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Art. 21-octies lege 241/90 e provvedimenti discrezionali

Pubblico
Giovedì, 17 Marzo, 2022 - 09:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), sentenza n. 1790 del 14 marzo 2022, sull’art. 21-octies della legge 241/90 e provvedimenti discrezionali

MASSIMA

L'art. 21 octies, l. n. 241 del 1990, a seguito della modifica operata con l'art. 12, comma 1, lett. i), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, comporta che  l'omissione del preavviso di rigetto, in caso di provvedimenti discrezionali, non è superabile con una valutazione ex post del possibile apporto del privato; la modifica legislativa, incidendo su una norma ritenuta di carattere processuale, si applica anche ai provvedimenti già emanati 

SENTENZA

N. 01790/2022REG.PROV.COLL.

N. 02896/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2896 del 2017, proposto dal
signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza di Pietra 63;

contro

Ministero della Difesa, non costituito in giudizio;
Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS- n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento del 25 novembre 2016 di diniego della istanza di reintegrazione in servizio

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2022 il Cons. Cecilia Altavista e udito per la parte appellante l’avvocato Gherardo Maria Marenghi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

Il carabiniere -OMISSIS- è stato condannato a tre anni di reclusione e alla pena accessoria della interdizione temporanea dei pubblici uffici per cinque anni con sentenza della Corte d’appello di -OMISSIS- del 23 aprile 2003, divenuta irrevocabile il 23 gennaio 2008 con la conferma da parte della Corte di Cassazione, per il reato di detenzione e spaccio di sostanza stupefacente commesso nel 1994.

Seguiva il procedimento disciplinare, che si concludeva con il provvedimento del 9 settembre 2008, di irrogazione della sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione, poi annullato dal Tribunale amministrativo regionale della -OMISSIS- con la sentenza n. -OMISSIS- del 28 luglio 2011 per difetto di motivazione. In esecuzione della sentenza, con determinazione del Direttore Generale del personale militare del 18 ottobre 2011 è stato reintegrato in servizio, mentre con provvedimento del 19 ottobre 2011 del Capo del III Reparto della Direzione generale per il Personale Militare è stata disposta la perdita del grado, ai sensi dell’art. 866 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, codice dell’ordinamento militare, per la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque. Anche tale provvedimento è stato annullato dal Tribunale amministrativo regionale della -OMISSIS- con la sentenza n. -OMISSIS- del 14 febbraio 2013 per la mancata comunicazione di avvio del procedimento.

Il decreto di perdita del grado, ai sensi dell’art. 866, veniva, dunque, nuovamente adottato in data 18 ottobre 2013 e ritenuto legittimo dal T.A.R. -OMISSIS- con la sentenza n. -OMISSIS- del 18 novembre 2015.

Successivamente, essendo stata pronunciata la riabilitazione, con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di -OMISSIS- del 21 gennaio 2015, il signor -OMISSIS-, con istanza del 26 novembre 2015, ha chiesto di essere reintegrato in servizio.

In mancanza di risposta da parte dell’Amministrazione, con atto depositato il 29 dicembre 2015, proponeva ricorso al T.A.R. -OMISSIS- per l’accertamento dell’obbligo di provvedere ai sensi degli artt. 31 e 177 c.p.a..

Nelle more della definizione del giudizio avverso il silenzio, con provvedimento del 25 novembre 2016, notificato al ricorrente 1'11 gennaio 2016, l'istanza di reintegrazione in servizio è stata respinta sulla base dei parere contrari espressi dal Comando generale dell'Arma dei Carabinieri del 13 settembre 2016, dal Comando Interregionale Carabinieri Ogaden dell'11 luglio 2016, dal Comando Legione Carabinieri Sicilia, per la gravità dei fatti di cui si era reso responsabile e il pregiudizio arrecato all’Arma dei Carabinieri; richiamando, altresì, le informazioni della Compagnia Carabinieri “Piazza Dante” di -OMISSIS-, da cui risultava una buona condotta e non un’ottima condotta, come richiesto dall’art. 871 c.o.m., e non essendo stati allegati particolari meriti civili e sociali.

