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Il rito processuale in caso di occupazioni illegittime - TAR Sicilia, sez. III, sent. n.278 del 29.01.2015

Pubblico
Lunedì, 2 Febbraio, 2015 - 01:00

Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, (Sezione Terza), sentenza n.278 del 29 gennaio 2015, sulle occupazioni illegittime ed il rito processuale 
 
Non si applica il rito abbreviato per i giudizi risarcitori da occupazioni illegittime. La giurisprudenza ha infatti da tempo affermato(cfr. per tutte Cons Stato, Ad. Plenaria n. 9/2007) l’inapplicabilità del rito abbreviato di cui all’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971 (ora art. 119, comma 1, lett. f) cod. proc. amm.).
Costituisce ius receptum il principio che esula dalla giurisdizione amministrativa, per spettare a quella del giudice ordinario, ogni domanda tesa ad ottenere il riconoscimento degli indennizzi per il periodo di occupazione legittima (e, comunque, per ogni altra indennità espropriativa di legge) in relazione alla quale continua a valere a tutti gli effetti la riserva al giudice ordinario disposta dall'art. 53, c. 2, d.P.R. n. 327 del 2001 (ora, art. 133 comma 1, lett. g), c.p.a.).
 
Qualora alla dichiarazione di pubblica utilità non abbia fatto seguito l’adozione di un tempestivo decreto di esproprio, pur in presenza della realizzazione dell’opera programmata, non si ha il trasferimento della proprietà.
 
L’Amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo l’immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto realizzato.
 
La realizzazione di un intervento pubblico su un fondo illegittimamente occupato costituisce, infatti, un mero fatto, non idoneo a determinare il trasferimento della proprietà, che può conseguire solo da un formale atto di acquisizione dell’Amministrazione e non anche da atti o comportamenti anche di tipo rinunziativo o abdicativo (ex plurimis Consiglio di Stato, VI, 10 maggio 2013, n. 2259).
 
 
 
N. 00278/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00309/2006 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 309 del 2006, proposto da: 
Mannino Francesco, rappresentato e difeso dall'avv. Emanuele Randazzo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonino Agnello sito in Palermo,Via G. Galilei n. 139; 
contro
Il Comune di Carini, rappresentato e difeso dall'avv. Marina Fonti, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.a.r. Sicilia sita in Palermo, Via Butera, 6; 
nei confronti di
la Cooperativa edilizia Conca Verde e la Cooperativa edilizia Sirio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avv. Antonino Paleologo, con domicilio eletto presso il suo studio sito in Palermo, v.le Leonardo Da Vinci 65; 
per il pagamento delle somme dovute a titolo di occupazione temporanea nonché per il risarcimento del danno conseguente alla occupazione illegittima di un fondo
 
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Carini e delle Cooperative edilizie Conca Verde e Sirio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2014 la dott.ssa Lucia Maria Brancatelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
 
