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Concessione spazi pubblicitari

Pubblico
Venerdì, 18 Marzo, 2022 - 09:30

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA, Sezione giurisdizionale, sentenza n. 306 del 16 marzo 2022, sulla concessione di spazi pubblicitari.

MASSIMA

La qualificazione della concessione degli spazi pubblicitari destinati alla affissione privata va ricondotta alla concessione di bene pubblico e non alla concessione di servizi.

SENTENZA

N. 00306/2022REG.PROV.COLL.

N. 00777/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 777 del 2021, proposto dalla società
A. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuliana Ardito e Girolamo Calandra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Caltanissetta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Marcella Maria Pignatone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Giorgio Avv. Ganci in Palermo, via Catania n. 15;
Comune di Caltanissetta - Direzione II Lavori pubblici, non costituito in giudizio;

nei confronti

P.M.A. s.r.l., non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) n. 1090/2021, resa tra le parti,

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Caltanissetta;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2022 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La controversia riguarda la concessione degli spazi pubblicitari destinati alla affissione privata secondo quanto previsto dall'art. 2, lett. B) e 24 del Piano Generale degli Impianti Pubblicitari del Comune di Caltanissetta (delibera del C.C. n. 27 del 29/04/2010) per una superficie complessiva di metri quadri 2.160. 

2. La Alessi s.p.a. ha impugnato, con ricorso al Tar Sicilia – Palermo:  

- la nota 22 ottobre 2020 n. 104891, con la quale il Comune di Caltanissetta, a riscontro di istanza avanzata dalla Alessi il 12 ottobre 2020 per la revisione delle condizioni di equilibrio “del piano economico finanziario” della concessione degli spazi pubblicitari destinati alla affissione privata, microzona n. 7 (aggiudicata alla società nel mese di agosto del 2019), ha comunicato l'intenzione di voler portare a compimento tutta l'attività necessaria alla sottoscrizione del contratto; 

- ove occorrer possa e per quanto di ragione, le note 22 settembre 2020 n. 92876 e n. 92899 del Comune di Caltanissetta; 

- la nota 15 settembre 2020 n. 90316 del Comune di Caltanissetta; 

- la nota 4 febbraio 2020 n. 11916 del Comune di Caltanissetta; 

- ove occorra e per quanto di ragione, tutti i verbali della gara con procedura aperta ai sensi dell'art. 60 commi 1 e 3 del d. lgs. n. 50 del 2016, per l'affidamento – da parte del Comune di Caltanissetta ‒ della “concessione degli spazi pubblicitari destinati alla affissione privata secondo quanto previsto dall'art. 2, lett. B) e 24 del Piano Generale degli Impianti Pubblicitari (delibera del C.C. n. 27 del 29/04/2010) per una superficie complessiva di metri quadri 2.160”; 

- ove occorra e per quanto di ragione, i provvedimenti di aggiudicazione pronunciati con riferimento alle nove microzone assegnate a mezzo dell'espletata procedura aperta per l'affidamento della “concessione degli spazi pubblicitari”; 

- ove occorra e per quanto di ragione, il “Bando e disciplinare di gara” relativo alla suddetta procedura aperta, datato 24 gennaio 2019;  

- ove occorra e per quanto di ragione, il capitolato di appalto del dicembre 2018 (e degli allegati progettuali) per l'affidamento della suddetta concessione, pubblicato unitamente al bando di gara;  

- ove occorrer possa e per quanto di ragione, la determinazione dirigenziale n. 499 del 27 dicembre 2018, con la quale il Comune di Caltanissetta si è determinato nel senso di indire una nuova procedura aperta ai sensi dell'art. 60 commi 1 e 3 del d. lgs. n. 50 del 2016, recepito dall'art. 24 della l.r. n. 8 del 2016; 

- ove occorrer possa e per quanto di ragione, la deliberazione di Consiglio comunale n. 52 del 23 novembre 2017, di quantificazione del prezzo minimo da porre a base d'asta per l'assegnazione degli spazi pubblicitari, richiamata nella determinazione n. 499 del 27 dicembre 2018;  

- ove occorra e per quanto di ragione, la “determinazione del valore della concessione” del dicembre 2018, pubblicata sul sito del Comune di Caltanissetta in data 4 marzo 2019; 

- tutti gli altri atti presupposti, conseguenziali e comunque connessi.  

Il ricorso introduttivo contiene altresì la domanda di accertamento 

- dell'obbligo del Comune di Caltanissetta di procedere alla rideterminazione delle condizioni di equilibrio della concessione ai sensi dell'art. 165 del d.lgs. n. 50 del 2016 in quanto, per il verificarsi di fatti non riconducibili alla società aggiudicataria e del tutto imprevisti ed imprevedibili (emergenza sanitaria da COVID 19), si è determinata la sopravvenuta onerosità della concessione già aggiudicata; 

- in subordine, della sopravvenuta invalidità e/o illegittimità del provvedimento di aggiudicazione pronunciato in favore della Alessi, nonché di tutta la procedura di gara, per effetto del totale mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione dell'aggiudicazione. 

3. Con motivi aggiunti presentati il 4 gennaio 2021 Alessi ha chiesto la declaratoria di inefficacia e/o di nullità del contratto per “Concessione per l'affissione pubblicitaria privata relativamente alla microzona n.7 del P.G.I.P.”, rep. n. 4348 del 10 dicembre 2020 (approvato con delibera di C.C. n. 27 del 29 aprile 2010, CIG: 7725902006). 

4. Il Tar, con sentenza 2 aprile 2021 n. 1090, ha respinto il ricorso. 

5. Alessi ha appellato la sentenza con ricorso n. 777 del 2021. 

6. Nel presente giudizio si è costituito il Comune di Caltanissetta. 

7. All’udienza del 23 febbraio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 

DIRITTO

8. L’appello non è meritevole di accoglimento. 

9. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto più profili di censura della sentenza impugnata.

