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Bene di interesse storico: alienalibilità o meno

Pubblico
Giovedì, 13 Gennaio, 2022 - 09:15

Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, (Sezione Seconda), sentenza n. 23 del 11 gennaio 2022, su un bene di interesse storico

MASSIMA

Mentre la dichiarazione di interesse archeologico preclude, sic et simpliciter, la possibilità di alienazione (rif.. artt. 54, co.1, lett. a) e 55, co.1 D.Lgs.n.42/04), al contrario la dichiarazione di rilevanza culturale sotto il profilo storico-culturale, sebbene mantenga il bene nell’alveo generale delle disposizioni del Codice, nondimeno non preclude l’alienazione del bene.

Secondo il consolidato e condiviso orientamento della giurisprudenza, “il giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell'arte e dell'architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità. L'apprezzamento compiuto dall'Amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile” (da Consiglio di Stato, 4.9.2020, n.5357; cfr., sul tema, quam multis, Cons. Giust. Sicilia, Sez.G.le, 7.5.2021, n.406).

SENTENZA

N. 00023/2022 REG.PROV.COLL.

N. 01114/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1114 del 2021, proposto da:
Comune di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandra Barone e Aniello Di Mauro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliataria ex lege in Salerno, c.so Vittorio Emanuele, 58;

per l'annullamento

- del Decreto n. 106/2021, adottato in data 13/04/2021, dalla Commissione Regionale per il patrimonio culturale - Segretariato regionale per la Campania, comunicato in data 20/05/2021, con allegata relazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno e Avellino, con il quale l'immobile denominato “Ex Museo del falso” è stato qualificato bene di interesse culturale storico artistico e, per la sola area di sedime, anche di interesse archeologico, ai sensi dell'art. 10, comma 1, del D. Lgs. N. 42/2004.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2021 il dott. Igor Nobile e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con ricorso notificato a mezzo pec il 16.7.2021 al Ministero della cultura, tempestivamente depositato il 18.7.2021, il Comune ricorrente ha adito questo Tribunale per l’annullamento, previa sospensione:

- del Decreto n. 106/2021, adottato in data 13/04/2021, dalla Commissione Regionale per il patrimonio culturale - Segretariato regionale per la Campania, comunicato in data 20/05/2021, con allegata relazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno e Avellino, con il quale l’immobile denominato “Ex Museo del falso” è stato qualificato bene di interesse culturale storico artistico e, per la sola area di sedime, anche di interesse archeologico, ai sensi dell’art. 10, comma 1, del D. Lgs. n. 42/2004;

- ove e per quanto occorra, della relazione archeologica allegata al suddetto decreto;

- di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, comunque ostativi all’accoglimento della presente impugnativa.

2. In particolare, il Comune ricorrente ha rappresentato quanto segue:

- il medesimo è proprietario dell’immobile sito in Via Porta Elina n. 25, un’antica costruzione originariamente utilizzata (anni 1826 - 1874) come serbatoio dell’acquedotto di Pellezzano, poi trasformata in garage per automezzi comunali e, in seguito, in panificio. Nel 1991 acquisiva destinazione culturale quale sede del “Museo del Falso”;

- con deliberazione del Consiglio Comunale n. 8/2019 il fabbricato de quo, oramai in disuso dall’anno 2011, veniva inserito nel Piano delle alienazioni dei beni di proprietà comunale, ai sensi dell’art. 58 della legge n. 133/2008, al fine di gestire e valorizzare il patrimonio disponibile dell’Ente;

- successivamente, la Giunta Comunale, tenuto conto della necessità di “razionalizzare l’azione amministrativa dell’Ente attraverso il reperimento di risorse integrative e tenuto conto di diversi elementi, come ad esempio il grado di vetustà ... da cui deriverebbero onerosi interventi di manutenzione”, con delibera n. 83/2019 decideva di avviare le procedure di dismissione di alcuni immobili indicati nel detto Piano, tra cui il cd. “Ex Museo del falso”;

- quindi, il Servizio Provveditorato, con determina dirigenziale n. 4258/2020 del 29/9/2020 procedeva all’approvazione dell’avviso d’asta pubblica, pubblicata in data 2.10.2020, con scadenza del termine presentazione offerte in data 25/11/2020;

