopera (art. 95 comma 3 lett. a);
3) perché l’obbligo del rispetto dei pertinenti CCNL era comunque già sancito dal presente art. 23, comma 16;
4) perché l’art. 97 comma 5 lett. d) già considera anomale le offerte basate su costi del lavoro inferiori ai minimi tabellari.
Quindi deve ritenersi che le esigenze di tutela sottese alla proposta disposizione siano in realtà già soddisfatte dall’attuale formulazione del codice.
Ciò premesso in ordine alla effettiva utilità della modifica, il primo punto comunque da evidenziare è che la reintroduzione della disposizione nell’attuale sede ne estende la portata anche all’aggiudicazione col metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa basata sul rapporto qualità-prezzo, mentre il previgente codice la limitava alle ipotesi di aggiudicazione al prezzo più basso.
In secondo luogo, la nuova disposizione (per come formulata) equipara tout court il costo della manodopera ai costi della sicurezza, cioè a quelle voci che concorrono all’importo finale ma non sono soggette a ribasso. Tuttavia, come è noto, i costi della sicurezza c.d. esterna sono già quantificati a priori dal bando e cioè dalla stazione appaltante. Diviene allora necessario, ove si opti per il mantenimento della previsione, chiarire a chi – stazione appaltante o offerente – spetti oggi “scorporare” questi costi dall’importo sul quale calcolare il ribasso.
ARTICOLO 24 (PROGETTAZIONE INTERNA E ESTERNA ALLE AMMINISTRAZIONI AGGIUDICATRICI IN MATERIA DI LAVORI PUBBLICI)
In relazione a tale articolo, innanzi tutto deve evidenziarsi il mancato seguito alla raccomandazione formulata da questo Consiglio nel parere n. 2282 del 2016, nel contesto del quale il Governo era stato espressamente invitato a valutare “l’opportunità di correzione in ordine all’art. 24, comma 1, codice, nella parte in cui, a differenza della previgente disciplina, non pone un ordine di priorità tra progettazione interna ed esterna, e direzione dei lavori interna e esterna, a favore della prima.”.
In secondo luogo, si osserva che la modifica apportata al comma 3 impone ora l’obbligo di iscrizione dei progettisti interni all’albo professionale.
Dal momento che l’unico requisito soggettivo legalmente indispensabile per lo svolgimento dell’attività professionale è il conseguimento della relativa abilitazione, non si riesce a individuare, alla luce della relazione illustrativa, l’interesse pubblico che giustifichi l’introduzione dell’obbligo generalizzato di iscrizione.
Va ricordato che nel vigore del previgente codice del 2006, lo stesso Consiglio Nazionale degli Ingegneri aveva ritenuto, alla luce di tale codice, che prevedeva la firma dei progetti da parte dei progettisti interni, alla sola condizione che fossero abilitati dell’esercizio della professione (art. 90, comma 4, d.lgs. n. 163/2006), non necessaria l’iscrizione all’Ordine professionale dei progettisti-dipendenti pubblici.
D’altro canto, trattandosi di pubblici dipendenti sottoposti al controllo dell’Amministrazione, nemmeno può ipotizzarsi che la novità risponda all’esigenza di attrarre i professionisti sotto la vigilanza del relativo Ordine.
Infine la nuova previsione comporta un aggravio di spesa – non considerato nella relazione tecnico/finanziaria – per l’Amministrazione di appartenenza, la quale dovrà presumibilmente sostenere i costi relativi all’iscrizione in Albo del dipendente, e ciò in violazione del criterio di invarianza dei costi (v. Cass., sez. lav., 16 aprile 2015, n. 7776 con riferimento alla imputazione alla pubblica amministrazione di appartenenza dei costi di iscrizione all’albo professionale per gli avvocati-dipendenti pubblici).
Il tema dell’iscrizione dei progettisti dipendenti pubblici all’Ordine professionale andrebbe piuttosto approfondito mediante un intervento sulla legge professionale, se del caso prevedendo una sezione speciale dell’albo professionale, in analogia a quanto si prevede per gli avvocati che sono dipendenti pubblici e chiarendo se i costi di iscrizione si imputano al professionista o all’Amministrazione di appartenenza.
Allo stato, e in difetto di tale approfondimento, si invita il Governo a riconsiderare tale modifica.
In relazione alla modifica apportata al comma 8 si osserva che la stessa, come specificato nelle relazioni di accompagnamento, mira a rendere più pregnante la tutela dei professionisti esterni, ponendoli al riparo da affidamenti per importi troppo ribassati rispetto alle tariffe professionali.
Tuttavia è evidente che l’introduzione, in luogo della mera facoltà, di un sostanziale obbligo per le stazioni appaltanti di riferirsi alle tabelle ministeriali dei corrispettivi comporta di per sé un aggravio dei costi, non considerato dalla relazione tecnico/finanziaria, e in definitiva una violazione del criterio di invarianza.
D’altra parte la disposizione – ove se ne consideri la portata sostanziale – presenta anche profili di criticità in relazione al generale disfavore comunitario per i minimi tariffari inderogabili.
Si suggerisce pertanto di mantenere il testo vigente o, in alternativa, di prevedere una possibilità di deroga alle tabelle ministeriali. In tale ultima ipotesi sarebbe allora opportuno sostituire nel correttivo le parole: “sono utilizzati” con le seguenti: “sono, salvo motivata deroga, utilizzati”.
ARTICOLO 27 (PROCEDURE DI APPROVAZIONE DEI PROGETTI RELATIVI A LAVORI)
Con riguardo al comma 1-bis dell’art. 27, aggiunto dal decreto correttivo, sembra da valutare l’opportunità di aggiungere ‒ tra le condizioni che devono sussistere per la proroga ex lege della efficacia di pareri, autorizzazioni e intese già acquisiti ma nel frattempo scaduti ‒ anche l’assenza di variazioni in materia di disciplina urbanistica. La progettazione dei lavori pubblici deve infatti sempre assicurare la conformità dell’opus alle norme urbanistiche, e non solo a quelle ambientali e di tutela dei beni culturali e paesaggistici (art. 23, comma 1, del codice).
ARTICOLO 29 (PRINCIPI IN MATERIA DI TRASPARENZA)
Con riguardo all’art. 29, comma 1, secondo periodo, come modificato dal correttivo, è necessario sostituire le parole «nonché la sussistenza» con le parole «nonché della sussistenza». Il sostantivo “sussistenza” si collega, infatti, al termine «verifica» che lo precede nella stessa frase e non al termine “attestante”.
Il nuovo terzo periodo del comma 1 dell’art. 29 riproduce la disposizione prima contenuta nell’art. 76, comma 3, del codice, il quale viene contestualmente abrogato. Tuttavia, al secondo periodo del comma in questione è contenuto già un riferimento al “provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali».
Pertanto nel terzo periodo, ora introdotto, appare opportuno evitare la ripetizione, invero ridondante, di tale analitica descrizione utilizzando le parole: “di detto provvedimento”.
Sempre nel comma 1, terzo periodo, aggiunto dal decreto correttivo, si fa riferimento alla comunicazione ai “concorrenti”. La disposizione ‒ così come formulata ‒ potrebbe essere interpretata nel senso che il rito di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., non deve trovare applicazione per l’impugnazione di ammissioni ed esclusioni disposte nelle procedure di gara con fase preselettiva, dove i “candidati” (a stretto rigore) non sono ancora “concorrenti”. Sarebbe, quindi, opportuno sostituire la parola “concorrenti” con l’espressione più ampia “candidati e concorrenti”.
Il comma 1, ultimo periodo, aggiunto dal decreto correttivo, prevede poi «che gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo di committente». La disposizione non appare ben coordinata con l’art. 73, comma 5, del codice, il quale fa decorrere gli effetti giuridici della pubblicità in ambito nazionale dalla data di pubblicazione dei bandi di gara sulla piattaforma ANAC (e nelle more della sua istituzione, sulla GURI). Per tali motivi è opportuno anteporre all’inizio del periodo l’inciso “Fatti salvi gli atti a cui si applica l’articolo 73, comma 5, i termini (…)”.
Si osserva, poi, che per un migliore coordinamento tra l’art. 29 e l’art. 120, comma 2-bis c.p.a., occorre assicurare la effettiva e tempestiva conoscenza da parte dei candidati e concorrenti degli atti di ammissione ed esclusione e degli elementi probatori di eventuali cause di esclusione. A tal fine occorre che da, un lato, a candidati e offerenti sia resa nota anche la motivazione dei provvedimenti e dall’altro, lato, ad essi dovrebbe essere consentito l’accesso alle banche dati utilizzate dalle stazioni appaltanti per la verifica dei requisiti dei concorrenti. Pertanto, si potrebbe opportunamente integrare il nuovo periodo inserito nell’art. 29, comma 1, a tenore del quale “Il termine per l’impugnativa di cui al citato articolo 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili” con l’aggiunta delle seguenti parole “, corredati di motivazione”.
Valuterà poi il Governo come consentire ai concorrenti, da un lato il pieno e tempestivo accesso agli atti di gara e alla documentazione degli altri concorrenti, e, dall’altro lato, l’accesso alla banca dati nazionale degli operatori economici e, nelle more della sua istituzione, alla banca dati dei contratti pubblici e al casellario informatico, per poter acquisire informazioni relative ai concorrenti la cui ammissione si intenda impugnare.
A tal fine si potrebbe prevedere l’accesso dei concorrenti mediante link informatico indicato dalla stazione appaltante, con credenziali di accesso riservate e temporanee.
ARTICOLO 30 (PRINCIPI PER L’AGGIUDICAZIONE E L’ESECUZIONE DI APPALTI E CONCESSIONI)
Il comma 4, ultimo periodo, dell’art. 30, aggiunto dal decreto correttivo, introduce una previsione già contemplata in tema di subappalto nell’art. 105, comma 16, del codice. Peraltro mentre nella disposizione che si introduce nell’art. 30 la “verifica di congruità della incidenza della mano d’opera” è “effettuata da enti previdenziali e assicurativi”, nell’art. 105, comma 16, la stessa verifica è effettuata da soggetti diversi (per i lavori edili dalla Cassa edile; per i lavori non edili deve operarsi una comparazione con lo specifico contratto collettivo applicato).
Sarebbe quindi in primo luogo opportuno valutare la necessità di rendere omogenee le due previsioni.
Si osserva, inoltre, che nell’art. 217 comma 27-quinquies viene dettato un regime transitorio riferito alla previsione di cui all’art. 30, comma 4, ultimo periodo. Tale regime tuttavia non tiene conto della circostanza che, come si è detto, analoga previsione già esiste (appunto nell’art. 105, comma 16) ed è in vigore.
Più in generale si osserva come siano del tutto condivisibili le finalità, in termini di contrasto al lavoro nero, che la disposizione si prefigge. Tuttavia nelle relazioni di accompagnamento (AIR e VIR) non viene svolta una appropriata disamina in ordine alla effettiva capacità degli enti e casse previdenziali di svolgere il compito loro affidato. Analogamente non risulta adeguatamente approfondita l’esigenza di coordinare la nuova previsione con la vigente disciplina del DURC ed in particolare col regime di validità temporale di tale documento che sembrerebbe consentirne l’utilizzo in relazione a varie procedure di affidamento, utilizzo plurimo che verrebbe vanificato se il DURC deve riferirsi alla specifica incidenza della manodopera in relazione ad uno specifico appalto.
Infine si rileva che l’art. 30, comma 7-bis, aggiunto dal decreto correttivo, distingue tra contratti (per l’esecuzione dei lavori pubblici) stipulati a corpo o a misura. Trattandosi di norma riconducibile, nella sistematica del contratto, all’oggetto dell’appalto di lavori è consigliabile la sua collocazione in una sedes materiae più appropriata. La previsione potrebbe, ad esempio, essere trasferita nell’art. 59 del codice, la cui rubrica andrebbe modificata in “scelta delle procedure e oggetto del contratto”.
ARTICOLO 31 (RUOLO E FUNZIONI DEL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO NEGLI APPALTI E NELLE CONCESSIONI)
Con riferimento al comma 8, primo periodo, dell’art. 31, come modificato, va valutata l’opportunità di inserire, dopo le parole “direzione dei lavori”, le parole “direzione dell’esecuzione”, in parallelo con l’analogo inserimento disposto dal correttivo nell’art. 157, comma 1, del codice.
ARTICOLO 32 (FASI DELLE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO)
Il comma 2, ultimo periodo, dell’art. 32, aggiunto dal correttivo e relativo al procedimento di aggiudicazione dei contratti sotto soglia per affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, andrebbe per ragioni di coerenza sistematica ricollocato nell’art. 36 del codice.
In ogni caso, la disposizione ‒ onde evitare espressioni tautologiche ‒ potrebbe essere formulata come segue: “Nella procedura di cui all’articolo 36, comma 2, lettera a), la stazione appaltante può procedere ad affidamento diretto tramite determina (…)”.
Il nuovo comma 14-bis prescrive poi che i contratti di appalto devono prevedere penali per il ritardo nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali da parte dell’appaltatore.
La disposizione, in quanto collocata tra i principi comuni, risulterebbe così applicabile anche ai settori speciali e alle concessioni, così come ai soggetti aggiudicatori privati.
Considerato, tuttavia, che si tratta di istituti ordinariamente e sinora applicati solo alle amministrazioni aggiudicatrici nei settori ordinari, sarebbe preferibile ricollocare la disposizione tra quelle relative alla fase esecutiva, riguardanti solo le amministrazioni aggiudicatrici nei settori ordinari. In tal senso si potrebbe ipotizzare una collocazione della disposizione nel nuovo art. 113-bis (contenente la disciplina della erogazione degli acconti sul prezzo) ove per esigenze sistematiche potrebbero farsi confluire anche le norme sostanziali sull’anticipazione, attualmente collocate nell’art. 35, comma 18, del codice.
Il comma 14-ter, nel prevedere che i capitolati e il computo estimativo metrico fanno parte integrante del contratto, sembra prevedere una integrazione legale del contratto, a prescindere dal richiamo di essi nei documenti contrattuali e dunque dalla relativa sottoscrizione.
Sembra però necessario che sia garantita la conoscibilità preventiva di tali documenti da parte dell’aggiudicatario, al fine del prodursi dell’effetto dell’integrazione legale dell’autonomia privata.
Inoltre la norma, usando la generica locuzione “i capitolati” sembra riferirsi non solo al capitolato speciale di un dato appalto, ma anche ed eventuali capitolati “generali”.
Sembra allora preferibile adottare la soluzione, già seguita dall’art. 5, comma 7, d.lgs. n. 163/2006, secondo cui presupposto dell’integrazione legale del contratto è che i capitolati siano richiamati nel bando di gara o nell’invito.
Si suggerisce pertanto di riformulare la previsione come segue: “I capitolati e il computo estimativo metrico, richiamati nel bando o nell’invito, fanno parte integrante del contratto.”.
ARTICOLO 35 (SOGLIE DI RILEVANZA COMUNITARIA E METODI DI CALCOLO DEL VALORE STIMATO DEGLI APPALTI)
La modifica introdotta dalla lett. a) al comma 1 dell’art. 35 è volta a sostituire l’incipit del comma 1 con le parole: “Ai fini dell’applicazione del presente codice, le soglie di rilevanza comunitaria sono:”, eliminando il periodo “Le disposizioni del presente codice di applicano ai contratti pubblici il cui importo al netto dell’imposta sul valore aggiunto, è pari o superiore alle soglie seguenti:”.
L’intervento normativo non presenta carattere meramente formale, benché abbia anche la finalità di coordinamento del comma 1 con il comma 4 dello stesso art. 35, il quale disciplina le modalità di calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture. E’ stato eliminato, nella definizione delle soglie di rilevanza comunitaria, il riferimento all’importo “pari o superiore a”, come previsto nella vigente formulazione in linea con le direttive comunitarie; in proposito il Consiglio di Stato (cfr. Commissione speciale del 21 marzo 2016) aveva già segnalato il mancato rispetto di tale prescrizione e un’assenza di coerenza tra le formulazioni utilizzate nel codice.
Sul piano sostanziale, l’innovazione ha l’effetto positivo di eliminare alcune incertezze riguardanti l’applicazione delle norme generali del codice ai contratti sotto soglia. La precedente formulazione, infatti, poteva condurre ad affermare che trovassero applicazione solo le disposizioni espressamente richiamate dall’art. 36 o da altre specifiche disposizioni.
In questo senso, l’innovazione, pertanto, non è meramente formale ed è destinata ad avere importanti ricadute pratiche per il corretto svolgimento delle procedure sotto soglia.
Se questa è la condivisibile finalità dell’intervento correttivo, però, si raccomanda al Governo di verificare con la massima attenzione la complessiva disciplina dei contratti sotto soglia e la compatibilità con le altre regole “ordinarie”. Allo stato, infatti, il quadro normativo risulta ancora frammentario e poco sistematico.
Viene anche modificato il comma 18 dell’art. 35, stabilendo che l’anticipazione del prezzo da corrispondere all’appaltatore da parte della stazione appaltante deve essere calcolata “sul valore del contratto di appalto”, invece che sul “valore stimato” come ora previsto. Si tratta di una modifica sostanziale, che risponde alla corretta esigenza di evitare, da un lato, un’anticipazione inutilmente elevata per la stazione appaltante, dall’altro lato, una garanzia fidejussoria troppo onerosa per l’appaltatore, ancorando la misura dell’anticipazione e della garanzia a un dato reale e non stimato.
Sempre al comma 18, viene sostituito il richiamo “all’articolo 106” del dd.lgs. n. 385/1993 con “all’articolo 107” dello stesso decreto legislativo, correggendo la precedente imprecisione.
Al riguardo, si rileva che, effettivamente, il riferimento corretto è all’art. 106 del decreto legislativo n. 355/1993 (TUB) come previsto nella vigente disposizione (l’art. 107 si riferisce alla “Autorizzazione” di Banca d’Italia).
Si osserva, peraltro, che la sede più corretta della disciplina racchiusa nel comma 18 dell’art. 35 sarebbe il titolo V, relativo all’esecuzione: valuterà il Governo l’opportunità di ricollocare la disciplina, se del caso nell’art. 113-bis, con appropriata modifica della relativa rubrica.
ARTICOLO 36 (CONTRATTI SOTTO SOGLIA)
Viene modificato il comma 1 dell’art. 36, precisando che il “principio di rotazione” si riferisce propriamente agli “inviti” e che l’affidamento e l’esecuzione dei contratti sotto soglia deve avvenire, in ogni caso, anche nel rispetto dei principi di cui all’art. 34 del codice (come modificato dall’art. 20 del correttivo), concernente i “criteri ambientali minimi”.
La prima parte della modifica intende definire la portata del principio di rotazione, anche alla luce delle indicazioni provenienti dalle linee guida ANAC in materia e dal parere del Consiglio di Stato che le ha precedute.
Il rilievo operativo della nuova regolamentazione proposta è evidente, poiché coinvolge l’attuazione dei principi di concorrenza, di accesso al mercato delle piccole e micro imprese, di semplificazione procedimentale per le stazioni appaltanti, di prevenzione della illegalità.
L’innovazione intenderebbe collocare la rotazione già nella fase in cui l’amministrazione si rivolge al mercato, per delineare, eventualmente, la successiva competizione tra gli operatori interessati all’affidamento.
Il meccanismo indicato, tuttavia, dovrebbe essere meglio chiarito. Sembrerebbe che l’intento sia quello di assicurare una piena turnazione degli inviti degli operatori che potrebbero aspirare al contratto.
Dunque, in questa prospettiva, non sarebbero ammessi al successivo invito anche gli operatori già partecipanti alle precedenti selezioni, ancorché non aggiudicatari. La precedente formulazione, invece, poteva intendersi nel senso che la turnazione si riferisse alla posizione di affidatario del contratto, legittimando la ripetizione di inviti alla stessa platea di operatori.
Si tratta di una soluzione che, astrattamente, amplia la base degli operatori economici coinvolti nelle procedure di affidamento. Si deve osservare, però, che in tal modo, si pongono sullo stesso piano i precedenti aggiudicatari e i precedenti concorrenti. Sarebbe preferibile, invece, evidenziare che la rotazione dovrebbe preferibilmente assicurare proprio l’alternanza degli affidamenti e non delle mere occasioni di partecipazione alla selezione.
In questo senso, resta ancora poco chiaro se sussista un vero e proprio dovere di non invitare il precedente affidatario del contratto, o se si tratti di una mera facoltà della stazione appaltante.
Si osserva, poi, che, al fine di una corretta ed efficiente applicazione del principio di rotazione degli inviti, occorrerebbe prevedere la costituzione da parte delle stazioni appaltanti di elenchi (o albi) di operatori economici qualificati cui rivolgere a rotazione gli inviti, come già prospettato dall’ANAC.
La Commissione, nel prendere atto dello sforzo compiuto dall’ANAC per fornire adeguato supporto alle stazioni appaltanti, mediante l’adozione di linee guida, peraltro prive di efficacia vincolante, sottolinea che la materia dei contratti sotto soglia, proprio per l’incidenza sul mercato delle piccole e micro imprese e il coinvolgimento di stazioni appaltanti di ridotte dimensioni (per esempio, gli istituti scolastici) richiederebbe regole più precise e univoche, pure nell’ottica di prevenzione del contenzioso.
In questo senso, fra le diverse questioni emerse nella prassi, si richiama l’attenzione sulla opportunità di chiarire meglio i casi in cui la suddivisione in lotti, disciplinata dall’art. 51, possa considerarsi non elusiva delle soglie di rilevanza europea.
Al riguardo è sufficiente indicare la fattispecie dei contratti per i viaggi delle istituzioni scolastiche: secondo un indirizzo rigoroso, la necessaria e opportuna suddivisione in lotti funzionali corrispondenti ai diversi viaggi organizzati non farebbe venire meno la sostanziale unitarietà del servizio. In tal modo, però, si perviene ad un frequente superamento della soglia di rilevanza europea, con le conseguenti complicazioni procedurali.
La precisazione riguardante l’applicazione dei criteri ambientali minimi anche ai contratti sotto soglia è importante, perché tale disposizione non sembrava direttamente applicabile ai contratti sotto soglia, in virtù del combinato disposto degli artt. 35 e 36 (nella formula precedente l’intervento correttivo).
Al riguardo, la Commissione speciale invita il Governo a valutare con attenzione l’opportunità di estendere (o adattare) l’operatività di alcune norme del codice, espressione di principi generali, anche agli appalti sotto soglia.
Ad esempio, si potrebbe chiarire che la “clausola sociale”, che il correttivo rende ora sempre obbligatoria per gli appalti sopra soglia, possa essere quanto meno “consentita” nei contratti sotto soglia.
Parimenti, si potrebbe considerare di estendere la disciplina del “conflitto di interessi” anche agli appalti sotto soglia, quanto meno per gli importi di maggiore valore, tenendo conto della funzione di prevenzione dai rischi di distorsioni delle procedure.
Il correttivo apporta modifiche alla lett. b) del comma 2, disponendo che per gli affidamenti di lavori mediante procedura negoziata di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro devono essere consultati per i lavori “almeno dieci operatori economici”; il testo vigente prevede la consultazione di almeno cinque operatori.
Inoltre si elimina alla lett. c) del comma 2 dell’art. 36 il riferimento all’art. 63, codice (procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara), stabilendo che per l’aggiudicazione di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 1.000.000 di euro devono essere consultati “almeno quindici operatori economici” (invece dei dieci previsti nel testo vigente).
Al riguardo, la Commissione invita il Governo a valutare l’adeguatezza del numero di operatori da consultare. La maggiore ampiezza delle imprese coinvolte nella procedura favorisce senz’altro la concorrenza e l’apertura del mercato. Inoltre, serve anche a consentire il funzionamento del meccanismo di esclusione automatica, che esige la presentazione di almeno dieci offerte valide. Tuttavia, in questo modo sono accresciuti gli oneri gravanti sulle stazioni appaltanti, in quanto un numero minimo troppo alto di imprese da invitare rischia di vanificare le esigenze di semplificazione.
Pertanto, si potrebbe prospettare una soluzione alternativa.
Invero, secondo la norma oggi vigente, il numero di dieci imprese da invitare è solo un numero minimo, ben potendo, già a legislazione vigente, essere invitate più di dieci imprese.
Ora, posto che per poter procedere ad esclusione automatica delle offerte anomale occorre che vi siano almeno dieci offerte valide, e posto che tale numero potrebbe non esserci se vengono invitati solo dieci operatori economici, si potrebbe, tramite Linee guida, raccomandare alle stazioni appaltanti che intendano avvalersi della facoltà di esclusione automatica, di invitare più del numero minimo di 10 imprese, al fine di avere almeno dieci offerte valide, per esercitare la facoltà di esclusione automatica.
Si raccomanda, in ogni caso, di verificare la corretta riformulazione della lett. c), che dovrà essere “mediante procedura negoziata”;
Viene sostituito il comma 5, stabilendo, nel caso in cui la stazione appaltante abbia fatto ricorso a procedure negoziate, che la verifica dei requisiti avvenga “esclusivamente” sull’aggiudicatario; si prevede tuttavia la possibilità di estendere le verifiche agli altri partecipanti. Inoltre, viene introdotta una disposizione secondo cui, nei casi di affidamento diretto per importo inferiore a 40.000 euro, le stazioni appaltanti verificano “esclusivamente” il documento unico di regolarità contributiva (DURC) e l’essenza di procedure concorsuali (art. 80, comma 5, lett. b), codice).
Al riguardo, si osserva che:
– la previsione per cui la verifica avviene “esclusivamente” sull’aggiudicatario è in contraddizione con la disposizione successiva che prevede tuttavia la possibilità di estendere i controlli, per cui andrebbe eliminata tale parola;
– non appare giustificata e compatibile con i principi generali in materia l’esclusione dei controlli sull’assenza di condanne penali e antimafia; pertanto la verifica da parte delle stazioni appaltanti ai fini dell’aggiudicazione va estesa anche a quanto previsto al comma 1 e al comma 2 dell’art. 80 (sussistenza di condanne penali e sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto previsti dall’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011 o di tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 84 comma 4 dello stesso decreto);
– andrebbe chiarito come si effettuano le verifiche nei riguardi dell’affidatario scelto senza svolgimento di procedura negoziata: la nuova riformulazione dei commi 5 e 6 sembra trascurare questa ipotesi;
– occorre sostituire le parole “nella lettera di invito o nel bando di gara” con “nell’invito”, trattandosi di procedure senza bando.
Si introduce il comma 6-bis, prevedendo che nei mercati elettronici, per gli affidamenti diretti di importo inferiore a 40.000 euro, la verifica sull’assenza dei motivi di esclusione è effettuata “a campione”, in fase di ammissione e permanenza del soggetto responsabile dell’ammissione al mercato elettronico; resta ferma la verifica del DURC e dell’assenza di procedure fallimentari.
Al riguardo, con riferimento alla limitazione delle verifiche solo al DURC e all’assenza di procedure fallimentari, si richiamano le osservazioni sollevate in ordine al comma 5. Circa la previsione per cui la verifica “è effettuata a campione” si rileva che, al fine di assicurare che una siffatta modalità di controllo abbia efficacia, occorrerebbe sostituire le parole “a campione” con le parole “su un campione significativo”.
ARTICOLO 38 (QUALIFICAZIONE DELLE STAZIONI APPALTANTI E CENTRALI DI COMMITTENZA)
Il correttivo aggiunge, nell’art. 38, comma 1, concernente i soggetti qualificati ex lege,la previsione secondo cui “Le amministrazioni la cui organizzazione prevede articolazioni, anche territoriali, verificano, al proprio interno, la presenza dei requisiti necessari e li comunicano all’ANAC per la qualificazione”.