9.1. Con il primo profilo ha riproposto la censura di violazione dell’art. 32 comma 8 del d. lgs. n. 50 del 2016, che individua, per la stipula del contratto (o della concessione), il termine di 60 giorni dalla data in cui è divenuta efficace l’aggiudicazione. 

9.2. Il motivo è infondato.

In fatto il dato posto alla base della censura è costituito dall’intervallo temporale intercorso fra l’aggiudicazione, avvenuta con provvedimento 29 agosto 2019 n. 432, e la stipulazione del contratto, intervenuta il 10 dicembre 2020.

L’art. 32 comma 8 del d. lgs. n. 50 del 2016 dispone, nella formulazione ratione temporis vigente, che, “divenuta efficace l'aggiudicazione, e fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione deve avere luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero l'ipotesi di differimento espressamente concordata con l'aggiudicatario”.

La mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione da parte dell’operatore economico è sanzionata: il comma 6 dell’art. 83 del d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che la “garanzia provvisoria”, pari al 2 per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, copra la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario, con il correlato obbligo della stazione appaltante di svincolarla automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto.

D’altro canto, il mancato rispetto del termine di sessanta giorni per la stipulazione del contratto, previsto dall’art. 32 comma 8 del d.lgs. n. 50del 2016, non inficia la già completata (con l’aggiudicazione) procedura di evidenza pubblica, che si colloca logicamente e cronologicamente in una fase antecedente, consentendo solamente all’aggiudicatario di “sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto” e prevedendo che allo stesso “non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali documentate”.  

Sebbene la disposizione indichi il termine di sessanta giorni dal momento in cui diviene definitiva l'aggiudicazione per la stipula del contratto, tale termine non ha natura perentoria (Cons. St., sez. III, 26 marzo 2018 n. 1882), né alla sua inosservanza può farsi risalire ex sé un'ipotesi di responsabilità precontrattuale ex lege della pubblica amministrazione, se non in costanza di tutti gli elementi necessari per la sua configurabilità.

Le sole “conseguenze che derivano in via diretta dall'inutile decorso del detto termine sono: da un lato, la facoltà dell'aggiudicatario, mediante atto notificato alla stazione appaltante, di sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto; dall'altro, il diritto al rimborso delle spese contrattuali documentate, senza alcun indennizzo” (Cons. St., sez. III, 26 marzo 2018 n. 1882).

D’altro canto la giurisprudenza ha ritenuto rilevante il mutamento delle condizioni economiche prima della stipulazione del contratto quale causa di scioglimento dal vincolo derivante dall’aggiudicazione: “al momento della mancata conclusione del contratto di appalto e dell’adozione dell’atto di escussione della garanzia fideiussoria, sussisteva un evidente margine di incertezza sulla sostenibilità economica dell’offerta che, afferendo in particolare a circostanze sopravvenute allo svolgimento della gara, non può ridondare in danno dell’aggiudicataria, riconducendo ad essa il fatto della mancata sottoscrizione del contratto” (Cons. St., sez. IV, 29 ottobre 2020 n. 6620).

Nel caso di specie l’appellante ha rappresentato come le condizioni economiche fossero mutate, per cause ascrivibili essenzialmente all’emergenza pandemica, già prima della stipulazione del contratto, così come è evidenziato dalle note dell’appellante e dell’ASPES del 22 e 23 settembre 2020, dalla comunicazione di Alessi del 12 ottobre 2020 e dalla nota del Comune di Caltanissetta 22 ottobre 2020 n. 104991 (mentre il contratto è stato stipulato il 10 dicembre 2020).

In quella fase l’appellante è quindi tutelato con il riconoscimento della facoltà di sciogliersi dal vincolo derivante dall’aggiudicazione, nel caso di specie non esercitata. Ciò emerge anche dalla segnalazione n. 7 dell’8 luglio 2020, con il quale l’Anac ha rappresentato che il codice dei contratti pubblici consente la modifica del contratto soltanto in corso di esecuzione ai sensi dell’art. 106 del d. lgs. n. 50 del 2016 mentre la fase che precede la stipula del contratto valido ed efficace rimane presidiata dai principi dell’evidenza pubblica, i quali non consentono l’apprezzabile modifica dell’oggetto dell’appalto, se non a prezzo di vulnerare la par condicio tra i concorrenti.

Né depone in senso contrario il disposto dell’art. 4, comma 1, lettere a) e b), del d.l. 16 luglio 2020 n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, che modifica l’articolo 32 comma 8 nei termini che seguono: “Divenuta efficace l'aggiudicazione, e fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione deve avere luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero l'ipotesi di differimento espressamente concordata con l'aggiudicatario, purche' comunque giustificata dall'interesse alla sollecita esecuzione del contratto. La mancata stipulazione del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento all'interesse della stazione appaltante e a quello nazionale alla sollecita esecuzione del contratto e viene valutata ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto”. 

Detta disposizione non è infatti applicabile ratione temporis al caso de quo in quanto il bando della gara controversa è precedente all’entrata in vigore del d.l. n. 76 del 2020, risultando essere stato pubblicato nella Sezione Amministrazione Trasparente sul profilo del Committente, all'Albo Pretorio il 14 febbraio 2019 e, per estratto, nella GURS Parte II n. 6 dell’8 febbraio 2019 (dal preambolo del contratto).

In ogni modo dalla formulazione della medesima non si evince una presunta ipotesi di invalidità del contratto, atteso che il mancato rispetto del termine è collegato alla diversa conseguenza della responsabilità erariale (mentre si è già detto che il mancato rispetto di una regola afferente alla stipulazione del contratto non può inficiare il precedente provvedimento di aggiudicazione).

Del resto le regole della nullità virtuale che informano il contratto comportano che la conseguenza invalidante si determini allorquando la regola violata attiene al contratto in quanto tale, è stata posta a supporto di un interesse generale e ad essa non è ascritta dalla legge altra conseguenza. Nel caso di specie dette condizioni non sussistono, atteso che la regola violata attiene a una regola di comportamento collegata al precedente procedimento amministrativo, in quanto fa decorrere il termine da quest’ultimo, e non riguarda il contenuto del contratto, alla violazione della disposizione sul termine di stipulazione del contratto è ricondotta la responsabilità erariale e la prescrizione è posta a tutela dell’interesse dell’Amministrazione in quanto parte contraente, portatrice di interessi economici e patrimoniali.

