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SUAP e sue competenze

Privato
Martedì, 13 Maggio, 2025 - 08:45

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), sentenza n. 2974 del 7 aprile 2025, sul SUAP e le sue caratteristiche

MASSIMA

Lo sportello unico per le attività produttive (s.u.a.p.) costituisce l’unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva ed è chiamato a fornire, altresì, una risposta in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle di cui all’art.14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241. 

Le strutture denominate “sportelli unici per le attività produttive” hanno una sorta di competenza trasversale che, pur non sostituendosi a quelle delle varie amministrazioni coinvolte nel procedimento, ha un rilievo autonomo, fungendo da unico canale informativo sia verso le amministrazioni che verso i soggetti istanti ed emette il provvedimento finale sulla base dei pareri delle amministrazioni competenti sui vari aspetti, senza che ciò alteri il sistema delle competenze.

SENTENZA

N. 02974/2025REG.PROV.COLL.

N. 01718/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1718 del 2022, proposto dalla signora OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avvocato Alberto Onorato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mattia Pani e Andrea Secchi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Comune di Quartu Sant’Elena, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sezione Prima, 31 agosto 2021, n. 630, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Autonoma della Sardegna;

Visti tutti gli atti della causa;

Viste le istanze di passaggio in decisione senza discussione da remoto presentate dall’appellante e dalla Regione Autonoma della Sardegna;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 4 marzo 2025, il Cons. Antonella Manzione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Oggetto del presente giudizio è il provvedimento a firma del responsabile dello Sportello unico attività produttive e per l’edilizia (SUAPE) del Comune di Quartu Sant’Elena, privo di data, caricato sull’apposito portale il 14 aprile 2020, che dispone l’interdizione dei lavori di manutenzione straordinaria relativi ad un immobile situato nel territorio dello stesso, alla via Levante n. 21, località Margine Rosso, distinto in catasto al foglio 55, mapp. 3830, sub. 1, nonché della presupposta nota del 3 aprile 2020 dei Servizi “Tutela del paesaggio e vigilanza Sardegna meridionale” della Regione, con la quale è stata comunicata al predetto SUAPE la necessità dell’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, seppure in forma semplificata. Quanto detto richiamando espressamente l’art. 35, comma 4, della legge regionale della Sardegna del 20 ottobre 2016, n. 24, che regolamenta l’attività istruttoria a cura dello Sportello per tutti i procedimenti inerenti alle attività economiche e produttive di beni e servizi e per l’ambito edilizio.

2. I fatti salienti della vicenda e del procedimento – alla stregua della documentazione presente nel fascicolo, in particolare del giudizio di primo grado – possono essere compendiati nei termini seguenti.

2.1. In data 4 marzo 2020, il tecnico di fiducia della signora OMISSIS, proprietaria dell’immobile sopra citato, presentava al SUAPE una comunicazione di inizio lavori corredata di relazione asseverata (CILA), seguendo la c.d. procedura dell’“autocertificazione a zero giorni”, in quanto secondo la normativa regionale di settore (art. 15 della l.r. n. 23 del 1985) rientrerebbero nell’edilizia libera gli interventi di manutenzione straordinaria non riguardanti parti strutturali dell’edificio. Con riferimento, invece, ai profili di tutale paesaggistica, non avanzava alcuna specifica istanza, perché a suo dire erano «[…] previste esclusivamente opere rientranti nei casi di cui all’Allegato A al d.P.R. 13/02/2017, n. 31». Gli interventi venivano riassuntivamente riportati in un elenco a pag. 2 della relazione, comprensivo di 11 punti: 1) rivestimento della copertura del fabbricato con manto di tegole tipo “coppi”; 2) realizzazione di un nuovo cancello pedonale di m. 1 di larghezza; 3) allargamento a m. 4 del passo carrabile esistente e demolizione di una tettoia; 4) rifacimento delle parti ammalorate di una preesistente muratura; 5) sostituzione di un preesistente cancelletto pedonale; 6) nuova apertura e demolizione di copertura conservando le pareti verticali (doccia esterna); 7) realizzazione di un nuovo infisso portafinestra di dimensioni m. 0,70x2,30; 8) ampliamento dell’area destinata a parcheggio con piastrelle in cotto; 9) sostituzione della pavimentazione preesistente nell’area d’ingresso; 10) modifica della tinteggiatura dell’interno del fabbricato con colore beige e infissi con cornice di colore bianco; 11) eliminazione degli sportelloni esterni e sostituzione degli infissi esterni con infissi in pvc di colore bianco. Le opere riportate ai numeri 2, 3, 4 e 5 venivano ricondotte alla casistica di cui al punto A12 dell’allegato A al d.P.R. n. 31/2017; quelle di cui ai numeri 7 e 10, al punto A2; per le rimanenti (numeri 1, 8, 9 e 11), non veniva effettuato alcun richiamo.