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente è proprietario di un terreno, sito in Carini, c.da Piano Tavola, riportato in catasto al foglio di mappa n. 26, part. 165.
Con tre distinti provvedimenti è stata progressivamente disposta l’occupazione di urgenza dell’intero fondo del ricorrente, inizialmente inciso solo parzialmente dalle procedure ablatorie e poi integralmente oggetto di occupazione. Le procedure erano volte a consentire la realizzazione di, rispettivamente, 20 e 24 alloggi sociali per l’edilizia economica e popolare da parte delle Cooperative Conca verde e Sirio che, in forza di convenzione con il Comune di Carini, sono state autorizzate ad esperire le procedure di esproprio.
Le tre ordinanze (n. 54 del 25.2.1998, n. 221 del 28.12.1999 e n. 42 del 29.2.2000) stabilivano che la procedura non si sarebbe potuta protrarre oltre il termine di cinque anni dall’immissione in possesso dei beni. Poiché il termine quinquennale è trascorso senza che siano stati adottati validi decreti di esproprio e le opere progettate risultano essere state realizzate, parte ricorrente ha adito questo tribunale chiedendo pagamento dell’indennità da occupazione legittima e il risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima, nonchè di disporre in via istruttoria CTU per quantificare il valore venale del bene.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Carini e le Cooperative edilizie Conca Verde e Sirio, formulando eccezioni relative all’ammissibilità e alla fondatezza delle pretese di parte ricorrente.
Nella pubblica udienza del 17 novembre 2014, uditi i difensori delle parti presenti come da verbale e su loro conforme richiesta, la causa è stata trattenuta in decisione.
Va preliminarmente disattesa l’eccezione relativa alla tardività della presentazione del ricorso sollevata dal Comune resistente. L’odierno gravame risulta notificato alle parti il 17 gennaio 2006 e depositato il successivo 15 febbraio: trattandosi di giudizio risarcitorio autonomo, nel quale non si mira a demolire i provvedimenti adottati nell’ambito della procedura di esproprio ma si lamenta il danno derivante dalla loro esecuzione, si applica l’ordinario termine di 30 giorni ai fini della tempestività del deposito del ricorso. La giurisprudenza ha infatti da tempo affermato(cfr. per tutte Cons Stato, Ad. Plenaria n. 9/2007) l’inapplicabilità del rito abbreviato di cui all’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971 (ora art. 119, comma 1, lett. f) cod. proc. amm.).
Per le stesse ragioni, non può essere accolta l’eccezione di inammissibilità del gravame, in quanto afferente a tre diverse procedure espropriative, attesa la sostanziale unitarietà del comportamento amministrativo che ha determinato l’insorgere della pretesa risarcitoria in capo al ricorrente e l’incidenza, seppure progressiva, su di un bene identico.
Rileva, invece, il Collegio la parziale inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione in ordine alla domanda di condanna al pagamento dell’indennità per il periodo di occupazione legittima.
Invero, costituisce ius receptum il principio che esula dalla giurisdizione amministrativa, per spettare a quella del giudice ordinario, ogni domanda tesa ad ottenere il riconoscimento degli indennizzi per il periodo di occupazione legittima (e, comunque, per ogni altra indennità espropriativa di legge) in relazione alla quale continua a valere a tutti gli effetti la riserva al giudice ordinario disposta dall'art. 53, c. 2, d.P.R. n. 327 del 2001 (ora, art. 133 comma 1, lett. g), c.p.a.).
Per i restanti profili, nel merito ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato e debba essere accolto nei sensi di seguito specificati, anche ai fini conformativi ex art. 34, c. 1, lett. e), c.p.a..
I ricorrenti fondano la loro pretesa sulla omessa adozione di un valido decreto di esproprio, circostanza non contestata dalle parti intimate.
Orbene, come noto, qualora, come nella specie, alla dichiarazione di pubblica utilità non abbia fatto seguito l’adozione di un tempestivo decreto di esproprio, pur in presenza della realizzazione dell’opera programmata, non si ha il trasferimento della proprietà.
Ne deriva che l’Amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo l’immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto realizzato.
La realizzazione di un intervento pubblico su un fondo illegittimamente occupato costituisce, infatti, un mero fatto, non idoneo a determinare il trasferimento della proprietà, che può conseguire solo da un formale atto di acquisizione dell’Amministrazione e non anche da atti o comportamenti anche di tipo rinunziativo o abdicativo (ex plurimis Consiglio di Stato, VI, 10 maggio 2013, n. 2259).
Ciò chiarito, il Collegio deve, tuttavia, interrogarsi sulla valenza e gli effetti dell’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, laddove si stabilisce che, valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