9.3. La censura non è quindi meritevole di accoglimento.

9.4. Con ulteriore profilo di censura contenuto nel primo motivo l’appellante ha riproposto un’ulteriore doglianza, consistente nella violazione dell’art. 165 del d. lgs. n. 50 del 2016, che, al comma 6, prevede che “il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio. La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all'operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto”, oltre che dei principi sanciti dagli articoli 1664 c.c., 1467 c.c. e 1375 c.c. 

9.5. La doglianza non è meritevole di accoglimento.

L’art. 165 del d. lgs. n. 50 del 2016 disciplina il rischio ed equilibrio economico-finanziario nelle concessioni di lavori e di servizi.

La concessione intorno alla quale si controverte non può essere qualificata in tal senso, benché sia stata definita negli stessi atti di gara come concessione di servizi.

Rispetto alla nozione di concessione di servizi dalla documentazione di gara non è dato evincere sia l’aspetto di allocazione dei rischi che caratterizza l’istituto della concessione, sia i connotati minimi della nozione di servizio.

La concessione (di lavori e di servizi) è istituto caratterizzato dall’assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione del rapporto (art. 3 comma 1 lett. zz del d. lgs. n. 50 del 2016).

Il rischio operativo è il rischio legato alla gestione sul lato della domanda o sul lato dell'offerta o di entrambi, trasferito all'operatore economico, di modo che non sia garantito all’operatore il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei servizi oggetto della concessione ed esso sia esposto realmente alle fluttuazioni del mercato.

Il rischio dell’offerta è legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti, mentre il rischio di domanda è correlato ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa.

La concessione è quindi connotata da una struttura trilaterale, nella quale il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione (e il rischio operativo), oltre che con il concedente, che comunque non può devolvere contributi che, sommati al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento, superiori al quarantanove per cento del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari. E ciò al fine di non far venir meno il rischio operativo del concessionario.

Nel caso di specie, invece, il concessionario non riceve alcuna remunerazione per l’attività svolta, né da parte dell’Ente pubblico, né da parte di teorici fruitori del servizio, non assumendo quindi un rischio operativo.

Si tratta infatti di un contratto attivo dell’Amministrazione, alla quale viene pagato un prezzo da parte del concessionario per l’utilità ricevuta (su cui infra).

Che il rischio non connoti il rapporto pattizio in esame, e che quindi detto rapporto non possa essere qualificato in termini di concessione di servizi, si desume anche dal fatto che fra la documentazione che gli operatori interessati sono tenuti a presentare per partecipare alla gara, comprensiva della documentazione amministrativa e dell’offerta economica, non è indicato alcun documento che possa essere qualificato in termini di piano economico-finanziario, in tesi da revisionare ai sensi dell’art. 165 comma 6 del d. lgs. n. 50 del 2016 (“Il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio”) al fine di garantire quell’equilibrio economico finanziario definito all'art. 3 comma 1 lettera fff) del d. lgs. n. 50 del 2016 che rappresenta il presupposto per la corretta allocazione dei rischi (art. 165 comma 2 d. lgs. n. 50 del 2016).

A ciò si aggiunge che oggetto del rapporto negoziale non è un servizio.

Non è un servizio strumentale alle esigenze di gestione del Comune in quanto non soddisfa alcuna necessità derivante dall’Amministrazione in quanto soggetto avente bisogni propri, connessi al sostentamento del medesimo.

Non è un servizio pubblico reso all’utenza (i cittadini non ricevono un’utilità per ottenere la quale pagano una qualche forma di corrispettivo) per la soddisfazione di interessi generali o comunque per le finalità ritenute meritevoli di tutela e di cui l’Amministrazione abbia ritenuto di farsi carico e di erogare o comunque di gestirne l’erogazione. Piuttosto la finalità della concessione è il miglior utilizzo di un bene pubblico (lo spazio pubblicitario), al fine di ricavarne la maggiore valorizzazione possibile in termini finanziari, con il vincolo, derivante dall’oggetto della concessione di beni, di utilizzare lo spazio per fini pubblicitari.

In tale contesto le società concessionarie svolgono l’attività pubblicitaria a vantaggio di terzi erogando una prestazione tipicamente oggetto di un mercato concorrenziale e rispetto alla quale l’Ente pubblico si limita a offrire uno spazio ulteriore per la relativa erogazione.

Con il bando è stato dato avvio a una procedura aperta per l’affidamento della “concessione degli spazi pubblicitari destinati alla affissione privata secondo quanto previsto dall’art. 2, lett. B) e 24 del Piano Generale degli Impianti Pubblicitari (delibera del C.C. n. 27 del 29/04/2010) per una superficie complessiva di metri quadri 2.160”, divisa in nove microzone (la Alessi è risultata aggiudicataria della microzona n. 7, come da provvedimento n. 432 del 29 agosto 2019).

Il criterio di aggiudicazione è rappresentato dalla “migliore offerta economica in rialzo”.

Nel bando e nel capitolato, oltre a non essere richiesta la presentazione di un’offerta tecnica né a essere prescritta l’indicazione, nell’offerta economica, di elementi ulteriori rispetto al rialzo presentato, se non i costi del personale e della sicurezza aziendale, non sono indicate modalità di espletamento dell’attività pubblicitaria, laddove connotato tipico della concessione di servizi è rappresentato dall’indicazione del “modo migliore per gestire […] la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza ed accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utenza nei servizi pubblici” (art. 166 del d. lgs. n. 50 del 2016). Se oggetto della concessione fosse stato un servizio pubblico l’Amministrazione avrebbe invece dovuto preoccuparsi delle modalità attraverso le quali soddisfare l’esigenza collettiva attraverso la previsione di canoni e criteri di svolgimento dell’attività.