- il Settore Trasformazioni Edilizie, giusta nota del 6/10/2020, dava corso al relativo procedimento di verifica dell’interesse culturale, ai sensi dell’art. 12 del D. Lgs. n. 42/2004, inoltrando al Segretariato Regionale del Ministero beni ed attività culturali e turismo della Campania ed alla Soprintendenza Archeologica di Salerno relativa richiesta, in uno alla documentazione tecnico amministrativa;

- con determina dirigenziale n. 5610 del 18.12.2020, successivamente rettificata con determina dirigenziale n. 5969 del 29.12.2020, la procedura d’asta de qua esperita dall’Amministrazione si concludeva, tra l’altro, prevedendo l’aggiudicazione del bene al prezzo di euro 425.125,00 in favore della Sig.ra …;

- solo nel maggio 2021, in aperta violazione dei termini di conclusione del procedimento, l’Organo periferico del Ministero della Cultura notificava al Comune il provvedimento n. 106 della Commissione Regionale per il patrimonio culturale della Campania, con cui si decretava l’interesse storico artistico dell’immobile di Via Porta Elina n. 25 e, con riferimento all’area di sedime su cui insiste detto immobile, l’interesse culturale archeologico, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10, comma 1, del D. Lgs. n. 42/2004, considerato che “l’area di sedime dell’edificio rappresenta, dunque, un punto fondamentale per comprendere l’andamento e la cronologia delle cosiddette mura arechiane e per ricostruire la relazione tra il tracciato e la cosiddetta porta, nonché per chiarire le relazioni tra questa parte marginale del cosiddetto Hortus Magno e la parte bassa della città, dove almeno dal XIII sec. sembra svilupparsi un quartiere produttivo” (Relazione Archeologica allegata al decreto n. 106/2020);

- la lesività di simile determinazione emerge ictu oculi in ragione del fatto che l’apposizione del vincolo archeologico, nel caso di specie illegittimamente decretato per le motivazioni che si esporranno in punto di diritto, cristallizza l’inalienabilità del bene, con la consequenziale impossibilità di raggiungere gli obiettivi individuati dalla Delibera di Giunta n. 83/2019.

3. Contro i suddetti provvedimenti insorgeva l’epigrafato Comune ricorrente, evidenziando la piena illegittimità degli atti, per i motivi di seguito rappresentati in estrema sintesi e come meglio articolati nel ricorso introduttivo:

3.1 VIOLAZIONE DI LEGGE (Art. 10 comma 1 D. Lgs. N. 42/2004, art. 3 L. 241/90) - ECCESSO DI POTERE (CONTRADDITTORIETÀ – ERRONEA ED INSUFFICIENTE MOTIVAZIONE - DIFETTO DI ISTRUTTORIA - IRRAGIONEVOLEZZA - SVIAMENTO)

Si contesta l’illogicità e la contraddittorietà del provvedimento impugnato, nella misura in cui esso si pone in contrasto con la precedente determinazione n.12/2007, con la quale, pur apponendosi il vincolo archeologico su alcuni immobili facenti parte del foglio catastale n.64, si escludeva tuttavia l’immobile de quo, adiacente alle particelle a suo tempo assoggettate a vincolo. Il Comune, del resto, proprio in virtù della determinazione del 2007, ha optato per l’alienazione del bene alla pubblica asta. Tale determinazione, peraltro, era del tutto logica e coerente con il fatto che detto immobile era dismesso da oltre dieci anni ed era, quindi, del tutto privo di interesse storico-culturale.

A fronte di ciò, il gravato provvedimento, inoltre:

- non espone una motivazione “rafforzata” idonea a superare il precedente orientamento;

- si presenta disallineato quanto all’interesse tutelato ex lege dalla Soprintendenza. Infatti, proprio in esito all’alienazione del bene, si conseguirebbero i fondi necessari per procedere a scavi ed opere atte ad accertare le eventuali “rinvenienze” (solo) ipotizzate dall’organo di tutela.

3.2 VIOLAZIONE ED ERRONEA INTERPRETAZIONE DEGLI ARTT. 10 E 12 DEL D. LGS. 22 GENNAIO 2004, N. 42 E SUCC. MOD. ED INTEGR. – FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 10 E 12 DEL D. LGS. 22 GENNAIO 2004, N. 42 E SUCC. MOD. ED INTEGR. - ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO E/O CARENZA DI ISTRUTTORIA - ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO E/O ERRORE SUL PRESUPPOSTO – DISPARITÀ DI TRATTAMENTO – CONTRADDITTORIETÀ - CARENZA DI MOTIVAZIONE.