Orbene, come ritenuto nella condivisa decisione della IV sezione del Consiglio di Stato n. 1514 del 16 marzo 2012, tale disposizione regola in termini di autonomia i rapporti tra potere amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di annullamento, consentendo l'emanazione del provvedimento dopo che “sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio” od anche, “durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti citati, se l'amministrazione che ha adottato l'atto impugnato lo ritira”. Ne deriva che ove il giudice, in applicazione dei principi generali, condannasse l'amministrazione alla restituzione del bene, il vincolo del giudicato eliderebbe irrimediabilmente il potere sanante dell'amministrazione (salva ovviamente l'autonoma volontà transattiva delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi avuti a riferimento dal legislatore.
In tale decisione si è, pertanto, condivisibilmente addivenuti alla conclusione che i principi desumibili dalla norma succitata e le possibilità insite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna, ex art. 34 lett. c) c.p.a., impongano una limitazione della condanna all'obbligo generico di provvedere ex art. 42 bis.
In proposito, va rilevato che non osta alla decisione nel senso della attribuzione al Comune resistente della possibilità di scelta tra la restituzione e la acquisizione ex art. 42 bis la circostanza che parte ricorrente abbia chiesto esclusivamente il risarcimento del danno.
Va, sotto tale profilo, richiamata la condivisa decisione del CGA n. 137 del 16 gennaio 2014, alle cui ampie motivazioni per esigenze di sintesi si rinvia, con la quale è stata esclusa la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato con riferimento ad una decisione giudiziale di tale contenuto in presenza di un ricorso volto ad ottenere non la restituzione del bene o l’applicazione dell’art. 42 bis, ma l’annullamento degli atti della procedura di esproprio e la condanna al risarcimento del danno.
E’ stato, infatti, ritenuto che non era stato attribuito al ricorrente un bene della vita non richiesto o non compreso nella domanda, essendosi il T.a.r. limitato ad “interpretare e qualificare le conclusioni del ricorrente adeguandole in via dinamica alla sopravvenuta disciplina normativa e giurisprudenziale che si era nel frattempo andata affermando, avendo pur sempre riguardo al contenuto sostanziale della pretesa azionata, attinente alla posizione proprietaria pregiudicata dalla illegittima attività della autorità amministrativa … individuando l’oggetto della domanda e qualificando l’azione sulla base di elementi sostanziali in maniera tale da assicurare la conclusione del processo con una sentenza di merito”.
L’applicazione di tali principi alla fattispecie in esame comporta che, accertata l'assenza di un valido titolo di esproprio, nonché la modifica del fondo e la sua utilizzazione, rimane impregiudicata la discrezionale valutazione in ordine agli interessi in conflitto da parte del Comune resistente, il quale, ove ritenga di non restituire il fondo ai legittimi proprietari previa riduzione nel pristino stato, potrà in via alternativa disporre la sua acquisizione. Qualora decida per l'acquisizione, dovrà liquidare in favore del ricorrente il valore venale del bene al momento dell'emanazione del provvedimento, aumentato del 10% a titolo di forfettario ristoro del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale arrecato, nonchè il 5% del valore che l'immobile aveva in ogni anno successivo alla scadenza della occupazione legittima (avvenuta per decorrenza del termine quinquennale dalla immissione in possesso in data 24 novembre 1992) a titolo di occupazione sine titulo, detratto, ovviamente, quanto già corrisposto a vario titolo ai ricorrenti, subordinando, come per legge, l'effetto traslativo all'effettivo pagamento delle somme. L’ultima posta risarcitoria indicata dovrà essere corrisposta anche nel caso in cui l'amministrazione dovesse optare per la restituzione. In quest'ultimo caso, ove le somme già ricevute dal ricorrente si rivelassero superiori al danno da occupazione, esse dovranno essere restituite per l'eccedenza.
In relazione alle procedure espropriative per le quali il Comune aveva delegato il compimento degli atti procedurali alle cooperative edilizie intimate, queste saranno tenute a rispondere in solido con il Comune al pagamento delle somme spettanti al ricorrente.
In conclusione, il ricorso va in parte dichiarato inammissibile e in parte accolto, limitatamente alla declaratoria dell’obbligo del Comune di attivarsi, ai sensi e per gli effetti di cui 42 bis D.P.R. n. 327/2001 e dell’art. 34, comma 4, c.p.a., ponendo in essere, qualunque sia il suo dispositivo, il provvedimento entro il termine di giorni centoottanta (180) dalla comunicazione o dalla notificazione della presente sentenza.
In considerazione dell’esito del ricorso, le spese di giudizio possono essere compensate fra la parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza)
dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe indicato nella parte in cui ha ad oggetto la domanda di condanna al pagamento dell’indennità per il periodo di occupazione legittima; per il resto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Aurora Lento, Consigliere
Lucia Maria Brancatelli, Referendario, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Pubblicato in: Diritto Amministrativo » Commenti

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