In altri termini, l’attività che viene compiuta negli spazi pubblicitari non è, in quanto tale, un’attività dell’Amministrazione (nel senso che essa non compie attività pubblicitaria, né la organizza, limitandosi a fornire alcuni degli spazi ad essa dedicati), non domina quindi l’aspetto della concessione di servizi, nella quale il godimento del bene è solo uno degli elementi del contratto di servizio.

Nel caso di specie il godimento del bene, e i vincoli che questo comporta, costituisce proprio l’oggetto principale del contratto.

Nel capitolato, infatti, l’oggetto della concessione viene indicato come “diritto di privativa, per la durata di un triennio, di effettuare la pubblicità commerciale nell’ambito di ogni singola microzona”.

La nozione di privativa richiama il concetto di esclusività. L’uso del bene pubblico è esclusivo nel caso in cui costituisca l’oggetto di una concessione rilasciata al privato, che acquisisce la facoltà di godere delle utilities del bene in modo esclusivo.

Nel caso di specie il bene è costituito dallo spazio e l’utilitas è rappresentata dalla facoltà di affiggere pubblicità (nel rispetto di alcune regole che informano l’uso del bene).

E’ pur vero che nel contratto stipulato si legge che il concessionario “ha l’obbligo di gestire il servizio nel rispetto del capitolato d’appalto e dell’offerta economica”.

Nondimeno nell’offerta economica non è previsto alcun vincolo relativo al “servizio” da rendere, limitandosi a contenere indicazioni sul rialzo presentato e i costi del personale e della sicurezza aziendale, mentre il capitolato contiene le indicazioni necessarie per individuare la microzona 7 e l’ubicazione, le caratteristiche e la consistenza degli impianti pubblicitari, cioè le modalità di fruizione delle aree concesse, oltre all’obbligo di pagamento del prezzo da parte dell’aggiudicataria.

Dette prescrizioni sono piuttosto funzionali a garantire che lo spazio concesso sia utilizzato per la finalità prevista, a garanzia del proprietario pubblico del bene e del vincolo di destinazione imposto, non a garantire uno standard di espletamento del servizio all’utenza.

Così rispondono alla medesima finalità il requisito di partecipazione alla gara, che è costituito dall’iscrizione al registro della camera di commercio per “attività inerente servizi pubblicitari” e il requisito economico-finanziario di avere realizzato un fatturato di 150.000,00 euro nei servizi pubblicitari.

Quanto sopra, e in particolare la qualificazione della concessione di spazi pubblicitari come concessione di bene pubblico, è in linea con quanto affermato dall’Adunanza plenaria sul punto. La concessione di spazi pubblicitari è una “concessione tramite gara dell'uso di beni pubblici per l'esercizio di attività economiche private è istituto previsto nell'ordinamento, essendo perciò fondata la qualificazione della gara come strumento per assicurare il principio costituzionale della libera iniziativa economica anche nell'accesso al mercato degli spazi per la pubblicità (Cons. Stato, V, n. 529 del 2009, cit; cfr. anche VI, 9 febbraio 2011, n. 894).  

Quanto sopra è peraltro coerente con i principi comunitari, in particolare di non discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza; questo Consiglio ha infatti chiarito da tempo che, sul presupposto per cui con la concessione di un'area pubblica si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato (come è nella specie), si impone di conseguenza una procedura competitiva per il rilascio della concessione, necessaria per l'osservanza dei ricordati principi a presidio e tutela di quello, fondamentale, della piena concorrenza” (Ad. plen. 25 febbraio 2013 n. 5).

In ragione della qualificazione della concessione de quo come concessione di servizi, oltre che della mancanza del piano economico-finanziario in tesi da revisionare, è quindi inapplicabile l’art. 165 del d. lgs. n. 50 del 2016.

Ai contratti attivi si applicano infatti, ai sensi dell’art. 4 del d. lgs. n. 50 del 2016, i soli principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica mentre con specifico riferimento alla concessione di spazi pubblici scarsi si rileva che l’art. 12 della direttiva 2006/123 pretende una procedura di gara trasparente ed imparziale per il rilascio di autorizzazioni in caso di scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili (“qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”).

In ogni caso, sembra utile osservare che se anche si fosse ritenuta applicabile la richiamata disposizione alla fattispecie in esame, ugualmente la pretesa della parte appellante non avrebbe potuto essere accolta.

Invero, l’eventuale mancato adempimento dell’obbligo di rinegoziazione non integra un vizio di validità della concessione, ma consente soltanto il recesso di una delle parti in caso di mancato accordo: ai sensi dell’art. 165 del d. lgs. n. 50 del 2016, infatti “In caso di mancato accordo sul riequilibrio del piano economico finanziario, le parti possono recedere dal contratto”.

Ed in questa ipotesi, il concessionario potrebbe aver diritto (soltanto) al rimborso degli “importi di cui all'articolo 176, comma 4, lettere a) e b), ad esclusione degli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse”.

9.6. La censura non è quindi meritevole di accoglimento a cagione dell’inapplicabilità della disposizione invocata: ma se anche quest’ultima fosse stata applicabile alla fattispecie dalla stessa si ricava un precetto che, semmai, è opposto a quello invocato; che esclude la sussistenza di un diritto potestativo ad ottenere la modifica delle condizioni negoziali; e che sembra espressivo di un principio più generale (art. 1467 c.c.) ricavabile dalla norma-cardine civilistica sulla quale di qui a breve ci si soffermerà.

9.7. Con ulteriore censura l’appellante ha dedotto che la necessità della revisione dei termini della concessione in oggetto (a causa degli eventi straordinari ed imprevedibili intervenuti) troverebbe conferma nelle norme civilistiche che, diversamente da quanto si legge nella sentenza gravata, si applicherebbero alla materia delle concessioni e degli appalti pubblici per effetto del richiamo contenuto al comma 8 dell’articolo 30 del d. lgs. n. 50 del 2016. Il riferimento è agli art. 1664 e 1467 c.c.