Non è chiaro se si intenda in tal modo prevedere un’altra categoria di soggetti qualificati ex lege, sulla base di una sorta di autodichiarazione, o se, piuttosto, si tratti di un filtro preventivo, con cui le amministrazioni a struttura complessa prospettano all’ANAC, ai fini della verifica, quali articolazioni possano considerarsi autonomamente in grado di conseguire la qualificazione.
La formulazione appare generica, tale da rischiare di vanificare la portata innovativa del principio di necessaria qualificazione delle stazioni appaltanti, in quanto, sul piano soggettivo, si fa riferimento ad amministrazioni organizzate in articolazioni, anche territoriali, espressione vaga e potenzialmente amplissima e, sul piano oggettivo, la disposizione sembra sostituire un atto di qualificazione dell’ANAC, a portata costitutiva, con un’autodichiarazione che implica anche un autoaccertamento dei requisiti necessari per la qualificazione.
Al riguardo, va precisato in modo chiaro che non esistono qualificazioni di diritto delle stazioni appaltanti oltre a quelle espressamente previste al comma 1 e precisato che anche la qualificazione delle amministrazioni indicate al comma 1, lett. a), dell’art. 24 deve essere sempre approvata dall’ANAC, la quale potrà accertare, in concreto, se anche la singola articolazione della stazione appaltante sia effettivamente in possesso dei prescritti requisiti.
In conclusione, i casi di stazioni appaltanti qualificate ex lege sono tassativi e non vanno ampliati. Anche le articolazioni territoriali di una stazione appaltante qualificata devono avere una organizzazione proporzionata e dedicata, per poter gestire gare di appalto.
Al fine di fugare ogni dubbio esegetico, è pertanto opportuna una diversa collocazione sistematica della nuova previsione, in altro comma dell’art. 38.
Viene aggiunta, al comma 4, lett. a), la lett. 5-ter) che, per i lavori, richiede l’adempimento a quanto previsto dagli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 229 (Attuazione dell’art. 30, comma 9, lettere e), f) e g), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell’utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti e costituzione del Fondo opere e del Fondo progetti) e dall’art. 29, comma 3.
Si suggerisce di inserire nel corpo della disposizione il titolo del decreto legislativo e il contenuto essenziale delle disposizioni richiamate, per una più agevole lettura del testo.
ARTICOLO 41 (MISURE DI SEMPLIFICAZIONE DELLE PROCEDURE DI GARA SVOLTE DA CENTRALI DI COMMITTENZA)
Il correttivo modifica l’art. 41, comma 1, stabilendo che il d.P.C.M. previsto dallo stesso articolo – che dovrà individuare le misure di revisione ed efficientamento delle procedure di appalto –, si applicherà non solo ai soggetti aggregatori e alle centrali di committenza, ma, in generale, a tutte le stazioni appaltanti qualificate.
Non è del tutto chiara la finalità di questa estensione generalizzata a tutte le stazioni appaltanti qualificate, dal momento che il d.P.C.M. in esame sembrerebbe finalizzato a regolare solo le procedure specificamente svolte dalle centrali di committenza e dagli altri organismi aggregatori.
In questo modo, invece, il d.P.C.M. pare destinato ad incidere indistintamente su tutte le procedure di gara, ancorché non caratterizzate dalla finalità di centralizzazione.
ARTICOLO 46 (OPERATORI ECONOMICI PER L’AFFIDAMENTO DEI SERVIZI DI ARCHITETTURA E INGEGNERIA)
Con la modifica alla lett. f) dell’art. 46, i consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria, anche in forma mista, formati da non meno di tre consorziati, ai fini della partecipazione alle gare di cui all’art. 46 “si qualificano, per la dimostrazione dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi, attraverso i requisiti delle società consorziate”.
Si stabilisce inoltre che ai predetti consorzi non si applicano le disposizioni di cui all’art. 47, relative ai requisiti per la partecipazione dei consorzi alle gare.
In tal modo, la norma intenderebbe chiarire che i requisiti del consorzio possano essere dimostrati mediante il cumulo di quelli posseduti da ciascuna società consorziata.
Per una migliore comprensione della portata dell’innovazione si suggerisce di formulare una dizione più chiara e precisa, anche in coordinamento con la nuova dizione dell’art. 47.
ARTICOLO 47 (REQUISITI PER LA PARTECIPAZIONE DEI CONSORZI ALLE GARE)
L’art. 47, comma 2 come novellato dispone: “Ai fini della partecipazione alle gare dei consorzi di cui all’articolo 45, comma 2, lettera c), i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi previsti dalla normativa vigente, posseduti dalle singole imprese consorziate, vengono sommati in capo al consorzio; trascorsi i primi cinque anni dalla costituzione, i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi previsti dalla normativa vigente sono attribuiti al consorzio in aggiunta a quelli da esso maturati direttamente e possono essere oggetto di avvalimento ai sensi dell’articolo 89”.
La previsione, destinata a dettare una particolare disciplina per i consorzi stabili, appare oscura e la relazione non ne chiarisce il significato.
La giurisprudenza, formatasi nel vigore del d.lgs. n. 163/2006, aveva dato una lettura del consorzio stabile in combinato disposto con l’istituto dell’avvalimento, sostenendo che il modulo del consorzio stabile concretizza un’impresa operativa che fa leva sulla causa mutualistica e realizza una particolare forma di avvalimento che poggia direttamente sul patto consortile e sulla causa mutualistica. Tali connotati del modulo organizzativo e gestionale consentono al consorzio di avvalersi di qualsiasi contributo (in termini di requisito) dei consorziati, senza dover ricorrere all’avvalimento, fermo restando che, in alternativa, il consorzio può qualificarsi con requisiti posseduti in proprio e direttamente (Cons. St., III, 19.11.2014 n. 5689; Tar Campania – Salerno, I, 25.5.2016 n. 1296; Tar Veneto, I, 8.4.2016 n. 362; Id., 12.2.2016 n. 138).
La previsione che si propone dispone che, dopo i primi cinque anni dalla costituzione del consorzio, “i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi previsti dalla normativa vigente sono attribuiti al consorzio in aggiunta a quelli da esso maturati direttamente e possono essere oggetto di avvalimento ai sensi dell’art. 89”.
Anzitutto, non è chiaro a chi si riferiscono “i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi previsti dalla normativa vigente”, ma siccome si afferma che sono attribuiti al consorzio “in aggiunta a quelli da esso maturati direttamente” sembra si debba ritenere che si tratta dei requisiti maturati dai singoli consorziati.
In secondo luogo, non si determina con precisione quali requisiti “possono essere oggetto di avvalimento” e in favore di chi. Come detto, secondo la giurisprudenza richiamata, il consorzio può utilizzare i requisiti di qualificazione dei consorziati, senza necessità di avvalimento. Ora non è chiaro se si sia inteso superare tale giurisprudenza, e affermare che il consorzio, dopo i primi cinque anni, può utilizzare i requisiti dei consorziati solo mediante avvalimento.
Peraltro, nella relazione illustrativa si dà una lettura della disposizione che non sembra cogliersi dalla sua lettera: si legge infatti nella relazione: “allo scopo di evitare che sia messa a disposizione di terzi la somma dei requisiti dei singoli consorziati, ossia che altri possano usufruire della qualificazione riservata ai consorzi stabili, è previsto che, solo nel caso in cui il consorzio stabile si qualifichi con requisiti propri, questi possa divenire impresa ausiliaria”. Non sembra che tale sia il significato della norma, laddove l’avvalimento sembra riferirsi non ai requisiti maturati in proprio dal consorzio, ma a quelli dei singoli consorziati.
Non essendo chiare le finalità perseguite dalla novella, che non si evincono dalla relazione illustrativa, in modo univoco e coerente con il testo di legge, si invita il Governo a chiarire il significato della norma, ovvero ad accogliere una soluzione in linea con quella elaborata dalla giurisprudenza e che prescinde dalla distinzione tra primi cinque anni di vita del consorzio e periodo successivo.
Si potrebbe, a titolo esemplificativo, formulare la previsione come segue: “Tali consorzi, al fine della qualificazione, possono utilizzare sia i requisiti di qualificazione maturati in proprio, sia quelli posseduti dalle singole imprese consorziate designate per l’esecuzione delle prestazioni, sia, mediante avvalimento, quelli delle singole imprese consorziate non designate per l’esecuzione del contratto. Con le linee guida dell’ANAC di cui all’articolo 84, comma 2, vengono stabiliti, ai fini della qualificazione, i criteri per l’imputazione delle prestazioni eseguite al consorzio o ai singoli consorziati che eseguono le prestazioni.”
ARTICOLO 48 (RAGGRUPPAMENTI TEMPORANEI E CONSORZI DI OPERATORI ECONOMICI)
Si segnala la necessità per ragioni di chiarezza di modificare il comma 17, ultimo periodo, nel senso che in assenza delle condizioni sopra elencate l’amministrazione deve, e non può, recedere dal contratto, qualora l’impresa facente parte del raggruppamento o del consorzio che abbia subito l’evento patologico previsto dalle citate disposizioni non abbia ancora eseguito la prestazione alla stessa imputata.
ARTICOLO 50 (CLAUSOLE SOCIALI DEL BANDO DI GARA E DEGLI AVVISI)
La disposizione mira a stabilire l’obbligatorietà, in luogo della mera facoltatività dell’inserimento delle “clausole sociali” nei bandi di gara e negli avvisi.
L’intervento normativo proposto risulta conforme alla delega e alle direttive.
L’obbligo di inserimento delle clausole sociali nei bandi aventi ad oggetto contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera risulta apprezzabile nella misura in cui attua alcune fondamentali direttrici della direttiva 2014/24, quali quelle della crescita inclusiva (considerando n. 2). Rilevano anche i considerando nn. 36, 37, 39, 40,105e gli artt. 18 e 70 della direttiva 2014/24.
La modifica in questione, peraltro, deve essere ricordato era stata già sollecitata dalle Commissioni parlamentari in sede di formulazione dei pareri sullo schema della prima attuazione della delega.
ARTICOLO 53 (ACCESSO AGLI ATTI E RISERVATEZZA)
Nulla da osservare, trattandosi di modifica che, correttamente, estende l’esclusione del diritto di accesso anche alle relazioni riservate del direttore dell’esecuzione dei servizi e delle forniture, mentre l’originario art. 53, comma 5, lett. c), considerava solo le relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo.
Si suggerisce, peraltro, di verificare il coordinamento della nuova formulazione con le previste innovazioni in materia di funzioni concernenti la corretta verifica dell’esecuzione dei contratti.
ARTICOLO 58 (PROCEDURE SVOLTE ATTRAVERSO PIATTAFORME TELEMATICHE DI NEGOZIAZIONE)
La modifica proposta intende semplificare e incentivare il ricorso alle procedure di affidamento svolte con moderni strumenti informatici.
Nella parte in cui si fa riferimento alle procedure gestite dalle centrali di committenza, se l’intento è quello di vietare di addossare ai concorrenti i costi di gestione di qualsivoglia procedura gestita da centrali di committenza, e non solo delle piattaforme telematiche, occorre prevederlo espressamente nell’art. 41 codice. Se, invece, l’intento è di circoscrivere il divieto alle sole procedure mediante piattaforme telematiche, allora le parole “nonché delle procedure” vanno sostituite con le parole “ivi comprese quelle”.
ARTICOLO 59 (SCELTA DELLE PROCEDURE)
Sono apportate modifiche all’art. 59, avente ad oggetto la disciplina in ragione della quale l’amministrazione è chiamata a scegliere tra i diversi tipi di procedure di gara.
Si tratta di innovazioni che riguardano alcune scelte centrali di politica legislativa, sulle quali è necessario soffermare l’attenzione.
In particolare, le modifiche al comma 1 dell’art. 59, hanno ad oggetto l’ampliamento del novero delle eccezioni alla regola generale che vieta il ricorso all’affidamento congiunto di lavori e progettazione.
Le nuove eccezioni, ora previste dallo schema correttivo, si aggiungono ai casi di affidamento a contraente generale, finanza di progetto, affidamento in concessione, partenariato pubblico privato, contratto di disponibilità, e sono rappresentate, in primo luogo, dai casi di:
a) locazione finanziaria;
b) opere di urbanizzazione a scomputo di cui all’art. 1, comma 2, lett. e).
Ulteriori eccezioni al divieto di affidamento congiunto previste dallo schema del correttivo, limitatamente alla progettazione esecutiva, sulla base del progetto esecutivo, sono comprese nei nuovi commi 1-bis ed 1-ter e riguardano, rispettivamente:
– per il comma 1-bis, i casi in cui l’elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell’appalto sia nettamente prevalente rispetto all’importo complessivo dei lavori, ovvero l’affidamento dei lavori mediante procedura di partenariato per l’innovazione o di dialogo competitivo;
– mentre, per il nuovo comma 1-ter, la novità è data dalla presenza dei presupposti di urgenza di cui all’art. 63, comma 2, lett. c).
Sia nell’ipotesi di cui al comma 1-bis, che in quella di cui al comma 1-ter, la determina a contrarre deve dare atto della concreta ricorrenza dei detti presupposti.
Al riguardo, deve notarsi che, per la disciplina europea, gli Stati membri possono liberamente decidere se favorire o meno il ricorso all’appalto integrato per l’esecuzione e la progettazione. Infatti, il Considerando n. 8 della direttiva 2014/24, afferma che: “vista la diversità degli appalti pubblici di lavori, è opportuno che le amministrazioni aggiudicatrici possano prevedere sia l’aggiudicazione separata che l’aggiudicazione congiunta di appalti per la progettazione e l’esecuzione di lavori” e che la direttiva “non è intesa a prescrivere un’aggiudicazione separata o congiunta degli appalti”.
Al contrario, la legge delega n. 11/2016, all’art. 1, comma, 1, lett. oo), ha richiesto una limitazione radicale delle possibilità di ricorso all’appalto integrato, tenendo conto in particolare del contenuto innovativo o tecnologico delle opere oggetto dell’appalto o della concessione in rapporto al valore complessivo dei lavori e prevedendo di norma la messa a gara del progetto esecutivo.
La inclusione, nell’art. 59, c. 1, di due ulteriori casi di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione, segnatamente la locazione finanziaria e le opere di urbanizzazione a scomputo, non ha portata innovativa sostanziale, ma riprende due ipotesi già previste dalla versione originaria del codice. La norma, perciò, non dà luogo a rilievi.
Si tratta, del resto, di fattispecie che presentano significativi punti di contatto con la nozione generale di partenariato pubblico privato, per la quale l’affidamento congiunto è già consentito.
Occorre invece verificare la compatibilità con la legge delega degli ulteriori casi del proposto affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione, di cui ai commi 1-bis e 1-ter dello schema.
La legge delega così stabilisce: “oo) valorizzazione della fase progettuale negli appalti pubblici e nei contratti di concessione di lavori, (…) limitando radicalmente il ricorso all’appalto integrato, tenendo conto in particolare del contenuto innovativo o tecnologico delle opere oggetto dell’appalto o della concessione in rapporto al valore complessivo dei lavori e prevedendo di norma la messa a gara del progetto esecutivo; esclusione dell’affidamento dei lavori sulla base della sola progettazione di livello preliminare (…)”.
Alla luce di tale criterio, se si giustifica senz’altro la prima ipotesi di cui all’art. 59, c. 1-bis (prestazioni in cui è prevalente il contenuto innovativo o tecnologico delle opere), non si giustificano, con immediatezza, né le altre due ipotesi dell’art. 59, comma 1-bis (partenariato per l’innovazione e dialogo competitivo), né, soprattutto, quella di cui all’art. 59, comma 1-ter.
In linea generale, si potrebbero anche comprendere e apprezzare le ragioni poste a fondamento di tale previsione di appalto integrato (situazioni di urgenza, ovvero procedure dinamiche con spiccata progettualità offerta dai privati), ma occorre verificare con attenzione se non sia necessaria una puntuale norma primaria di legge (in senso formale e sostanziale), non essendo sufficiente una norma delegata, che sarebbe viziata da eccesso di delega.
Al proposito, la Commissione ritiene che l’affidamento congiunto possa essere giustificato, nelle ipotesi del dialogo competitivo e del PPP per l’innovazione soltanto qualora, effettivamente, la componente tecnologica abbia prevalenza netta su quella dei lavori.
Ma, in tal caso, si rientrerebbe nella fattispecie della prima parte del comma 1-bis e la previsione di ulteriori casi potrebbe apparire superflua. Si suggerisce, allora, di delimitare in modo puntuale le ipotesi in cui la particolarità delle procedure del dialogo competitivo e del PPP per l’innovazione siano concretamente caratterizzati da una significativa esigenza progettuale.
Con riferimento all’affidamento congiunto nei casi di urgenza qualificata, è necessario evidenziare, già nella determina a contrarre, l’effettiva incidenza sui tempi della realizzazione delle opere dell’affidamento separato di lavori e progettazione.
In termini più ampi, è comunque indispensabile che la determina a contrarre chiarisca puntualmente la rilevanza dei presupposti tecnici e oggettivi che consentono, in concreto, il ricorso all’affidamento congiunto.
La modifica portata al comma 2 dell’art. 59 impedisce alle amministrazioni di coinvolgere nella procedura competitiva con negoziazione ovvero nel dialogo competitivo quegli offerenti partecipanti ad una gara alla quale sono state presentate solo offerte inammissibili o irregolari, se, in relazione alla loro offerta, siano stati ritenuti sussistenti gli estremi per l’invio degli atti alla Procura della Repubblica per i reati di corruzione o fenomeni collusivi ovvero presentate da soggetti privi della necessaria qualificazione. In questo modo vengono ammessi a questa procedura di gara ulteriore rispetto alla prima nella quale sono state presentate solo offerte irregolari o inammissibili solo quei soggetti le cui offerte hanno evidenziato la presenza di deficit soggettivi. Si tratta di una diposizione che va al di là di quanto previsto dall’art. 26 della direttiva e che, potrebbe, da un lato, risultare violativa del divieto di gold plating; dall’altro potrebbe risultare inutile, dal momento che già il testo vigente fa riferimento al fatto che l’invito può essere indirizzato solo ai soggetti in possesso dei requisiti di cui dall’art. 80 al 90.
L’intervento sulla norma in questione potrebbe, invece, essere l’occasione per rivedere la ripartizione tra le offerte irregolari e quelle inammissibili, al fine di meglio armonizzarla con le indicazioni provenienti dalla direttiva. Quest’ultima, infatti, distingue tra offerte “inaccettabili”, termine sostituito in modo del tutto equivalente dal legislatore nazionale con quello: “inammissibili”, e offerte “irregolari”. Ma mentre l’art. 59, d.lgs. n. 50/2016, qualifica come irregolari “le offerte non conformi a quanto prescritto nei documenti di gara”, l’art. 26, della direttiva 2014/24 individua quali irregolari non solo le offerte che non rispettano i documenti di gara, ma anche quelle che sono state ricevute in ritardo, quelle in relazione alle quali vi sono prove di corruzione o collusione, o che l’amministrazione aggiudicatrice ha giudicato anormalmente basse. Categorie quest’ultime che il legislatore nazionale nel vigente art. 59 ha, invece, accorpato nella categorie delle offerte inammissibili, unitamente alle offerte presentate da offerenti che non possiedono la qualificazione necessaria ed alle offerte il cui prezzo supera l’importo posto dall’amministrazione aggiudicatrice a base di gara dell’amministrazione aggiudicatrice stabilito e documentato prima dell’avvio della procedura di appalto. Categorie che, invece, il legislatore europeo identifica quali le uniche ipotesi di offerte inaccettabili.
Da qui, l’opportunità, sia pure mantenendo il diverso termine di offerte inammissibili di riformulare l’art. 59 comma 3, nei seguenti termini:
“Sono considerate irregolari le offerte che:
1.a) non rispettano i documenti di gara;
2.b) sono state ricevute in ritardo;
3.c) in relazione alle quali vi sono prove di corruzione o collusione;
4.d) o che l’amministrazione aggiudicatrice ha giudicato anormalmente basse.”
Di conseguenza occorre eliminare dal successivo comma 4 le lettere a), b), c), cosi restringendo la tipologia delle offerte a quelle presentate da offerenti che non possiedono la qualificazione necessaria e le offerte il cui prezzo supera l’importo posto dall’amministrazione aggiudicatrice a base di gara dell’amministrazione aggiudicatrice stabilito e documentato prima dell’avvio della procedura di appalto (art. 59, comma 4, lett. d) e lett. e) che andrebbero riformulate come lett. a) e b).
Questa modifica consentirebbe altresì di rivedere la nozione di offerta tardiva, dal momento che l’art. 26 della direttiva fa riferimento al momento del recepimento, mentre l’art. 59 a quello diverso della presentazione.
Ulteriore modifica potrebbe essere rappresentata dall’indicazione che la procedura competitiva con negoziazione o il dialogo competitivo che seguano una procedura infruttuosa debbano caratterizzarsi per una sostanziale identità delle condizioni contrattuali, al fine di evitare pratiche elusive.
ARTICOLO 60 (PROCEDURA APERTA)
Si introduce nell’art. 60 un comma 2-bis all’art. 60, prevedendo che, nel caso in cui le amministrazioni abbiano pubblicato una avviso di preinformazione nel caso di presentazione di offerte per via elettronica, il termine di ricezione delle offerte può essere ridotto a cinque giorni. La norma completa il recepimento dell’art. 27 della direttiva 2014/24, il cui comma 4 contiene analoga disposizione. In questo senso fa propria l’indicazione offerta da questo Consiglio nel parere reso sul schema di decreto predisposto per la prima attuazione della delega.
Sembra esserci, tuttavia un errore di recepimento, in quanto si fa riferimento al termine del comma 2, anziché a quello del comma 1. Ciò che si può ridurre di 5 giorni è il temine di 35 giorni, non quello già ridotto di 15 giorni. Probabilmente si è incorsi in equivoco recepimento perché l’art. 27, par. 4, direttiva 2014/24, rinvia al termine del paragrafo 1, comma 2, ma il comma 2 del paragrafo 1 dell’art. 27 della direttiva fa appunto riferimento al termine di 35 giorni.
Pertanto sostituire le parole “comma 2” con le parole “comma 1”.
ARTICOLO 62 (PROCEDURA COMPETITIVA CON NEGOZIAZIONE)
Vengono apportate modifiche ai commi 1 e 4 dell’art. 62, relativo alla procedura competitiva con negoziazione nei settori ordinari.
L’attuale testo del comma 1 prevede, in perfetta assonanza con l’art. 29, paragrafo 1, della direttiva 2014/24/UE, che “qualsiasi operatore economico può presentare una domanda di partecipazione in risposta a un avviso di indizione di gara contenente le informazioni di cui all’allegato XIV, parte I, lettere B e C”.
Il correttivo sostituisce alla congiunzione “e” la congiunzione “o”: la modifica, pur non essenziale, è comunque sostanzialmente condivisibile, in considerazione della diversità strutturale degli istituti richiamati nella lettera “B” (“avvisi di preinformazione”) e nella lettera “C” (“avvisi e bandi di gara”) dell’allegato XIV, che non possono ricorrere contestualmente nella medesima procedura.
Al comma 4 il correttivo aggiunge un periodo, che estende anche alla “ricezione delle domande di partecipazione” la riduzione dei termini, nei casi di cui all’art. 61, commi 4, 5 e 6, allo stato stabilita dal codice, al successivo comma 5, solo per la “ricezione delle offerte”. La modifica, stando alla relazione ministeriale qui fatta pervenire in allegato alla richiesta di parere, è volta a “recepire integralmente la disciplina prevista dall’art. 29 della direttiva 2014/24/UE”.
Il Consiglio osserva, in proposito, che l’art. 29 della direttiva, dedicato alla “procedura competitiva con negoziazione”, si limita a disporre l’applicazione in subiecta materia dei paragrafi 3 – 6 dell’art. 28 (rubricato “procedura ristretta”): a loro volta, tali paragrafi – trasposti nell’art. 61, commi 4, 5 e 6, codice – afferiscono, tranne il comma 6, esclusivamente al termine per la ricezione delle offerte, di cui stabiliscono ipotesi di possibile contrazione.
La modifica in commento, pertanto, è funzionale al migliore recepimento della direttiva, limitatamente al richiamo al comma 6 dell’art. 61 (con cui è recepito, quanto alle “procedure ristrette”, il paragrafo 6 dell’art. 28 della direttiva). Al riguardo, il Governo valuterà, in ottica dipiù chiara redazione del testo legislativo, l’opportunità di riformulare sul punto lo schema di decreto correttivo, limitandosi a stabilire, con disposizione generale e di chiusura, che i termini di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 62, codice sono ridotti nei casi di cui all’art. 61, commi 4, 5 e 6.
ARTICOLO 76 (INFORMAZIONE DEI CANDIDATI E DEGLI OFFERENTI)
Sono apportate rilevanti modifiche all’art. 76, codice, relativo alla “informazione dei candidati e degli offerenti”, in particolare estendendo anche a favore del “candidato” (oltre che all’offerente) i doveri comunicativi ed ostensivi in capo all’amministrazione aggiudicatrice, tenuta sempre a comunicare “d’ufficio immediatamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni … l’esclusione ai candidati esclusi” e, dietro richiesta scritta, a rendere altresì noti “immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta … ad ogni candidato escluso, i motivi del rigetto della sua domanda di partecipazione”.
La modifica proposta, quindi, si inserisce nella importante disciplina riguardante la trasparenza delle procedure di gara e la tempestività delle comunicazioni riguardanti gli snodi fondamentali della procedura di gara, con particolare riferimento alla fase di verifica delle offerte e delle domande di partecipazione.
In sintesi, le quattro modifiche proposte sono le seguenti:
a) estensione dell’obbligo di comunicazione dei motivi di esclusione anche al candidato escluso (e non al solo all’offerente) che ne faccia richiesta;
1.b) abrogazione del comma 3 relativo alla trasmissione via PEC del provvedimento riguardante le ammissioni e le esclusioni;
2.c) estensione dell’obbligo officioso di comunicazione dell’esclusione anche al candidato (e non al solo all’offerente) escluso;
3.d) una mera correzione formale al comma 6.
Il correttivo delinea, quindi, un dovere di informazione d’ufficio al “candidato” circa l’esclusione ed un ulteriore, successivo ed eventuale dovere ostensivo in ordine pure ai relativi “motivi” dell’esclusione, subordinato ad apposita istanza scritta.
Il Consiglio non ha, in proposito, osservazioni di merito, trattandosi di declinazione della discrezionalità legislativa prima facie non irragionevole; giacché, tuttavia, nell’attuale formulazione del comma 2 non vi è alcun riferimento al “candidato”, pure contemplato nella successiva lett. “a-bis)” del comma stesso, il Consiglio invita il Governo a valutare l’opportunità di modificare l’incipit del comma 2, che potrebbe essere riscritto come segue: “Su richiesta scritta del candidato o dell’offerente interessato…”, ovvero semplicemente: “Su richiesta scritta dell’interessato”.
L’abrogazione del comma 3 è determinata dalla scelta del legislatore delegato di spostare la relativa disciplina nel corpo dell’art. 29.
Per una compiuta valutazione della modifica proposta, in sé apprezzabile, occorre considerare congiuntamente anche le possibili innovazioni riguardanti gli artt. 29 e 32, pure in riferimento alla eventuale incidenza sui termini di decorrenza sul ricorso giurisdizionale e all’efficace funzionamento dello strumento processuale di cui all’art. 120 comma 2-bis c.p.a.
Si rinvia, sul punto, alle osservazioni formulate in relazione all’art. 29 del codice.
ARTICOLO 77 (COMMISSIONE DI AGGIUDICAZIONE)
Il correttivo apporta significative modifiche all’art. 77, codice, ora rubricato, secondo la proposta del correttivo, “Commissione giudicatrice” (nei settori ordinari).