2.2. All’esito del “caricamento” sul portale della comunicazione il sistema informatico rilasciava la ricevuta automatica di corretta presa in carico della pratica, come previsto dall’art. 31, comma 7, della richiamata legge regionale.

2.3. Con nota del 3 aprile 2020, inoltrata anche alla signora OMISSIS in data 6 aprile 2020, l’ufficio della Regione Sardegna cui la dichiarazione autocertificativa era stata trasmessa «per le verifiche di competenza» evidenziava come «la maggior parte delle opere nuove previste in progetto non sono esenti dall’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica, essendo chiaramente inquadrate nell’Allegato B al d.P.R. n. 31/2017, ai punti B.3, B.4, B.18, B.21 […]».

2.4. Sulla base di tale nota, il 14 aprile 2020 veniva inserito nel sistema il provvedimento di cui è causa, di “interdizione” dell’intervento comunicato.

3. Con ricorso n.r.g. 353/2020 innanzi al T.a.r. per la Sardegna la signora OMISSIS impugnava sia la nota regionale che l’atto interdittivo, lamentandone plurimi vizi, sostanziali e procedimentali.

4. Si costituiva in giudizio la Regione Sardegna, che in prossimità dell’udienza camerale del 29 luglio 2020, fissata per la discussione della richiesta sospensiva, depositava una nuova nota, prot. 26104 dell’8 luglio 2020, nella quale «ad integrazione» della precedente, richiamava i vincoli insistenti sull’area interessata dagli interventi comunicati, ribadendo che «una parte» degli stessi andava inquadrata nella casistica di cui all’Allegato B, e non A, al d.P.R. n. 31 del 2017. In maggior dettaglio, riferiva su 9 di essi, esplicitandone la corretta qualificazione.

4.1. Con memoria del 24 luglio 2020 la ricorrente affermava l’irrilevanza di tale atto a fini di causa, in quanto eterogeneo rispetto al procedimento declinato dalla l.r. n. 24 del 2016, che impone di far convergere le proposte, anche interdittive, dei titolari di endoprocedimenti, sul SUAPE, unico soggetto deputato ad interfacciarsi con i cittadini richiedenti.

4.2. All’esito della decisione cautelare favorevole (ordinanza n. 298 del 29 luglio 2020), che demandava «[…] all’Amministrazione di motivare adeguatamente le proprie decisioni, evidenziando partitamente la necessità o meno del nulla osta paesaggistico in relazione a ciascuna delle diverse opere oggetto dell’intervento proposto, nonché le relative ragioni di fatto e di diritto»), veniva depositata una ulteriore nota (prot. n. 41334 del 26 ottobre 2020) a cura dell’Assessorato regionale degli Enti locali - Direzione generale della Pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia della Regione Sardegna, stavolta riferita a tutti e 11 gli interventi, precisando quali al loro interno (sette in totale) andavano effettivamente ascritti alla casistica di cui all’Allegato B al più volte ricordato d.P.R. n. 31 del 2017, e le relative ragioni.

4.3. Anche in relazione a tale atto, la ricorrente lamentava l’inconferenza a fini di causa, non contenendo esso neppure la proposta di un (nuovo) provvedimento inibitorio da parte del SUAPE, ammesso e non concesso ve ne fosse ancora la tempistica.

5. Con la sentenza n. 630 del 31 agosto 2021, segnata in epigrafe, il T.a.r. per la Sardegna respingeva il ricorso, giudicando infondati i cinque motivi di diritto avanzati e disponeva la compensazione delle spese di lite. Quanto detto dando esplicito rilievo al contenuto della nota sopravvenuta in corso di causa, «in quanto consente alle parti e al giudice di apprezzare compiutamente le censure della ricorrente e la posizione dell’amministrazione che, peraltro, è confermativa del provvedimento impugnato». Nel processo amministrativo, infatti, l’emanazione di un ulteriore provvedimento di riesame - in dichiarata esecuzione di una ordinanza cautelare propulsiva - non determina la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del giudizio o la cessazione della materia del contendere, a maggior ragione quando il provvedimento ulteriore è del medesimo contenuto sostanziale di quello già impugnato (Cons. Stato, sez. III, 13 agosto 2018, n. 4938).