Con tale doglianza si intende contestare l’impianto motivazionale esposto nel gravato provvedimento, fondato sulla relazione archeologica predisposta dalla Soprintendenza. Tale relazione, infatti, si è limitata alla generica descrizione del contesto generale dell’intera area di pertinenza della città di Salerno, coincidente con il perimetro del “centro storico”, in cui insistono decine di immobili similari, non assoggettati tuttavia a tutela ex D.Lgs.n.42/04.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, occorre che l’organo di tutela identifichi in modo adeguato l’area del deposito archeologico, di modo che l’imposizione del vincolo venga a gravare su una superficie effettivamente interessata da reperti congruamente individuati.

Al contrario, il gravato provvedimento, pedissequamente attestato sulle esposizioni della Soprintendenza, la quale, nel delineare la rilevanza archeologica di un’intera area, ha invece imposto il vincolo soltanto senza motivare in ordine alla possibilità di imporre prescrizioni a tutela dell’interesse archeologico e, soprattutto, senza evidenziare specifiche ragioni per assoggettare a vincolo l’immobile de quo, in un contesto, pur estesamente rappresentato, in cui nessun altro immobile viene assoggettato a tutela.

In definitiva- deduce il Comune- si produce lo sviamento dalla funzione tipica, in quanto la determinazione impugnata, lungi dal tutelare efficacemente l’immobile, costituisce soltanto un espediente per evitare l’alienazione del bene, programmata dal Comune.

3.3 VIOLAZIONE DI LEGGE (Art. 12, comma 10, del D. lgs. n. 42/2014; art. 2 Legge n. 241/1990) - ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ISTRUTTORIA - ERRONEITA’ – IRRAGIONEVOLEZZA)

Si eccepisce la tardività del provvedimento, per violazione dei termini di legge.

In particolare, ai sensi dell’art.12, co.10 D.Lgs.n.42/04, il procedimento di verifica dell’interesse culturale deve concludersi entro 120 giorni dalla richiesta. Nella fattispecie, a fronte della richiesta (6.5.2020), il riscontro (20.5.2021) è avvenuto con un ritardo di oltre sette mesi.

Peraltro, anche nell’ipotesi in cui si volesse attribuire al termine di legge carattere meramente ordinatorio, resta fermo che la dilatazione temporale ha comunque consolidato il legittimo affidamento in capo al Comune, che ha medio tempore dato corso al procedimento di alienazione.

3.4 ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITÀ E DISPARITÀ DI TRATTAMENTO - SVIAMENTO

Il Comune insiste per la tesi dello sviamento di potere, evidenziando come il gravato provvedimento, intervenuto quando era abbondantemente spirato il termine di legge di 120 giorni, ed era in corso il procedimento di alienazione a terzi del bene (arrestatosi dopo l’aggiudica e prima della stipula dell’atto pubblico di trasferimento), malceli in verità l’intento, non già di tutelare l’interesse culturale (inesistente), bensì di rendere inalienabile il bene (in necessaria applicazione dell’art.54 D.Lgs.n.42/04), paralizzando in tal modo la strategia perseguita dal Comune.

3.5 VIOLAZIONE DELL’ART. 3, L. N. 241/90 - CARENZA DI MOTIVAZIONE - ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO E CARENZA ISTRUTTORIA – VIOLAZIONE DELL’ART. 97 COST. - VIOLAZIONE DELL’ART. 7 DELLA L. N. 241/90

Si contesta il deficit motivazionale dell’atto impugnato, motivato “per relationem”, sulla base della relazione archeologica della Soprintendenza. Nella fattispecie, la Direzione regionale del Ministero evocato in giudizio si è supinamente attestata sulle valutazioni rese dalla Soprintendenza, già affette da deficit istruttorio e motivazionale.

Vieppiù, si eccepisce la violazione dell’art.7 L.n.241/90, dal momento che la determinazione finale è stata assunta senza il rispetto delle garanzie partecipative a beneficio del Comune (comunicazione di avvio del procedimento), senza che possa invocarsi l’applicazione scriminante di cui all’art.21 octies L.n.241/90, posto che l’atto impugnato è tipicamente discrezionale e le motivazioni rappresentate avrebbero abilitato il Comune ad interloquire con l’Amministrazione intimata, intervenendo nelle relative valutazioni, quanto meno in riferimento alla possibilità di imporre prescrizioni, piuttosto che assoggettare tout court il bene controverso al vincolo poi effettivamente imposto.

