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Risarcimento danni - principi : Cons. Stato, sez.V, sent. n. 6233 del 22.12.2014

Pubblico
Martedì, 23 Dicembre, 2014 - 01:00

 

I Giudici di Palazzo Spada affermano importanti principi sul risarcimento del danno da attività illegittima della PA. 
 
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), sentenza n. 6233 del 22 dicembre 2014, sui presupposti per il risarcimento del danno da attività illegittima. 
 
All'azione di risarcimento danni proposta dinanzi al giudice amministrativo si applica il principio generale dell'onere della prova previsto nell'art. 2697 c.c., in virtù del quale spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario, con la conseguenza che, laddove la domanda di risarcimento danni non sia corredata dalla prova del danno da risarcire, la stessa deve essere respinta (Cons. St., sez. IV, 26 agosto 014, n. 4293; sez. III, 30 novembre 2011, n. 6342), fermo restando che “…la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni, atteso che per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, sulla scorta della regola dell'inferenza necessaria, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull' id quod plerumque accidit in virtù della regola dell'inferenza probabilistica, sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici” (Cons. St, sez. V, 8 agosto 2014, n. 4248).
 
Il giudice non può mai integralmente sostituirsi alla parte onerata, disponendo d'ufficio le acquisizioni istruttorie a cui era tenuta quest'ultima, allorquando il ricorrente non si trovava (ovvero non ha provato di trovarsi) nell'impossibilità di provare il fatto posto a base della sua azione, essendo gli atti e documenti idonei a supportare le sue allegazioni nella sua disponibilità (Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 1042; 27 gennaio 2011, n. 618; sez. V, 10 novembre 2010, n. 8006; 21 marzo 2011, n. 1737; sez. VI, 09 marzo 2011, n. 1481; 18 febbraio 2011, n. 1039).
 
Il danno esistenziale consiste infatti in una lesione del bene salute, che si colloca e si dipana nella sfera dinamico – relazionale del soggetto, come conseguenza, ma autonoma, di una lesione medicalmente accertabile, così che “il giudice, identificata l’indispensabilità della situazione soggettiva protetta a livello costituzionale e lesa dall’azione illecita, deve valutare rigorosamente sia l’aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) sia il suo impatto modificativo in pejus sulla vita quotidiana (il danno esistenziale) (Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22585).
 
N. 06233/2014REG.PROV.COLL.
N. 06427/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 6427 del 2005, proposto dalla signora 
CIANI ROSAURA, rappresentata e difesa dall'avvocato Beatrice Belli, con domicilio eletto presso l’avvocato Angelo Clarizia in Roma, Via Principessa Clotilde, n. 2; 
contro
COMUNE DI CASTEL S. PIETRO TERME, n persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Ugolini, con domicilio eletto presso Carla V. Efrati in Roma, Via Lucrino, n. 10; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA, Sez. I, n. 665 del 27 aprile 2005, resa tra le parti, concernente il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo;
 
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castel S. Pietro Terme:
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2014 il Cons. Carlo Saltelli e udito per la parte appellata l’avvocati Carlo Ugolini;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
 