6. Avverso tale pronuncia ha interposto appello la signora OMISSIS, affidandolo a cinque motivi di censura, di seguito sintetizzati:

I) la ricostruzione del procedimento amministrativo applicabile al caso di specie sarebbe radicalmente errata, in quanto non tiene conto della circostanza che nel sistema declinato dalla legge regionale n. 24 del 2016 l’autorità competente sia a ricevere la S.c.i.a. che ad adottare i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi è esclusivamente lo Sportello unico, cui le diverse amministrazioni preposte alle varie verifiche di conformità possono solo avanzare proposte motivate. Da qui l’affermata irrilevanza delle note regionali sopravvenute (8 luglio 2020 e 26 ottobre 2020), cui invece il primo giudice ha inteso dare rilievo, sulla sola base della ritenuta natura meramente confermativa della seconda tra esse, adottata in esecuzione dell’ordinanza cautelare propulsiva n. 298 del 2020, pur trattandosi di un atto endoprocedimentale, in quanto tale inidoneo a produrre effetti giuridici rilevanti all’esterno;

II) l’atto impugnato era carente in punto motivazionale, giusta la genericità dei contenuti, integrati solo, con riferimento a ciascuno degli interventi oggetto della dichiarazione, con le note regionali sopravvenute;

III) la genericità della motivazione non è comunque venuta meno dopo la nota regionale del 26 ottobre 2020, che non può innestarsi nel provvedimento interdittivo originario, determinandone una inammissibile integrazione postuma;

IV) ad ogni buon conto, sarebbero stati violati o mal interpretati gli artt. 10-bis e 21-octies della l. n. 241/1990 e 35 della l.r. n. 24/2016, stante che la comunicazione del 6 aprile 2020, cui il T.a.r. per la Sardegna ha inteso dare rilievo, non aveva le caratteristiche essenziali del preavviso di rigetto, mancando addirittura l’indicazione del termine per controdedurre. Né d’altro canto erano emerse ragioni di urgenza tali da giustificare la pretermissione delle richiamate garanzie procedimentali. Sulla base della novellata formulazione dell’art. 21-octies della l. n. 241 del 1990, tale vizio non sarebbe superabile sul piano sostanziale;

V) anche a voler dare rilievo propulsivo alla nota regionale del 26 ottobre 2020, essa sarebbe ormai tardiva rispetto ai termini previsti dall’art. 19 della l. n. 241 del 1990 per l’adozione di atti interdittivi. Nel merito, la sentenza impugnata recepisce acriticamente i contenuti di tale nota, ma non dà alcun conto delle motivazioni giuridiche in forza delle quali sette delle undici opere oggetto della CILA non sarebbero riconducibili alla casistica di cui all’Allegato A al d.P.R. n. 31 del 2017, come correttamente prospettato nella relazione del tecnico di parte a corredo della pratica.

7. Si è costituita in giudizio la Regione Autonoma della Sardegna, per chiedere il rigetto dell’appello alla luce delle precisazioni contenute nella nota adottata dai propri uffici in esecuzione della decisione cautelare del T.a.r. In vista dell’udienza, ha presentato un’ulteriore memoria, per ribadire la propria prospettazione. In fatto, ha ricordato la tipologia di vincoli insistenti sull’area, e segnatamente quello imposto con d.m. 24 marzo 1977 (Stagno di Molentargius, oggetto di una dichiarazione di notevole interesse pubblico con verbale della commissione del 12 marzo 1977), nonché dal decreto assessoriale del 12 gennaio 1979, recante l’«Approvazione del piano territoriale paesistico del Molentargius e del Monte Urpinu» (pubblicato sulla G.U., Serie Generale, n. 286 del 4 dicembre 1992); dell’art. 142, comma 1, lett. a) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare); e dell’art. 17, comma 3, lett. a), delle norme tecniche di attuazione (NTA) del Piano paesaggistico regionale (PPR), trattandosi di fascia costiera. Ha minimizzato le “rettifiche” operate a seguito della nuova istruttoria che ha portato allo scorporo di quattro interventi sugli undici dichiarati, per i quali soltanto avrebbe potuto essere utilizzato il procedimento della certificazione a zero giorni.

7.1. L’appellante a sua volta ha replicato ribadendo la natura endoprocedimentale del parere regionale, inidoneo ex se a produrre effetti giuridici a rilevanza esterna in grado di determinare una lesione attuale e concreta nella sfera giuridica del privato. Ciò a prescindere dal fatto che la predetta nota è conseguita all’ordinanza cautelare n. 298/2020.

8. All’udienza pubblica del 4 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

9. Il Collegio ritiene di respingere l’appello, ma con motivazione in parte diversa rispetto a quella seguita dal primo giudice. Quanto detto avuto riguardo innanzi tutto al corretto inquadramento delle note regionali sopravvenute, che pur avendo effettivamente rilevanza a fini di causa, non assurgono al rango di provvedimenti, ancorché meramente confermativi dei precedenti, integrando piuttosto un chiarimento istruttorio di scelte già compiutamente effettuate e adeguatamente motivate sulla base della nota originaria della Regione.