Avverso tale provvedimento e avverso i pareri presupposti sono stati proposti motivi aggiunti nel giudizio pendente avverso il silenzio dell’Amministrazione, formulando le seguenti censure:

“violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, in combinato disposto con l’art. 872 del d.lgs. 66 del 2010”, con cui è stata contestato il provvedimento deducendo che il parere del Comando Legione Sicilia era positivo, che i fatti erano risalenti addirittura al 1994 e tale circostanza non sarebbe stata valutata dall’Amministrazione, che non sarebbe stata valutata la riabilitazione intervenuta in sede penale né è stato chiesto il parere alla Corte militare d’appello previsto dall’art. 872 c.o.m.; “violazione e falsa applicazione dell’art. 872 del d.lgs. 66 del 2010”, in quanto tale norma non prevederebbe una discrezionalità dell’Amministrazione in sede di rientegrazione, che dovrebbe derivare come conseguenza della riabilitazione, mentre l’Amministrazione avrebbe erroneamente richiamato la norma dell’art. 871 c.o.m.; violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 per la mancata comunicazione del preavviso di rigetto.

Con la sentenza n. -OMISSIS- del 29 marzo 2017 il ricorso avverso il silenzio è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, essendo sopravvenuto il provvedimento espresso; sono stati respinti i motivi aggiunti richiamando gli orientamenti giurisprudenziali relativi all’ampia discrezionalità dell’amministrazione in sede di reintegrazione applicabili anche in caso di intervenuta riabilitazione; il giudice di primo grado ha ritenuto irrilevante l’apporto partecipativo dell’interessato e l’indicazione formale degli articoli del c.o.m. ( art. 871 o art. 872) su cui è basato il provvedimento; ha poi affermato che il parere della Corte d'Appello Militare dovrebbe essere acquisito solo nel caso in cui l'Autorità amministrativa si determini all'esito dell'istruttoria nel senso di accogliere l'istanza e non, come nel caso di specie, in cui si disponga il rigetto dell’istanza.

Avverso tale sentenza è stato proposto il presente appello riproponendo le censure del ricorso di primo grado e lamentando il difetto di motivazione della sentenza, in quanto non sarebbe stata adeguatamente valutata la circostanza che il reato di detenzione di stupefacenti era stato commesso nel 1994 e che, da allora, è sempre stata tenuta una buona condotta; è stata contestata l’argomentazione del giudice di primo grado relativa alla necessità del parere della Corte d’appello militare solo in caso di provvedimento favorevole alla reintegrazione, non essendo prevista tale distinzione nella norma; è stata contestata altresì la reiezione della censura relativa alla violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, trattandosi di attività non vincolata.

Si è costituito il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri con atto di stile.

All’udienza pubblica del 1 febbraio 2022 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è solo in parte fondato.

L’odierno appellante, a seguito delle varie vicende giudiziarie sopra indicate, con il provvedimento del 18 ottobre 2013 è stato destinatario della perdita del grado, ai sensi dell’art. 866 del d.lgs. 66 del 2010, che, nel testo allora vigente, prevedeva “la perdita del grado, senza giudizio disciplinare, consegue a condanna definitiva, non condizionalmente sospesa, per reato militare o delitto non colposo che comporti la pena accessoria della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle pene accessorie di cui all'articolo 19, comma 1, numeri 2) e 6) del codice penale”.

Pur non essendo tale provvedimento oggetto del presente giudizio, ritiene il Collegio di precisare che, trattandosi di vicenda esaurita - essendo stata ritenuta legittima la perdita del grado con sentenza del T.A.R. -OMISSIS- n. -OMISSIS- del 18 novembre 2015, passata in giudicato - non rileva la sentenza della Corte costituzionale n. 268 del 2016, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lettera i), c.o.m. “nella parte in cui non prevedono l'instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici”.

Il codice dell’ordinamento militare prevede, poi, che il militare rimosso per la perdita del grado possa essere reintegrato in servizio. In particolare, in base all’art.871 c.o.m., “la reintegrazione nel grado per il militare che ne è stato rimosso per motivi disciplinari è disposta a domanda dell'interessato, previo parere favorevole della Corte militare d'appello.

La reintegrazione è disposta se il militare conserva ottima condotta morale e civile per almeno cinque anni dalla data della rimozione. Tale periodo è ridotto alla metà per il militare che, per atti di valore personale compiuti dopo la rimozione dal grado, ha conseguito una promozione per merito di guerra o altra ricompensa al valor militare. Il militare che ha conseguito più di una di dette promozioni o ricompense può ottenere la reintegrazione nel grado in qualsiasi tempo.

Se la perdita del grado è stata disposta in via disciplinare in conseguenza di una condanna penale che non comporta di diritto la perdita del grado, la reintegrazione non può aver luogo se non è prima intervenuta sentenza di riabilitazione”.