4. In data 21.7.2021 si costituiva in giudizio il Ministero della cultura, attraverso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Salerno, per resistere al ricorso, per le ragioni esplicitate nella memoria difensiva successivamente depositata l’8.9.2021, nella quale (in estrema sintesi) si evidenziava:

- nella fattispecie, l’Amministrazione erariale, conformandosi alla proposta della Soprintendenza, ha riconosciuto e dichiarato, per l’immobile, l’interesse culturale (storico-artistico) e, per il solo sedime, quello archeologico;

- secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, le valutazioni in ordine alla sussistenza dell’interesse culturale sono espressione di lata discrezionalità, talvolta tecnica, talaltra amministrativa, come tale di regola insindacabile, se non per evidenti profili di illogicità e contraddittorietà;

- la rilevanza dell’interesse può essere provata anche per presunzioni, essendo “sufficiente che il sito da vincolare risulti adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato”. E’ inoltre sufficiente che l’Amministrazione ritenga, sulla base dei dati in suo possesso, che il sottosuolo possa contenere reperti archeologici. Il provvedimento impugnato è adeguatamente motivato, ove si consideri che:

- l’immobile oggetto di verifica ricade in area di notevole interesse, nel perimetro della città romana di Salernum, e più precisamente a ridosso dell’Hortus Magnus di epoca longobarda;

- la relazione archeologica riporta ritrovamenti significativi in un’area limitrofa a quella in cui ricade l’immobile;

- la particella RR, in cui rientra il Museo del Falso, è posta in adiacenza all’attuale Museo provinciale di San Benedetto “che costituiva un complesso unico con il convento di San Benedetto, ed è situata sul medesimo lato su cui insistono i resti della reggia normanna di Roberto il Guiscardo, cd. Castel Terracena”;

- “l’area di sedime dell’edificio rappresenta un punto fondamentale per comprendere l’andamento e la cronologia delle cosiddette mura arechiane e per ricostruire la relazione tra il tracciato e la cosiddetta porta, nonché per chiarire le relazioni tra questa parte marginale del cosiddetto Hortus Magno e la parte bassa della città, dove almeno dal XIII sec. sembra svilupparsi un quartiere produttivo”;

- con riguardo alle doglianze prospettate da controparte:

a) quanto all’invocato decreto n.12/07, trattavasi di un procedimento assolutamente diverso, regolato dall’art.13 D.Lgs.n.42/04, relativamente ad immobili di proprietà privata, teso non già alla verifica della rilevanza culturale, ma all’assoggettamento alla sussistenza di un interesse culturale “particolarmente importante” o “eccezionale”. Per i beni pubblici, viceversa, ai sensi dell’art.12 D.Lgs.n.42/04 vige, oltre i settant’anni, una presunzione legale relativa di rilevanza culturale, salvo esiti della verifica di competenza del Ministero. E’ innegabile, per stessa ammissione del Comune, che si discorra di aree vicine a quelle del bene interessato e che sussista la ragionevole possibilità, documentalmente supportata, che nell’area sussistano beni da assoggettare a tutela;

- quanto all’invocata possibilità di imporre adeguate prescrizioni, anziché imporre il vincolo, si rileva che, trattandosi di vincolo diretto, in quanto imposto a tutela di un’area in cui sono stati ritrovati (o vi è la presunzione di rinvenire beni di rilevanza archeologica), non è possibile imporre prescrizioni, possibili solo a tutela di aree circostanti rispetto a quelle sottoposte a vincolo diretto;

- con riguardo alle aree limitrofe, alla Soprintendenza non è preclusa la possibilità di sottoporre successivamente, a seguito di ritrovamenti, i beni alla dichiarazione dell’interesse culturale;

- con riguardo all’eccepito deficit di garanzie procedimentali (rif. art.7 L.n.241/90), non vi era necessità di assicurare la partecipazione procedimentale, trattandosi di un procedimento ad istanza di parte;

- in merito all’eccepita tardività del gravato provvedimento, il superamento del termine fissato dalla legge non consuma il potere di provvedere, per costante giurisprudenza. Peraltro, la cronologia dei fatti dimostra ampiamente che il Comune ha avviato l’iter per la verifica dell’interesse culturale (nota del 6.10.20, acquisita a protocollo dall’Amministrazione il 10.10.20) ben dopo che era stato avviato il procedimento di dismissione del bene mediante asta pubblica (cfr. determina di approvazione del bando del 29.9.20, pubblicato il 2.10.20). E’ il Comune, pertanto, che ha violato la legge, posto che l’art.54 D.Lgs.n.42/04 rende gli immobili de quibus inalienabili, fino alla positiva conclusione dell’iter di verifica dell’interesse culturale.