L’articolo 1664 c.c. dispone che in presenza di circostanze imprevedibili che abbiano determinato uno squilibrio sinallagmatico, con conseguente sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione, l’appaltatore può chiedere una revisione del prezzo. A sua volta, l’articolo 1467 c.c. prevede che se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di accadimenti straordinari ed imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può chiedere la risoluzione.

9.8. Il Collegio osserva quanto segue.

I rimedi civilistici richiamati dall’appellante attengono alla fase esecutiva del rapporto contrattuale prevedendo che eventuali elementi imprevedibili che si siano verificati nel corso della medesima possano rilevare, in funzione manutentiva o estintiva, così superando il carattere vincolante del contratto.

Essi non trovano un esplicito ostacolo nella diversa disciplina delle sopravvenienze dettata dal d. lgs. n. 50 del 2016, in quanto ai contratti attivi si applicano i principi relativi alle procedure di affidamento del contratto, non all’esecuzione del medesimo, e costituiscono espressione della tematica della gestione delle sopravvenienze e dell’eccessiva onerosità sopravvenuta che si pone in relazione a quei contratti la cui esecuzione non risulta contestuale alla loro stipula.

Nondimeno si rileva che l’istituto della concessione è un istituto tipicamente di diritto pubblico.

La concessione costituisce infatti il viatico di ingresso della posizione del concessionario all’interno dell’ordinamento giuridico generale, nel senso che, in mancanza dell’atto, il destinatario non è legittimato, sulla base delle regole giuridiche generali, a svolgere quell’attività o a ricoprire quella posizione. Ciò in quanto i procedimenti concessori hanno a oggetto l’amministrazione di interessi relativi a beni della vita riservati ai pubblici poteri. L’attribuzione ai privati delle posizioni che involgono tali interessi pubblici avviene sul presupposto di una previa decisione in tal senso dell’Amministrazione rispetto alla quale il soggetto istante è portatore di una posizione di interesse legittimo.

Dal punto di vista funzionale la concessione è storicamente nata come atto di benevolenza sovrana attributivo di un privilegio (di cui intestatario era proprio il monarca). Attualmente le concessioni possono avere un contenuto variegato, ricomprendendo ipotesi di organizzazione della sovranità (attraverso la concessione della cittadinanza), di uso di beni pubblici, di erogazione di servizi pubblici e di erogazione di sovvenzioni.

Il connotato che le accomuna sta proprio nell’accordare al privato una posizione che altrimenti non avrebbe avuto nell’ambito dell’ordinamento, rispettivamente quella dello status di cittadino, dell’utilizzatore del bene pubblico, dell’esercente il pubblico servizio e del partecipante al programma politico pubblico al quale è funzionale la convenzione.

Tale attribuzione si fonda su una riserva di posizione dell’Amministrazione, nel senso che l’ordinamento assegna all’attore pubblico un particolare status di tutela di un certo interesse, consentendogli di poter coinvolgere un soggetto terzo nella relativa gestione. Il connubio fra i due soggetti è tale che il concessionario risponde a titolo di responsabilità erariale acquisendo così un connotato pubblicistico.

Gli aspetti sopra trattati relativi all’istituto della concessione depongono per un inquadramento sensibilmente pubblicistico dell’istituto, che infatti si muove tipicamente nei limiti dettati dal principio di legalità, nel senso che, in termini generali, la riserva trova fondamento in una norma di legge e così il potere di concederla ad altri.

Nondimeno, in tale materia, il principio di legalità è connotato da alcune particolarità.

Da un lato la vera e propria riserva può trovare fondamento, oltre che in una legge, in un atto amministrativo, sempre che dell’interesse pubblico sotteso sia intestatario per legge il concedente.

Dall’altro lato la concessione è connotata da un effetto non autoritativo nei confronti del destinatario (che ha presentato istanza di concessione), che consente una generalizzata applicazione dell’istituto a meno che non sia vietato dalle regole ordinamentali.

Il provvedimento concessorio è in ogni caso un provvedimento amministrativo posto che, come tutti i provvedimenti amministrativi, costituisce il risultato del bilanciamento fra gli interessi coinvolti, fra i quali si rinvengono gli interessi pubblici sottesi alla riserva o comunque alla necessità di assumere l’erogazione del servizio, e si connota per il fatto che attribuisce al privato prerogative che, nell’ordinamento generale, sono proprie soltanto del soggetto pubblico, essendo il portato della posizione di autorità che lo connota, e nel contempo esclude altri da quella posizione.

Né fa venir meno la connotazione pubblicistica del rapporto concessorio, quando essa è presente nei termini sopra delineati, la circostanza che debba applicarsi la procedura a evidenza pubblica per addivenire alla scelta del concessionario.

I contratti a evidenza pubblica, infatti, sono una categoria procedimentale, che dal punto di vista sostanziale può essere applicata a contratti diversi, ordinari, speciali e a oggetto pubblico.

L’aspetto procedimentale, e l’imposizione di regole che garantiscano concorrenza fra gli aspiranti, trova il proprio ancoraggio, nell’ambito dell’ordinamento italiano, nel principio di uguaglianza e di libertà economica e, nell’ambito del diritto UE, nei principi del mercato comune e di libera prestazione dei servizi, oltre che nelle direttive di settore (dir. 89/440/CEE, direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE e direttive n. 2014/23, 2014/24 e 2014/25/UE, attuate con il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50).

Il connubio che, a seguito della concessione, si instaura fra soggetto pubblico e privato è tale da coinvolgere quest’ultimo nel programma pubblico facendolo partecipe della posizione, a volte anche autoritativa, che lo connota e comunque utilizzando proprio quella posizione per implicarlo.

La concessione, pertanto, instaura un rapporto di diritto pubblico fra Amministrazione concedente e concessionario, che rivestono (la prima) una posizione autoritativa che si compendia in una situazione di interesse legittimo (del secondo). Tale rapporto si connota anche di profili patrimoniali, che sono regolati nell’ambito della convenzione stipulata fra i due enti. Per lungo tempo si è parlato di concessioni-contratto.