Ai sensi dell’art. 872, “La reintegrazione nel grado per il militare che lo ha perso per condanna penale è disposta a domanda dell'interessato, previo parere favorevole della Corte militare d'appello.

La reintegrazione è disposta se il militare ottiene la riabilitazione a norma della legge penale comune e, nel caso di applicazione della pena militare accessoria della rimozione, anche a norma della legge penale militare.

Se la reintegrazione richiesta a seguito di perdita del grado per condanna è respinta nel merito, l'esame di una nuova domanda è ammesso dopo cinque anni dalla data di decisione di rigetto o, in ogni tempo, se sono sopravvenuti o si scoprono nuovi elementi di giudizio particolarmente rilevanti ovvero se il militare consegue una ricompensa al valor militare”.

Nel caso di specie, la fattispecie di riferimento è, come sostenuto dalla difesa appellante, quella dell’art. 872 c.o.m., essendo derivato il provvedimento di rimozione, non da un autonomo procedimento disciplinare, ma direttamente dalla condanna ovvero dalla pena accessoria della interdizione temporanea dei pubblici uffici disposta con la sentenza di condanna.

In base alla norma dell’art. 872 c.o.m., la reintegrazione è possibile quando sia intervenuta la riabilitazione in sede penale.

Peraltro, come risulta dalla previsione testuale del terzo comma dell’art. 872, che fa riferimento alla reiezione “nel merito” della istanza di reintegrazione, la riabilitazione in sede penale costituisce solo uno dei presupposti del provvedimento di reintegrazione in servizio, il quale resta attribuito ad una scelta di carattere discrezionale dell’Amministrazione.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, con riferimento a fattispecie differenti regolate dalla disciplina previgente, ha ritenuto sussistente una discrezionalità valutativa dell'Amministrazione militare, anche nelle ipotesi di perdita del grado a seguito di condanna senza procedimento disciplinare, affermando che spetta all’Amministrazione valutare, anche in tali casi, se la concessione della reintegra risponda effettivamente non soltanto alle aspirazioni del militare riabilitato in sede penale, ma anche all'interesse pubblico di settore, in particolare con un apprezzamento in ordine alla riacquisizione da parte dell'interessato di quelle spiccate qualità morali che sono richieste per ogni appartenente al Corpo ( Cons. Stato Sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 44, con riferimento, all’art. 62 comma 1 n. 4 della legge 31 luglio 1954 n. 599, “Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica”).

Inoltre, la previsione dell'intervento nel procedimento amministrativo addirittura dell'Autorità giudiziaria militare di vertice indica chiaramente che nell’ottica del legislatore l’accoglimento della istanza di reintegrazione costituisca ipotesi del tutto speciale e derogatoria (Cons. Stato Sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6922, con riferimento all’art. 62 comma 1 n. 3 della legge 31 luglio 1954 n. 599, ma con argomenti applicabili anche alla disposizione vigente dell’art. 872 c.o.m., che prevede analogo intervento della Corte d’Appello militare).

Il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo all’Amministrazione, come affermato anche dal giudice di primo grado, non può non comportare la rilevanza della mancanza di partecipazione procedimentale dell’interessato, nel caso di specie, con la omissione della comunicazione del preavviso di rigetto, con la conseguenza che la relativa censura si palesa fondata ed idonea a definire il giudizio.

Ai sensi dell’art. 10 bis della legge 241 del 1990, nel testo vigente al momento di emanazione del provvedimento impugnato in primo grado “nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili”.

La comunicazione del preavviso di rigetto come gli altri apporti partecipativi procedimentali sono esclusi per le attività vincolate, in base alla previsione dell’art. 21 octies comma 2 della legge 241 del 1990, per cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Nel caso di specie, l’ampia discrezionalità dell’Amministrazione nel valutare vari aspetti della vicenda, tra cui anche la condotta morale dell’istante, comportava la necessità del preavviso di rigetto.