5. Seguiva replica della difesa del Comune di Salerno, la quale, in estrema sintesi, deduceva quanto segue, insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso proposti nell’atto introduttivo del giudizio:

- il provvedimento è illogico, dal momento che il vincolo archeologico è apposto soltanto con riguardo all’area di sedime dell’immobile, e non è dato comprendere come possano essere proseguite le ricerche in un’area inaccessibile e mai esplorata;

- non è dato comprendere altresì come, a distanza di tanti anni intercorsi dal decreto n.12/07, sia possibile addivenire ad una determinazione che sovverte immotivatamente le conclusioni di allora e che, per converso, faccia presumere che la verifica dell’interesse culturale sia tuttora in corso, nonostante il decorso del tempo;

- viceversa, l’alienazione del bene, anche per il tramite delle prescrizioni che la Soprintendenza potrebbe impartire, si rivela l’unica strada percorribile per consentire al Comune di raggiungere gli obiettivi finanziari prefissati e, se del caso, riqualificare l’immobile attingendo ai relativi fondi.

6. Con ordinanza n.263/2021, pubblicata il 17.9.2021, questo Tribunale, ritenuto “che, stante la complessità della questione sottesa, meritevole di approfondimento, le contrapposte esigenze delle parti possano essere adeguatamente tutelate con la definizione del giudizio nel merito, ai sensi dell’art. 55, co.10 cpa”, fissava al 15.12.2021 l’udienza pubblica per la trattazione del ricorso nel merito.

7. All’udienza del 15 dicembre 2021 la causa è stata quindi trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La presente controversia ha ad oggetto l’impugnazione del decreto n.106 del 3.4.2021, con cui la commissione regionale istituita presso il Segretariato regionale della Campania del Ministero della cultura, ai sensi degli artt.10 e 12 D.Lgs.n.42/04, ha dichiarato il fabbricato de quo (denominato “ex Museo del Falso”), di proprietà del Comune di Salerno (ricorrente), di interesse culturale storico-artistico e, quanto al relativo sedime, altresì di interesse archeologico.

Il Comune lamenta che tale provvedimento, asseritamente illegittimo, reca pregiudizio al proposito di alienazione del bene, per cui è stata già attivata la relativa procedura di dismissione tramite asta pubblica, allo stato aggiudicata a terzi (in assenza di atto traslativo).

2. Il ricorso è infondato, avuto riguardo ai motivi di ricorso riportati al par.3 (e relativa sottonumerazione), della parte in fatto della presente decisione, e come meglio articolati nel relativo atto processuale, per le ragioni di seguito esposte.

3. Prima di esaminare i singoli motivi di ricorso, appare opportuno riepilogare le principali coordinate giuridiche della vicenda, alla luce delle evidenze fattuali palesate in giudizio.

La vicenda in parola trae origine dalla richiesta del Comune di Salerno, sottomessa con istanza prot.n.158779 del 6.10.2020, acquisita al prot.n.5207 del 7.10.2020, di verificare l’interesse culturale dell’immobile, ai sensi dell’art.12 D.Lgs.n.42/04 (allo scopo di procedere all’alienazione del bene). Detto immobile, infatti, appartenendo al patrimonio dell’ente locale e risultando edificato da oltre settant’anni, risulta ex lege sottoposto alla tutela recata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (e in particolare al regime di inalienabilità, ai sensi dell’art.54, co.2, lett. a) D.Lgs.n.42/04), fintantochè non sia compiuta la verifica di interesse culturale, demandata alle competenti strutture periferiche del Ministero della cultura (presunzione legale relativa di interesse culturale).

Va subito rilevato che, a rigore, il Comune avrebbe dovuto sottomettere la richiesta di verifica prima di procedere alla dismissione del bene: al contrario, risulta per tabulas che il bando per la dismissione (cfr. all.to n.8 deposito di parte ricorrente del 18.7.21) è del 29.9.2020, quindi antecedente alla richiesta di verifica (6.10.2020).