 
FATTO
1. Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna con la sentenza n. 217 del 18 febbraio 1993, accogliendo il ricorso proposto dalla signora Rosaura Ciani, annullava la delibera consiliare del Comune di Castel S. Pietro Terme n. 10 del 13 febbraio 1985, recante l’approvazione della graduatoria definitiva del pubblico concorso, per titoli ed esami, ad un posto di ragioniere dirigente la 4^ Ripartizione, in cui la ricorrente era collocata al secondo posto, ritenendola illegittima per aver dichiarato vincitrice del concorso la signora Alessandra Golinelli, priva dei requisiti necessari.
L’amministrazione comunale di Castel S. Pietro Terme con delibera di giunta n. 1323 del 17 dicembre 1993 dava esecuzione a tale sentenza passata in giudicato e disponeva l’assunzione della signora Rosaura Ciani, quale vincitrice del concorso pubblico, a dirigente della IV^ Ripartizione, dal 1° gennaio 1994, con decorrenza giuridica dal 24 maggio 1985.
La domanda, con cui l’interessata aveva poi chiesto il risarcimento del danno conseguente all’illegittimità di quella deliberazione, inizialmente proposta innanzi al giudice ordinario e successivamente riassunta innanzi al giudice amministrativo (col ricorso n. 865 del 2000) a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., 1° settembre 1999, n. 607, è stata parzialmente accolta dal Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna che con la sentenza n. 665 del 27 aprile 2007, sez. II, riconosciuta la responsabilità dell’amministrazione comunale (per la violazione del dovere di garantire la par condicio in una procedura concorsuale e di escludere i candidati sprovvisti dei requisiti richiesti dal bando), l’ha condannata al pagamento a titolo risarcitorio del 50% delle differenze retributive per il periodo 1° giugno 1985/31 dicembre 1993 tra lo stipendio tabellare percepito dall’interessata presso il Comune di Faenza (ove prestava servizio con la qualifica di economo) e quello che le sarebbe spettato per la qualifica di ragioniere capo presso il Comune di Castel S. Pietro, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
2. Con rituale atto di appello, notificato a mezzo del servizio postale il 21 luglio 2005, la signora Rosaura Ciani ha chiesto la riforma della predetta sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di tre motivi di gravame, rubricati rispettivamente “Erroneità della sentenza sotto il profilo del difetto di istruttoria, ultrapetizione ed error in judicando in ordine al risarcimento del danno per maggiori oneri di viaggio”, “Erroneità della sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione, illogicità, error in judicando per errata interpretazione di legge e falso presupposto di fatto in ordine alla rivendicazione per danni alla carriera, alla crescita professionale ed esistenziali” e “Erroneità della sentenza sotto il profilo della illogicità ed error in judicando per errata interpretazione degli artt. 2043 e 2056 C.C. e falso presupposto in fatto in ordine alla condanna al risarcimento delle differenze stipendiali”, con cui ha in sintesi lamentato l’ingiustificato rigetto della domanda risarcitoria relativamente ai maggiori oneri di viaggio, alla perdita di chance, alla mancata crescita professionale e al danno esistenziale, nonché l’altrettanta ingiustificata limitazione del danno riconosciuto alla sola metà delle differenze retributive, negando l’integrale riconoscimento del trattamento economico corrispondente alla qualifica di ragioniere capo non percepito a causa del solo provvedimento illegittimo dell’amministrazione.
Ha resistito al gravame il Comune di Castel S. Pietro Terme, che ne ha dedotto l’infondatezza ed ha insistito per il suo rigetto.
3. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno illustrato con apposite memorie le rispettive tesi difensive, insistendo per l’accoglimento delle conclusione rese.
All’udienza pubblica del 12 novembre 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
4. I motivi di gravame, che per la loro intima connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono manifestamente infondati.
4.1. Precisato preliminarmente che, stante la mancata impugnazione da parte dell’amministrazione comunale del capo della sentenza che ha riconosciuto la sua responsabilità nella produzione dell’evento dannoso (cioè dell’illegittimità della delibera consiliare n. 10 del 13 febbraio 1985), la controversia de qua è limitata alla sola determinazione del quantum risarcitorio spettante alla signora Rosaura Ciani, deve ribadirsi che all'azione di risarcimento danni proposta dinanzi al giudice amministrativo si applica il principio generale dell'onere della prova previsto nell'art. 2697 c.c., in virtù del quale spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario, con la conseguenza che, laddove la domanda di risarcimento danni non sia corredata dalla prova del danno da risarcire, la stessa deve essere respinta (Cons. St., sez. IV, 26 agosto 014, n. 4293; sez. III, 30 novembre 2011, n. 6342), fermo restando che “…la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni, atteso che per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, sulla scorta della regola dell'inferenza necessaria, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull' id quod plerumque accidit in virtù della regola dell'inferenza probabilistica, sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici” (Cons. St, sez. V, 8 agosto 2014, n. 4248).