La norma del comma 2 dell’art. 21 octies prevede altresì che “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Tale disposizione, in base alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, è stata ritenuta applicabile anche al difetto del preavviso di rigetto (Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 2016, n. 3948; Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667), condividendo con la comunicazione di avvio procedimentale del procedimento la stessa funzione di garantire il contraddittorio endoprocedimentale. Il c.d. preavviso di rigetto ha lo scopo di far conoscere all'amministrazione procedente le ragioni fattuali e giuridiche dell'interessato che potrebbero contribuire a far assumere una diversa determinazione finale, derivante dalla ponderazione di tutti gli interessi in gioco; sicché tale scopo viene meno ed è di per sé inidoneo a giustificare l'annullamento del provvedimento nei casi in cui il contenuto di quest'ultimo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia in quanto vincolato, sia in quanto, sebbene discrezionale, sia raggiunta la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità. L'art. 10-bis, L. n. 241 del 1990, così come le altre norme in materia di partecipazione procedimentale, va infatti interpretato ed applicato non in senso formalistico, ma avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione, sicché il mancato o l'incompleto preavviso di rigetto, al pari della non esplicita confutazione delle argomentazioni addotte dal privato in risposta al ricevuto avviso, non comporta l'automatica illegittimità del provvedimento finale, quando possa trova applicazione l'art. 21-octies della stessa L. n. 241 del 1990, secondo cui il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali, che non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale di un provvedimento, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; poiché l’ art. 21 octies, secondo comma, attraverso la dequotazione dei vizi formali dell'atto, mira a garantire una maggiore efficienza all'azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all'attribuzione del bene della vita richiesto dall'interessato, l'atto amministrativo non può essere annullato (cfr. Cons. Stato, sezione II, 17 settembre 2019, n. 6209; id, Sez. II , 9 giugno 2020, n. 3675; Consiglio di Stato sez. III, 19 febbraio 2019, n.1156; Cons. Stato Sez. V, 8 febbraio 2021, n. 1126). Il fondamento giustificativo del riportato orientamento viene ravvisato nella evidente ratio della disposizione del secondo comma seconda parte dell’art. 21 octies, volta a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali, nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 febbraio 2011, n. 1040; Sez. II, 12 marzo 2020, n. 1800).

Si deve però considerare che tale orientamento si è formato prima della modifica della seconda parte dell’art. 21 octies intervenuta con l'art. 12, comma 1, lett. i), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, con l’aggiunta della previsione, per cui “La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis”.

Con tale aggiunta è stata realizzata una distinzione tra il regime della comunicazione di avvio del procedimento e quello del preavviso di rigetto per i procedimenti ad istanza di parte, la cui omissione non è superabile nel caso di provvedimento discrezionali, tramite l’intervento dell’effetto “processuale” della seconda parte del secondo comma dell’art. 21 octies, con la conseguenza che per i provvedimenti discrezionali, come quello oggetto del presente giudizio, rimane rilevante anche la sola omissione formale della mancata comunicazione del preavviso di rigetto.

L'attuale formulazione della norma sottrae, infatti, il modello procedimentale correlato all'esercizio di un potere discrezionale, ai meccanismi di possibile “sanatoria processuale” previsti in via generale per la violazione di norme sul procedimento, in caso di omissione del preavviso di rigetto (Cons. Stato Sez. III, 22 ottobre 2020, n. 6378).

Ritiene il Collegio che la nuova disposizione sia applicabile anche ai procedimenti in corso, in quanto la consolidata giurisprudenza ha attribuito all’ art. 21 octies comma 2 seconda parte la natura di norma di carattere processuale, come tale applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge di riferimento (Cons. Stato, Sez. II, 12 marzo 2020, n. 1800; sez. II, 09 gennaio 2020, n. 165; sez. V, 15 luglio 2019, n. 4964; Sez. VI, 20 gennaio 2022, n. 359), con la conseguenza che si deve ritenere immediatamente applicabile alle fattispecie oggetto di giudizi pendenti, per i quali in caso di omissione del preavviso di rigetto resta inibita all’Amministrazione la possibilità di dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 22 ottobre 2020, n. 6378).

Pertanto, la norma si deve applicare nel testo vigente al momento del giudizio e non può dunque, allo stato, farsi alcun riferimento alla circostanza che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato, circostanze, peraltro, neppure risultanti dagli atti di causa né dalla costituzione - meramente di stile - dell’Amministrazione.

L’appello è, quindi, fondato limitatamente al motivo relativo alla violazione dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 e in tali limiti deve essere accolto con annullamento del provvedimento impugnato, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.

In considerazione della particolarità della vicenda e dell’accoglimento per un profilo formale le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, con annullamento del provvedimento impugnato, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Italo Volpe, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore

Carmelina Addesso, Consigliere

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Cecilia Altavista

Gianpiero Paolo Cirillo

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

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