Con la gravata determinazione, motivata per relationem sulla base delle valutazioni all’uopo espresse dalla competente Soprintendenza, l’Amministrazione erariale, ritualmente evocata e quindi costituita in giudizio, ha dichiarato:

- quanto al fabbricato in sé, l’interesse culturale sotto il profilo storico-artistico;

- quanto all’area di sedime, l’interesse archeologico.

La distinzione non è priva di rilevanza, ai fini (precipuamente) dell’alienabilità del cespite, che rappresenta senza dubbio la principale ricaduta sostanziale della gravata determinazione: mentre la dichiarazione di interesse archeologico preclude, sic et simpliciter, la possibilità di alienazione (rif.. artt. 54, co.1, lett. a) e 55, co.1 D.Lgs.n.42/04), al contrario la dichiarazione di rilevanza culturale sotto il profilo storico-culturale, sebbene mantenga il bene nell’alveo generale delle disposizioni del Codice, nondimeno non preclude l’alienazione del bene.

Secondo il consolidato e condiviso orientamento della giurisprudenza, “il giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell'arte e dell'architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità. L'apprezzamento compiuto dall'Amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile” (da Consiglio di Stato, 4.9.2020, n.5357; cfr., sul tema, quam multis, Cons. Giust. Sicilia, Sez.G.le, 7.5.2021, n.406).

Il Collegio passa quindi ad esaminare i motivi di ricorso.

4. Con il motivo sub 3.1, si contesta la contraddittorietà del provvedimento, ed il correlato deficit istruttorio e motivazionale, nella misura in cui non vengono evidenziate ragioni plausibili per sovvertire le determinazioni in precedenza assunte dalla medesima Commissione regionale nel decreto n.12/07, che, pur avendo ad oggetto l’area ricompresa nel medesimo foglio catastale n.64, non impose vincoli sull’ex Museo del Falso, al contrario di quanto fece in relazione ad immobili ubicati in altre particelle limitrofe (es. part.lle 1527-1528).

L’Avvocatura erariale, sul punto, ha controdedotto evidenziando come, in occasione del decreto n.12/07, si trattasse di immobili di proprietà privata, nell’ambito del diverso procedimento, regolato dall’art.13 D.Lgs.n.42/04 (in riferimento all’art.10, co.3), volto ad accertare la sussistenza di un interesse culturale “particolarmente importante” o “eccezionale”.

L’argomentazione è pertinente, nel senso che, mentre per gli immobili di proprietà privata, l’apposizione del vincolo, ai sensi dell’art.10, co.3 D.Lgs.n.42/04, presuppone l’accertamento di un interesse culturale “particolarmente importante”, vale a dire particolarmente significativo, nel caso degli immobili pubblici, fatta salva la presunzione di rilevanza culturale fino all’espletamento dell’apposita verifica, l’art.12, co.2 D.Lgs.n.42/04 prevede che detta verifica sia diretta ad accertare l’interesse culturale, nella sue possibili declinazioni, senza necessità di motivazione (per così dire) rafforzata, come nel caso degli immobili privati. La ratio di tale distinzione è facilmente intuibile: nel caso di immobile nella titolarità di un soggetto privato, la sottrazione al regime di piena disponibilità del bene, naturaliter connessa al diritto dominicale, richiede una più pregnante valutazione in capo all’organo di tutela.

In ogni caso, si ritiene che, anche laddove i procedimenti (quello culminato nel decreto 12/07 e quello oggi attenzionato) fossero stati completamente omogenei, non si sarebbe potuta negare all’Amministrazione erariale la potestà di assoggettare ora a tutela il bene pubblico, se ritenuto di interesse culturale-archeologico, sussistendone i relativi presupposti, con valutazione- lo si rammenta- sindacabile dal giudice solo per manifesta illogicità o travisamento dei fatti.

5. Con il motivo sub 3.2, il Comune contesta nel merito il provvedimento, nella parte in cui (essenzialmente) il Ministero ha apposto il vincolo archeologico alla (sola) area di sedime del fabbricato, senza alcuna specifica motivazione, se non con la generica descrizione della posizione del bene, collocato nel “centro storico”, nel quale tuttavia sono presenti innumerevoli locali giammai assoggettati a tutela. In seconda battuta, il Comune eccepisce lo sviamento di potere in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione erariale, la quale- senza rinunciare ad una forma incisiva di tutela- avrebbe potuto imporre “prescrizioni” atte a salvaguardare comunque l’interesse archeologico, non impedendo tuttavia la libera circolazione del bene.