In tale prospettiva la concessione, dal punto di vista dell’ordinamento italiano, non esaurisce la sua funzione pubblica nel momento in cui, attraverso il provvedimento amministrativo, a seguito di una procedura, viene individuato il concessionario e affidato al medesimo il servizio. Essa, infatti, affondando le proprie radici in una riserva di amministrazione (quindi in un settore di interesse pubblico) è tesa alla regolamentazione e al controllo dell’esercizio della prerogativa concessa. La sua missione pubblicistica è proprio quella di garantire l’implementazione di quella prerogativa e, nel caso di concessione di bene pubblico, l’uso del medesimo nel rispetto della destinazione.

Specularmente è prevista una fattispecie di giurisdizione esclusiva che arriva a coprire anche il momento esecutivo relativamente alle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche (art. 133, comma 1, lett. b) c.p.a.).

Le ragioni dell’individuazione di materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si rinvengono nella difficoltà intrinseca di distinguere i due tipi di situazione giuridiche soggettive, diritti e interessi legittimi.

Negli ambiti devoluti alla giurisdizione esclusiva, pertanto, non ponendosi in discussione la diversità di relazioni intercorrenti tra singolo e amministrazione che interesse legittimo e diritto soggettivo esprimono si prescinde, quanto meno ai fini di individuare il giudice dotato di giurisdizione, dall’indagine sulla natura degli atti che le fronteggiano.

Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva si caratterizzano, quindi, per la compresenza di interessi legittimi e diritti soggettivi strettamente connessi tra loro, cioè per “la inscindibilità delle questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, e per la prevalenza delle prime” (Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204).

E, anzi, la compatibilità costituzionale delle norme di legge devolutive di controversie alla detta giurisdizione richiede proprio che vi siano coinvolte situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse (Corte cost. 15 luglio 2016, n. 179).

Ciò in quanto i poteri che connotano l’autorità amministrativa possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi, sia mediante moduli consensuali, sia mediante comportamenti, così interagendo con variegate e sovrapponibili situazioni giuridiche soggettive.

La giurisprudenza della Corte costituzionale, che si è misurata in particolare con l’attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva in vasti settori dell’agire pubblico a opera degli artt. 33 e ss. d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituiti dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, identifica, in particolare, i criteri che legittimano tale giurisdizione in riferimento esclusivo alle materie prescelte dal legislatore e all’esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, di un potere pubblico (Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191), così escludendo i “meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio” (Corte cost. 15 luglio 2016, n. 179).

La connotazione pubblicistica dell’istituto della concessione di beni e la devoluzione della materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo possono quindi far ritenere che non siano applicabili gli istituti civilistici richiamati dall’appellante al rapporto concessorio, se non con riferimento ai principi ad essi sottesi e alle istanze di buona fede quale canone relazionale generale, indicato anche dall’art. 1 comma 2-bis della legge n. 241 del 1990 con specifico riferimento ai rapporti tra il cittadino e l’Amministrazione.

In tale prospettiva il Collegio valuta l’applicabilità al caso di specie degli istituti disciplinati dall’art. 1467 c.c. e dall’art. 1664 c.c.

Nel caso di specie l’appellante ha rappresentato come le condizioni economiche fossero mutate, per cause ascrivibili essenzialmente all’emergenza pandemica, già prima della stipulazione del contratto.

L’appellante e l’ASPES (associazione di categoria che tutela le ditte che operano nel settore della pubblicità) infatti, il 22 e 23 settembre 2020 hanno avanzato una richiesta volta ad avviare un percorso per la revisione delle condizioni della concessione (non ancora stipulata).

L’appellante, con atto 12 ottobre 2020, è tornata a richiedere all’Amministrazione l’avvio di una trattativa.

Il Comune di Caltanissetta, con nota 22 ottobre 2020 n. 104991, si è limitato a rappresentare alla società che “è stata avviata la relativa attività istruttoria ma si ritiene in ogni caso necessario che venga portata a compimento tutta l’attività preliminare per la sottoscrizione del contratto”.

Il Comune di Caltanissetta, con nota 7 dicembre 2020 n. 124345, ha annunciato alla Alessi che “la data per la stipula del contratto digitale è fissata per giovedì 10/12/2020”, allegando la bozza del contratto contenente le medesime condizioni già individuate in sede di aggiudicazione.

Il contratto è stato stipulato il 10 dicembre 2020.

Dopo la pubblicazione della sentenza del Tar, il 28 aprile 2021, la Alessi ha chiesto di concludere il procedimento avviato nel mese di settembre 2020.

Il Comune, con nota 11 maggio 2021 n. 60912, ha affermato che deve essere dimostrato l’effetto della pandemia sul rapporto concessorio, e che tale effetto potrà determinarsi soltanto al momento di avvio della medesima (“al momento l’effetto della pandemia non può avere inciso sul contratto di concessione”), cioè dopo la comunicazione di fine lavori, ferma restando la disponibilità a tenere conto delle “vostre considerazioni economiche sulla questione”.

La Alessi, con lettera 3 giugno 2021, ha scritto al Comune, facendo presente che gli effetti della crisi pandemica nello specifico settore della pubblicità sono attuali e concreti e ha rappresentato come la società, a partire dal primo gennaio 2021, ha rimosso gli impianti presenti sul territorio comunale in vista del rilascio delle autorizzazioni, rilascio concretizzatosi l’8 aprile 2021, con la conseguenza dell’installazione dei nuovi impianti verosimilmente non prima del mese di luglio 2021.

Con specifico riferimento alla fase che precede la stipulazione del contratto, e alle relative interlocuzioni, già oggetto del giudizio di primo grado, il privato aggiudicatario della gara ha quale strumento di tutela dei propri interessi la possibilità, riconosciuta espressamente dall’art. 32 comma 8 del d. lgs. n. 50 del 2016 ma espressione di un principio generale di buona fede (in forza del quale la proposta contrattuale è irrevocabile per un tempo definito, ai sensi dell’art. 1328, in ragione della tutela della libertà contrattuale), di sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto allorquando sia decorso il termine di sessanta giorni da quando l’aggiudicazione è divenuta efficace, come nel caso di specie.