La formulazione del comma 1 risultante dal correttivo è la seguente: “Nelle procedure di aggiudicazione di contratti di appalti o di concessioni, limitatamente ai casi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o del solo costo, determinato ai sensi dell’articolo 95, commi 2 e 7 o del criterio del prezzo o del costo fisso di cui all’articolo 95, comma 7, la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico è affidata ad una commissione giudicatrice, composta da esperti nello specifico settore cui afferisce l’oggetto del contratto”.
Il Consiglio rileva che siffatta formulazione del comma 1 può prestarsi ad essere interpretata come volta a rendere obbligatoria la nomina di una commissione giudicatrice anche nel caso delle procedure di aggiudicazione rette dal criterio del prezzo più basso, in cui l’affidamento della gara consegue al mero raffronto contabile fra le varie offerte ed in cui, pertanto, non vi è alcuna esigenza di procedere a valutazioni d’ordine specialistico.
Il Consiglio, pertanto, invita il Governo, in un’ottica di miglioramento della qualità formale e sostanziale del testo legislativo, a valutare l’opportunità di sopprimere la locuzione “o del solo costo, determinato ai sensi dell’art. 95, commi 2 e 7” ovvero, comunque, di espungere dalla norma il riferimento al menzionato comma 2 dell’art. 95. In alternativa, il Governo può valutare se riformulare in parte qua l’intervento correttivo, precisando, con formulazione più generica, che la nomina della commissione è operata esclusivamente nelle procedure rette dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quale che ne sia la concreta e specifica modulazione adottata nella singola gara: del resto, tanto la relazione illustrativa allo schema di decreto, quanto la relazione ministeriale allegata alla richiesta di parere chiariscono che proprio questo è l’obiettivo della novella.
Il Consiglio, inoltre, osserva che l’articolo in commento limita, negli appalti di lavori, la possibilità di nomina nella commissione di componenti interni, “escluso il Presidente”, ad una soglia (€ 1.000.000), inferiore a quella comunitaria (€ 5.225.000), cui di contro fa riferimento l’attuale testo del codice. La modifica introduce un elemento di irrigidimento normativo (peraltro speculare a quello interessante l’art. 97, codice, in punto di esclusione automatica per le offerte con ribasso superiore alla soglia di anomalia) che, alla luce della delicatezza delle procedure volte all’affidamento di lavori, pare ragionevole.
Il Consiglio, poi, osserva che il correttivo introduce l’aggettivo “alcuni” prima della locuzione “componenti interni alla stazione appaltante”: valuti il Governo se provvedere ad una più precisa quantificazione, in termini numerici o, meglio, percentuali, della quota di commissari interni che la stazione appaltante può nominare, sempre rimanendo “escluso il Presidente”.
Il Consiglio rileva che il correttivo modifica il comma 6, estendendo ai commissari e ai segretari delle commissioni “le disposizioni di cui al capo I del titolo secondo, libro secondo del codice penale” (ossia gli articoli da 314 a 335-bis del c.p.).
Il Consiglio, in proposito, osserva che già l’art. 35-bis del d.lgs. 165/2001, richiamato nello stesso comma 6, prevede al comma 1 che “non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi … coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale” e stabilisce, al comma 2, che “la disposizione prevista al comma 1 integra le leggi e regolamenti che disciplinano la formazione di commissioni e la nomina dei relativi segretari”: valuti, pertanto, il Governo l’effettiva utilità di siffatta integrazione, che peraltro, oltre a non riferirsi espressamente anche alla forma tentata dei reati de quibus, non ricomprende tutti i delitti indicati quali “condizioni di iscrizione” all’Albo nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici dalle linee guida dell’ANAC n. 5, approvate con la delibera n. 1190 del 16 novembre 2016, pubblicata nella G.U. n. 283/2016.
Il correttivo, infine, aggiunge al comma 9, dopo la previsione del dovere di coloro che sono nominati commissari di dichiarare sotto la propria responsabilità penale l’assenza di cause di incompatibilità e di astensione di cui ai precedenti commi 4, 5 e 6, il previo obbligo per l’Amministrazione di procedere ex officio all’accertamento delle cause ostative di cui ai commi 4 e 5, nonché dell’art. 35-bis del d.lgs. 165/2001 e dell’art 42, codice.
Valuti in proposito il Governo l’opportunità di un diretto riferimento, oltre che ai commi 4 e 5, pure al comma 6, che, oltre a richiamare tanto l’art. 35-bis del d.lgs. 165/2001 quanto l’art 42, codice, fa altresì riferimento all’esclusione dall’incarico di commissari di coloro di cui sia stato accertato giudizialmente, con sentenza non sospesa, il concorso “con dolo o colpa grave” nella confezione di atti illegittimi.
ARTICOLO 78 (ALBO DEI COMPONENTI DELLE COMMISSIONI GIUDICATRICI)
Sono introdotte talune modifiche all’art. 78, rubricato “Albo dei componenti delle commissioni giudicatrici”: in particolare, si prevede che l’albo dei componenti delle commissioni giudicatrici istituito presso l’ANAC sia “articolato su base regionale” e che l’ANAC provveda a indicare i requisiti per l’iscrizione “con apposite linee guida”.
In proposito, il Consiglio invita il Governo a ponderare l’opportunità di siffatta articolazione regionale dell’Albo, che, pur mirata al condivisibile “fine di contenere e razionalizzare le spese dovute alle trasferte” (così la relazione illustrativa), determinerebbe la pressoché sistematica nomina, quali commissari, di soggetti radicati nella medesima area geografica interessata dall’appalto. Il Consiglio, incidentalmente, osserva che la problematica delle spese per le trasferte dei commissari potrebbe essere affrontata (o, almeno, attenuata) anche altrimenti, in particolare ascrivendo carattere doveroso – o, comunque, prioritario – al lavoro “a distanza con procedure telematiche che salvaguardino la riservatezza delle comunicazioni” (così l’art. 77, comma 2, non interessato dal correttivo), allo stato contemplato come mera facoltà della commissione giudicatrice, perfettamente fungibile con il tradizionale modus operandi.
Non è, inoltre, chiarito se tale articolazione su base regionale interessi solo la sezione ordinaria dell’Albo (come sembra preferibile) o anche la sezione speciale per le centrali di committenza.
Non è, infine, specificata la natura, vincolante (come sembra preferibile) o meno, delle riferite “apposite linee guida” dell’ANAC.
ARTICOLO 79 (FISSAZIONE DI TERMINI)
Circa i possibili mancati funzionamenti o mal funzionamenti delle piattaforme di e-procurement non ci sono osservazioni particolari al riguardo.
L’inserimento della regolamentazione dei profili procedimentali appare del tutto ragionevole, in quanto la dilazione dei termini di ricezione delle offerte, garantisce la piena applicazione dei fondamentali principi di cui all’art. 30, codice.
Tuttavia, la norma dovrebbe forse prevedere che, in caso di caso di malfunzionamenti, comunque la stazione appaltante comunichi tale circostanza all’AGID ai fini dell’applicazione dell’art. 32-bis del CAD (d.lgs. n. 82/2005) “Sanzioni per i prestatori di servizi fiduciari qualificati, per i gestori di posta elettronica certificata, per i gestori dell’identità’ digitale e per i conservatori”.
L’attivazione obbligatoria di tale comunicazione potrebbe forse introdurre un elemento di generale deterrenza da comportamenti infedeli, data la rilevanza della materia e ed in relazione agli interessi economici in gioco.
ARTICOLO 80 (MOTIVI DI ESCLUSIONE)
Le modifiche del primo comma dell’art. 80 concernono sia profili formali che aspetti sostanziali.
A parte una correzione meramente formale (lett. a correttivo) per ciò che concerne, in linea generale, il comma 1 dell’art. 80, relativamente alla formulazione delle lett. b), d), e) f), si rileva che occorre meglio recepire le corrispondenti previsioni dell’art. 57 par. 1 direttiva 2014/24 indicando, oltre che i titoli di reato dell’ordinamento italiano, le decisioni quadro comunitarie che descrivono i reati.
Sempre a tal proposito, deve inoltre rilevarsi che la elencazione tassativa delle condanne penali ostative, contenuta nell’art. 80, c. 1, comporta che non sono ostative della partecipazione alle gare alcune condanne per delitti sicuramente incidenti sulla moralità professionale dei concorrenti, quali ad esempio i falsi in bilancio di cui agli art. 2621 e 2622 cod. civ.
In relazione alla rilevanza della materia sulle finalità generali dei contratti pubblici appare dunque opportuno, rimettere la questione al Governo per le proprie autonome valutazioni.
In relazione all’art. 80, comma 3, l’espressione “dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, di direzione o di vigilanza” è oscura, e manca, verosimilmente, di qualche parola, come risulta dal confronto con le direttiva. Verosimilmente la formulazione corretta è “dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, dei membri degli organi con poteri di direzione o vigilanza”.
In relazione al comma 4, lett. d), il correttivo chiarisce molto efficacemente il principio generale per cui l’irregolarità contributiva si riferisce i tutti contributi comunque dovuti a enti di mutualità ancorché questi non siano non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale (ad esempio, Inarcassa).
Con la novella al comma 10 si colma una lacuna del testo originario, ma in una maniera non convincente e che desta una certa perplessità. L’innovazione, in base alla quale l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione “è pari a tre anni, decorrenti dalla data del fatto, ove non sia intervenuta sentenza di condanna”, sebbene conforme al dato letterale della direttiva europea, appare eccentrica rispetto ai principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento, nonché al fine di concorrere alla lotta alla corruzione, di evitare i conflitti d’interesse e di favorire la trasparenza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione di cui alla legge di delega 28 gennaio 2016, n. 11.
Sicuramente vi è la necessità di ancorare la decorrenza del triennio ad un momento preciso, però la “data del fatto” non assicura tale esigenza, in quanto identiche violazioni compiute da due imprese lo stesso giorno, per fattori del tutto casuali, potrebbero anche venire alla luce in momenti differenti, il che conseguentemente finirebbe per limitare ingiustificatamente il triennio, per alcuni e non per altri, per tutto il periodo che va dalla commissione del fatto alla sua rilevanza nell’ambito del medesimo procedimento.
Se si ha riguardo in concreto alle ipotesi di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 80 è evidente che molte fattispecie non costituiscono casi di esclusione del concorrente, oggettivamente collegati ad un comportamento unico per i quali potrebbe essere inequivocabilmente identificabile il momento di commissione del “fatto”. In alcuni casi il “fatto” discende in realtà dalla valutazioni della stazione appaltante sulla rilevanza ostativa degli specifici comportamenti. Resta irrisolto, poi, il caso di illeciti permanenti o di inadempimenti di carattere continuativo.
Si rimette pertanto alla valutazione del Governo la individuazione di una data certa cui ancorare la decorrenza del triennio, quale potrebbe essere quella di accertamento definitivo del fatto, o del suo accertamento giudiziale esecutivo ancorché non definitivo, o dell’iscrizione della notizia del fatto, o, ancora, del suo accertamento definitivo o esecutivo nel casellario informatico dell’ANAC.
ARTICOLO 83 (CRITERI DI SELEZIONE E SOCCORSO ISTRUTTORIO)
La novella demanda l’intero sistema di qualificazione per lavori a linee guida dell’ANAC da adottarsi previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, entro un anno dalla data di entrata in vigore del codice.
Lo schema di codice prevedeva solo “linee guida dell’ANAC” e il parere del Consiglio di Stato reso su tale schema aveva osservato che in tal modo si demanda “all’ANAC la disciplina (caratterizzata da generalità e astrattezza) di rilevanti aspetti sostanziali in tema di selezione dei candidati, caratteri del sistema di qualificazione, casi e modalità di avvalimento e requisiti e capacità che devono essere posseduti dal concorrente, integrando una parte rilevante della materia disciplinata e incidendo altresì su specifici status soggettivi. Si tratta di materia intrinsecamente normativa, che completa il dettato delle disposizioni di rango primario e che andrebbe più propriamente affidata alla sede regolamentare, con le relative implicazioni anche in termini di garanzie procedimentali”.
Il parere chiedeva pertanto di demandare una parte della materia ai “decreti ministeriali adottati su proposta dell’ANAC, lasciando comunque all’ANAC il sistema di premialità e penalità del comma 10, nonché la disciplina delle SOA di cui al successivo art. 84, secondo quanto già previsto dall’abrogando d.lgs. n. 163/2006”. Osservava il parere che “le competenze attribuite all’ANAC in tema di qualificazione avrebbero comunque piena esplicazione attraverso il potere di proposta, che costituisce tipico atto che predetermina il contenuto del provvedimento finale”.
Il Governo ha disatteso in tale parte il parere del Consiglio di Stato, lasciando l’intera materia alle linee guida dell’ANAC, ma ha rafforzato il procedimento prevedendo il previo parere delle Commissioni parlamentari.
Senonché, si delinea un vizio di eccesso di delega, in quanto la legge delega prevede tre tipologia di linee guida dell’ANAC:
– linee guida non vincolanti;
– linee guida vincolanti;
– linee guida comunicate, dopo la loro adozione, alle Camere (art. 1, lett. t) e u), legge delega).
La legge delega prevede inoltre linee guida generali, da adottarsi su proposta dell’ANAC, con la forma del decreto del MIT, sottoposte a previo parere delle Commissioni parlamentari (art. 1, commi 5 e 12, legge delega).
La legge delega non contempla, invece, linee guida direttamente adottate dall’ANAC previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
Si suggerisce pertanto di espungere il previo parere delle commissioni parlamentari, ovvero, come sarebbe preferibile, di prevedere l’adozione di tali linee guida con decreto ministeriale, su proposta dell’ANAC, previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
La modifica proposta in relazione al comma 9 intende innovare radicalmente l’istituto del soccorso istruttorio, che assume un rilievo centrale, per un efficiente svolgimento della procedura di gara, anche in funzione di prevenzione del contenzioso.
Lo schema agisce su due aspetti essenziali della disciplina:
– la soppressione di ogni onere economico per la regolarizzazione della documentazione;
– la ridefinizione dell’ambito entro cui è ammesso il soccorso istruttorio;
Quanto all’eliminazione del soccorso istruttorio a pagamento, la proposta intende adeguarsi formalmente alla previsione della lett. z) della legge delega, che prevede forme di “integrazione documentale non onerosa di qualsiasi elemento formale della domanda”, recependo il suggerimento già formulato dal parere n. 855/2016 di questo Consiglio.
La relazione illustrativa, poi, afferma che la modifica è finalizzata ad evitare ogni possibile contrasto con la disciplina comunitaria, che non consentirebbe il soccorso istruttorio a pagamento.
La Commissione osserva che, effettivamente, la modifica proposta risulta conforme alla delega, ancorché si potrebbe ritenere, a rigore, che la non onerosità riguardi i soli casi di “integrazione documentale” e non anche le ipotesi in cui il soccorso istruttorio miri a sopperire alla totale mancanza di un documento.
Non è invece scontata la tesi secondo cui la previsione di un ragionevole contributo imposto all’operatore economico si porrebbe in contrasto con il diritto dell’Unione europea, dal momento che il tema della gratuità od onerosità del soccorso istruttorio non è affrontato esplicitamente della direttive e non ha ancora formato oggetto di pronunce della CGUE e, tanto meno, di procedure di infrazione.
In una prospettiva generale, occorre considerare che, a fronte dell’ampio perimetro di operatività del soccorso istruttorio, è ragionevole far gravare sul concorrente che vi ha dato causa, se non una sanzione, quanto meno le spese sostenute dalla stazione appaltante (e in ultima analisi dalla collettività) derivanti dall’aggravio procedimentale e dalla dilatazione dei tempi necessari per realizzare la prescritta integrazione documentale.
L’eliminazione delle sanzioni per il soccorso istruttorio priva il sistema dell’unico strumento di deterrenza, e potrebbe implicare il generalizzarsi di comportamenti poco virtuosi degli operatori, di disattenzione o di negligenza, con il rischio concreto di un ulteriore allungamento delle procedure.
A tal fine è necessario e quanto mai auspicabile un intervento legislativo primario, non sembrandovi essere adeguato spazio nell’ambito dell’esercizio della delega.
Allo stato, e nelle more di un intervento legislativo, una possibile soluzione a diritto vigente potrebbe essere quella di considerare la non necessità di ricorso alla procedura di soccorso istruttorio un indizio della virtuosità dell’impresa, e dunque un elemento valutabile ai fini del rating di impresa. In tal senso potrebbe essere implementato l’art. 83, comma 10 (Si rinvia alle osservazioni fatte a tale disposizione).
La ridefinizione dell’ambito di applicazione del soccorso istruttorio prevista dallo schema non risulta pienamente convincente, ancorché quella attualmente vigente presenti, a sua volta, molti profili di incertezza.
Ma poiché, allo stato, sembra difficile individuare una formulazione in grado di considerare le diverse fattispecie prospettabili, è preferibile “l’opzione zero”, lasciando nella sostanza intatta l’attuale formulazione: i residui dubbi potranno essere sciolti attraverso le prassi operative e l’interpretazione della giurisprudenza.
È invece opportuno escludere dalla gravosa procedura di sanatoria le carenze formali “non essenziali”: se la carenza non influisce sull’ammissibilità della domanda e permette di valutare tutti gli aspetti essenziali dell’offerta, risulta superfluo ogni aggravio procedimentale imposto alla stazione appaltante a al concorrente.
Pertanto, il nuovo comma 9 potrebbe essere riscritto nel seguente modo: “Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al presente comma. In particolare, in caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui all’articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all’offerta tecnica ed economica, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. In caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione, il concorrente è escluso dalla gara. Costituiscono irregolarità essenziali non sanabili le carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa.”
Sotto altro profilo si osserva che, il comma 9 in esame, pone fuori dal soccorso istruttorio, in generale, tutti gli elementi “afferenti all’offerta economica e all’offerta tecnica …” ed in questo appare quindi più aderente al criterio di delega di cui alla lett. z) dell’art. 1 della l. n. 11/2016 (che esclude la possibilità di integrazione documentale di elementi della domanda che attengano “agli elementi oggetto di valutazioni sul merito dell’offerta”).
Nondimeno – in analogia a quanto si è già sottolineato nel ricordato parere n. 855/2016 – si deve ribadire la persistente opportunità di prevedere una forma di “richiesta procedimentale di chiarimenti”, riferito agli elementi essenziali dell’offerta tecnica ed economica.
In questa sede, specie con riferimento al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ad evitare difficoltà interpretative, l’amministrazione, in caso di dubbi riguardanti il contenuto dell’offerta tecnico-economico, dovrebbe poter richiedere chiarimenti al concorrente sulla documentazione presentata. A rimarcare la differenza ontologica con il “soccorso istruttorio” si dovrebbe ribadire il divieto di integrazione dell’offerta tecnico-economica.
Il comma 10 riscrive completamente la disciplina del rating di impresa che, ora, diventa solo facoltativo e dunque solo premiale, ma non di per sé condizione necessaria per la qualificazione.
Tale soluzione è conforme al criterio di delega di cui alla lett. uu), che ha ipotizzato il rating di impresa come misura di premialità, e non penalizzante (“introducendo, inoltre, misure di premialità, regolate da un’apposita disciplina generale fissata dall’ANAC con propria determinazione e connesse a criteri reputazionali basati su parametri oggettivi e misurabili e su accertamenti definitivi concernenti il rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti e la gestione dei contenziosi”).
Tuttavia, l’abrogazione della rilevanza dell’omessa denuncia di richieste estorsive o corruttive, e del coordinamento con il rating di legalità, appare in contrasto con espresse previsioni della legge delega (lett. q), n. 5; lett. uu).
In particolare l’omessa denuncia di richieste estorsive per la delega rileva anche come penalità, dunque a carattere obbligatorio e non facoltativo, come le misure premiali (art. 1, lett. q), n. 5, legge delega: “prevedendo un sistema amministrativo, regolato sotto la direzione dell’ANAC, di penalità e premialità per la denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di appalti pubblici, comprese le imprese subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi, prevedendo altresì uno specifico regime sanzionatorio nei casi di omessa o tardiva denuncia e individuando le norme del codice la cui violazione determina la comminazione di sanzioni amministrative da parte dell’ANAC”).
Inoltre la legge delega richiede il coordinamento tra rating di legalità e di impresa (lett. uu): “nonché assicurando gli opportuni raccordi con la normativa vigente in materia di rating di legalità”).
Occorre pertanto, se si ritiene di mantenere l’abrogazione, attivare iniziative per correggere quanto prima la legge delega, ovvero per correggere la disciplina codicistica del rating mediante legge del Parlamento, per scongiurare questioni di eccesso e violazione della delega.
Infine, e alla luce di quanto già sopra osservato in relazione al soccorso istruttorio, si suggerisce in relazione al terzo periodo del novellato art. 83, comma 9, di sostituire le parole “con riferimento al rispetto dei tempi” con le parole “con riferimento al mancato utilizzo del soccorso istruttorio nonché al rispetto dei tempi”.
ARTICOLO 84 (SISTEMA UNICO DI QUALIFICAZIONE DEGLI ESECUTORI DI LAVORI PUBBLICI)
Viene modificato in modo rilevante l’art. 84, concernente la disciplina del sistema unico di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici.
Rilevanti perplessità suscita l’inserimento al comma 4, lett. b), primo periodo dell’utilizzabilità a regime del decennio antecedente la data di sottoscrizione del contratto con la SOA ai fini dell’individuazione del periodo di attività documentabile per il conseguimento della qualificazione.
Una siffatta misura, se può giustificarsi in via transitoria, in considerazione della situazione congiunturale di crisi del settore, ove mantenuta a regime, comporta il rischio di una qualificazione disancorata da elementi attuali e perciò effettivi.
Potrebbe derivarne una distorsione, invece che un ampliamento, della concorrenza, con il permanere di soggetti la cui qualificazione formale, basata su elementi remoti, potrebbe non corrispondere ad una reale e attuale capacità.
La previsione dovrebbe avere pertanto carattere transitorio, e/o essere circoscritta per valore, se del caso ai soli appalti sotto soglia.
Il nuovo comma 4-bis intende sanzionare gli operatori economici che presentano alle SOA falsa dichiarazione o falsa documentazione, stabilendo che, per due anni, le imprese sono escluse dalle procedure di gara e dagli affidamenti in subappalto.
La disposizione dovrebbe essere meglio formulata sul piano lessicale, come segue: “Gli organismi di cui al comma 1 segnalano immediatamente all’ANAC i casi in cui gli operatori economici, ai fini della qualificazione, rendono dichiarazioni false o producono documenti non veritieri. L’ANAC, se accerta la colpa grave o il dolo dell’operatore economico, tenendo conto della gravità del fatto e della sua rilevanza nel procedimento di qualificazione, ne dispone l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. g), per un periodo massimo di due anni. Alla scadenza stabilita dall’ANAC, l’scrizione perde efficacia ed è immediatamente cancellata.”
La modifica riferita al comma 7, lett. a), intende ampliare il periodo temporale considerato rilevante per valutare la capacità economica finanziaria dell’esecutore dei lavori.
Analogamente a quanto sopra osservato, e per il medesimo ordine di ragioni, desta perplessità il riferimento della cifra d’affari che l’imprese deve aver realizzato “nei migliori cinque dei dieci anni antecedenti”.
A tal proposito, il riferimento al triennio previsto nel testo del 2016 appare effettivamente un po’ ristretto, dato non si può disconoscere che in ragione degli importi di lavori pari o superiori ai 20 milioni di euro che vengono qui in evidenza, il mercato potrebbe influire negativamente sulla qualificazione.
Tuttavia la norma proposta a regime appare eccedere l’esigenza di attenuazione congiunturale del rigore precedente. Anche a tal proposito valuti il Governo se dare un termine di scadenza del regime decennale, o meglio, limitare l’arco temporale di rilevanza ai “migliori cinque anni antecedenti“.
ARTICOLO 86 (MEZZI DI PROVA)
Il nuovo comma 5-bis disciplina la documentazione della intervenuta esecuzione dei lavori.
Mentre non si hanno rilievi sulla disposizione per cui la documentazione dell’esecuzione dei lavori deve risultare dal certificato di esecuzione dei lavori, non è chiara la formulazione della disposizione laddove prevede l’attribuzione delle categorie di qualificazione, nel certificato di esecuzione dei lavori, “con l’indicazione del subappaltatore in riferimento alle categorie delle lavorazioni affidate in subappalto”. Non si comprende infatti se i lavori eseguiti in subappalto sono attribuiti, ai fini della qualificazione, al subappaltatore, o all’appaltatore, o ad entrambi, e in che percentuale.
Tale profilo è affrontato nell’art. 105, comma 22, a cui si rinvia per le osservazioni, parzialmente critiche, di questo Consesso.
Si raccomanda comunque un migliore coordinamento tra l’art. 86, comma 5-bis e l’art. 105, comma 22.
Inoltre nell’art. 86, comma 5-bis, vi è un erroneo rinvio all’art. 213, comma 13: per cui sarebbe necessario o sostituire con il rinvio all’art. 213, comma 13-bis (inserito dal decreto correttivo), ovvero sopprimere il comma 13-bis dell’art. 213 (v. sub art. 213).
ARTICOLO 89 (AVVALIMENTO)
Al comma 9, secondo periodo, dell’art. 89 il decreto correttivo inserisce, in fine, le seguenti parole: “, pena la risoluzione del contratto di appalto”. L’intenzione del legislatore è di rendere cogente, per la stazione appaltante, la trasmissione all’Autorità delle dichiarazioni di avvalimento per l’esercizio della vigilanza e per dar corso alla prescritta pubblicità. La Commissione, pur reputando opportuna l’individuazione di meccanismi che rendano effettivo il predetto obbligo di trasmissione per la stazione appaltante, ritiene che lo strumento previsto – ossia la risoluzione del contratto – debba essere espunto dal testo del correttivo. Militano in tal senso diverse argomentazioni. In primo luogo non si comprende la ragione per cui debba “subire” la risoluzione del contratto il contraente privato, ossia l’appaltatore, che evidentemente è estraneo all’adempimento degli obblighi di trasmissione gravanti sulla stazione appaltante. In secondo luogo, se tale modifica venisse confermata, si creerebbe il rischio di contenziosi risarcitori instaurati dall’appaltatore che si è visto risolto, per un’inadempienza della stazione appaltante, il contratto. L’auspicio, dunque, è che il legislatore individui degli strumenti sanzionatori di tipo pubblicistico – sul modello di quello previsti dall’art. 231, comma 13 – che incidano esclusivamente sulla stazione appaltante risultata inadempiente a siffatta prescrizione.
Come esposto in premessa il Consiglio reputa che con il decreto correttivo si possa (e si debba) intervenire, da un lato, per garantire la “qualità formale” del testo, con l’eliminazione di illegittimità, refusi, difetti di coordinamento, errori tecnici, illogicità, contraddizioni, dall’altro – e forse soprattutto – per apportare le correzioni e le integrazioni che l’applicazione pratica renda opportune, se non indispensabili, per il buon funzionamento della riforma. In tale ottica la Commissione reputa molto opportuna la valorizzazione dei controlli in corso di esecuzione previsti dall’art. 89, comma 9. Allo scopo di rendere efficaci i predetti controlli, da svolgere durante l’esecuzione del contratto, si suggerisce di modificare l’art. 89, comma 1, ultimo periodo, introducendo per il contratto di avvalimento un onere di specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione. Solo in tal modo si potrà evitare il ricorso a quelli che la dottrina ha definito “avvalifici” e si potranno rendere effettivi i controlli previsti al comma 9 più volte citato.
Si suggerisce infine di modificare l’inciso “anche di partecipanti al raggruppamento” contenuto al primo periodo del primo comma eliminando la preposizione “di”.
ARTICOLO 91 (RIDUZIONE DEL NUMERO DI CANDIDATI ALTRIMENTI QUALIFICATI DA INVITARE A PARTECIPARE)
All’art. 91, comma 2, dopo la parola “proporzionalità” va inserita la virgola.