Ad avviso del Collegio, nel richiamare l’orientamento citato in premessa, circa la natura intrinsecamente discrezionale della valutazione sulla sussistenza dell’interesse culturale-archeologico ed i correlati limiti del sindacato giurisdizionale, l’operato dell’Amministrazione convenuta è immune dalle denunziate censure, ove si consideri che:

- il decreto n.106/2021 si fonda sulle argomentazioni della Soprintendenza, espresse nelle relazioni allegate al provvedimento, fra cui quella dedicata al profilo archeologico;

- tale relazione rappresenta, in modo sufficientemente preciso, che (fra l’altro) l’area di sedime del fabbricato è ubicata in prossimità del monastero di San Benedetto, nelle cui immediate vicinanze sono stati rinvenuti significativi reperti archeologici, a testimonianza delle dominazioni romana e longobarda. L’Avvocatura erariale ha anche fornito in giudizio documenti (v., in particolare, all.ti 3,4,5 deposito dell’8.9.21), congruenti con le rinvenienze palesate dalla Soprintendenza, atte a significare la rilevanza archeologica di siti/reperti ubicati in aree adiacenti a quella in contestazione.

Come insegna la consolidata giurisprudenza, il provvedimento di vincolo archeologico è legittimo anche laddove vi sia la rilevante probabilità di individuare reperti nel sottosuolo, in ragione della vicinanza con limitrofe aree/reperti archeologici, dei quali vi sia certezza di sussistenza e rilevanza (v., in tal senso, Consiglio di Stato, 4.11.2002, n.5997; Tar Salerno, 3.3.2011, n.397; Tar Catanzaro, 9.2.2005, n.91; Tar Lecce, 4.6.2012, n.1021; ma v., anche, Consiglio di Stato, 10.2.2020, n.1023; Tar Bari, 9.7.2021, n.1177).

Nel caso in esame, le argomentazioni fattuali portate dalla Soprintendenza (circa la rilevanza archeologica di reperti rinvenuti in aree limitrofe) non sono state confutate, se non con argomentazioni che, in buona sostanza, riconducono all’operato (asseritamente) contraddittorio dell’Amministrazione erariale rispetto al provvedimento adottato nel 2007, che (come detto) non ha riguardato l’immobile de quo (peraltro, come sopra rilevato, nel procedimento relativo ad immobili di proprietà privata). Anzi- come ha giustamente osservato l’Avvocatura erariale- l’affermata (dalla stessa difesa del Comune) vicinanza del sedime del fabbricato in questione rispetto alle zone centrali comprese nel foglio catastale n.64 (oggetto di “indagine” nel corso del procedimento concluso nel 2007), lungi dal costituire un fattore ostativo all’apposizione del vincolo, costituisce un elemento che, oggettivamente, supporta la determinazione impugnata di imposizione del vincolo e, con essa, la ipotizzata verosimile presenza, nel sottosuolo, di reperti archeologici da non trascurare;

- ulteriormente, appare logica la scelta di sottoporre a vincolo archeologico il solo sedime del fabbricato, in quanto- come emerge chiaramente dalla relazione archeologica soprintendentizia- è tale area che riveste particolare rilevanza sotto il profilo strettamente archeologico, in ragione della vicinanza con reperti significativi rinvenuti nelle vicinanze dell’area.

Un ulteriore profilo di doglianza attiene alla supposta violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa ed al connesso sviamento di potere, in ragione della mancata valutazione della possibilità di imporre prescrizioni (vincolo indiretto, previsto dagli artt.45 ss. D.Lgs.n.42/04), anziché dichiarare il sito di interesse archeologico, con la conseguente inalienabilità (vincolo diretto, ex artt.10 ss. D.Lgs.n.42/04).

Al riguardo, l’obiezione non persuade, giacchè l’introduzione del vincolo cd. indiretto presuppone l’esistenza di un provvedimento, valido ed efficace, di vincolo diretto (v., in tal senso, Tar Roma, 3.2.2020, n.1367; v., anche Consiglio di Stato, 10.1.2018, n.100), allo scopo di completare la tutela del bene sottoposto a vincolo diretto. In ogni caso, anche laddove si ritenesse che il vincolo indiretto sia introducibile a prescindere dall’esistenza di un vincolo diretto, non potrebbe negarsi che la scelta di introdurre il vincolo indiretto sia il frutto di una valutazione discrezionale della p.a., non avendo tale vincolo la stessa incisività nella tutela del bene culturale di quello diretto, che esclude la commerciabilità.