Quanto al potere istruttorio ufficioso del giudice amministrativo, l'attenuazione dell'onere probatorio nel sistema giustiziale amministrativo (e all'applicazione del principio cosiddetto dispositivo - acquisitivo) risiede notoriamente nell'asimmetria informativa e dispositiva (soprattutto con riguardo all'accesso al materiale probatorio) in cui tendenzialmente versa la parte privata rispetto alla parte pubblica, quando si tratti dell'esercizio del potere pubblico: tale potere non è pertanto esercitabile in linea generale in tema di domanda risarcitoria, fermo restando che in ogni caso che il giudice non può mai integralmente sostituirsi alla parte onerata, disponendo d'ufficio le acquisizioni istruttorie a cui era tenuta quest'ultima, allorquando il ricorrente non si trovava (ovvero non ha provato di trovarsi) nell'impossibilità di provare il fatto posto a base della sua azione, essendo gli atti e documenti idonei a supportare le sue allegazioni nella sua disponibilità (Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 1042; 27 gennaio 2011, n. 618; sez. V, 10 novembre 2010, n. 8006; 21 marzo 2011, n. 1737; sez. VI, 09 marzo 2011, n. 1481; 18 febbraio 2011, n. 1039).
4.3. Ciò posto, la sentenza impugnata non merita censura nella parte in cui ha respinto la richiesta dell’interessata di risarcimento del danno per le asserite maggiori spese di viaggio che la stessa avrebbe sopportato per aver prestato servizio dal 24 maggio 1985 al 31 dicembre 1993 presso il Comune di Faenza invece che presso il Comune di Castel S. Pietro Terme a causa della maggiore distanza del primo (circa 22 Km) rispetto al secondo (circa 11 KM) dalla sua residenza nel comune di Imola.
Infatti, anche a voler prescindere dalla circostanza che la prova dell’effettiva residenza in Imola è stata fornita dall’interessata con apposita certificazione solo nel giudizio di appello, senza indicare l’eventuale ragione che ne avrebbe impedito la rituale produzione nel giudizio di primo grado, di tale preteso danno e della relativa entità nessuna prova è stata mai fornita in violazione dell’art. 2697 C.C., irrilevante perciò a tal fine essendo la dedotta non contestazione da parte dell’amministrazione resistente (tanto più che quest’ultima in primo grado aveva in radice aveva dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza dell’intera domanda risarcitoria) e non potendo invocarsi in alcun modo il potere istruttorio d’ufficio del giudice.
Ciò esclude la sussistenza del dedotto vizio di ultrapetizione che è configurabile solo quando il giudice riconosca alle parti un’utilità o un bene della vita che non trovi riscontro nella domanda giudiziale o nei motivi di ricorso o nelle eccezioni formulate, ipotesi che non ricorre nel caso in esame, tanto più che anche quanto all’ammontare del preteso danno in questione l’interessata ha fatto generico ed inammissibile riferimento ad un non meglio identificato “costo chilometrico già utilizzato da altri giudici amministrativi…”.
4.4. Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche con riferimento al risarcimento del danno da perdita di chance e di capacità professionale.
Come correttamente rilevato dai primi giudici, non è stata infatti fornita alcuna prova delle asserite mancate occasioni di carriera che l’interessata non avrebbe potuto cogliere a causa dell’illegittimo provvedimento, poi annullato, dall’amministrazione, occasioni ragionevolmente da ricollegare alla possibilità di poter partecipare a concorsi o selezioni o altre forme di assunzione (anche presso datori di lavori privati) che prevedevano il possesso della qualifica di ragioniere capo (o di quella diversa ed ulteriore in cui quest’ultima si è trasformata per effetto delle successive disposizioni che disciplinano il rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti locali).
Né sotto il profilo del dedotto danno da capacità professionale o da mancato miglioramento professionale possono ragionevolmente rilevare le più limitate mansioni di economo svolte presso il Comune di Faenza rispetto a quelle di ragioniere capo che l’interessata avrebbe effettivamente potuto svolgere presso il Comune di Castel San Pietro Terme, quale vincitrice del relativo concorso, ciò non determinando automaticamente ed ictu oculi un impoverimento professionale, come sostenuto dall’appellante, senza contare che di tale asserito impoverimento non è stata fornita alcuna prova, né è stato indicato alcun elemento indiziario.