ARTICOLO 93 (GARANZIE PER LA PARTECIPAZIONE ALLA PROCEDURA)
Nell’art. 93, comma 1, dopo il secondo periodo, viene inserito il seguente: “Nei casi di cui all’articolo 36, comma 2, lettera a), è facoltà della stazione appaltante non richiedere le garanzie di cui al presente articolo”. L’obiettivo del Governo è quello di dare la facoltà alle amministrazioni di non richiedere la garanzia per la partecipazione alla procedura (c.d. garanzia provvisoria) nel caso di affidamenti diretti di importo inferiore a € 40.000. Si tratta di previsione opportuna nell’ottica di contemperare le necessarie tutele con i principi, anche di derivazione europea, di semplificazione e proporzionalità. Si suggerisce, tuttavia, per esigenze di collocazione sistematica di inserire il predetto periodo alla fine del primo comma e non dopo il secondo periodo.
Va valutata positivamente anche la possibilità di costituire la cauzione tramite assegno o bonifico, purché nel rispetto della legislazione vigente, in considerazione della verosimile riduzione dei costi di partecipazione che potranno avere gli operatori economici rispetto alla costituzione della garanzia fideiussoria presso soggetto abilitato al rilascio. Andrebbero tuttavia specificate meglio le procedure, e i relativi tempi di svincolo della garanzia nel caso in cui questa sia costituita con le innovative (per gli appalti pubblici) forme dell’assegno (che la stazione appaltante ha provveduto ad incassare non appena ricevuto) o del bonifico. In considerazione del fatto che l’art. 103 non sembra prevedere, neppure dopo le modifiche che il correttivo intende apportare, la possibilità del bonifico o dell’assegno, occorre specificare in modo migliore il passaggio, nel caso di aggiudicazione, dalla garanzia provvisoria alla garanzia definitiva chiarendo se, come può desumersi dall’art. 93, comma 8, l’offerta debba essere comunque corredata dall’impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia per l’esecuzione del contratto.
Per la Commissione, pur concordando con la modifica apportata al comma 6, tale comma deve essere riformulato nel modo seguente: “La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario o all’adozione di informazione antimafia interdittiva, emessa ai sensi degli articolo 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159; la garanzia è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto”.
In relazione al comma sette, la commissione giudica positivamente:
– la riduzione dell’importo della garanzia per le microimprese, piccole e medie imprese e per i raggruppamenti di operatori economici o consorzi ordinari costituiti esclusivamente da microimprese, piccole e medie imprese; ciò peraltro, oltre a rispondere al favor per quello che costituisce il tessuto dell’economia nazionale, potrà avere benefiche conseguenze sull’ampliamento della platea dei concorrenti perché abbatte gli oneri collegati alla garanzia da prestare;
– le modalità di calcolo delle riduzioni.
Sempre con riferimento al comma 7, ad avviso del Consiglio, occorre chiarire se il beneficio ora introdotto per le PMI sia cumulabile con la riduzione del 50%, prevista nel medesimo primo periodo del comma 7, per il possesso di certificazioni di qualità; occorre, in altri termini, meglio regolare l’ipotesi in cui la micro, piccola e media impresa possieda anche la certificazione di qualità stabilendo se possa trovare applicazione la nuova previsione, inserita dal correttivo nell’art. 93, comma 7, quarto periodo, secondo cui in caso di cumulo delle riduzioni, la riduzione successiva deve essere calcolata sull’importo della riduzione precedente.
Quanto alla sostituzione della locuzione “rating di legalità” con “rating di impresa” va rilevato che sembra opportuno segnalare al Governo la possibilità di prevedere il beneficio sia per il rating di legalità che per quello di impresa, disciplinando l’eventuale cumulo dei due benefici (v. quanto esposto ampliussub art. 83).
Con riferimento al comma 8, solo per ragioni di chiarezza del dato legislativo, si suggerisce di specificare che la facoltà, sempre per le MPMI, di non corredare l’offerta con l’impegno di un fideiussore a rilasciare garanzia per l’esecuzione del contratto ha solo la finalità di agevolare la partecipazione delle MPMI alle gare ma non scalfisce l’obbligo di prestare la garanzia se una MPMI si aggiudica il contratto e lo deve poi stipulare.
ARTICOLO 94 (PRINCIPI GENERALI IN MATERIA DI SELEZIONE)
Particolarmente innovativa è la previsione che il decreto correttivo intende introdurre con il comma 2-bis dell’art. 94.
La norma riprende letteralmente quanto stabilito dall’art. 56, par. 2, della direttiva 2014/24/UE. Sotto un profilo generale va rilevato che la disposizione della direttiva prevede una facoltà e non un obbligo, direttamente attribuita alle singole stazioni appaltanti.
In base alla direttiva, gli Stati membri possono escludere o limitare l’uso della procedura di cui al primo comma, ma solo per determinati tipi di appalti o in relazione a circostanze specifiche.
Pertanto, una disciplina conforme alla direttiva dovrebbe lasciare intatta la facoltà delle stazioni appaltanti, eventualmente prevedendo specifiche eccezioni a tale potere.
Nel merito la Commissione formula alcuni rilievi sulla disposizione in questione.
Se è chiaro l’intento del Governo di semplificare le gare per evitare che all’apertura delle offerte si giunga solo dopo l’esame di (a volte) numerosissime domande di partecipazione e della relativa documentazione, tuttavia tale modus procedendi potrebbe generare dubbi di carattere applicativo e contenzioso.
Non risulta chiaro, infatti, se il controllo sull’esistenza dei motivi di esclusione e sul rispetto dei criteri di selezione debba avvenire immediatamente dopo l’apertura delle buste contenenti l’offerta oppure dopo le ulteriori fasi dell’individuazione della soglia di anomalia, dell’attivazione del meccanismo di controllo di congruità delle offerte sospette e dell’individuazione del possibile aggiudicatario. Se, come sembra più logico, l’amministrazione deve procedere a verificare il possesso dei requisiti solo dopo che è stata ultimata la valutazione di anomalia (e individuato il possibile aggiudicatario), seguendo tale regola la stazione appaltante correrà il rischio di dover ripetere le operazioni di calcolo della soglia di anomalia e di controllo della congruità una seconda volta dopo che, verificato il possesso dei requisiti e l’assenza di motivi di esclusione, qualche operatore sarà stato escluso. Poiché l’esperienza dimostra che nelle gare con un elevato numero di partecipanti v’è una certa percentuale di operatori che statisticamente viene escluso, per il Consiglio esiste il rischio concreto che si incorra in una vera e propria eterogenesi dei fini, realizzando un appesantimento delle procedure, seppur agendo con la buona intenzione di semplificarle.
Rinviando a quanto meglio si dirà in relazione all’art. 204, si osserva, infine, che se l’amministrazione si avvale della particolare sequenza procedimentale di cui all’art. 94, comma 2-bis, non sembra poter trovare applicazione il rito superspeciale di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a. Ma sarebbe probabilmente opportuno delineare con maggiore chiarezza il rapporto preciso fra le diverse fasi procedimentali e il correlato sistema di tutela.
Se venisse scelta tale opzione dovrebbe essere rivisto, almeno parzialmente, anche il c.d. divieto di variazione della media di cui all’art. 95, comma 15, codice.
Si potrebbero valutare, alternativamente, le seguenti ipotesi:
– la verifica successiva non è consentita quando la procedura di gara prevede l’esclusione automatica delle offerte anomale;
– la “cristallizzazione” delle offerte, ai fini del calcolo delle medie e delle soglie di anomalia si realizza già prima della verifica delle cause di esclusione, sulla base delle sole offerte presentate.
Sotto altro aspetto va rilevato, infine, che per gli appalti sotto-soglia – ove è certamente più pressante la necessità di coniugare gli interessi alla corretta selezione del contraente con quelli di semplificazione e proporzionalità – l’art. 36, anche a seguito delle correzione che intende apportare lo schema decreto, ha già previsto importanti semplificazioni sia nel riformulato art. 36, comma 5, sia con l’introduzione del comma 6 bis.
Si suggerisce di coordinare meglio le diverse discipline.
ARTICOLO 95 (CRITERI DI AGGIUDICAZIONE DELL’APPALTO)
Partendo dalla constatazione che uno dei punti qualificanti del codice è la spiccata preferenza per l’aggiudicazione tramite il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, il decreto correttivo ha proceduto a meglio perimetrare l’obbligo di utilizzo di tale criterio:
40.a) introducendo una possibile deroga per gli appalti di cui all’art. 95, comma 3, lett. a) nel caso di affidamenti diretti sino a € 40.000;
41.b) ampliando il ricorso facoltativo al criterio del minor prezzo per i servizi e le forniture che non superano la soglia di € 40.000, senza richiedere più, come prima previsto, il requisito dell’elevata ripetitività;
42.c) rendendo possibile il ricorso sempre al criterio del minor prezzo quando ricorrono i presupposti di urgenza individuati all’art. 63, comma 2, lett. c) e all’art. 125, comma 1, lett. d).
La Commissione suggerisce al Governo di valutare attentamente l’opportunità di inserire o meno la lett. c-bis al comma 4, trattandosi di previsione che mostra alcune criticità rispetto all’impianto complessivo della riforma del 2016, decisamente orientata a promuovere la qualità delle offerte e a limitare il ricorso al criterio del minor prezzo.
Pur dovendosi prendere atto che la proposta non sembra porsi, in astratto, in contrasto con le direttive e con l’impianto vigente del codice, occorre tuttavia verificare se l’applicazione del criterio del prezzo più basso sia concretamente idonea a comportare una significativa accelerazione della procedura di urgenza, in relazione all’esecuzione di prestazioni, le quali, per quanto indifferibili, in concreto, dovrebbero esigere un’attenta garanzia della qualità delle prestazioni, ottenibile attraverso la valorizzazione degli elementi non meramente economici dell’offerta.
Si sono già esposte, in relazione all’art. 59, i dubbi di contrarietà alla legge delega della nuova ipotesi di appalto integrato in caso di urgenza.
Il “combinato disposto”, nei casi di urgenza, di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione e del criterio del prezzo più basso, potrebbe vanificare gli obiettivi di conseguire prestazioni con adeguati standard qualitativi, favorendo poi, in fase esecutiva, le varianti.
Per il resto, a giudizio del Consiglio, le altre modifiche – seppure con le osservazioni che subito si faranno – sono da condividere, sia perché non tradiscono l’obiettivo complessivo della riforma sia perché si giustificano, sempre in un’ottica di semplificazione e proporzionalità, in ragione dell’importo o della peculiarità dell’appalto.
Sotto un profilo storico, non v’è dubbio che negli anni si è assistito ad un mutamento nell’utilizzo dei criteri di aggiudicazione.
La legge n. 109/1994, anche con l’obiettivo di combattere la corruzione riducendo la discrezionalità delle stazioni appaltanti, aveva manifestato una spiccata preferenza per il criterio del prezzo più basso.
In seguito ad alcuni arresti della Corte di giustizia europea, l’ordinamento giuridico italiano ha nuovamente ampliato l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa giungendo a considerarlo, fatte salve alcune ipotesi specifiche, criterio alternativo a quello del prezzo più basso e lasciando alle stazioni appaltanti ampia discrezionalità nella scelta (si consideri, l’ormai abrogato, art. 81, comma 2, d.lgs. n. 163/2006: “Le stazioni appaltanti scelgono, tra i criteri di cui al comma 1, quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell’oggetto del contratto, e indicano nel bando di gara quale dei due criteri di cui al comma 1 sarà applicato per selezionare la migliore offerta”).
Nel tempo la dottrina ha evidenziato i pregi, e i difetti, di ciascun criterio.
Quello del prezzo più basso garantisce la rapida definizione delle procedure di evidenza pubblica e riduce la discrezionalità della pubblica amministrazione (a volta considerata fattore in cui si annida la possibilità di corruzione) ma, sotto altro aspetto, tale criterio non consente di valutare alcuni aspetti qualitativi dell’offerta, spinge (a giudizio di alcuni) gli operatori economici a ridurre eccessivamente i costi, anche quelli legati alla manodopera, e crea il rischio di cordate che tentano di influenzare l’individuazione della soglia di anomalia.
Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa – valorizzato dalla riforma del 2016 – garantisce meglio la valutazione dell’aspetto qualitativo ed evita che la ‘competizione’ si concentri esclusivamente sulla riduzione dei costi; tuttavia determina un appesantimento della procedura e amplia gli spazi discrezionali della stazione appaltante. Richiede una particolare competenza e preparazione della stazione appaltante e per essa, della commissione di gara.
Fermo restando che i rischi derivanti dall’utilizzo del criterio del minor prezzo oggi potrebbero ritenersi in buona parte neutralizzati dall’introduzione di cinque differenti criteri di determinazione della soglia di anomalia (anche considerando che l’effetto antiturbativa discende dal sorteggio dei metodi di determinazione della soglia di anomalia e quindi dalla imprevedibilità di quest’ultimo, il quale, a sua volta impedisce accordi collusivi riferibili a cordate di imprese), va suggerito al Governo di realizzare un’attenta attività di monitoraggio sull’impatto che le norme in materia di progettazione esecutiva hanno nella prassi delle pubbliche amministrazioni, nel convincimento che una buona progettazione esecutiva potrebbe concorrere alla “qualità” delle opere pubbliche anche quando viene utilizzato il criterio del minor prezzo.
Per ragioni di drafting, si suggerisce la riformulazione dell’art. 57, comma 1, lett. f) del decreto correttivo in modo da introdurre nell’art. 95 solo il comma 10-bis con il seguente tenore: “La stazione appaltante, al fine di assicurare l’effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo, valorizza gli elementi qualitativi dell’offerta e individua criteri tali da garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici. A tal fine stabilisce il punteggio massimo previsto per l’offerta economica in modo da evitare che tale elemento prevalga sugli altri.”
All’art. 95, comma 13, è prevista la sostituzione del rating di legalità con il rating di impresa; a tale riguardo va rilevato che sembra opportuno segnalare al Governo la possibilità di prevedere il beneficio sia per il rating di legalità che per quello di impresa, disciplinando l’eventuale ipotesi in cui l’operatore economico li possieda entrambi (v. amplius sub art. 83).
ARTICOLO 97 (OFFERTE ANORMALMENTE BASSE)
La disciplina delle offerte anormalmente bassa è certamente cruciale per la corretta scelta dell’aggiudicatario. In ordine alle modifiche che il decreto correttivo intende introdurre si formulano i seguenti rilievi.
Vanno positivamente apprezzate le correzioni che il decreto intende apportare alle lettere b), d) e e) del comma 2, in considerazione delle criticità emerse in sede di prima applicazione, fatte peraltro oggetto anche di esplicita presa di posizione da parte dell’ANAC con comunicazione del presidente 5 ottobre 2016.
Dopo le parole “soglia di anomalia determinata” si suggerisce di mettere il punto e virgola al posto della virgola.
In relazione alle modifiche introdotte al comma 3 – consistenti nell’elevazione della soglia di anomalia da quattro quinti a nove decimi nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa – la Commissione ritiene che si tratti di modifica non opportuna perché, innalzando la soglia, si rischia che non vengano sottoposte a valutazione di congruità offerte sospette per la loro particolare convenienza.
Il comma 3-bis testualmente stabilisce: “Il calcolo di cui al comma 2 è effettuato ove il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque, a dieci nel caso di cui al comma 8”. La disposizione in questione va riformulata per riferirla solo al calcolo effettuato ai sensi di cui al comma 2 nel seguente modo: “Il calcolo di cui al comma 2 è effettuato ove il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque.”
La parte del comma 3-bis che si occupa del comma 8 va invece espunta sia perché non chiara nella sua portata precettiva sia perché non correttamente collocata; inoltre va rilevato che una norma simile a quella che si vuole introdurre con il decreto correttivo è già presente nell’ultimo periodo del comma 8 “Comunque la facoltà di esclusione automatica non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci”).
La Commissione rileva la superfluità del comma 3-ter che il decreto correttivo intende introdurre in considerazione del fatto che già l’ultimo periodo del comma 6 prevede una disposizione pressoché identica (“La stazione appaltante in ogni caso può valutare la congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa”).
Con riferimento all’art. 97, comma 5, lett. d), il decreto correttivo intende sostituire il criterio finora vigente, che presume iuris et de iure l’anomalia dell’offerta quando il costo del personale è inferiore ai minimi salariali di contratto collettivo, con il differente criterio che ravvisa l’anomalia, sempre iuris et de iure, quando il costo del personale è inferiore al costo orario medio del lavoro. La Commissione, pur consapevole della finalità di tutela di adeguate condizioni retributive del personale, suggerisce al Governo di ponderare adeguatamente tale modifica, che avrebbe come risultato un forte irrigidimento e nella sostanza impedirebbe le giustificazioni – che invece sino ad ora sono state consentite (anche dalla giurisprudenza di questo Consiglio) – nel caso di costo del lavoro inferiore al costo orario medio, purché non inferiore ai minimi salariali. Un’ipotesi ragionevole potrebbe essere quella di consentire comunque all’operatore di dimostrare la ragionevolezza e sostenibilità dell’offerta proposta, fermo restando l’obbligatorio rispetto dei minimi salariali e degli altri vincoli normativi e della contrattazione collettiva.
Il decreto correttivo propone di modificare così il comma 8: “Per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e per i servizi e le forniture e comunque per importi inferiori alle soglie di rilevanza di cui all’articolo 35, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bado l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2. In tal caso non si applicano i commi 4, 5 e 6. Per i lavori, l’esclusione automatica con individuazione della soglia di anomalia ai sensi del comma 2, è utilizzata dalla staziona appaltante per appalti di importo pari o inferiore a 1 milione di euro, se l’appalto non presenta carattere transfrontaliero. Comunque la facoltà di esclusione automatica non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci.”.
Prima di passare ad esporre le osservazioni sul testo proposto dal decreto correttivo, occorre ricordare che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha rilevato la contrarietà all’ordinamento comunitario della regola che impone all’amministrazione, qualora il numero delle offerte valide sia superiore a cinque, di procedere all’esclusione automatica delle offerte considerate anormalmente basse facendo applicazione di un criterio matematico come quello basato sul c.d. taglio delle ali. La Corte ha ritenuto di poter giungere a tale conclusione in applicazione delle norme fondamentali del Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi nonché del principio generale di non discriminazione (CGCE, IV, 15 maggio 2008, C-147/06 e C-148/06). Giova rilevare che il giudice comunitario, nell’affermare il principio in questione, non ha escluso deroghe per l’ipotesi di appalti che non «presentano un interesse transfrontaliero certo» (perché non in grado di richiamare operatori di altri Stati membri) e che vedono coinvolte un «numero eccessivamente elevato di offerte» poiché in tale ultimo caso l’amministrazione potrebbe essere obbligata «a procedere alla verifica in contraddittorio di un numero di offerte talmente alto da eccedere la sua capacità amministrativa o da poter compromettere la realizzazione del progetto a causa del ritardo che tale verifica potrebbe comportare» (CGCE, IV, 15 maggio 2008, C-147/06 e C-148/06). In altri termini, nel pensiero della Corte europea occorre tendenzialmente evitare l’esclusione automatica delle offerte sospettate di anomalia e procedere, prima dell’esclusione, alla verifica in contraddittorio con l’impresa offerente. Pur non stabilendo regole rigide, come già detto, la Corte ha tuttavia ritenuto di poter introdurre margini di flessibilità nelle procedure di importo inferiore alla soglia comunitaria che, oltre a non presentare un interesse transfrontaliero, vedono la partecipazione di un numero elevato di imprese. La soluzione data dalla Corte si apprezza sia per l’applicazione generalizzata alle procedure c.d. sotto-soglia delle norme fondamentali del Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi nonché del principio generale di non discriminazione sia per il pragmatismo che la contraddistingue. Ed invero la possibilità di prevedere l’esclusione automatica in appalti sotto-soglia di importo poco rilevante che hanno registrato l’ammissione di un numero elevato di offerte attua in modo efficace i principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza oltre che quello di proporzionalità, principi questi richiamati all’art. 30, codice.
Coerentemente alle indicazioni che in materia ha dato la Corte di giustizia, si ritiene che:
1.a) l’esclusione automatica – da considerare comunque un’eccezione rispetto alla regola che impone la verifica in contraddittorio della congruità delle offerte sospette – non può essere prevista come un obbligo (come sembra fare il correttivo, sia pure limitatamente agli appalti di lavori di importo fino a un milione di euro), ma deve restare una facoltà, lasciata alla stazione appaltante, con previsione nel bando, secondo quanto attualmente dispone l’art. 97, comma 8;
2.b) va espressamente affermato che presupposto per procedere all’esclusione automatica è il carattere non transfrontaliero dell’appalto.
Pertanto non si condividono le proposte modifiche all’art. 97, comma 8, che va solo corretto nella parte in cui non esplicita che la facoltà di esclusione automatica non è esercitabile per appalti che presentano carattere transfrontaliero.
Valuti infine il Governo se specificare meglio quando l’appalto ha carattere transfrontaliero. Al riguardo il Consiglio propone di definire transfrontalieri – sulla scia di quanto previsto dall’art. 19, comma 5, l.r. Sicilia 12 luglio 2011 n. 12 – gli appalti di lavori, servizi o forniture, finanziati, cofinanziati o realizzati con fondi comunque erogati dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori, anche se di valore inferiore alla soglia comunitaria, ove agli stessi siano ammessi, in percentuale pari o superiore al 5 per cento, operatori economici aventi sede in nazioni dell’Unione europea, diverse dall’Italia.
In via subordinata, ove il Governo intenda mantenere la proposta modifica al comma 8, si segnala che nel primo periodo del novellato comma 8, le parole “pari o superiore a un milione” vanno sostituite con “superiore a un milione”.
Si rimette, infine, alla valutazione del Governo l’opportunità di inserire o meno nell’art. 97 una norma che disciplini il criterio di computo, o accantonamento, nel determinare la soglia di anomalia, delle offerte uguali: si tratta di questione che era normata dal previgente d.P.R. n. 207/2010, e su cui si è delineato un contrasto di giurisprudenza, di recente rimesso all’esame dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che deve ancora pronunciarsi (questione rimessa da Cons. St., sez. III, 13 marzo 2017, n. 1151, ord.).
ARTICOLO 101 (SOGGETTI DELLE STAZIONI APPALTANTI)
Per quanto concerne l’inserimento del nuovo comma 6 bis, deve rilevarsi che quest’ultimo risulta conforme a quanto suggerito nel parere concernente l’approvazione delle linee guida sul direttore dei lavori e sul direttore dell’esecuzione (Cons. St., comm. spec., 3 novembre 2016, n. 2282), con il quale si è evidenziata l’assenza di una disposizione codicistica che costituisca la base legale per la figura dell’assistente del direttore dell’esecuzione.
Tuttavia, non ci si può esimere dall’evidenziare che il predetto comma 6-bis può apparire generico, in particolare per quanto concerne la mancata individuazione del soggetto preposto a nominare l’assistente del direttore dell’esecuzione: si suggerisce, pertanto, di specificare ulteriormente il contenuto di tale disposizione per quanto concerne la nomina e, se ritenuto necessario, anche le funzioni dell’assistente del direttore dell’esecuzione.
Inoltre, deve rilevarsi che l’articolo in esame necessita di un miglior coordinamento con l’art. 111, relativo al controllo tecnico, contabile e amministrativo svolto dal direttore dei lavori e dai suoi ausiliari, per evitare la presenza di previsioni fra loro ripetitive e la “moltiplicazione” di figure ausiliarie.
Infine, sotto il profilo formale, si suggerisce di sostituire, al comma 3, lett. d), la parola “svolge” con la parola “svolgere”, più conforme alla stesura delle altre lettere del comma.
ARTICOLO 102 (COLLAUDO)
Preliminarmente, la Commissione speciale deve rilevare che le modifiche all’art. 102 non recepiscono quanto indicato nel parere n. 855/2016, relativamente all’indicazione di espungere il primo comma del medesimo art. 102, ritenuto “superfluo e ripetitivo rispetto al precedente art. 101”, con la conseguenza che spetterà al Governo valutare, in sede di stesura definitiva del decreto legislativo correttivo, se introdurre quanto richiesto con il succitato parere.
Inoltre, deve rilevarsi che la modifica apportata sia alla rubrica sia a vari commi dell’articolo con la distinzione fra “collaudo” per i lavori e “verifica di conformità” per i servizi e le forniture non ha riscontrato quanto rilevato nel parere n. 2282 del 3 novembre 2016, con cui si è evidenziata l’opportunità d’utilizzare, a fini di semplificazione terminologica, sia per i lavori che per le forniture il termine “collaudo”, fatta salva ovviamente la relativa specifica disciplina delle due fattispecie.
In relazione a ciò si ritiene che al testo dell’articolo dovrebbero essere apportate le seguenti modifiche:
– sopprimere, in rubrica, le parole “e verifica di conformità”;
– sopprimere al comma 2, primo periodo, le parole “per i lavori e a verifica di conformità per i servizi e per le forniture”;
– sopprimere al comma 2, secondo periodo, le parole “e il certificato di verifica di conformità” e sostituire la locuzione “possono essere sostituiti” con “può essere sostituito”;
– sostituire al comma 3, primo periodo, le parole “dall’ultimazione dei lavori” con “dall’ultimazione delle prestazioni” e le parole “dell’opera da collaudare” con “della prestazione da collaudare”;
– sopprimere al comma 4, primo periodo, le parole “o della verifica di conformità”;
– sostituire al comma 4, secondo periodo le parole “accettazione dell’opera” con “accettazione della prestazione”;
-sostituire al comma 5, le parole “vizi dell’opera” con “vizi della prestazione”;
– sopprimere al comma 7, primo alinea le parole “e di verifica di conformità”;
– sostituire al comma 8, primo periodo, le parole “svolgimento del collaudo” con le parole “svolgimento del collaudo di lavori”; sopprimere le parole “e il certificato di verifica di conformità”; e sostituire le parole “possono essere sostituiti” con le parole “può essere sostituito”;
– sopprimere, per l’effetto, il riferimento alla “verifica di conformità” in tutti gli altri articoli del codice, e, segnatamente, a mero titolo esemplificativo e salva ulteriore ricognizione a cura del competente ufficio legislativo: al comma 5 dell’art. 30; al comma 6 dell’art. 103, sopprimendo anche le parole “nel caso di appalti di servizi o forniture” e sostituendo le parole “dei medesimi” con “del medesimo”; al comma 2 dell’art. 113, sostituendo anche le parole “collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità” con le parole “collaudo tecnico amministrativo dei lavori”; e al comma 2, quarto periodo nell’art. 205.
Sempre con riferimento al comma 2 si osserva che con la modifica introdotta dal correttivo non risulta sufficientemente chiaro il soggetto preposto al rilascio del certificato di regolare esecuzione nel caso di contratti concernenti servizi e forniture, atteso che la disposizione si limita a sopprimere il riferimento al RUP.
In secondo luogo si rileva che la facoltà attribuita alla stazione appaltante di sostituire, per i lavori d’importo pari o superiore a 500.000 euro e non eccedenti 1 milione di euro, il certificato di collaudo con quello di regolare esecuzione non appare sufficientemente coordinata con il secondo periodo del medesimo comma 2.
Infatti il periodo aggiunto tramite il correttivo prevede tale possibilità per i contratti d’importo pari o superiore ai 500.000 euro mentre il secondo periodo del comma 2 prevede per i contratti sotto soglia solo specifici casi, da individuarsi tramite decreto ministeriale, in cui tale sostituzione può aver luogo.