6. Con il motivo sub 3.3, il Comune ricorrente censura la violazione dei termini procedimentali, posto che la gravata determinazione è stata rilasciata (ben) oltre il termine di 120 giorni dalla richiesta, come previsto dall’art.12, co.10 D.Lgs.n.42/04.

Si rileva che, secondo la giurisprudenza, i termini per la conclusione del procedimento di apposizione del vincolo culturale non hanno carattere perentorio, né (quindi) privano l’Amministrazione del potere di intervento successivo (cfr., Consiglio di Stato, 29.7.2008, n.3795; Tar Cagliari, 19.2.2010, n.203), tanto più che, nel caso di specie, la presunzione legale di rilevanza culturale, espressa dall’art.12, co.1 D.Lgs.n.42/04, impedisce di ritenere, per il bene pubblico, che il regime vincolistico possa cessare in esito al mero decorso del termine di conclusione del procedimento.

Né appare astrattamente invocabile, in subiecta materia, il meccanismo del silenzio assenso fra p.a. ex art.17 bis l.n.241/90, con i correlati effetti ex art.2, co.8 bis L.n.24/90 (introdotto dall’art.12, co.1, lett. a) l.n.120/2020), posto che non si è in presenza di “atti di assenso, concerto o nulla osta” in relazione a procedimenti caratterizzati dalla co-gestione del vincolo, né il silenzio assenso ordinario di cui all’art.20 L.n.241/90, stante l’espresso divieto sancito dal co.4 del predetto articolo 20.

Inoltre, quanto all’invocata violazione del legittimo affidamento ingenerato (anche) dal ritardo, è agevole replicare che alcun affidamento poteva essere ingenerato, in assenza della compiuta verifica (ad opera del Ministero della cultura), da richiedersi previamente a cura dell’ente proprietario del bene ex art.12 D.Lgs.n.42/04.

7. Con il motivo sub 3.4. parte ricorrente, reiterando le censure già proposte, sotto il profilo della contraddittorietà e del deficit istruttorio e motivazionale, censura il provvedimento paventando lo sviamento di potere: esso finirebbe, in definitiva, non già per tutelare l’interesse culturale, bensì unicamente per danneggiare il Comune di Salerno, impedendo a quest’ultimo di dare corso al proposito di alienazione del bene.

In disparte le considerazioni che precedono relativamente alla sussistenza dei presupposti per l’apposizione del vincolo, giova evidenziare che giammai appare configurabile lo sviamento di potere, atteso che parte ricorrente non ha fornito la benchè minima prova della consapevolezza, in capo agli organi procedenti dell’Amministrazione convenuta, della volontà di contrastare il proposito di dismissione del bene e, vieppiù, della sua avanzata fase realizzativa (avvenuta attivazione dell’asta pubblica); nella nota del 6.10.2021, infatti, si chiede, genericamente, la verifica dell’interesse culturale rispetto all’immobile, ai sensi dell’art.12 D.Lgs.n.42/04, senza menzione di ulteriori circostanze.

8. In riferimento al motivo sub 3.5, quanto al profilo motivazionale si rinvia alle considerazioni che precedono. In merito alla dedotta violazione dell’art.7 L.n.241/90, è sufficiente evidenziare che la comunicazione di avvio del procedimento teso all’imposizione del vincolo non è necessaria nei procedimenti ad istanza di parte (cfr., quam multis, Tar Napoli, 7.10.2020, n.4309; Tar Roma, 1.6.2020, n.5841).

L’infondatezza del ricorso suggerisce di denegare, altresì, l’istanza istruttoria avanzata, in via principale o subordinata, dalla difesa del Comune resistente.

9. Per tutto quanto precede, il ricorso va respinto, in quanto infondato.

Le spese di giudizio possono nondimeno essere compensate, tenuto conto della particolarità della vicenda e della complessità delle questioni sottese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2021, con l'intervento dei magistrati:

Nicola Durante, Presidente

Paolo Severini, Consigliere

Igor Nobile, Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Igor Nobile

Nicola Durante

IL SEGRETARIO

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