4.5. Quanto alla domanda tesa al riconoscimento del danno esistenziale, la Sezione rileva innanzitutto che essa attiene al danno non patrimoniale e che essa non risulta in alcun modo formulata nel ricorso introduttivo del giudizio innanzi al giudice amministrativo (ed in realtà neppure nel giudizio originariamente proposto innanzi al giudice ordinario, come si evince dalla lettura della ricordata sentenza della Cass., SS.UU., n. 607 del 1° settembre 1999), nel quale furono invero richiesti esclusivamente danni di natura economica: correttamente pertanto i primi giudici hanno ritenuto inammissibile la relativa richiesta in quanto formulata soltanto in sede di memoria conclusiva, non notificata.
Vi è stata infatti una non consentita mutatio libelli, con violazione del fondamentale principio di difesa.
In ogni caso nel merito la richiesta è comunque inammissibile.
Il danno esistenziale consiste infatti in una lesione del bene salute, che si colloca e si dipana nella sfera dinamico – relazionale del soggetto, come conseguenza, ma autonoma, di una lesione medicalmente accertabile, così che “il giudice, identificata l’indispensabilità della situazione soggettiva protetta a livello costituzionale e lesa dall’azione illecita, deve valutare rigorosamente sia l’aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) sia il suo impatto modificativo in pejus sulla vita quotidiana (il danno esistenziale) (Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22585).
Sennonché nel caso di specie non è stata fornita alcuna prova della effettiva lesione del bene salute della ricorrente, a tal fine non potendo invocarsi né l’asserito stress determinato dalla necessità di doversi intensamente e repentinamente aggiornare professionalmente per poter poi adeguatamente svolgere le mansioni della qualifica di ragioniere capo a causa dell’illegittimo ritardo con cui quest’ultima qualifica le è stata attribuita, né tanto meno la presunta ostilità di cui sarebbe stata fatta oggetto da parte degli altri funzionari e amministratori comunali del Comune di Castel S. Pietro all’atto della sua effettiva assunzione (ostilità asseritamente derivata dal maggior favore di cui avrebbe goduto la candidata che aveva illegittimamente il concorso per il posto di ragioniere capo), trattandosi di stati soggettivi e personali, peraltro non supportati da alcun ragionevole e plausibile indizio circa la loro riconducibilità alla illegittimità dell’impugnata delibera consiliare n. 10 del 13 febbraio 1985.
Inoltre, per Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 2014, n. 1762, “in forza del principio di unitarietà del danno non patrimoniale, non è ammissibile, nel nostro ordinamento, l'autonoma categoria di "danno esistenziale" in quanto, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una non consentita duplicazione risarcitoria; ove, invece, si intendesse includere nella categoria i pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, la stessa sarebbe illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili alla stregua del menzionato articolo”.
4.6. Anche la doglianza relativa al riconoscimento a titolo di risarcimento del danno della somma corrispondente soltanto alla metà delle differenze retributive tabellari tra la qualifica di economo e quella di ragioniere capo non può trovare accoglimento.
Nel constatare che l’Amministrazione non ha impugnato tale statuizione del TAR, con riferimento alla doglianza dell’appellante non vi è ragione per discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale in materia, secondo cui “…l'entità del ristoro patrimoniale non può corrispondere all'intero ammontare delle retribuzioni non percepite a causa del tardivo adempimento da parte dell'Amministrazione: se questa non ha provveduto tempestivamente alla riassunzione, è mancata, d'altra parte, la prestazione lavorativa, alla quale sola può essere collegato il diritto a ricevere l'integrale compenso previsto.
In casi del genere, perciò, il danno risarcibile può essere quantificato solo equitativamente, in applicazione del combinato disposto degli atti artt. 2056 e 1226 c.c. In particolare - secondo l'orientamento ormai consolidato di questo Consiglio di Stato - esso va determinato in una somma pari al 50 % delle retribuzioni che avrebbero dovuto essere corrisposte all'appellante a partire dalla data prima ricordata sino all'effettivo ricollocamento in servizio, con esclusione della eventuale parte variabile della retribuzione relativa alle funzioni e con l'obbligo dell'Amministrazione di regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale nei limiti appena precisati…” (Cons. St., sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4282; 27 giugno 2014, n- 3237; sez. III, 22 luglio 2014, n. 3891; 30 luglio 2014, n. 4020).
5. In conclusione l’appello deve essere respinto, potendo tuttavia compensarsi le spese di giudizio in ragione della risalenza della controversia e della sua peculiarità.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 6427 del 2005 proposto dalla sig. Rosaura Ciani avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sez. II, n. 665 del 27 aprile 2005, lo respinge.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Fabio Franconiero, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

 

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