Si rende, pertanto, necessario in sede di stesura definitiva del decreto correttivo chiarire il soggetto autorizzato a rilasciare il certificato di regolare esecuzione nel caso di servizi e forniture nonché coordinare il secondo periodo e il periodo aggiuntivo del comma 2, prevedendo, in analogia a quanto stabilito dell’art. 141, comma 3, del previgente codice n. 163/2006, che anche per i lavori d’importo inferiore ai 500.000 euro il certificato di collaudo può essere sostituito da quello di regolare esecuzione, prescindendo dall’individuazione di singoli casi specifici.
Relativamente al termine (3 mesi) previsto per il rilascio del certificato di regolare esecuzione si segnala all’Amministrazione di coordinare tale termine con quello previsto nel decreto (in itinere) sul direttore dei lavori che nel testo pervenuto a questo Consiglio di Stato reca un termine diverso, pari a 30 giorni.
Il comma 4, introduce la regola che anche per i pagamenti relativi ad appalti di lavori si applica la disciplina prevista dal d.lgs. n. 231 del 2002, che prevede termini di pagamento più brevi rispetto ai 90 giorni previsti sia nel codice n. 163/2006 sia in quello del 2016. Premesso che sarebbe più opportuno inserire l’indicata clausola nell’art. 113-bis, relativo ai termini di pagamento, si osserva in proposito che la previsione in esame, che si traduce in un vantaggio per gli operatori, potrebbe comportare anche un possibile aggravio di costi di cui la relazione tecnica non dà conto, ai fini del rispetto della clausola d’invarianza finanziaria.
Analogamente, la relazione tecnica non chiarisce, con riferimento al comma 6, gli effetti che il diverso sistema di pagamento previsto per i collaudatori dipendenti pubblici non dipendenti dalla stazione appaltante potrebbe determinare sul bilancio pubblico.
Pertanto, la Commissione speciale, pur comprendendo la ratio di tali modifiche, ritiene opportuno invitare il Governo a valutare gli effetti delle medesime con riguardo alle esigenze di finanza pubblica del Paese.
Con riferimento al comma 8 si osserva che il richiamo all’art. 216, comma 16 è da ritenersi superfluo, in quanto detto articolo richiama le disposizioni della parte II, titolo X, del d. P.R. n. 207/2010, in cui è ricompresa la disciplina del certificato di regolare esecuzione. Si suggerisce, pertanto d’espungere la novella di cui al comma in questione.
Infine, sotto il profilo formale, si suggerisce di riformulare il penultimo periodo del comma 6 – così come introdotto dallo schema di correttivo – nei seguenti termini: “Il collaudatore delle strutture per la redazione del collaudo statico è individuato, per i lavori, tra i dipendenti della stazione appaltante ovvero tra i dipendenti delle altre amministrazioni”.
ARTICOLO 103 (GARANZIE DEFINITIVE)
Si segnala che non risulta recepita l’osservazione di cui al parere n. 855/2016, dal momento che risultano solo in parte esplicitati i soggetti preposti a partecipare al procedimento di approvazione degli schemi tipo di polizza di cui al comma 9 del medesimo art. 103.
ARTICOLO 104 (GARANZIE PER L’ESECUZIONE DI LAVORI DI PARTICOLARE VALORE)
Nell’art. 104, viene introdotto, per le garanzie relative a lavori di particolare valore, il vincolo dì solidarietà tra garanti, in coerenza con il principio della garanzia a prima richiesta.
Tale modifica deve ritenersi conforme a quanto suggerito dal Consiglio di Stato con il parere n. 2286 del 3 novembre 2016, con il quale si è evidenziato che “la posizione della stazione appaltante è ulteriormente indebolita dalla previsione, applicabile sia alla cauzione provvisoria che a quella definitiva, dell’esclusione del vincolo di solidarietà tra i garanti (art. 104, c. 10), che non sembra molto coerente con il principio della garanzia a prima richiesta”.
Ciò posto, la Commissione speciale non può esimersi dal rilevare che l’Amministrazione, sia in sede di stesura definitiva dell’art. 104 sia in sede di predisposizione dello schema di correttivo de quo, non ha proceduto a recepire integralmente le osservazioni formulate dal Consiglio di Stato nel parere n. 855/2016 e, in particolare, quelle relative alla necessità di coordinare più puntualmente gli articoli 103 e 104, codice – al fine di agevolare la lettura del testo – ed all’opportunità di riconsiderare l’utilizzo della locuzione “appalti di sola esecuzione”, che “non trova riscontro nelle altre previsioni del codice” ma è contemplata esclusivamente dall’art. 53 del previgente codice dei contratti pubblici.
E’ opportuno, inoltre, evidenziare che il richiamo operato dal comma 7 dell’art. 104 alla sola “garanzia per la risoluzione” – e non anche alla “garanzia di buon adempimento” – potrebbe risultare troppo limitativo e non appare giustificato da ragioni d’ordine sostanziale: la Commissione speciale suggerisce, quindi, al Governo di valutare l’opportunità di sostituire il richiamo operato dal succitato comma 7 alla “garanzia per la risoluzione” con un richiamo alle “garanzie di cui al presente articolo”, ivi compresa, quindi, la garanzia di buon adempimento.
La Commissione speciale rileva, altresì, che non sembra disciplinata la materia dello svincolo della garanzia di buon adempimento, in precedenza prevista dall’art. 237-bis del previgente d.lgs. n. 163/2006: valuterà, pertanto, l’Amministrazione se superare tale lacuna integrando, nei termini ritenuti più opportuni, lo schema di correttivo tramite un’apposita disposizione.
Infine sotto il profilo redazionale si suggerisce d’inserire alla fine del comma 5 il segno di interpunzione.
ARTICOLO 105 (SUBAPPALTO)
Consistenti sono le modifiche all’art. 105.
Quanto alla modifica che prevede che, per i lavori, l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo dei lavori della categoria prevalente, anziché dell’importo complessivo del contratto, come in precedenza previsto – la Commissione speciale rileva, in primo luogo, che tale modifica sembra voler ampliare la possibilità di ricorso al subappalto per quanto concerne i contratti di appalto relativi ai lavori, al fine di superare la rigidità della disciplina attualmente prevista, anche alla luce della recente sentenza della Corte di giustizia europea relativa alla causa C-406/14.
Se l’obiettivo è di non porre limiti al subappalto per i lavori diversi da quelli della categoria prevalente, tanto andrebbe espresso con una norma più chiara, perché quella proposta si limita ad affermare che “(…) l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo dei lavori della categoria prevalente, per i lavori”. Non è dunque affermato espressamente che il subappalto è consentito senza limiti per i lavori delle altre categorie, e, al contrario, la norma si presta alla lettura secondo cui per le altre categorie il subappalto non è consentito affatto.
Ciò detto sulla ratio legis, questo Consesso intende fare alcune riflessioni sull’opportunità della modifica, che comporta una inversione di rotta rispetto alla originaria scelta del codice.
Già nel parere n. 855/2016 questo Consesso, in relazione all’art. 105, aveva osservato che il legislatore nazionale potrebbe porre, in tema di subappalto, limiti di maggior rigore rispetto alle direttive europee, che non costituirebbero un ingiustificato goldplating, ma sarebbero giustificati da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro.
Nella parte generale di quel parere, nell’affrontare il tema del divieto di goldplating (par. II.a) si era affermato che <>.
Questo Consesso non ignora la giurisprudenza della C. giust. UE, e, segnatamente, da ultimo, la decisione C. giust. UE, III, 14.7.2016 C-406/14 (ma v. anche C. giust. UE, 10.10.2013 C-94/12; Id., 18.3.2004 C-314/01), secondo cui il diritto europeo non consente agli Stati membri di porre limiti quantitativi al subappalto. Secondo la citata pronuncia in C-406/14, la direttiva 2004/18 deve essere interpretata nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice non è autorizzata ad imporre, mediante una clausola del capitolato d’oneri di un appalto pubblico di lavori, che il futuro aggiudicatario esegua una determinata percentuale dei lavori oggetto di detto appalto avvalendosi di risorse proprie, e tuttavia, qualora i documenti dell’appalto impongano agli offerenti di indicare, nelle offerte, le parti dell’appalto che essi hanno eventualmente l’intenzione di subappaltare e i subappaltatori proposti, l’amministrazione aggiudicatrice ha il diritto, per quanto riguarda l’esecuzione di parti essenziali dell’appalto, di vietare il ricorso a subappaltatori quando non sia stata in grado di verificare le loro capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione dell’aggiudicatario.
Tuttavia, tale giurisprudenza eurounitaria si è appunto formata in relazione alla previgente direttiva 2004/18. La nuova direttiva 2014/24 consente agli Stati membri di dettare una più restrittiva disciplina del subappalto, rispetto alla maggiore libertà del subappalto nella previgente direttiva.
Le direttive del 2014, rispetto alle precedenti del 2004, per la prima volta includono nella disciplina del subappalto finalità che finora erano state specifiche della legislazione italiana, ossia una maggiore trasparenza e la tutela giuslavoristica.
E’ vero che nemmeno le nuove direttive, al pari delle previgenti, contemplano espressamente limiti quantitativi al subappalto, salva la possibilità per la stazione appaltante di esigere di conoscere preventivamente i nomi dei subappaltatori e la facoltà per gli Stati membri di imporre norme di tutela giuslavoristica.
Tuttavia, la complessiva disciplina delle nuove direttive, più attente, in tema di subappalto, ai temi della trasparenza e della tutela del lavoro, in una con l’ulteriore obiettivo, complessivamente perseguito dalle direttive, della tutela delle micro, piccole e medie imprese, può indurre alla ragionevole interpretazione che le limitazioni quantitative al subappalto, previste da legislatore nazionale, non sono in frontale contrasto con il diritto europeo.
Esse vanno infatti vagliate, e possono essere giustificate, da un lato alla luce dei principi di sostenibilità sociale che sono alla base delle stesse direttive, e dall’altro lato alla luce di quei valori superiori, declinati dall’art. 36 TFUE, che possono fondare restrizioni della libera concorrenza e del mercato, tra cui, espressamente, l’ordine e la sicurezza pubblici.
In tale prospettiva, il Governo ben potrebbe scegliere “l’opzione zero” ossia di non intervenire sulla scelta di fondo già operata dal codice, difendendo la scelta italiana in sede di eventuale procedura di infrazione (ove essa venisse avviata dalla Commissione europea, a seguito della denuncia formalizzata da ANCE), e se del caso modificando in un secondo momento la norma de quo, a seguito di una eventuale condanna in sede comunitaria.
In relazione alle modifiche in materia di “terna dei subappaltatori” si osserva che la legge delega ha demandato al decreto delegato “l’espressa individuazione dei casi specifici in cui vige l’obbligo d’indicare, in sede d’offerta, una terna di nominativi di subappaltatori per ogni tipologia di attività prevista in progetto”, sicché il codice non può esonerarsi da tale compito, rinviando alla stazione appaltante l’indicazione della terna ogniqualvolta ritenga “necessario conoscere anticipatamente i nominativi dei subappaltatori”. Il criterio, infatti, è troppo generico e deve necessariamente essere completato con ulteriori parametri, la cui predisposizione è rimessa alla potestà attribuita all’Amministrazione di disciplinare la materia de qua.
Analogamente, dovrebbe essere rivisto il criterio secondo cui l’indicazione della terna non è obbligatoria nei casi di strumenti d’acquisto e negoziazione messi a disposizione dalle centrali di committenza e ciò perché detta indicazione, proprio ai sensi del medesimo comma 6, non è obbligatoria per legge ma solo nel caso in cui la stazione appaltante lo richieda. Pertanto, il periodo dovrebbe essere espunto in quanto pleonastico. Se viceversa l’intendimento dell’Amministrazione fosse quello di evitare che l’indicazione della terna sia richiesta nella succitata fattispecie, il capoverso dovrebbe essere sostituito, precisando che l’indicazione della terna “non può essere chiesta” nelle suddette circostanze.
Perplessità suscita anche la previsione contenuta nell’ultimo periodo del comma 6, secondo cui nel bando o nell’avviso la stazione appaltante può prevedere ulteriori casi in cui è obbligatoria, ancorché solo all’atto “della stipula del contratto”, l’indicazione della terna anche sotto le soglie di cui all’art. 35.
In proposito, infatti, è necessario evidenziare che tale previsione potrebbe apparire in contrasto sia con il criterio di delega di cui alla lett. rrr) della legge delega, secondo cui il codice deve prevedere “l’obbligo per il concorrente d’indicare in sede di offerta le parti del contratto che intende subappaltare”, nonché “l’espressa individuazione dei casi specifici in cui vige l’obbligo d’indicare, in sede di offerta, una terna di nominativi di subappaltatori per ogni tipologia di attività prevista in progetto”, sia con quanto previsto dalle disposizioni comunitarie e, segnatamente, dalla già citata direttiva 2014/24/UE (art. 719), la quale, pur lasciando liberi gli Stati membri di obbligare le amministrazioni aggiudicatrici a chiedere all’offerente o al candidato d’indicare i subappaltatori proposti, prevede che tale indicazione debba avvenire in sede di offerta.
Pertanto, il richiamo alla stipula del contratto, quale momento utile per indicare la terna, dovrebbe essere espunto dal testo dell’articolo. Tuttavia, procedendo in detti termini l’intera disposizione si limiterebbe a ribadire il principio già contenuto nel primo alinea del comma 6, che stabilisce che la stazione appaltante possa richiedere nel bando di gara l’indicazione della terna, qualora lo ritenga necessario, e ciò con riferimento sia agli appalti sopra che a quelli sotto soglia.
La Commissione speciale, pertanto, invita il Governo a valutare l’opportunità di sopprimere la succitata previsione, in considerazione dei dubbi esistenti in merito alla sua compatibilità con le previsioni dell’ordinamento nazionale e comunitario in precedenza richiamate nonché con quanto disposto dal primo periodo del comma 6 del decreto correttivo in esame.
Con la proposta introduzione del comma 7-bis, si prevede che “L’autorizzazione al subappalto può essere negata nell’ipotesi in cui il subappaltatore abbia presentato offerta nell’ambito del medesimo procedimento di gara, a condizione che tale facoltà sia stata precisata negli atti di gara.”
La norma intende risolvere una questione controversa, riguardante la possibilità per gli operatori economici di assumere la veste di concorrente e – successivamente, in caso di mancato conseguimento dell’affidamento – di subappaltatore. A questo tema si dovrebbe affiancare la questione riguardante la possibilità di assumere la duplice veste di concorrente e di subappaltatore indicato nella “terna”, nei casi in cui tale indicazione sia obbligatoria. E, ancora, potrebbe essere utile chiarire se un’impresa possa essere indicata contemporaneamente nelle terne di diversi concorrenti partecipanti alla medesima procedura selettiva.
La soluzione più coerente con la normativa comunitaria e con i principi della concorrenza dovrebbe essere nel senso di ammettere tale possibilità. Tuttavia, non può trascurarsi il rischio di possibili effetti distorsivi della corretta procedura di gara, derivanti dal ruolo molteplice assunto da alcuni operatori e dal loro eventuale contatto preventivo con diverse imprese, anche in relazione al principio di segretezza delle offerte.
In questo senso, allora, la Commissione ritiene senz’altro opportuna una disciplina di rango legislativo, che dia una risposta ai prospettati dubbi, estendendosi anche alla fase di indicazione preventiva della terna dei subappaltatori.
In ogni caso, la formulazione proposta dallo schema del correttivo presenta alcune criticità, perché lascia un ampio margine di discrezionalità alle stazioni appaltanti, sia nella fase di definizione del bando, sia nella scelta concreta attinente all’autorizzazione al subappalto.
Pertanto, si suggerisce di rivalutare attentamente la scelta compiuta, tenendo conto, in particolare dell’esigenza di ancorare il diniego di autorizzazione al subappalto ad una valutazione concreta circa il possibile effetto distorsivo della concorrenza derivante dalla previa partecipazione del subappaltatore alla precedente gara. Sotto tale profilo, si potrebbe, nel comma 7-bis, demandare a linee guida dell’ANAC la fissazione di criteri per delimitare il doppio potere discrezionale della stazione appaltante previsto dalla disposizione in commento, di contemplare la causa di divieto nel bando, e di negare in concreto l’autorizzazione al subappalto.
Con riferimento al comma 22 dell’art. 105, si osserva che il decreto correttivo modifica la disposizione originaria contenuta nel codice, relativa al rilascio dei certificati necessari per la partecipazione e la qualificazione di cui all’art. 83, comma 1 e 84, comma 4, lett. b), e che prevedeva che i certificati di esecuzione lavori sono rilasciati all’appaltatore con integrale scomputo il valore e la categoria di quanto eseguito attraverso il subappalto.
Si prevede ora, che sia indicato, nel certificato di esecuzione lavori rilasciato all’appaltatore, il valore e la categoria di quanto eseguito attraverso il subappalto e che i subappaltatori possano richiedere alle stazioni appaltanti i certificati relativi alle prestazioni oggetto di subappalto. Si rinvia alle linee guida dell’ANAC sulla qualificazione di indicare in che misura rilevano, ai fini della qualificazione, il valore e la categoria di quanto eseguito in subappalto.
In proposito la Commissione speciale osserva che il cambiamento previsto dalla disposizione in esame – che si contrappone alla scelta operata dal codice che affermava il principio secondo cui ai fini della qualificazione ciascun soggetto può utilizzare le prestazioni effettivamente eseguite – non risulta motivato nella relazione che accompagna il decreto correttivo.
Pertanto, risultando di non certa individuazione le ragioni sottese alla scelta effettuata, la Commissione speciale manifesta perplessità in relazione alla disposizione in esame che, oltre ad apparire generica in quanto rinvia ad altra fonte (le linee guida ANAC) la disciplina della materia, modifica in toto una scelta fondata su una ratio chiara quale quella di consentire, ai fini della qualificazione, che ciascun soggetto possa utilizzare solo le prestazioni effettivamente eseguite in proprio.
Occorre evitare sia il rischio di qualificazioni solo “cartolari” conseguite sulla scorta di prestazioni eseguite da altri operatori, sia il rischio del “due al prezzo di uno” ossia che un medesimo lavoro venga attribuito, per la qualificazione, a due diversi soggetti. Andrebbero pertanto quantomeno fissati rigorosi criteri di orientamento per le linee guida al fine di circoscrivere entro limiti ragionevoli:
– da un lato, il doppio utilizzo della medesima prestazione ai fini della qualificazione, da parte sia dell’appaltatore che del subappaltatore;
– dall’altro lato, l’utilizzo della prestazione subappaltata per la qualificazione dell’appaltatore, posto che occorre evitare di attribuire la qualificazione sulla base di prestazioni non realmente riferibili al soggetto.
In concreto, ai fini dell’attribuzione all’appaltatore, per la qualificazione, di una quota determinata delle prestazioni subappaltate, si potrebbe valorizzare il ruolo effettivo avuto dall’appaltatore, quanto ai compiti di organizzazione, controllo, sostituzione, nei confronti dei subappaltatori, e sotto tale profilo attribuirgli pro-quota, per la qualificazione, i lavori eseguiti tramite subappalto.
Per quanto concerne, infine, i profili d’ordine generale relativi alla disciplina di cui al citato art. 105, deve rilevarsi, in primo luogo che il comma 1 afferma che i contratti non possono essere ceduti “a pena di nullità”, senza, tuttavia, tener conto della circostanza che l’art. 106, comma 1, lett. d) prevede alcune ipotesi in cui un nuovo contraente può sostituire quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l’appalto.
Si suggerisce, quindi, al fine di un miglior coordinamento interno delle disposizioni codicistiche, di aggiungere al comma 1 dell’art. in esame, dopo la parola “nullità…”, l’inciso “…fatto salvo l’art. 106, comma 1, lettera d)”.
Si rileva, inoltre, che l’articolo de quo, ai commi 4 e 18, richiama esplicitamente il concetto di “cottimo” senza, tuttavia, procedere a definire la portata di quest’ultimo, con la conseguenza che – a seguito dell’abrogazione del d. P.R. n. 207 del 2010, che recava definizione di tale istituto – sarebbe opportuno introdurre, per il tramite del correttivo de quo, una definizione dell’istituto, al fine di colmare il vuoto normativo venutosi a creare.
Infine, non ci si può esimere dal rilevare la sussistenza di una contraddittorietà tra quanto previsto dal comma 20 dell’art. 105 – nella parte in cui prevede che “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche …alle associazioni in partecipazione” – ed il disposto dell’art. 48, comma 9, codice, in base al quale si statuisce che “è vietata l’associazione in partecipazione…”: si suggerisce, pertanto, di sopprimere il riferimento operato dal predetto comma 20 alle “associazioni in partecipazione”, al fine di superare la contraddittorietà testé rilevata.
ARTICOLO 106 (MODIFICA DEI CONTRATTI DURANTE IL PERIODO DI EFFICACIA)
Si osserva che il comma 1, lett. a) dell’art. 106 opera, per quanto concerne la revisione dei prezzi in relazione ai servizi ed alle forniture, un rinvio a quanto previsto dall’art. 1, comma 511 della l. n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016): tuttavia, in relazione al criterio di delega di cui alla lett. e) – nella parte in cui prevede che il codice debba procedere ad una “semplificazione” e ad un “riordino del quadro normativo vigente” – è necessario inserire il contenuto di tale disposizione direttamente nell’ambito dell’art. 106, procedendo conseguenzialmente all’abrogazione della norma di cui al predetto art. 1, comma 511 della legge n. 208 del 2015.
Inoltre, deve rilevarsi che il comma 5 dell’art. 106 prevede che le modifiche e le varianti ai contratti di appalto previste dal comma 1, lettere b) e c) della medesima disposizione debbano essere pubblicate, tramite uno specifico avviso, sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea.
Tale previsione, tuttavia, data la sua formulazione, deve ritenersi applicabile sia agli appalti che superino la soglia comunitaria di cui all’art. 35, codice sia agli appalti cosiddetti sotto soglia, i quali non sono sottoposti alla disciplina comunitaria e che, ai sensi dell’art. 36, sono soggetti – qualora siano d’importo pari o superiore a cinquecentomila euro – alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
In relazione a quanto esposto spetterà, quindi, al Governo valutare l’opportunità d’emendare la disposizione di cui all’art. 106, comma 5, precisando che quest’ultima trova applicazione esclusivamente per i contratti con rilevanza comunitaria o, in alternativa, prevedendo che, per i contratti di valore inferiore rispetto alla soglia comunitaria di cui all’art. 35, la relativa pubblicità debba avvenire in ambito nazionale.
Per quanto concerne, poi, il comma 14 dell’art. 106, si osserva che quest’ultimo prevede che, per i contratti di valore superiore rispetto alla soglia comunitaria di cui all’art. 35, le varianti in corso d’opera devono essere comunicate all’ANAC esclusivamente nell’ipotesi in cui le varianti stesse siano “di importo eccedente il 10 per cento dell’importo originario del contratto”.
Orbene, in relazione a tale disposizione si rileva che quest’ultima, sotto un primo profilo, potrebbe apparire illogica – atteso che, ai sensi del primo periodo del medesimo comma 14, le varianti in corso d’opera relative ai contratti sotto soglia devono comunque essere comunicate all’ANAC, prescindendo dal loro valore – oltre che in possibile contrasto con il criterio di delega di cui alla lett. ee), nella parte in cui prevede “l’applicazione di uno specifico regime sanzionatorio in capo alle stazioni appaltanti per la mancata o tardiva comunicazione all’ANAC delle variazioni in corso d’opera per gli appalti di importo pari o superiore alla soglia comunitaria”.
Pertanto, spetterà al Governo valutare l’opportunità di modificare il precitato comma 14, estendendo gli obblighi di comunicazione a tutte le varianti relative ai contratti sopra soglia o, in alternativa, prevedendo l’applicazione del regime di comunicazione semplificato previsto per gli appalti sotto soglia dal medesimo art. 106 anche alle varianti in corso d’opera di valore inferiore rispetto al 10 per cento dell’importo dell’originario contratto sopra soglia.
ARTICOLO 107 (SOSPENSIONE)
L’art. 107, codice non viene modificato dallo schema di correttivo.
La Commissione speciale rileva che, in sede di stesura dell’art. 107, l’Amministrazione ha proceduto a recepire le osservazioni d’ordine formale e sostanziale formulate dal Consiglio di Stato con il parere n. 855 del 1° aprile 2016, eccezion fatta per il rilievo concernente l’opportunità di chiarire la “formula racchiusa nel comma 6”, modellando il suo contenuto sulla base di quanto previsto dal previgente art. 160 del d. P.R. n. 207 del 2010.
Si ritiene, inoltre, di suggerire al Governo di precisare la previsione relativa “all’interruzione di finanziamenti per esigenze di finanza pubblica”, di cui al comma 2, specificando che l’interruzione dei finanziamenti può aver luogo “per esigenze sopravvenute di finanza pubblica, disposta con atto motivato delle Amministrazioni competenti.”.
ARTICOLO 108 (RISOLUZIONE)
Nell’art. 108 viene introdotto un comma l-bis in cui si stabilisce – analogamente a quanto previsto con riguardo alla risoluzione del contratto di concessione dall’art. 176, comma 2, codice – che alle fattispecie di risoluzione del contratto di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 1 dell’art. 108 non si applicano i termini previsti dall’art. 21-novies della l. n. 241 del 1990.
In proposito la Commissione speciale rileva che tale modifica risulta conforme a quanto evidenziato da questo Consiglio di Stato con il parere n. 2777 del 28 dicembre 2016, concernente il regolamento in materia di attività di vigilanza sui contratti pubblici di cui agli art. 211, comma 2, e 213, codice.
Tuttavia, si deve evidenziare che – contrariamente a quanto suggerito con il citato parere n. 2777 del 2016 – l’Amministrazione non ha proceduto ad espungere dall’art. 108, comma 1, lett. d) il richiamo effettuato all’ipotesi della risoluzione per grave violazione “di una sentenza passata in giudicato per violazione del presente codice”, ritenuta dal Consiglio di Stato come una previsione “pleonastica” e non adeguatamente coordinata con la materia delle concessioni che, all’art. 176, non prevede la risoluzione in tale ipotesi.
Infine, sul piano formale, si segnala l’opportunità di anteporre, al comma 3 della disposizione in esame, l’avverbio “quando” alla parola “accerta”, rilievo che in questa sede si ribadisce.
ARTICOLO 109 (RECESSO)
Si rileva, ribadendo quando osservato con il parere n. 855/2016, l’opportunità di sostituire, al comma 1, l’espressione “in qualunque tempo” con quella “in qualunque momento”, rilievo che in questa sede si ribadisce.
ARTICOLO 110 (PROCEDURE DI AFFIDAMENTO IN CASO DI FALLIMENTO DELL’ESECUTORE O DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO E MISURE STRAORDINARIE DI GESTIONE)
Con la novella al comma 5 dell’art. 110 si dispone che sia il giudice e non l’ANAC a poter subordinare la partecipazione, l’affidamento di subappalti e la stipulazione dei relativi contratti alla necessità che il curatore o l’impresa in concordato si avvalgano di un altro operatore in possesso dei requisiti; inoltre, nel caso in cui l’impresa non sia in regola con i pagamenti sia retribuitivi sia contributivi dei dipendenti, il giudice delegato può richiedere all’ANAC informazioni in ordine ad eventuali iscrizioni nel casellario a carico dell’impresa interessata.
Si rileva che la modifica – nel sottrarre all’ANAC la competenza a subordinare la partecipazione, l’affidamento di subappalti e la stipulazione dei relativi contratti alla necessità che il curatore o l’impresa in concordato si avvalgano di un altro operatore in possesso dei requisiti – appare in contrasto con il criterio di delega di cui al n. 6 della lett. vv), in base al quale il codice deve disciplinare “i casi in cui l’ANAC può … sentito il giudice delegato alla procedura di fallimento o concordato preventivo e acquisito il parere del curatore o del commissario giudiziale, subordinare la partecipazione, l’affidamento di subappalti e la stipulazione dei relativi contratti alla necessità che il curatore o l’impresa in concordato si avvalgano di un altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica, nonché di certificazione, richiesti per l’affidamento dell’appalto”.