Né i principi di imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità, applicabili ai contratti attivi ai sensi dell’art. 4 del d. lgs. n. 50 del 2016, consentono all’Amministrazione di modificare le condizioni contrattuali pubblicizzate in sede di gara, pena la violazione dei principi di competitività che la informano.

D’altro canto, in base a quanto emerge dalla determinazione 29 agosto 2019 n. 432, sono state solo sei le offerte presentate rispetto alle nove microzone in gara e posto che le altre cinque partecipanti sono risultate aggiudicatarie su microzone diverse dalla n. 7 e che le regole di gara impedivano di ottenere l’assegnazione di più di una microzona, l’appellante non risulta avere competitor a parità di condizioni, con le dovute conseguenze in punto di decisione di sciogliersi dal vincolo e di indizione di una nuova gara.

Del resto, l’eventuale scioglimento dal vincolo avrebbe anche impedito il prodursi delle conseguenze paventate da parte appellante (e poste dal medesimo a giustificazione della sottoscrizione del contratto), relative all’intenzione di evitare la segnalazione all’ANAC e l’escussione della cauzione prestata a garanzia.

Né depone in senso contrario il richiamo all’atto di segnalazione n. 7 dell’8 luglio 2020, con il quale l’Anac ha rappresentato che il codice dei contratti pubblici consente la modifica del contratto soltanto in corso di esecuzione ai sensi dell’art. 106 del d. lgs. n. 50 del 2016 mentre la fase che precede la stipula del contratto valido ed efficace rimane, invece, presidiata dai principi dell’evidenza pubblica, i quali non consentono l’apprezzabile modifica dell’oggetto dell’appalto, se non a prezzo di vulnerare la par condicio tra i concorrenti. L’Autorità ha quindi rappresentato l’opportunità, in ragione dell’emergenza pandemica, di intervenire su detta fase con riferimento specifico al settore dei lavori, cui si applica appunto l’art. 106, e non in riferimento ai contratti attivi quale la concessione di spazi di affissione.

Tanto basta per ritenere infondata la censura.

In ogni caso si aggiunge che l’art. 1467, rimedio generale applicabile a tutti i contratti a esecuzione continuata, periodica, prolungata o differita, contiene un rimedio estintivo, che lascia alla sola volontà di controparte l’attivazione dell’istituto manutentivo della modifica equa delle condizioni contrattuali.

Il rimedio manutentivo di cui all’art. 1467 c.c., quindi, non può essere invocato direttamente dalla parte che subisce il peggioramento imprevedibile delle condizioni contrattuali, potendo essa domandare la risoluzione che può essere impedita dall’esercizio, da parte di controparte, delle facoltà di modificare equamente le condizioni del contratto.

L’art. 1664 c.c. è espressione del medesimo principio generale dell’eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 c.c.

Le due norme si distinguono in relazione all’ambito di applicazione e ai rimedi che le stesse forniscono.

L’art. 1664 c.c. risulta avere una portata circoscritta, potendo trovare applicazione, almeno secondo l’opinione tradizionale, nell’ambito del contratto di appalto e in relazione a quelle circostanze sopravvenute che soddisfano i presupposti da questa individuati.

Gli istituti di cui all’art. 1467 c.c. e di cui all’art. 1664 c.c. si distinguono anche in relazione agli effetti da queste derivanti. L’art. 1467 c.c., infatti, individua la risoluzione del contratto come principale rimedio all’eccessiva onerosità sopravvenuta, rimettendo la possibilità di ricondurre il contratto ad equità all’iniziativa della parte nei cui confronti è stata chiesta la risoluzione. Per converso, l’art. 1664 c.c. prevede l’adeguamento del contratto come unica soluzione al sopraggiungere di circostanze sopravvenute in grado di incidere sull’equilibrio delle prestazioni.

Anche considerando le istanze dell’impostazione volta a consentire l’applicazione analogica dell’art. 1664 c.c., nella presente sede appare sufficiente rilevare come tale disposizione trovi la propria giustificazione nella dinamica sottesa al contratto di appalto che, essendo tendenzialmente volto alla realizzazione di un’opera o alla fornitura di un servizio caratterizzati da un alto grado di complessità, obbliga l’appaltatore a porre in essere una serie di attività preparatorie preordinate alla corretta esecuzione del contratto. Pertanto l’art. 1664 c.c., prevedendo il solo rimedio dell’adeguamento, è specificatamente volto a tutelare l’appaltatore da imprevedibili aumenti del costo dei fattori che incidono sullo svolgimento del servizio. Tale necessità si pone soprattutto in relazione a quei contratti di lunga durata che richiedono, per la loro esecuzione, l’allestimento di una vera e propria struttura produttiva e il compimento di atti prodromici all’adempimento. In questo contesto, un ruolo primario è rivestito dal contratto di appalto che, essendo volto alla realizzazione di un’opera o alla fornitura di un servizio tendenzialmente caratterizzati da un alto grado di complessità, obbliga l’appaltatore a porre in essere una serie di attività preparatorie preordinate alla corretta esecuzione del contratto.

Nel caso di specie la qualificazione dell’oggetto della gara in termini di concessione di bene, nella quale lo svolgimento dell’attività non costituisce l’oggetto diretto del rapporto negoziale ma la sola finalità vincolata dell’uso del bene, osta all’applicazione dell’istituto di cui all’art. 1664 c.c.

9.9. La censura non è quindi meritevole di accoglimento, così non potendosi accogliere alcuno dei profili dedotti con il primo motivo d’appello.

10. Con il secondo motivo l’appellante ha riproposto la censura di violazione dell’art. 30 del d. lgs. n. 50 del 2016, nel quale si prevede che il principio di economicità, posto a fondamento dell’affidamento e dell’esecuzione degli appalti e delle concessioni, possa essere subordinato alla tutela della salute.

L’appellante ha di seguito richiamati la domanda dalla medesima presentata in via subordinata al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia e/o nullità e/o illegittimità della concessione stipulata per effetto del venir meno del presupposto stesso della concessione e cioè di quel rischio operativo che connota la concessione di servizi.