Pertanto, nel caso in cui l’Amministrazione voglia confermare quanto precede, si rende necessaria una modifica alla legge di delega che elimini il contrasto evidenziato ovvero un intervento diretto sul codice con legge o decreto legge.
ARTICOLO 111 (CONTROLLO TECNICO, CONTABILE ED AMMINISTRATIVO)
Con riferimento al comma 1 dell’art. 111 si osserva che, con riferimento alla necessità di unificare la terminologia di cui si è detto a proposito dell’art. 102, è necessario sostituire le parole “le modalità di svolgimento della verifica di conformità” con le parole “modalità di svolgimento del collaudo per servizi e forniture” nonché le parole “incaricato della verifica di conformità” con le parole “incaricato del collaudo per servizi e forniture”.
Si osserva, altresì, che al comma 1-bis occorre prevedere che il decreto con cui sono individuati i criteri per la determinazione dei costi degli accertamenti di laboratorio e delle verifiche tecniche obbligatorie sia adottato dal Ministro delle infrastrutture, su proposta del Consiglio superiore dei lavori pubblici e non direttamente da tale organismo, al fine di attribuire ad organi politici, ancorché con la collaborazione di organi tecnici, la responsabilità di atti generali e astratti.
Infine, si deve rilevare che, in sede di stesura definitiva dell’art. 111, l’Amministrazione non ha proceduto a recepire l’osservazione d’ordine sostanziale formulata dal Consiglio di Stato con il parere n. 855/2016, relativa alla necessità di un maggiore coordinamento, sotto il profilo sistematico, fra l’articolo in esame e l’articolo 101, per quanto riguarda i compiti del direttore dei lavori e quelli degli ausiliari.
ARTICOLO 113 (INCENTIVI PER FUNZIONI TECNICHE)
Si osserva che in relazione a quanto già proposto per l’art. 102, al primo periodo del comma 2 dell’art. 113 in esame vanno soppresse le parole “ovvero di verifica di conformità”.
ARTICOLO 113-BIS (TERMINI PER L’EMISSIONE DEI CERTIFICATI DI PAGAMENTO RELATIVI AGLI ACCONTI)
L’art. 113-bis prevede che il termine per l’emissione dei certificati di pagamento degli acconti non possa superare i 45 giorni decorrenti dalla “maturazione” di ogni stato di avanzamento.
In proposito si osserva che il termine maturazione ingenera l’equivoco che il termine decorra anche se non sono formalmente emessi gli stati d’avanzamento dei lavori per il solo fatto che sarebbe “maturato” il termine per la loro adozione.
Si ritiene, pertanto, che sarebbe opportuno sostituire il termine “maturazione” con “adozione”.
Infine, la Commissione speciale non può esimersi dal rilevare che le linee guida ANAC n. 3 del 2016, in relazione ai compiti del RUP in fase di esecuzione, prevedono, alla lett. t) del paragrafo n. 6, dei termini differenti per il rilascio dei certificati di pagamento e dei mandati di pagamento, con la conseguenza che risulta necessario procedere ad un coordinamento fra la disposizione in esame e le succitate linee guida.
Si suggerisce inoltre, previa opportuna modifica della rubrica dell’art. 113-bis, di collocare in tale previsione alcune disposizioni extravaganti che non hanno, nel codice, una collocazione sistematica appropriata, e, in particolare:
– il comma 14-bis dell’art. 32, che riguarda le penali;
– il comma 18 dell’art. 35, che riguarda l’anticipazione del prezzo;
– il comma 4 dell’art. 102 nella parte che concerne il pagamento della rata di saldo e il relativo termine.
ARTICOLO 114 (NORME APPLICABILI E AMBITO SOGGETTIVO)
L’art. 114 elenca le disposizioni dettate per i settori ordinari applicabili, in quanto compatibili, nei settori speciali.
Per la modificazione afferente il comma 5, si propone la sostituzione della lett. “a” con la lett. “c” giacché l’oggetto della correzione (la parola “joint venture”) è scorrettamente scritto nella lett. “c” anziché nella indicata lett. “a”, come emerge anche dal confronto con gli artt. 3, lett. h), 6 e 7, codice.
Per ragioni di semplificazione normativa andrebbe inoltre soppresso l’intero comma 5 dell’art. 114, giacché meramente riproduttivo dell’art. 6, comma 2, già direttamente applicabile ai settori speciali (facendo riferimento agli enti aggiudicatori) e comunque applicabile anche in forza del rinvio operato dal comma 1 dell’art. 114.
ARTICOLO 125 (USO DELLA PROCEDURA NEGOZIATA SENZA PREVIA INDIZIONE DI GARA)
L’art. 125 contiene l’elenco dei casi in cui gli enti aggiudicatori possono ricorrere a una procedura negoziata senza previa indizione di gara.
Già il precedente parere del 1.4.2016 faceva osservare la disarmonia esistente tra gli artt. 125 e 63.
L’art. 125, comma 1, lett. d), indica tra i presupposti per far ricorso a tale procedura “…ragioni di estrema urgenza derivanti da eventi imprevisti e imprevedibili dell’ente aggiudicatore, ivi compresi comunque i casi di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati…e di pericolo concreto e attuale di danni irreparabili a beni culturali…”.
Analoga previsione non è dettata per i settori ordinari. L’art. 63, comma 2, lett. c) ricomprende tra i presupposti “…ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dall’amministrazione aggiudicatrice”, ma non le ragioni attinenti alla bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati né il pericolo concreto e attuale di danni irreparabili a beni culturali.
Si ripropone, dunque, un’armonizzazione tra le due disposizioni (artt. 125 e 63), dovendo le medesime contenere gli stessi presupposti, in coerenza con le rispettive direttive che in parte qua hanno identica formulazione, mediante la sostituzione delle parole “imprevisti e imprevedibili” con “imprevedibili” e la soppressione delle parole “, ivi compresi comunque i casi di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati ai sensi della Parte quarta, Titolo V, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e di pericolo concreto e attuale di danni irreparabili a beni culturali,” .
Sul piano formale si evidenzia la possibilità di sostituire la parola “imprenditore” con quella “operatore” all’art. 125, comma 1, lett. f), primo periodo.
La deroga alla gara, infatti, va contenuta nei limiti della stretta necessità, indispensabilità e proporzionalità per far fronte a situazioni di danno o di pericolo non solo attuale e concreto, ma determinato da eventi imprevedibili e non imputabili alle amministrazioni aggiudicatrici.
Diversamente vi è pericolo che il sistema si allarghi pericolosamente ammettendo la deroga alla gara anche se l’evento è solo imprevisto e non anche imprevedibile ovvero in considerazione della gravità o dell’imminenza del danno o del pericolo a beni-interesse di rango superiore (nel caso dell’art. 125 i beni ambientali e culturali, nel caso dell’art. 163 la incolumità pubblica o privata), senza prestare attenzione invece alla imprevedibilità, eccezionalità, straordinarietà, non imputabilità dell’evento.
ARTICOLO 126 (COMUNICAZIONE DELLE SPECIFICHE TECNICHE)
Si reitera il rilievo – non accolto – formulato nel precedente parere del 1.4.2016, ovvero la possibilità di sopprimere al comma 1 la parola “regolarmente”.
ARTICOLO 128 (AVVISI SULL’ESISTENZA DI UN SISTEMA DI QUALIFICAZIONE)
Si segnala un’imprecisione contenuta nel primo periodo del comma 3, la parola “validità” va sostituita con quella di “efficacia”. Il rilievo era stato già formulato nel precedente parere del 1.4.2016, ma accolto limitatamente alla lett. a) del comma 3.
ARTICOLO 131 (INVITI AI CANDIDATI)
Si reitera il rilievo – non accolto – formulato nel precedente parere del 1.4.2016, ovvero la opportunità all’art. 131, comma 1, di apporre la virgola dopo le parole “senza previa indizione di gara”.
ARTICOLO 133 (PRINCIPI GENERALI PER LA SELEZIONE DEI PARTECIPANTI)
La posposizione della verifica dei requisiti soggettivi era, nella versione originaria del codice, prevista solo per i settori speciali. Il decreto correttivo la ha prevista anche per i settori ordinari (art. 94, comma 2-bis). Sicché l’art. 133, comma 8, diviene una duplicazione, ad eccezione del primo periodo. Si potrebbe lasciare in vita solo il primo periodo dell’art. 133, comma 8, aggiungendo il seguente periodo: “Agli enti aggiudicatori che sono amministrazioni aggiudicatrici si applica l’art. 94, comma 2-bis.”
ARTICOLO 136 (APPLICABILITA’ DEI MOTIVI DI ESCLUSIONE E DEI CRITERI DI SELEZIONE DEI SETTORI ORDINARI AI SISTEMI DI QUALIFICAZIONE)
Si segnala, in relazione al comma 3, e richiamando il proprio parere 1.4.2016, che non è chiaro perché non sia richiamato anche l’art. 87 (certificazione della qualità), in aggiunta agli artt. 85, 86 e 88.
ARTICOLI 140, 141, 142 (SERVIZI SOCIALI NEI SETTORI SPECIALI E ORDINARI, CONCORSI DI PROGETTAZIONE NEI SETTORI SPECIALI)
Come rilevato dal Ministero riferente, le modifiche in esame si prefiggono (oltre ad aggiustamenti lessicali: v. il nuovo testo dell’art. 142, comma 4) coerenza e coordinamento fra l’art. 140 – relativo ai servizi sociali e ad altri servizi specifici dei settori speciali, di cui al Capo I, Titolo VI, Parte II del codice – e l’art. 142 – relativo anch’esso ai servizi sociali e ad altri servizi, ma nei settori ordinari, servizi questi ultimi normati al successivo Capo II.
In proposito si osserva quanto segue.
In relazione all’art. 140, il decreto correttivo inserisce una nuova disposizione “dopo il primo periodo”, senza specificare di quale comma, verosimilmente il comma 1. Occorre specificarlo.
Nell’art. 140, comma 4, e nell’art. 141, comma 3, la locuzione “stabiliti dalla Commissione mediante atti di esecuzione”; va modificata, a fini di chiarezza, utilizzando la più corretta locuzione contenuta nell’art. 142, comma 4: “stabiliti dalla Commissione europea mediante atti di esecuzione”.
In relazione all’art. 141, comma 1, tra le disposizioni dettate per i concorsi di progettazione nei settori ordinari, applicabili ai concorsi di progettazione nei settori speciali, va incluso anche l’art. 152, comma 3, relativo ai concorsi di progettazione esclusi, che costituisce recepimento anche di disposizioni della direttiva 2014/25.
Inoltre sia la rubrica che il primo comma dell’art. 141 vanno emendati aggiungendo dopo le parole “concorsi di progettazione” le parole “e di idee”. Sebbene infatti allo stato l’art. 141 non menzioni i concorsi di idee, è chiaro che esso riguarda anche i concorsi di idee, come si evince dal richiamo all’art. 156, che reca, appunto, la disciplina dei concorsi di idee.
Sul piano sostanziale, si rileva che la articolata novella apportata all’art. 142, finalizzata a “alleggerire” il regime dei servizi sociali, non appare condivisibile.
Il diritto europeo ha inteso apprestare un regime c.d. “alleggerito” per alcuni “servizi sociali” e “altri servizi specifici”, elencati nell’allegato XIV della direttiva 2014/24 per i settori ordinari (e corrispondente allegato della direttiva 2014/25 i cui estremi si omettono per semplicità espositiva).
L’allegato XIV della direttiva 2014/24 corrisponde all’allegato IX del codice italiano.
Il codice nella sua versione originaria, disciplina separatamente i servizi sociali e gli altri servizi specifici, per i settori speciali e per i settori ordinari.
L’art. 140, per i settori speciali, nell’individuare i servizi sociali e gli altri servizi specifici, richiama correttamente e chiaramente l’allegato IX: vi è perciò piena corrispondenza tra l’ambito di applicazione della disciplina europea e nazionale.
L’art. 142, per i servizi sociali e gli altri servizi specifici, reca una formulazione, nella versione originaria del codice, piuttosto contorta sul piano lessicale, e come tale emendabile, ma corretta nella sostanza.
Infatti, l’art. 142, comma 1, fa riferimento a “i servizi di cui al presente Capo”, e il successivo comma 3 fa riferimento a “i servizi di cui all’art. 140”. Con uno sforzo di esegesi si comprende, comunque, che l’ambito degli artt. 142 e ss. sono i servizi sociali e gli altri servizi specifici di cui all’allegato IX. Costituisce invece mero errore materiale, evincibile ictu oculi, il rinvio che il successivo art. 143 fa all’allegato XIV anziché all’allegato IX.
Su tale impianto si innesta il decreto correttivo, che intende eliminare il rinvio disposto dall’art. 142, comma 3, all’art. 140. Con questo, viene meno il rinvio a tutto l’allegato IX.
In aggiunta, il decreto correttivo individua una disciplina specifica destinata solo ad alcuni dei servizi menzionati nell’allegato IX, espressamente nominati nel nuovo comma 5-bis.
In tal modo si determina un vuoto di disciplina per altri servizi menzionati nell’allegato IX, e non elencati nel nuovo comma 5-bis.
Infatti, in difetto di un rinvio univoco all’allegato IX, e in virtù della generica locuzione “servizi di cui al presente Capo”, che tuttavia non vengono definiti, non risulta chiaro quali siano “i servizi di cui al presente Capo” diversi da quelli specificamente menzionati nel comma 5-bis.
Bisogna altresì considerare che il diritto europeo consente, ma non impone, agli Stati membri, di introdurre un regime “alleggerito” per i servizi di cui all’allegato IX del codice italiano.
Il codice nella sua versione originaria ha inteso non avvalersi di tale facoltà, per i servizi sociali nei settori ordinari, in quanto gli artt. 142 e ss. si collocano all’interno del sistema del codice e per l’effetto, in disparte le disposizioni specifiche contenute negli artt. 142 e ss., si applicano ai servizi sociali le disposizioni dettate per i settori ordinari.
Si tratta di una scelta proconcorrenziale, pienamente consentita dal diritto europeo.
Ora, l’intento del decreto correttivo, come si evince anche dalla relazione illustrativa, è quello di individuare, all’interno dei servizi di cui all’allegato IX, due categorie: una prima categoria, per la quale resta ferma la scelta originaria del codice; una seconda categoria, i servizi espressamente nominati nel comma 5-bis, a cui si applica un regime che non è né quello ordinario, né quello alleggerito europeo, ma “intermedio”, attraverso la elencazione nominativa, nei commi 5-ter e seguenti, delle disposizioni, dettate per i settori ordinari, applicabili ai servizi sociali (se ne desume, ad esempio, che non si applica la disciplina sui commissari di gara esterni e la disciplina limitativa sulla procedura competitiva con negoziazione, né sembra applicabile la disciplina in tema di avvalimento e garanzie, sulla pubblicità dei bandi di gara e informative ai candidati e offerenti).
Si legge infatti nella relazione illustrativa “Si tratta di servizi sanitari e sociali, ivi inclusi quelli forniti da alcune formazioni sociali, per i quali la normativa comunitaria consentiva agli Stati una disciplina semplificata. Si introducono così semplificazioni quanto a programmazione, aggregazione, procedure di aggiudicazione anche sotto soglia”.
Si rileva che se questo è l’intento, occorre provvedervi senza al contempo creare un vuoto di disciplina per gli altri servizi dell’allegato IX, non compresi nel comma 5-bis.
A tal fine occorre che:
1.a) nell’art. 142, comma 1, le parole “servizi di cui al presente Capo” siano sostituite con le parole “servizi di cui all’allegato IX”;
2.b) nell’art. 142, comma 3, le parole “servizi di cui all’articolo 140” siano sostituite con le parole “servizi di cui all’allegato IX”.
Quanto, poi, alla scelta sostanziale del correttivo, di introdurre un regime semplificato per alcuni dei servizi dell’allegato IX, con le nuove disposizioni dei commi 5-bis e seguenti, si osserva:
– il codice, nella sua versione originaria, pur potendo introdurre un regime alleggerito per i servizi dell’allegato IX, non si è avvalso di tale opzione, optando invece per una soluzione maggiormente proconcorrenziale;
– come osservato nella parte generale del presente parere, con il decreto correttivo non possono modificarsi le scelte di fondo operate in sede di primo esercizio della delega;
– è chiaro, dalla relazione illustrativa, come si intenda, con le modifiche all’art. 142, avvalersi di una opzione semplificatoria che, ancorché consentita dal diritto europeo, non risulta optata in sede di primo esercizio della delega;
– né dalla relazione illustrativa, né dalle schede AIR e VIR, si evincono le ragioni, supportate da dati numerici, statistici e comparati, che giustificano siffatta inversione di rotta rispetto alla scelta iniziale del codice;
– l’effetto della nuova disciplina è che risultano inapplicabili rilevanti disposizioni proconcorrenziali quali, a titolo di esempio:
– – la disciplina sui commissari di gara esterni (artt. 77 e 78);
– – la disciplina limitativa sulla procedura competitiva con negoziazione (art. 59);
– – l’avvalimento (art. 89);
– – le garanzie (artt. 93 e 103);
– – la pubblicità dei bandi di gara (artt. 71 ss.);
– – le informazioni ai candidati e offerenti (art. 76);
– – la verifica delle offerte anomale (art. 97);
– – la disciplina sul subappalto (art. 105);
– – tutta la disciplina sulla fase di esecuzione del contratto.
Inoltre tale regime viene esteso agli appalti dei servizi di mensa e ristorazione di cui all’art. 144.
Si invita pertanto il Governo a valutare la espunzione dei commi da 5-bis a 5-novies, in quanto limitano la concorrenza in un vasto settore degli appalti pubblici.
In subordine, andrebbe quanto meno espunto il comma 5-novies, che estende il regime derogatorio ai servizi di mensa e ristorazione e al servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto.
Sia che le disposizioni suddette vengano espunte, sia che vengano mantenute, occorre apportare all’art. 142 le seguenti correzioni:
– nell’art. 142, comma 1, sostituire le parole “servizi di cui al presente Capo” con le parole “servizi di cui all’allegato IX”;
– nell’art. 142, comma 3, sostituire le parole “servizi di cui all’articolo 140” con le parole “servizi di cui all’allegato IX”.
ARTICOLO 148 (AFFIDAMENTO DEI CONTRATTI)
Secondo quanto emerge dalla relazione, prevedendo – in deroga a quanto disposto dall’art. 95, comma 4, lett. a) – che l’utilizzazione del criterio del minor prezzo per i lavori riguardanti i beni culturali debba riguardare i lavori di importo pari o inferiore a 500.000 euro e non i lavori sino ad un milione di euro, ci si adegua alla specialità di questi lavori, che richiedono maggiore attenzione all’aspetto qualitativo che non a quello economico.
La soluzione merita condivisione avuto riguardo alla specialità degli appalti nel settore dei beni culturali.
ARTICOLO 152 (AMBITO DI APPLICAZIONE)
Si segnala che nel comma 5 dell’art. 152 immediatamente dopo i periodi aggiunti dal correttivo è rimasto il periodo “Tale possibilità e il relativo corrispettivo devono essere stabiliti nel bando” che sembrerebbe non aver più ragione di essere, parendo ora un inutile duplicato di quanto già contenuto nei periodi introdotti appunti dal correttivo.
Inoltre nel nuovo secondo e terzo periodo del comma 5, come inserito dal correttivo, le parole “articolo 125, comma 1, lettera h), punto 2” vanno sostituite con le parole “articolo 125, comma 1, lettera l)”.
ARTICOLO 157 (ALTRI INCARICHI DI PROGETTAZIONE E CONNESSI)
Anche nel comma 1, secondo periodo, al pari che nel comma 1 primo periodo e comma 2, dopo le parole “direzione dei lavori”, vanno aggiunte le parole “, direzione dell’esecuzione”.
Anche nel comma 3, al pari che nel comma 1 e comma 2, dopo le parole “direzione lavori”, vanno aggiunte le parole “direzione dell’esecuzione”.
ARTICOLO 163 (PROCEDURE IN CASO DI SOMMA URGENZA E DI PROTEZIONE CIVILE)
L’art. 91 dello schema di correttivo interviene sull’art. 163, codice.
Nel comma 6 dell’art. 163 è prevista la soppressione del riferimento alla lett. c) dell’art. 2, comma 1, della l. n. 225/1992 finalizzata ad estendere i casi che costituiscono circostanza di somma urgenza anche nelle ipotesi previste dalle lettere a) e b) della stessa disposizione, cioè anche agli eventi circoscritti che comunque non presuppongono l’adozione di mezzi e poteri straordinari.
Si tratta di una dilatazione sostanziale fuori dai confini della disciplina della somma urgenza e che tende da un lato a rendere possibile l’utilizzo di procedure straordinarie anche per ovviare situazioni o disagi di portata limitata che attualmente sono fronteggiati con mezzi ordinari, e dall’altro lato a disancorare il presupposto dell’urgenza dall’emissione di un’ordinanza della protezione civile da parte della P.C.M.
In tal modo si rischia di dilatare a dismisura l’utilizzo della procedura derogatoria delle gare con affidamenti diretti.
Si chiede pertanto la soppressione all’art. 91 del correttivo dell’intera lett. b), sia n. 1) che n. 2).
E’ aggiunto il comma 9-bis, che costituisce in buona parte una ripetizione di quanto già previsto al comma 7 dell’art. 163, che si applica senz’altro anche agli appalti di protezione civile.
Si può pertanto parzialmente integrare lo stesso comma 7, con le previsioni del comma 9-bis in esso non già comprese.
Il comma 7 potrebbe essere così sostituito (in sottolineato le differenze rispetto al testo vigente, tratte dal proposto comma 9-bis):
“Nelle situazioni di attuale ed estrema urgenza, qualora vi sia l’esigenza impellente di assicurare la tempestiva esecuzione del contratto, gli affidatari dichiarano, mediante autocertificazione, resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, il possesso dei requisiti di partecipazione previsti per l’affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura ordinaria, che l’amministrazione aggiudicatrice controlla in termine congruo, compatibile con la gestione della situazione di emergenza in atto, comunque non superiore a sessanta giorni dall’affidamento. L’amministrazione aggiudicatrice dà conto, con adeguata motivazione, nel primo atto successivo alle verifiche effettuate, della sussistenza dei relativi presupposti; in ogni caso non è possibile procedere al pagamento, anche parziale, in assenza delle relative verifiche positive. Qualora, a seguito del controllo, venga accertato l’affidamento ad un operatore privo dei predetti requisiti, le amministrazioni aggiudicatrici recedono dal contratto, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese eventualmente già sostenute per l’esecuzione della parte rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, e procedono alle segnalazioni alle competenti autorità.”.
ARTICOLO 164 (OGGETTO E AMBITO DI APPLICAZIONE)
Viene proposta l’aggiunta di un nuovo comma 2-bis all’art. 164, dopo il comma 2, col quale, specificamente in tema di procedure di aggiudicazione dei contratti di concessione del servizio di distribuzione del gas naturale, si intendono precisare le norme delle quali s’intende continuare a prevedere l’applicazione.
Si richiamano, in particolare, le disposizioni già contenute nel d.lgs. n. 164/2000, in quanto compatibili con la Parte III del codice, nonché nell’art. 46-bis, commi da 1 a 3, del d.l. n. 159/2007 sulle gare d’ambito (ATM) per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas, attualmente in corso.
Si specifica che nelle ipotesi di cui sopra, ferma restando la durata massima di dodici anni del contratto concessorio, il periodo di affidamento viene comunque determinato ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 168, codice.
Al riguardo, oltre a segnalarsi che una più corretta collocazione di tale disposizione ne impone l’inserimento tra le norme transitorie del codice, deve segnalarsi che il richiamo delle norme vigenti, per tali concessioni, appare in ogni caso incompleto.
Infatti, il regime transitorio non è definito solo dall’art. 15 del d.lgs. n. 164/2000 e dall’art. 46-bis, del già richiamato d-l. n. 159/2007, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 222/2007, ma, quanto meno, anche dall’art. 4 del d.l. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 98/2013 (poi incisivamente modificato, ulteriormente, dal d.l. n. 210/2015), che ha, tra l’altro, introdotto un regime acceleratorio per fronteggiare la situazione di stallo che ritardava l’avvio delle gare, con l’introduzione di termini perentori per la selezione della stazione appaltante, un potere sostitutivo su Regioni ed enti locali, nell’ipotesi di mancata nomina della stazione appaltante o di mancata indizione del bando di gara entro i termini previsti, e non da ultimo forme di penalizzazione economica per gli enti locali nei casi di mancato rispetto da parte degli stessi dei termini (poteri e forme da ultimo rimpiazzate con termini per provvedere e, in caso di inerzia, nomina di Commissari ad acta per l’avvio delle procedure di gara).
Di conseguenza, deve provvedersi a richiamare anche tali ultime disposizioni, al fine di non ingenerare l’equivoco che il solo richiamo del citato art. 46-bis del d.l. n. 159/2007 abbia un intento (implicitamente) abrogativo della più rigorosa disciplina dettata dal menzionato art. 4 del d.l. n. 69/2013, poi modificata ulteriormente dal d.l. n. 210/2015.
Possono essere utilmente richiamate anche le disposizioni intervenute sulla determinazione del valore di rimborso al gestore uscente, a partire dai d.l. n. 145/2013 e n. 91/2014.
Deve, infine, segnalarsi che l’art. 164, comma 5, codice dispone che i concessionari che non sono amministrazioni aggiudicatrici sono tenuti, per gli appalti di lavori affidati a terzi, all’osservanza delle sole disposizioni della parte III. Si tratta, tuttavia, di una disposizione in quanto tale destinata a restare senza contenuto effettivo, atteso che non sono indicate disposizioni specifiche di riferimento. Si sancisce, come è noto, solo l’obbligo di esternalizzazione di una percentuale di lavori servizi e forniture, con “procedure di evidenza pubblica” (art. 177), ma non si detta nessuna regola per tali procedure. Il codice previgente stabiliva invece, da parte sua, una serie di puntuali regole di evidenza pubblica che i concessionari privati dovevano osservare, quanto a forme di pubblicità del bando di gara e termini minimi di ricezione delle domande e delle offerte (artt. 149-151, d.lgs. n. 163/2006). Pertanto, nell’art. 164, comma 5, sarebbe preferibile fissare un nucleo minimo di principi o di regole di evidenza pubblica, che i concessionari privati devono osservare quando affidano appalti a terzi, in particolare quando devono assolvere ad obblighi legali di esternalizzazione.
ARTICOLO 165 (RISCHIO ED EQUILIBRIO ECONOMICO-FINANZIARIO NELLE CONCESSIONI)
Lo schema di decreto correttivo interviene su uno degli aspetti più qualificanti del regime delle concessioni, ovvero il rischio (si ricorda, elemento differenziale dall’appalto) in relazione all’equilibrio economico-finanziario, incrementando, dal 30% al 49% del costo dell’investimento complessivo, la quota del cosiddetto “contributo pubblico”, che può essere riconosciuto nei contratti di concessione, e facendo salva la facoltà del concessionario di reperire la liquidità necessaria alla realizzazione dell’investimento attraverso altre forme di finanziamento previste dalla normativa vigente.
In particolare si modifica il comma 2 dell’art. 165, codice, prevedendo che l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non possa essere superiore al quarantanove per cento del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari. La modifica è volta a incrementare la predetta percentuale che, nel testo vigente, è fissata al trenta per cento, sulla scorta di quanto previsto con le modifiche apportate all’art. 180 per i contratti di partenariato pubblico privato.
Come è noto, nei contratti di concessione, l’equilibrio economico finanziario rappresenta il presupposto per la corretta allocazione dei rischi.
La lett. fff) dell’art. 3, codice definisce “equilibrio economico e finanziario” la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria. Per convenienza economica si intende la capacità del progetto di creare valore nell’arco dell’efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato per il capitale investito; per sostenibilità finanziaria si intende la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento.
Ai soli fini del raggiungimento del predetto equilibrio, in sede di gara l’amministrazione aggiudicatrice può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili. Il contributo, se funzionale al mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario, può essere riconosciuto mediante diritti di godimento su beni immobili nella disponibilità dell’amministrazione aggiudicatrice la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all’opera affidata in concessione.
Orbene, la Commissione speciale non può non rilevare come la riduzione della percentuale al 30% sia stata introdotta nel testo vigente in virtù dei rilievi contenuti nel parere delle Commissioni parlamentari, nell’evidente intento di garantire una effettiva partecipazione al rischio da parte del concessionario privato, pur rimanendo impregiudicato il rispetto formale delle previsioni di quadro europeo e delle decisioni di Eurostat, che, nell’ambito del trattamento contabile dei contratti sottoscritti dalla Pubblica Amministrazione nel quadro di partenariati con imprese private, e specificamente dei casi nei quali gli assets possono essere classificati off-balance e quindi non avere impatto sul deficit e sul debito pubblico, o viceversa, ha più volte chiarito che è il superamento o meno della percentuale del 50%, da parte del contributo pubblico, a rilevare ai fini della classificazione on balance/off balance.
In tale ottica, la Commissione speciale ritiene, in ogni caso, che l’innovazione introdotta sia in palese controtendenza con i criteri di ripartizione del rischio solo recentemente decisi nell’ottica della riduzione della compartecipazione pubblica (e quindi degli oneri a carico delle pubbliche casse) e pone, pertanto, come elemento condizionante del parere la rivalutazione dell’innovazione medesima.
Dalla relazione tecnica e dalle AIR e VIR allegate, che non danno sufficientemente conto, mediante dati numerici, statistici e comparati, delle criticità applicative determinate dal tetto del 30%, si evince solamente, del resto, che l’innalzamento della quota di concorso della parte pubblica per alleviare il rischio assunto dal concessionario risponde alla richiesta degli operatori del settore, riducendosi, come è evidente, il margine di rischio del concessionario.
Nella relazione tecnico-finanziaria si afferma che tale aumento di costo per la stazione appaltante non comporta un aumento di oneri per il bilancio pubblico, in quanto “la disposizione del codice prevede che il riconoscimento del prezzo sia eventuale e, comunque, nella determinazione del prezzo tesso stabilisce un tetto massimo e non un corrispettivo obbligatorio. La disposizione è ordinamentale e dunque non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
La Commissione ritiene, al contrario, che non trattasi di disposizione meramente ordinamentale e che l’aumento dei costi per il bilancio pubblico non sia, al più, esattamente quantificabile e determinabile, visto che la previsione di un limite del 49% in luogo di quello del 30% comporterà inevitabilmente un tendenziale aumento dei costi delle concessioni per le pubbliche stazioni appaltanti.
Quanto all’integrazione del comma 3 dell’art. 165, codice, con cui, anzitutto, viene fatta salva la facoltà del concessionario di reperire la liquidità necessaria alla realizzazione dell’investimento attraverso altre forme di finanziamento previste dalla normativa vigente, rilasciate da operatori di cui all’art. 106 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, ossia dagli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia, il reperimento di forme alternative di finanziamento è consentito a condizione che siano sottoscritte “entro lo stesso termine”.
Al riguardo, va chiarito quale sia il termine a cui si riferisce la disposizione. Ove infatti il riferimento fosse al termine di presentazione delle offerte, disciplinato dal terzo periodo, andrebbe valutata l’opportunità di collocare la disposizione subito dopo tale periodo e non alla fine del comma.
La disposizione in esame deve essere in ogni caso coordinata con il secondo periodo del comma 5 dell’art. 165 vigente, che reca già una norma di contenuto analogo: “Resta salva la facoltà del concessionario di reperire la liquidità necessaria alla realizzazione dell’investimento attraverso altre forme di finanziamento previste dalla normativa vigente, purché sottoscritte entro lo stesso termine”, dove, però, tale termine, connesso alla risoluzione del rapporto concessorio, si riferisce a quello del primo periodo del comma 5, novellato dalla lett. c) del medesimo art. 93 del correttivo in discussione.
Con l’ultimo periodo aggiunto al comma 3 dell’art. 165 si stabilisce, altresì, che il bando di gara può prevedere che, in caso di parziale finanziamento del progetto, e comunque per uno stralcio tecnicamente ed economicamente funzionale, il contratto di concessione rimanga efficace limitatamente alla parte che regola la realizzazione e la gestione del medesimo stralcio funzionale.
La previsione dà luogo a perplessità sotto il profilo della par condicio dei concorrenti, e sembra incentivare condotte non corrette da parte dei concorrenti medesimi, che possono essere incentivati a partecipare alle procedure di gara anche senza solidi finanziamenti alle spalle, confidando che dopo l’aggiudicazione, ove il finanziamento non sia integrale, il contratto resta in vita con una sua “riduzione”. La disposizione, in ogni caso, deve essere coordinata con l’ultimo periodo del comma 5 dell’art. 165, che reca una norma identica.
ARTICOLO 168 (DURATA DELLE CONCESSIONI)
Si suggerisce di sostituire all’inizio del periodo del comma 2, le parole “La durata massima della concessione” con le parole “Per le concessioni ultraquinquennali, la durata massima della concessione”. Si tratta di un più chiaro e fedele recepimento dell’art. 18, par. 2, direttiva 2014/23.
ARTICOLO 169 (CONTRATTI MISTI DI CONCESSIONE)
L’art. 169, comma 4, ultimo periodo (“Qualora oggetto del contratto sia anche un’attività disciplinata dalle disposizioni sui settori speciali si applica l’articolo 28”), non è previsto dall’art. 22 della direttiva 2014/23, di cui la disposizione in parola costituisce recepimento ed è contraddittorio, con la conseguenza che va soppresso. Infatti, il presupposto applicativo dell’art. 169, comma 4, è proprio che vi siano nella concessione attività dei settori speciali e attività di altri settori.
ARTICOLO 174 (SUBAPPALTO)
In relazione al comma 2 dell’art. 174, la disposizione innovativa che prevede che l’indicazione della terna di subappaltatori avvenga prima della stipula del contratto andrebbe valutata, per un verso, alla luce del criterio di delega di cui alla lett. rrr), sulla base del quale, nei contratti di lavori, servizi e forniture, l’indicazione deve avvenire in sede di offerta e, per altro verso, tenendo conto di quanto prevede la direttiva 2014/23, la quale, pur lasciando liberi gli Stati membri di obbligare le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori a chiedere all’offerente o al candidato di indicare i subappaltatori proposti, prevede, in ogni caso, che tale indicazione avvenga in sede di offerta.
ARTICOLO 176 (CESSAZIONE, REVOCA D’UFFICIO, RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO E SUBENTRO)
In relazione all’alinea del comma 1 dell’art. 176, occorre richiamare quanto già segnalato con il parere del Consiglio di Stato n. 2777/2016. Secondo le direttive europee, la “risoluzione” per vizi genetici dell’aggiudicazione è facoltativa, non doverosa, e questo risulta coerente con l’assetto nazionale dell’autotutela provvedimentale, sempre discrezionale, risultando necessario, oltre al presupposto della violazione di legge, quello ulteriore della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento (art. 21-novies, della l. n. 241/1990).
Sotto tale profilo, mentre l’art. 108, codice è coerente con le direttive e con il citato art. 21-novies, prevedendo una risoluzione facoltativa, l’alinea in rassegna prevede una autotutela doverosa, che sembra dunque costituire un gold plating non consentito.
Ne consegue che, in tale alinea, le parole “La concessione cessa” vanno sostituite con le seguenti: “Può essere disposta la cessazione della concessione”.
ARTICOLO 177 (AFFIDAMENTI DEI CONCESSIONARI)
Le innovazioni introdotte all’art. 177 intervengono sull’obbligo di affidamento dell’80% dei contratti, per le concessioni non affidate con gara, prevedendo che esso non riguarda la manutenzione ordinaria o i contratti eseguiti direttamente dai concessionari. Si prevede, inoltre, che la verifica della predetta percentuale tenga conto degli affidamenti dell’ultimo quinquennio.
Si introduce, pertanto, un importante temperamento dell’obbligo di esternalizzazione dell’80% in caso di concessioni affidate senza gara, sottraendo a tale obbligo la manutenzione ordinaria e le prestazioni eseguite direttamente.
Si specifica, inoltre, che l’importo di 150.000 euro è riferito ai contratti di lavori, servizi e forniture soggetti all’obbligo di esternalizzazione, creando così una soglia al di sotto della quale non vi è nessun obbligo di esternalizzazione, soglia dunque aggirabile mediante il frazionamento delle prestazioni.
La previsione per cui nella quota dell’80% dei contratti non rientrano i contratti di manutenzione ordinaria o quelli eseguiti direttamente dai concessionari appare in evidente distonia con il criterio di delega di cui alla lett. iii) del comma 1 dell’art. 1 della legge n. 11 del 2016, che prevede l’obbligo di affidare una quota pari all’80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro mediante procedura ad evidenza pubblica, stabilendo che la restante parte possa essere realizzata da società in house per i soggetti pubblici ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.
Orbene, trattandosi di (non secondarie) modifiche e deroghe alla normativa vigente, che possono essere introdotte solo con una legge ordinaria ma non di certo con un decreto legislativo correttivo, pena l’illegittimità dello stesso per violazione della legge delega, si pone come condizione che esse vengano espunte.
ARTICOLO 178 (NORME IN MATERIA DI CONCESSIONI AUTOSTRADALI E PARTICOLARE REGIME TRANSITORIO)
Al comma 1 occorre sostituire la parola “predisposizione” con la parola “pubblicazione”. La previsione attuale, infatti, secondo cui per le concessioni autostradali entro il termine perentorio di sei mesi va solo “predisposto” il bando di gara si presta a facili elusioni. Il bando deve essere pubblicato, non solo predisposto, entro il termine perentorio.
Non sono previste, tra l’altro, conseguenze e sanzioni per l’inosservanza del termine, con l’effetto che l’obbligo rischia di essere svuotato nel suo contenuto.
I termini per l’avvio della nuova gara per l’affidamento di concessione autostradale (due anni prima della scadenza della concessione in essere: comma 4) e per la verifica dello stato tecnico dell’infrastruttura (un anno prima della scadenza della concessione in essere: comma 6) sono, inoltre, disallineati, con l’effetto pratico che degli elementi emersi dalla verifica sullo stato tecnico dell’infrastruttura non si può tener conto per la predisposizione del nuovo bando di gara, determinandosi, così, una asimmetria informativa tra concessionario uscente che partecipa alla nuova gara e altri concorrenti. Occorre, pertanto, modificare le disposizioni in modo pertinente, facendo sì che la verifica dello stato tecnico della infrastruttura preceda la predisposizione e pubblicazione del nuovo bando, e/o che comunque i concorrenti alla nuova gara abbiano accesso a tutte le informazioni rilevanti sullo stato tecnico dell’infrastruttura.
In relazione a tale articolo assume rilievo, infine, la proposta di inserimento di un nuovo comma 8-bis, dopo il comma 8, volto ad introdurre il divieto di affidamento delle concessioni autostradali scadute o in scadenza mediante utilizzo della finanza di progetto (art. 183, codice). Al riguardo, si segnala l’opportunità di far emergere la ratio del divieto, – presumibilmente riconducibile alla necessità di evitare ogni aggiramento del divieto di proroga delle concessioni autostradali – , dalla relazione illustrativa e dalle schede AIR e VIR, ove attualmente non essa non si rinviene.
L’effettività dell’obbligo di messa a gara delle concessioni in argomento va attentamente valutata (e in alcun modo compromessa) anche con riguardo al neo-inserito comma 2-bis, il quale prevede che il concedente possa avviare le procedure di gara per l’affidamento della concessione scaduta sulla base del solo quadro esigenziale, per le concessioni autostradali per le quali l’attività di gestione risulta economicamente prevalente rispetto alla realizzazione di nuove opere o di interventi di manutenzione straordinaria, in particolare se gli interventi riguardano opere di messa in sicurezza dell’infrastruttura esistente.
Si deve, in conclusione, osservare che deve essere rispettato, anche nella sostanza, il principio di delega che richiede un tempestivo avvio delle procedure di evidenza pubblica per le concessioni autostradali scadute o in scadenza (art. 1, lett. mmm), legge delega).
ARTICOLO 180 (PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO)
Vengono modificati i commi 4 e 6 dell’art. 180, codice.
La modifica al comma 4 riguarda l’ultimo periodo ed è volta a specificare, mediante l’aggiunta di un inciso finale, che la previsione (già esistente nel testo del codice) secondo cui le “variazioni del canone devono, in ogni caso, essere in grado di incidere significativamente sul valore netto dell’insieme degli investimenti , dei costi e dei ricavi dell’operatore economico”, opera solo “qualora la ridotta o mancata disponibilità dell’opera o prestazione del servizio sia imputabile all’operatore”.
Con la modifica al comma 6, si stabilisce che nel contratto di partenariato pubblico privato l’eventuale riconoscimento del prezzo non può essere superiore al quarantanove percento (anziché al trenta per cento, come attualmente previsto) del costo dell’investimento complessivo.
Entrambe le modifiche perseguono il fine (evidenziato anche dalla relazione illustrativa) di rendere più attrattivo per i privati l’investimento in contratti di partenariato pubblico privato.
Rispetto alla modifica avente ad oggetto il comma 4 dell’art. 180, va osservato che per effetto del correttivo assume rilevanza la distinzione tra variazione del canone proporzionata (alla ridotta disponibilità dell’opera e del servizio) e variazione del canone che, oltre ad essere proporzionata, deve, in ogni caso incidere, in maniera significativa sul valore annuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi dell’operatore economico.
La variazione proporzionata opera, infatti, facoltativamente, se si verifica una ridotta o mancata disponibilità dell’opera o del servizio; la variazione significativa opera, doverosamente, nel caso in cui la ridotta o mancata disponibilità sia imputabile all’operatore economico.
Rispetto a tale distinzione, tuttavia, il concetto di variazione “in grado di incidere significativamente” rischia di presentare profili di indeterminatezza e, dunque, di essere fonte di incertezza in sede applicativa.
Valuterà, pertanto, il Governo l’opportunità di rendere maggiormente determinato, eventualmente con l’introduzione di parametri quantitativi, la nozione di “variazione significativa”, anche per distinguerla meglio da quella, solo proporzionale, che opera quando la ridotta o mancata disponibilità non è imputabile all’operatore.
Dal punto di vista formale, si rileva che è preferibile l’uso dell’indicativo presente anziché del congiuntivo.
Si suggerisce, pertanto, di sostituire “qualora la ridotta o mancata disponibilità dell’opera o prestazione del servizio sia imputabile all’operatore” con “se la ridotta o mancata disponibilità dell’opera o prestazione del servizio è imputabile all’operatore”.
Sarebbe, inoltre, preferibile, per una maggiore chiarezza del testo normativo, collocare la frase all’inizio della disposizione, piuttosto che alla fine: essa, infatti, individua la fattispecie astratta cui poi si applica il precetto della variazione significativa del canone e, di regola, nel testo di legge la descrizione della fattispecie precede la regola ad essa applicabile.
Rispetto alla modifica apportata al comma 6, concernente la riduzione del margine di rischio per il partner privato, si fa rinvio alle osservazioni critiche già svolte rispetto all’analoga modifica introdotta all’art. 165 del codice, in materia di concessioni.
In relazione al comma 8 dell’art. 180, infine, si segnala la necessità di armonizzazione formale dell’art. 3, lett. zz), secondo quanto già indicato dal parere di questo Consesso n. 775/2017 (si rinvia a quanto esposto sub art. 3 in questo parere).
ARTICOLO 191 (CESSIONE DI IMMOBILI IN CAMBIO DI OPERE)
Viene modificato l’art. 191 del codice in materia di disciplina della cessione di immobili in cambio di opere.
La novità più significativa riguarda la possibilità che il bando di gara possa prevedere che il trasferimento della proprietà di beni immobili appartenenti all’amministrazione aggiudicatrice avvenga, oltre che all’affidatario del contratto, anche a soggetto terzo, da questo indicato, purché in possesso dei prescritti requisiti di cui all’art. 80.
La modifica non viene adeguatamente illustrata in sede di AIR o VIR, che non danno atto di eventuali criticità applicative determinate dalla mancata previsione di tale possibilità di trasferimento a favore del terzo, né la relazione di accompagnamento illustra le ragioni sottese all’introduzione di tale misura correttiva.
Deve evidenziarsi che la norma in esame ha ripercussioni anche di diritto civile, perché introduce un’ipotesi, finora inedita, di contratto ad effetti reali a favore di terzo stipulato dall’amministrazione aggiudicataria all’esito di una procedura di evidenza pubblica.
Si segnala, a tal proposito, che il rapporto tra affidatario e terzo sarà interamente sottoposto alla disciplina del codice civile, che per la valida conclusione del contratto a favore di terzo richiede, fra gli altri requisiti, che lo stipulante/affidatario abbia un interesse (che secondo la giurisprudenza può essere anche di natura non patrimoniale: cfr. Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2008, n. 25584; Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2000, n. 6030), che giustifichi sul piano causale l’attribuzione patrimoniale, nella specie consistente nel trasferimento del diritto di proprietà (cfr. art. 1411, comma 1, c.c.).
Sarebbe allora opportuno, sia per esigenze di coerenza sistematica, sia per prevenire forme di nullità civilistiche del contratto di trasferimento a favore di terzo, che la norma del codice, come risultante dal correttivo, contenga un riferimento espresso all’interesse dell’affidatario a rendere il terzo beneficiario del trasferimento (interesse cui fa espresso riferimento l’art. 1411, comma 1, c.c., il quale testualmente recita: “è valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse”).
Si suggerisce, pertanto, di inserire al comma 1 dell’art. 191 del codice, integrando la proposta di modifica, dopo le parole: “trasferimento all’affidatario” le seguenti: “o, qualora l’affidatario vi abbia interesse, a soggetto terzo da questo indicato, purché in possesso dei prescritti requisiti di cui all’articolo 80,”.
Essendo stati abrogati infine, senza riproduzione, l’art. 53, comma 11, del codice del 2006 e l’art. 112 del regolamento n. 207 del 2010, non si comprende più chi è competente a stimare gli immobili, al fine di indicarli nel bando di gara quale corrispettivo per le opere. Devesi, dunque, valutare se riprodurre l’art. 112 del regolamento n. 207 del 2010 nel corpo dell’art. 191, ovvero proporre di integrare le linee guida ANAC sul RUP.
ARTICOLO 192 (REGIME SPECIALE DEGLI AFFIDAMENTI IN HOUSE)
L’intervento correttivo sul primo comma dell’art. 192, codice, si limita ad enucleare le modalità, mediante procedure informatiche (in conformità di quanto previsto dagli artt. 12 e 41 del CAD, di cui al d.lgs. n. 82/2005), di raccolta delle informazioni e verifica dei requisiti da parte dell’ANAC ai fini dell’iscrizione nell’elenco delle stazioni appaltanti che operano con affidamenti diretti nei confronti delle proprie società in house.
Orbene, va ribadito il suggerimento, espresso nel parere sullo schema del codice dei contratti pubblici (n. 855/2016), di unificare, per esigenze sistematiche, le disposizioni contenute nell’art. 192 con quelle dell’art. 5 del codice, raccordando il tutto con le norme sulle partecipate in corso di definitiva approvazione. Si consiglia, dunque, di valutare l’opportunità di riprodurre il contenuto dell’art. 192 nel corpo dell’art. 5, sopprimendo, conseguentemente, lo stesso art. 192.
ARTICOLO 195 (PROCEDURE DI AGGIUDICAZIONE DEL CONTRAENTE GENERALE)
Oltre ad una modifica di carattere puramente formale, viene introdotta, al comma primo dell’art. 195 del codice, una soglia in ragione della quale non è possibile procedere ad affidamenti a contraente generale qualora l’importo dell’affidamento sia pari od inferiore a 100 milioni di euro. In conseguenza della predetta modifica, la scelta di aggiudicare mediante affidamento a contraente generale viene, pertanto, limitata ad affidamenti di importo elevato. La relazione illustrativa giustifica l’inserimento di tale soglia “per evitare che il ricorso all’istituto per interventi di non elevato valore possa concretizzare una elusione della limitazione dell’istituto dell’appalto integrato, limitazione richiesta dalla legge delega”.
Si tratta di una scelta che appare ragionevole nell’ottica dell’operatività di detto istituto solamente per le opere infrastrutturali più importanti.
Va, altresì, rilevato che l’art. 195, comma 3, è, almeno in parte, ripetitivo delle previsioni di cui agli artt. 91 e 92; purtuttavia può essere mantenuto per esigenze di chiarezza; in alternativa, valuti il Governo la sostituzione con una disposizione di mero rinvio.
L’art. 195, comma 4, indica i criteri di valutazione dell’OEPV e richiama l’art. 95, intendendo poi enucleare elementi ulteriori rispetto all’art. 95. Tuttavia le voci “tempo di esecuzione; costo di utilizzazione e di manutenzione” sono una mera ripetizione dell’art. 95 e vanno espunte.
In relazione, invece, ai commi 5 e 6, dal confronto con il previgente art. 177 si evince che si è creato un vuoto normativo per la disciplina delle offerte anomale: occorre, al riguardo, chiarire se si applica in toto l’art. 97 ovvero, come in passato, solo quella parte dell’art. 97 che è di diretta derivazione comunitaria.
ARTICOLO 196 (CONTROLLI SULL’ESECUZIONE E COLLAUDO)
Mediante le modifiche apportate all’art. 196, con riguardo all’albo nazionale dei soggetti che possono ricoprire i ruoli di direttore dei lavori e di collaudatore, è specificato che con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, avente dunque natura regolamentare, sono, opportunamente, disciplinati i criteri, i requisiti e le modalità (il codice parlava solamente delle modalità) per l’iscrizione all’albo stesso.
Deve, tuttavia, osservarsi che il criterio di delega, di cui alla lett. mm) dell’articolo 1 della legge n. 11 del 2016, stabilisce che siano previsti “specifici requisiti di moralità, di competenza e di professionalità”, mentre la norma fa generico riferimento ai requisiti.
ARTICOLO 199 (GESTIONE E SISTEMA DI QUALIFICAZIONE DEL CONTRAENTE GENERALE)
Coerentemente con la disciplina generale dei tempi della qualificazione è modificato il comma 3 dell’art. 199 del codice, che parametra ora ad una durata triennale l’efficacia delle attestazioni del possesso dei requisiti rilasciate dal Ministero con riferimento al contraente generale. Ancora più marcatamente espressione di una prospettiva di riconduzione alla disciplina generale può essere letto il novellato comma 4 dello stesso art. 199, che fa rinvio alle linee guida adottate dall’ANAC in tema di requisiti e capacità per i lavori ai sensi dell’art. 83, comma 2, del codice, e quindi al sistema generale di qualificazione attraverso SOA (anziché mediante il sistema, proprio del periodo transitorio, gestito dal Ministero).
Sorge, però, il dubbio se tale disciplina attuativa sia in grado di fronteggiare le inevitabili disfunzioni che possono derivare dal periodo di coesistenza dei due sistemi di qualificazione.
ARTICOLO 203 (MONITORAGGIO DELLE INFRASTRUTTURE E DEGLI INSEDIAMENTI PRIORITARI)
Il comma 2 dell’art. 203 del codice richiama, per le ex infrastrutture strategiche, il monitoraggio finanziario di cui all’art. 36 del d.l. n. 90/2014. Orbene, occorre inglobare il contenuto dell’art. 203 nel codice, con gli opportuni adattamenti, eliminando il rinvio esterno e abrogando espressamente l’art. 36 citato.
ARTICOLO 204 (RICORSI GIURISDIZIONALI)
L’art. 204, codice ha inserito nell’art. 120 c.p.a. il comma 2-bis, che contempla un rito super accelerato per le esclusioni e le ammissioni dalle gare “…all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico – finanziari e tecnico professionali…”.
Tale novella ha sostanzialmente inteso rispondere a tre problematiche nascenti dal contenzioso in materia di procedure di affidamento:
1) determinare in modo definitivo e non più contestabile l’ambito dei partecipanti ad una gara;
2) evitare conseguentemente che con l’impugnazione dell’aggiudicazione possano essere fatti valere vizi attinenti alla fase della verifica dei requisiti di partecipazione alla gara, il cui eventuale accoglimento farebbe regredire il procedimento alla fase appunto di ammissione (con grave spreco di tempo e di energie lavorative, oltre pericolo di perdita del finanziamento, il tutto nell’ottica dei principi di efficienza, speditezza ed economicità, oltre che di proporzionalità del procedimento di gara);
3) neutralizzare per quanto possibile anche l’effetto “perverso” del ricorso incidentale (anche in ragione della giurisprudenza comunitaria e del difficile dialogo con la Corte di Giustizia in relazione a tale istituto).
Il tempo trascorso dall’entrata in vigore di tale nuovo rito (meno di un anno) è troppo breve per poterne apprezzare interamente la sua funzionalità e la sua capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati, ma d’altra parte sembrano emergere in sede applicativa (e al momento quasi esclusivamente innanzi al giudice di primo grado) alcune criticità che impongono una attenta riflessione.
Emergono anzitutto alcune criticità in ordine all’ambito applicativo del rito superaccelerato, quanto a procedure in cui non si individua una netta distinzione tra fase di ammissioni/esclusioni e fase di aggiudicazione, ovvero in cui la verifica dei requisiti è posposta alla fase dell’esame delle offerte.
Un intervento correttivo potrebbe espressamente escludere tale rito:
a) per le procedure di gara che si svolgono informaticamente;
b) per le procedure in cui l’aggiudicazione è fatta con il criterio del prezzo più basso: si tratta invero di due fattispecie in cui neppure è possibile individuare un segmento procedimentale di ammissione/esclusione diverso dall’aggiudicazione ed in cui è del tutto assente un provvedimento formale di esclusione/ammissione;
c) per le procedure d’urgenza (tali qualificate dal codice, artt. 63, 125, 163).
Occorrerebbe poi precisare in che modo il comma 2-bis può rendersi applicabile nelle procedure caratterizzate dalla previa preselezione, vale a dire se anche in queste ultime esso trovi applicazione ovvero se in questo caso l’impugnazione è differita al momento della chiusura della fase di ammissione/esclusione dei concorrenti invitati.
Infine, il rito dell’art. 120, comma 2-bis non sembra logicamente applicabile nelle procedure aperte in cui la stazione appaltante si avvalga, ai sensi degli artt. 94, comma 2-bis e 133, comma 8, della facoltà di posporre la valutazione dei requisiti dei concorrenti all’esame delle offerte.
Ulteriori criticità emergono quanto alla pratica acquisibilità della piena conoscenza degli atti di ammissione ed esclusione oggetto di gravame.
Un intervento correttivo può in tale prospettiva intervenire sull’art. 29, codice, al fine di consentire un migliore accesso dei concorrenti agli atti di gara.
Occorrerebbero all’uopo una previsione sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti di esclusione/ammissione e un’altra previsione in materia di accesso (che la stazione appaltante dovrebbe garantire in modo spedito, efficace e completo), ciò per rimediare alle critiche secondo cui il rito superaccelerato si contraddistinguerebbe, fra l’altro, per fondarsi su di un ricorso al buio di dubbia costituzionalità quanto alla tutela del diritto alla difesa.