Quanto a quest’ultimo aspetto si richiama quanto sopra argomentato in ordine alla qualificazione del rapporto de quo come concessione di beni, alla quale non può essere ricollegata la tematica del rischio operativo, essendo un contratto attivo per l’Amministrazione.

Con riferimento invece al fatto che il principio di economicità possa essere subordinato alla tutela della salute, così come specificato nel richiamato art. 30 del d. lgs. n. 50 del 2016, si rileva, da un lato, che non si rinviene le ragioni di salute che abbiano interessato la concessione de quo, essendo piuttosto la situazione creatasi con l’emergenza pandemica ad avere determinato (in tesi) un mutamento delle condizioni economiche (non di salute) del concessionario, e, dall’altro lato, la disposizione prevede che le istanze di salute possano trovare rispondenza specificamente nei criteri stabiliti dal bando, circostanza che non ricorre nel caso di specie.

10.1. La censura non è quindi meritevole di accoglimento.

11. Con il terzo motivo l’appellante ha dedotto la violazione del principio di correttezza e di buona fede espressamente richiamati dal codice dei contratti pubblici (art. 30 del d. lgs. n. 50 del 2016), oltre che i principi di buon andamento ed imparzialità della P.A. sanciti dall’articolo 97 della Costituzione. In particolare, l’art. 1375 c.c. impone alle parti di eseguire il contratto secondo buona fede.

11.1. Circa l’art. 30 del d. lgs. n. 50 del 2016 si richiama quanto sopra argomentato circa l’inapplicabilità del medesimo al caso di specie, anche in ragione del fatto che le circostanze imprevedibili che avrebbero determinato la modifica delle condizioni contrattuale si sono verificate, secondo quanto esposto dall’appellante, prima della stipulazione del contratto, così rendendo inapplicabile altresì l’art. 1375.

D’altro canto, le regole concorrenziali di scelta del contraente, applicabili ai contratti attivi ai sensi dell’art. 4 del d. lgs. n. 50 del 2016, impediscono di ritenere che il principio di buona fede possa imporre all’Amministrazione di modificare, in sede di stipulazione del contratto, le condizioni negoziali sulle quali si è svolto il confronto competitivo (che, anzi, è impedito, come sopra già illustrato), facoltizzando piuttosto il privato a sciogliersi dal vincolo decorso il termine previsto per il perfezionamento del rapporto, facoltà non esercitata nel caso di specie, atteso che il canone della buona fede non può superare regole di condotta imposte espressamente dalla normativa, potendo al più integrarne il contenuto.

A fronte di ciò è irrilevante stabilire chi, fra l’Amministrazione e la parte privata, abbia ostacolato la richiesta revisione delle condizioni contrattuali, così risultando inconferente se l’Amministrazione ha manifestato “una chiara volontà [...] di procedere ad una trattativa” e se l’appellante abbia tenuto una condotta “contraddittoria”, non avendo posto in essere alcuna iniziativa “sollecitatoria nei rapporti con l’amministrazione fino alla stipula del contratto di concessione” (così la sentenza gravata).

In ogni caso si rileva che nella fase che precede la stipulazione del contratto (le cui interlocuzioni sono state fatte oggetto del presente giudizio), la posizione del privato aggiudicatario trova tutela, come già sopra illustrato, nella possibilità di sciogliersi dal vincolo derivante dall’aggiudicazione decorso il termine di sessanta giorni.

Le interlocuzioni successive, non specificamente oggetto del presente giudizio, mettono in evidenza innanzitutto il mutamento delle condizioni generali, già rappresentato prima della stipulazione del contratto (in particolare la nota 28 aprile 2021), che determinano le conseguenze già indicate e sulle quali parte appellante ha insistito anche con la memoria depositata in vista dell’udienza.

Non emerge invece, dalle successive comunicazioni, se gli eventi, successivi alla stipulazione del contratto, che giustificherebbero (in tesi) il mutamento del rapporto concessorio (e che comunque non sono approfondite da parte appellante), siano, o meno, non imputabili alla parte privata, che solo nel secondo caso questa potrebbe invocare il rispetto del principio di buona fede da parte di controparte.

Il Comune infatti, con nota 11 maggio 2021 n. 60912, ha affermato che deve essere dimostrato l’effetto della pandemia sul rapporto concessorio e che tale effetto potrà determinarsi soltanto al momento di avvio della medesima (“al momento l’effetto della pandemia non può avere inciso sul contratto di concessione”), cioè dopo la comunicazione di fine lavori, ferma restando la disponibilità a tenere conto delle “vostre considerazioni economiche sulla questione”, con la conseguenza che dipende da un atto della parte privata (la fine dei lavori) il ritardo nell’avvio dell’attività di affissione.

A fronte di ciò la nota 3 giugno 2021, con la quale la Alessi, oltre a far presente (come già in precedenza) gli effetti della crisi pandemica nel settore della pubblicità, ha rappresentato come la società, a partire dal primo gennaio 2021, abbia rimosso gli impianti presenti sul territorio comunale in vista del rilascio delle autorizzazioni, rilascio concretizzatosi l’8 aprile 2021, con la conseguenza dell’installazione dei nuovi impianti verosimilmente non prima del mese di luglio 2021, non evidenziando però con certezza che il ritardo nell’avvio dell’attività non sia addebitabile alla medesima appellante. Non è quindi dimostrato il presupposto dell’attivazione del canone della buona fede, in quanto non può affermarsi che l’Amministrazione abbia abusato di una propria posizione di vantaggio, utilizzandola al solo fine di danneggiare controparte.

Ne deriva che, anche per tale motivo, la doglianza è infondata.

11.2. La censura non è quindi complessivamente meritevole di accoglimento.

12. In conclusione, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

13. La particolarità della questione, e la sua novità, giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Spese del presente grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente

Roberto Caponigro, Consigliere

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore

Salvatore Zappala', Consigliere

Maria Immordino, Consigliere

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Sara Raffaella Molinaro

Fabio Taormina

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

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