La maggiore criticità riscontrata nell’applicazione pratica del nuovo rito attiene alla circostanza che può verificarsi che nel corso del giudizio su ammissioni o esclusioni sopraggiunge l’aggiudicazione, creandosi il problema di concorso o conversione di riti diversi.
Una possibile soluzione potrebbe essere la previsione di una norma di standstill preprocessuale e processuale che accompagni l’impugnazione delle ammissioni e delle esclusioni, in modo da evitare che la procedura di gara arrivi all’aggiudicazione prima che si sia concluso il giudizio sulla corretta composizione della platea dei concorrenti: si eviterebbe così anche il problema (già affrontati in alcune primissime pronunce) relativo alla possibilità di cumulo dei ricorsi (o di motivi aggiunti) contro le ammissioni/esclusioni e contro l’aggiudicazione e del rito applicabile e la possibilità che la pronuncia sulle ammissione ed esclusioni giunga dopo l’aggiudicazione, con conseguente applicazione dell’art. 95, comma 15, codice dei contratti pubblici.
Si tratta di una preoccupazione che peraltro appare condivisa anche in alcuni dei contributi pervenuti in sede di consultazione: è utile che la ratio del comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a. sia preservata, non essendo logico e ragionevole ammettere una sua “contaminazione” ovvero una sua “deformazione” ancora primo di poterne stabilire con sufficiente certezza la sua effettiva idoneità a rendere meno caotiche e più efficaci anche i procedimenti decisionali in tema di procedure di affidamento.
Per raggiungere tale obbiettivo si potrebbe intervenire sull’art. 32, codice dei contratti pubblici, inserendo dopo il comma 3, due commi, 3-bis e 3-ter, contenenti delle disposizioni sostanzialmente analoghe a quelle già contenute nei commi 9 e 11, riferite ovviamente alla fase di ammissione/esclusione dei concorrenti (il computo totale di una simile sospensione potrebbe ragionevolmente essere fissato in 35 giorni, per un totale complessivo di 70 giorni).
Al fine di evitare che lo standstill paralizzi gare urgenti, si potrebbe opportunamente prevedere che la stazione appaltante possa, costituendosi in giudizio, chiedere al giudice la sospensione dello standstill.
All’obiezione che in tal modo si allungherebbero i tempi delle procedure di gare può replicarsi che nel rapporto costo/benefici l’allungamento può essere ragionevolmente accettato in cambio del rischio di una decisione che potrebbe riportare la procedura stessa, eventualmente già arrivata alla fase dell’aggiudicazione, a quella dell’ammissione/esclusione.
Una seconda soluzione potrebbe essere “l’opzione zero”: non intervenire in alcun modo sulla previsione processuale, in modo da consentire un congruo periodo di sperimentazione della stessa (stimandosi congruo un periodo almeno biennale di “standstill legislativo”), e la sedimentazione della elaborazione giurisprudenziale, prima di un intervento normativo correttivo.
ARTICOLO 211 (PARERI DI PRECONTENZIOSO DELL’ANAC)
L’art. 211, comma 2, codice, se si eccettua la correzione di un errore materiale, non risulta modificato dal correttivo e pertanto sembra destinato a mantenere la disciplina relativa alla c.d. “raccomandazione vincolante dell’ANAC”.
In proposito, questo Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 2016 sul codice dei contratti pubblici e nel parere n. 2777 del 2016 sullo schema di regolamento in materia di attività di vigilanza dell’ANAC, ha già espresso motivate riserve sull’introduzione del nuovo istituto, che qui si intendono integralmente richiamate.
ARTICOLO 213 (AUTORITA’ NAZIONALE ANTICORRUZIONE)
Nell’ambito del complesso di funzioni attribuite all’ANAC dall’art. 213, codice viene aggiunta quella di elaborazione dei costi standard di lavori e dei prezzi di riferimento di beni e servizi, ed inoltre delle condizioni di maggiore efficienza, per i contratti di «maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione»(lett. h-bis del comma 3). La disposizione precisa che questa funzione ha lo scopo di favorire «l’economicità dei contratti pubblici e la trasparenza delle condizioni di acquisto» e che può essere svolta utilizzando informazioni contenute in banche dati pubbliche e di altri soggetti operanti nel settore.
Si segnala al riguardo la necessità, ai fini di maggiore chiarezza della nuova funzione, di specificare in quale tipologia di atto di competenza dell’ANAC questa è destinata ad esplicarsi e quindi quale valore giuridico per le stazioni appaltanti abbiano i costi standard, i prezzi di riferimento di beni e servizi e le condizioni di maggior efficienza così elaborate.
Si rinvia a quanto osservato in relazione all’art. 23, comma 16, in ordine alla necessità di un migliore coordinamento di tale competenza dell’ANAC con quella delle Regioni in materia di prezziari regionali.
Con riguardo alle modifiche introdotte al comma 8 si ribadisce – come già fatto in relazione all’art. 3 l’esigenza di impiegare una terminologia maggiormente appropriata, ed in particolare di sostituire il sostantivo “univocità” con “unicità”, dal momento che il primo allude al contenuto dell’informazione ad alla relativa interpretazione da parte del soggetto ricevente, mentre con il secondo sostantivo si esprime in modo più corretto il principio secondo cui le informazioni devono essere uniche, come si ricava appunto dalla lett. ggggg-bis) aggiunta dal medesimo schema di correttivo all’art. 3, codice, al fine di non aggravare gli oneri di comunicazione a capo dei soggetti ad essi tenuti.
In relazione al nuovo comma 13-bis (il quale rende applicabili le sanzioni previste dal precedente comma 13, secondo periodo al responsabile unico del procedimento per la violazione dell’art. 86, comma 5-bis, ultimo periodo, codice, introdotto dal medesimo decreto correttivo) si osserva che la disposizione appare ridondante, poiché il rinvio alla sanzione è già espressamente operato dall’art. 86, comma 5-bis. Il comma 13-bis, pertanto, va espunto.
Su un piano di maggiore rilievo sostanziale, si osserva che con il nuovo comma 17-bis sono introdotte alcune precisazioni circa l’entrata in vigore degli strumenti di regolazione flessibile e degli ulteriori atti previsti dal codice di competenza dell’ANAC. Si prevede a questo riguardo che la data di “decorrenza dell’efficacia” di questi atti non può essere anteriore a quella della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che gli stessi si applicano alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi siano pubblicati successivamente alla decorrenza dell’efficacia. In caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi si dispone che gli atti si applichino a quelle procedure i cui inviti siano stati inviati dopo la medesima decorrenza.
La nuova disposizione regolatrice dell’efficacia degli atti di attuazione del codice demandati all’ANAC è opportuna al fine di chiarire a quale formalità debba aversi riguardo tra quelli per essi previste (in particolare rispetto alla pubblicazione sul sito internet istituzionale dell’Autorità).
Si raccomanda tuttavia di prevedere per detti atti una vacatio analoga a quella prevista per le leggi e i regolamenti dall’art. 10 delle disposizioni preliminari al codice civile (preleggi), secondo cui questi non divengono efficaci prima del quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto. Questo termine è infatti posto a garanzia della piena conoscibilità dell’atto normativo da parte dei destinatari e della possibilità per essi di adeguarsi alle nuove disposizioni.
Si suggerisce pertanto di riformulare il primo periodo del comma 17-bis nel modo seguente:
“L’ANAC indica negli strumenti di regolazione flessibile, di cui al comma 2, e negli ulteriori atti previsti dal presente codice, la data in cui gli stessi acquistano efficacia, che di regola coincide con il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, e che, in casi di particolare urgenza, non può comunque essere anteriore al giorno successivo alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.”.
Più in generale, con riguardo all’art. 213 in esame la Commissione speciale ricorda che in sede di parere allo schema di codice (parere 1° aprile 2016, n. 855), nonché in sede di parere n. 2777 del 2016 sullo schema di regolamento in materia di attività di vigilanza dell’ANAC, questo Consiglio di Stato aveva segnalato l’opportunità di “tracciare i principi del procedimento sanzionatorio, se del caso con richiamo ai principi di l. 689/1981”. Il presente correttivo non interviene sul punto, lasciando in particolare immutato il comma 13 ed il rinvio contenuto nell’ultimo periodo di tale disposizione, ai fini della disciplina dei procedimenti sanzionatori di sua competenza, ad “atti” dell’ANAC.
In questa sede non può quindi che ribadirsi l’esigenza di definire meglio la cornice di principi e regole entro cui deve muoversi il potere sanzionatorio dell’Autorità di settore e ricondurre lo stesso nell’ambito della legge generale in materia.
Si segnala inoltre che:
– il comma 3, lett. e), concernente la relazione annuale al Governo e al Parlamento sull’attività svolta dall’ANAC, deve essere coordinato con l’art. 1, comma 2, lett. g), della legge “anticorruzione”, 6 novembre 2012, n. 190, come modificata dall’art. 19, comma 5-ter, della legge 11 agosto 2014, n. 114, di conversione del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, con cui le funzioni dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici sono state trasferite all’ANAC medesima; in particolare occorre specificare che la relazione prevista da queste ultime disposizioni è la medesima di quella del comma 3, lett. e), e dunque occorre inserire nel corpo del comma in esame i riferimenti a questi precedenti provvedimenti normativi;
– stante il rilievo strategico della crescita sostenibile attraverso i contratti pubblici definita a livello europeo (comunicazione della Commissione del 3 marzo 2010 dal titolo «Europa 2020 — Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva»; considerando 2 della direttiva 2014/24/UE), occorre valutare l’opportunità di ripristinare al comma 9 il monitoraggio sull’applicazione dei criteri ambientali minimi da parte dell’Osservatorio dei contratti pubblici, dopo l’abrogazione della l. 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali) ad opera dell’art. 217, lett. tt), codice e l’ulteriore abrogazione, disposta dal presente schema di decreto correttivo, dell’art. 34, comma 2, codice, relativo ai criteri di sostenibilità ambientale.
ARTICOLO 214 (MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI E STRUTTURA TECNICA DI MISSIONE)
L’art. 214 non è modificato dal correttivo.
Si segnala:
– la necessità di coordinare i commi 3 e 9, perché ripetitivi laddove si riferiscono alla possibilità di avvalersi di advisor di elevata specializzazione per le esigenze della struttura tecnica di missione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
– la necessità di sopprimere il comma 12, il quale prevede che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti può adottare linee guida interpretative e di indirizzo, su proposta dell’ANAC, sentite le Commissioni parlamentari, per assicurare l’uniforme applicazione e interpretazione delle norme di cui al presente codice, a causa del contrasto con il (pur richiamato) art. 1, comma 5, della legge delega. In particolare, potrebbe ravvisarsi un contrasto tra la funzione interpretativa, e dunque non vincolante, delle linee guida dell’art. 214, comma 12, con la natura invece vincolante di quelle previste dalla legge delega. Peraltro la previsione in rassegna potrebbe anche determinare una possibile sovrapposizione con i compiti regolatori attribuiti all’ANAC dall’art. 213.
ARTICOLO 215 (CONSIGLIO SUPERIORE DEI LAVORI PUBBLICI)
A seguito delle modifiche apportate al comma 3 dell’art. 215, si prevede ora che il Consiglio superiore dei lavori pubblici debba esprimere il parere di competenza sul progetto definitivo prima della valutazione del suo impatto ambientale, della sua localizzazione e soprattutto della conclusione della conferenza di servizi deputata a valutare il progetto stesso.
La modifica esibisce profili di criticità, nella misura in cui produce l’effetto di costringere il Consiglio ad esprimersi su un elaborato progettuale ancora esposto a rilevanti modifiche, quanto a localizzazione e struttura dell’opera pubblica.
In definitiva, nel caso in esame le finalità acceleratorie perseguite con la ipotizzata inversione delle fasi procedurali rischiano di impedire al Consiglio superiore di esercitare efficacemente le funzioni consultive ad esso affidate dal codice.
Sotto il profilo formale, si rileva che il correttivo non modifica l’ultimo comma dell’art. 215 il quale tuttora prevede che, decorso inutilmente il termine di quarantacinque giorni previsto per l’espressione del parere da parte del Consiglio superiore, “il progetto si intende assentito”.
Tale ultima espressione appare in realtà atecnica, nella misura in cui presuppone un’approvazione tacita del progetto da parte del Consiglio superiore, che, invece, esercita solo funzioni consultive e non di amministrazione attiva.
Si suggerisce pertanto di sostituire l’ultimo periodo del comma 5 con il seguente: “Decorso tale termine, si prescinde dall’acquisizione del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici.”.
ARTICOLO 216 (DISPOSIZIONI TRANSITORIE E DI COORDINAMENTO)
Con riferimento alle nuove disposizioni transitorie introdotte dal correttivo si osserva in primo luogo che il richiamo da parte del terzo periodo del comma 4 dell’art. 216 al decreto di cui all’art. 23, comma 3, ultimo periodo, deve essere corretto con il rinvio al diverso decreto di cui all’art. 23, comma 3-bis, concernente la progettazione relativa ai lavori di manutenzione.
E’ inoltre da chiarire se il periodo successivo – penultimo del medesimo comma 4 – introduca o meno una previsione “a regime”, secondo la quale per i lavori di manutenzione può farsi a meno del progetto esecutivo, qualora non si tratti di interventi che interessano parti strutturali delle opere.
Il dubbio nasce dal fatto che la disposizione in rassegna riguarda l’esecuzione del contratto, mentre il decreto ministeriale che dovrà essere emanato ai sensi dell’art. 23, comma 3-bis, attiene alla progettazione dei lavori di manutenzione.
Con riferimento all’art. 216, comma 4-bis, si osserva che sembrerebbe opportuno fissare un termine più contenuto, rispetto a quello di diciotto mesi ivi previsto, entro il quale resta possibileaffidare appalti integrati sulla base di progetti definitivi approvati prima dell’entrata in vigore del codice.
In ogni caso deve comunque essere impiegata un’espressione chiara ed appropriata in luogo di quella atecnica «gara…esperita»prevista dal comma 4-bis, che non specifica la data a cui fare riferimento (ad es: delibera di indizione o pubblicazione del bando);
In relazione al comma 27-quinquies che differisce di 18 mesi l’entrata in vigore della previsione che impone di indicare nel DURC l’incidenza del costo della manodopera sullo specifico contratto, si segnala che la nuova disciplina relativa a questo documento, introdotta dal correttivo con la riformulazione dell’art. 30, comma 4, codice (ed in particolare con l’aggiunta dell’ultimo periodo), era già presente all’art. 105, comma 16, codice: occorre pertanto eliminare una delle due disposizioni e – verosimilmente – quest’ultima. Ferme le perplessità espresse sulla disposizione, per le quali si rinvia a quanto esposto sub art. 30.
ARTICOLO 217 (ABROGAZIONI)
In termini generali la Commissione segnala la necessità di riformulare l’elenco delle abrogazioni. La versione attuale dell’art. 217 prevede l’impiego di lettere alfabetiche, ma queste non seguono né l’alfabeto italiano né quello inglese, ma un sistema ibrido e disomogeneo nella elencazione dalla a) alla z) e da aa) in poi. Infatti nell’elencazione da a) a z) dopo la lett. i) si passa alla lett. l) come nell’alfabeto italiano (non ci sono le lett. j) e k), poi prima della lett. z) ci sono la w) e la x) ma non la y). Nella numerazione da aa) in poi tra la ii) e la ll) c’è la jj) ma non la kk). Occorrerebbe dunque adottare un criterio omogeneo. Si suggerisce al riguardo l’alfabeto italiano, come nell’art. 3, codice.
Con il correttivo sono aggiunte quattro ulteriori abrogazioni espresse, e in particolare le:
– legge 11 novembre 1986, n. 770, sulle procedure contrattuali per l’esecuzione di programmi di ricerca e l’acquisizione di prodotti ad alta tecnologia (comma c-bis);
– l’art. 14-viciester del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168 (comma d-bis);
– l’art. 24 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, unitamente alle disposizioni già abrogate nella versione originaria del codice (comma rr);
– l’art. 1, comma 505, della legge 28 settembre 2015, n. 208 (comma ss-bis).
Nel merito delle modifiche si osserva quanto segue:
– l’abrogazione dell’art. 24 del d.l. n. 133 del 2014, recante «Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive», recepisce un rilievo contenuto nel parere reso da questo Consiglio di Stato sullo schema del nuovo codice dei contratti pubblici. Dovrebbe tuttavia essere abrogato anche l’art. 2, comma 4, il quale modifica l’art. 19, comma 2, del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia» (convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 98), che fa a sua volta riferimento all’abrogato codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163/2006.
Andrebbe inoltre valutata l’opportunità di abrogare l’art. 14 del medesimo d.l. n. 133 del 2014, relativo agli standard tecnici esigibili nelle opere pubbliche, al fine di evitare la sopravvivenza di disposizioni in materia non comprese nel codice.
Per le medesime ragioni, si segnala anche l’opportunità di abrogare l’art. 13 l. n. 180/2011 (Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese), recante specifiche disposizioni sugli appalti pubblici a tutela delle piccole e medie imprese.
Con riguardo invece alle altre disposizioni abrogatrici contenute nell’art. 217 del codice non interessate dallo schema di correttivo, la Commissione speciale evidenzia quanto segue:
– la lett. dd) dispone l’abrogazione degli artt. 3, comma 2, 4-bis e 33, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese»; occorrerebbe tuttavia valutare l’opportunità di abrogare anche l’art. 5 del d.l. n. 83 del 2012, che ai fini della determinazione dei corrispettivi a base di gara negli affidamenti di contratti di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria modifica l’art. 9, comma 2, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito dalla l. 24 marzo 2012, n. 27), atteso che quest’ultima reca un richiamo al codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163/2006, anch’esso superato per i servizi in questione dalla disciplina contenuta nel nuovo codice;
– alla lett. hh), tra le disposizioni del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese» (convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221) abrogate dalla lett. hh) del codice andrebbe aggiunto l’art. 33-quinquies, recante disposizioni in materia di revisione triennale dell’attestato SOA;
– alla lett. ii), ai commi dell’art. 1 della legge anticorruzione 6 novembre 2012, n. 190 abrogati, andrebbe aggiunto il comma 2, lett. f-bis), relativo alla vigilanza dell’ANAC sui contratti esclusi, oggi prevista in modo espresso nell’art. 213, comma 3, lett. a), codice;
– alla lett. jj), occorre aggiungere tra le disposizioni abrogate del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, l’art. 19, commi 1 e 2, commi che recano riferimento all’abrogato codice dei contratti pubblici;
– la lett. qq) dovrebbe includere tra le disposizioni abrogate del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 (recante «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari», convertito dalla l. 11 agosto 2014, n. 114) anche l’art. 37, il quale dispone la trasmissione all’ANAC delle varianti in corso d’opera nei contratti pubblici. Questa disciplina è stata infatti trasfusa da ultimo nell’art. 106, comma 14, codice. Andrebbe inoltre abrogato espressamente l’art. 35 del medesimo decreto-legge, la cui efficacia è espressamente condizionata al recepimento delle direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014, avvenuta con il codice;
– alla lett. uu), oltre al comma 1 dell’art. 7 del d.l. “milleproroghe” 30 dicembre 2015, n. 210 (convertito dalla l. 25 febbraio 2016, n. 21), andrebbero abrogati i successivi commi 2, 3, 4 e 4-bis, recanti proroghe di termini in materia di infrastrutture e trasporti con riferimenti al codice dei contratti pubblici e al relativo regolamento di attuazione ora abrogati.
Dovrebbe inoltre essere abrogato in modo espresso il decreto ministeriale 24 ottobre 2014 recante «Procedure e schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell’elenco annuale dei lavori pubblici e per la redazione e la pubblicazione del programma annuale per l’acquisizione di beni e servizi», poiché emanato in attuazione dell’art. 128 d.lgs. n. 163/2006, abrogato. L’art. 21 del nuovo codice demanda a un decreto interministeriale la definizione degli schemi tipo, ma non dispone l’ultrattività del decreto ministeriale in questione e detta all’art. 216, comma 3, una specifica norma transitoria in cui non è fatto alcun richiamo al medesimo provvedimento attuativo. Valuterà pertanto il Governo se introdurre invece questo richiamo nella disposizione transitoria in esame, al fine di evitare vuoti normativi.
Infine, la Commissione segnala al Governo l’opportunità di operare con il presente correttivo i necessari coordinamenti con il nuovo codice dei contratti pubblici di disposizioni presenti in altri testi normativi recanti un rinvio all’abrogato d.lgs. n. 163/2006.
In particolare, nel codice del processo amministrativo di cui al d.lgs. 2 agosto 2010, n. 104, allegato I, devono essere modificati i rinvii al previgente codice dei contratti pubblici con le corrispondenti disposizioni del nuovo codice, di cui al d.lgs. n. 50/2016, e cioè:
– all’art. 120,
I) al comma 2, il rinvio «all’articolo 65 e all’articolo 225 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163» deve essere sostituito con il rinvio “agli articoli 36, comma 2, lettere b) e c), 98 e 129 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”;
II) al comma 2-bis,il rinvio operato all’ 29, comma 1, del «codice dei contratti pubblici adottato in attuazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11» deve essere sostituito con il rinvio “all’articolo 29, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”;
III) al comma 5, il rinvio all’art. 79 d.lgs. n. 163/2006, deve essere sostituito con il richiamo all’art. 76, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016, mentre per quanto riguarda l’impugnazione dei bandi e degli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, la fissazione della decorrenza del termine «dalla pubblicazionedi cui all’articolo 66, comma 8, dello stesso decreto» deve essere sostituito con un riferimento agli artt. 29, comma 1, e 73, comma 4, per i bandi di gara, tenuto conto del regime transitorio tra le forme di pubblicazione avente effetti giuridici ai sensi del comma 5 del medesimo art. 73, definito dal decreto del ministro delle infrastrutture e trasporti del 2 dicembre 2016 (Definizione degli indirizzi generali di pubblicazione degli avvisi e dei bandi di gara, di cui agli articoli 70, 71 e 98 del d.lgs. n. 50 del 2016), nonché all’art. 98 per quanto riguarda gli avvisi relativi agli appalti aggiudicati;
– all’art. 121, occorre eliminare l’aggettivo «definitiva» in relazione alla parola «aggiudicazione» e sostituire il rinvio all’art. 11 d.lgs. n. 163/2006 con il rinvio all’art. 32, d.lgs. n. 50/2016 e tutti i richiami al d.lgs. n. 163/2006 con i richiami al d.lgs. n. 50/2016.
In particolare:
I) espungere l’aggettivo «definitiva» nel primo periodo del comma 1, nella lett. a) del comma 1, nella lett. b) del comma 1, nella lett. c) del comma 1, e 2 volte nella lett. d) del comma 1;
II) sostituire le parole «decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163» con le parole «decreto legislativo 19 aprile 2016, n. 50» nel comma 1, lett. a), nel comma 1, lett. b), nel comma 1, lett. c), nel comma 1, lett. d), nel comma 5 lett. a);
III) nel comma 1, lett. c), sostituire le parole «11, comma 10» con le parole «32, comma 9»;
IV) nel comma 1, lett. d), sostituire le parole «11, comma 10-ter» con le parole «32, comma 11»;
V) infine, nel comma 5, lett. b) si fa menzione dell’avviso volontario per la trasparenza preventiva di cui all’art. 79-bis, d.lgs. n. 163/2006, che non è stato riprodotto nel d.lgs. n. 50 del 2016. Tale avviso va reintrodotto nel d.lgs. n. 50/2016 (esso era stato introdotto dal d.lgs. n. 53 del 2010 in attuazione delle direttive ricorsi che continuano ad essere vigenti) e ad esso va fatto il corretto rinvio nell’art. 120, comma 5, lett. b), del codice del processo amministrativo. A questo fine il disposto del vecchio art. 79-bis potrebbe essere riprodotto nel nuovo codice dopo l’art. 98, come art. 98-bis;
– agli artt. 122, comma 1, e 123 comma 3, c.p.a., occorre sopprimere l’aggettivo «definitiva» in relazione alla parola «aggiudicazione»;
– all’art. 125, c.p.a. occorre aggiornare il rinvio all’art. 140 del codice ora abrogato e i riferimenti al d.lgs. n. 163/2006 nei termini seguenti:
I) nel comma 1, sostituire le parole «delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi e relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento, di cui alla parte II, titolo III, capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163» con le parole «delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari di cui alla parte V del decreto legislativo 19 aprile 2016, n. 50 e relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento»;
II) nel comma 4, sostituire le parole «alle procedure di cui all’articolo 140 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163» con le parole «alle procedure di cui all’articolo 110, commi 1 e 2, del decreto legislativo 19 aprile 2016, n. 50».
– all’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2), c.p.a. occorre sostituire le parole «nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto» con le parole «nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture».
Si segnala quindi la necessità di operare gli ulteriori coordinamenti formali di altri testi normativi con il nuovo codice dei contratti pubblici:
– il comma 16, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241 fa salvo l’art. 127 d.lgs. n. 163/2006; il richiamo ivi contenuto deve pertanto essere sostituito con quello all’art. 215, comma 3, d.lgs. n. 50/2016;
– occorre verificare la perdurante attualità dell’art. 13, comma 11, del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145 (recante Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015, convertito dalla l. 21 febbraio 2014, n. 9), relativo allo svincolo della garanzia di buona esecuzione per le opere in esercizio, che rinvia all’art. 237-bis, d.lgs. n. 163/2006, abrogato. Se di perdurante attualità, la disposizione va inserita nel codice, nell’ambito dell’art. 103 relativo alle garanzie di esecuzione; in caso contrario la disposizione deve essere abrogata in modo espresso;
– occorre del pari verificare la perdurante attualità dell’art. 8-duodecies, comma 2-ter, del d.l. 8 aprile 2008, n. 59, recante Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, convertito dalla l.6 giugno 2008, n. 101, e contenente alcune norme relative alle concessioni stradali e autostradali, nonché l’art. 43, comma 5, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, recante Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, che ha introdotto tale comma 2-ter all’art. 8-duodecies del d.l. n. 59 del 2008;
– occorre quindi verificare la compatibilità dell’art. 23-ter, comma 3, del d.l. n. 90 del 2014, secondo cui «Fermi restando l’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, l’articolo 1, comma 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e l’articolo 9, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, i comuni possono procedere autonomamente per gli acquisti di beni, servizi e lavori di valore inferiore a 40.000 euro», in relazione all’art. 37, comma 1, codice.
– l’art. 36 del medesimo d.l. n. 90 del 2014 dovrebbe essere abrogato e, laddove ritenuto opportuno, riprodotto nell’art. 203 del codice.
Infine, dovrebbero essere operati i necessari coordinamenti tra il nuovo codice e la disciplina in materia di tracciabilità dei flussi finanziari con i conti correnti dedicati, la quale rinvia invece al codice previgente. Si segnala al riguardo, in particolare, la tabella I allegata al d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (recante Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria, convertito dalla l. 23 giugno 2014, n. 89), ai sensi dell’art. 25, e gli artt. 3 e 6 della l. 13 agosto 2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia), e 6 del d.l. 12 novembre 2010, n. 187, recante Interventi urgenti in materia di sicurezza.
P.Q.M.
Nelle esposte considerazioni è il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato.
IL PRESIDENTE ED ESTENSORE
Luigi Carbone
IL SEGRETARIO
Cinzia Giglio
 

Pubblicato in: Diritto Amministrativo » Commenti

Registrati

Registrati per accedere Gratuitamente ai contenuti riservati del portale (Massime e Commenti) e ricevere, via email, le novità in tema di Diritto delle Pubbliche Amministrazioni.

Contenuto bloccato! Poiché non avete dato il consenso alla cookie policy (nel banner a fondo pagina), questo contenuto è stato bloccato. Potete visualizzare i contenuti bloccati solo dando il consenso all'utilizzo di cookie di terze parti nel suddetto banner.