10. Per meglio comprendere tale assunto preliminare, il Collegio ritiene necessaria una sintetica ricostruzione delle questioni di diritto sottese alla vicenda, l’effettuazione della quale impone anche un’inversione della tassonomia seguita nei motivi di appello, postergando la questione per così dire di rito all’esame nel merito dello stesso.

11. Occorre dunque in primo luogo chiarire l’assetto delle competenze, laddove la gestione di un procedimento sia affidata allo sportello unico per le attività produttive, che nella Regione Sardegna, peraltro, assomma in sé anche le funzioni che il legislatore nazionale ha affidato all’omologa struttura organizzativa centralizzata chiamata ad istruire le pratiche edilizie.

L’intera tesi dell’appellante, infatti, si basa sulla esclusiva titolarità del SUAPE ad adottare i provvedimenti destinati ad incidere nella sfera giuridica del privato, pronunciandosi «in luogo» delle varie amministrazioni coinvolte, siccome previsto dalla legge regionale n. 24 del 2016.

12. Lo Sportello unico per le attività produttive (SUAP) ha rappresentato la prima risposta sul piano organizzativo alle istanze di semplificazione via via sviluppate dal legislatore. Non a caso, esso risale al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, il quale, con l’obiettivo prioritario di ricondurre alla responsabilità dei governi regionali e locali una molteplicità di funzioni amministrative concernenti le attività economiche in precedenza in capo a diversi soggetti, si preoccupò anche di indicare gli strumenti affinché quegli stessi livelli di governo potessero concretamente promuovere lo sviluppo dei rispettivi territori e comunità. In particolare l’art. 23 del decreto conferiva ai Comuni tutte le funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l’ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la riconversione di impianti produttivi: conferimento che nelle intenzioni del legislatore doveva essere inteso non in termini di mero trasferimento, bensì come attribuzione di una nuova competenza individuata nello svolgimento di un ruolo di centro di convergenza di tutti i procedimenti connessi ai processi di trasformazione economica del territorio, quindi garante del rispetto dei principi di responsabilità e unicità sanciti dalla legge delega in attuazione della quale la riforma è stata adottata (in particolare, art. 4, c.3, lett. e), della legge n. 59 del 15 marzo 1997, n. 59), e non certo soggetto cui venivano demandate in via esclusiva le funzioni in materia di attività produttive.

12.1. D’altro canto, l’aver individuato nel Comune l’ente in grado di conseguire il generale obiettivo di agevolazione dei processi di sviluppo economico, dava anche piena attuazione ai principi di sussidiarietà, stante che trattasi dell’Ente che “gestisce” direttamente il proprio territorio e il rapporto con i cittadini, ai quali deve essere in grado di offrire servizi efficaci e risposte esaustive e non mediate.

13. Nei fatti, tuttavia, tale valorizzazione di competenze ha finito per rimanere sullo sfondo, determinando anche lo scarso successo, per decenni, dell’indicata scelta organizzativa, della quale non venne evidentemente percepita la innegabile spinta innovativa (che trova oggi riscontro nell’affermazione di principi quali quello della fiducia o del risultato, espressamente declinati dal Codice dei contratti pubblici del 2023, per sottolineare la centralità delle capacità professionali nel dare effettività ad ogni riforma).

13.1. Con l’art. 38 del successivo decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 e dal decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, significativamente rubricato «Impresa in un giorno», al fine di imprimere un’accelerazione all’avvio di nuove attività produttive si prevedeva la semplificazione e il riordino del SUAP, da realizzarsi attraverso un regolamento emanato ex art. 17, comma 2, delle legge n. 400 del 1988. Il comma 2 di tale norma, peraltro, si autoqualifica come attinente «ai livelli essenziali delle prestazioni per garantire uniformemente i diritti civili e sociali e omogenee condizioni per l’efficienza del mercato e la concorrenzialità delle imprese su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p) della Costituzione». Ciò anche per ottemperare ad un preciso obbligo comunitario orientato a far sì che gli Stati membri addivenissero ad un procedimento unitario ed efficace volto a rimuovere gli ostacoli regolamentari ed amministrativi posti dai singoli enti territoriali e finalizzato ad assicurare regole paritarie di accesso al mercato su tutto il territorio nazionale.

13.2.Il legislatore del 2008, peraltro, nel dettare la cornice cui avrebbe dovuto attenersi il successivo regolamento, al comma 3, lettera a), dell’art. 38, dopo aver ribadito che lo sportello unico costituisce l’unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva, ha affermato, con terminologia di assai più incisivo impatto, che esso «fornisce, altresì, una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle di cui all’articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241», con ciò sottintendendo una vera sostituzione al precedente assetto delle competenze.

14. L’attuazione pratica dei SUAP avvenne con il d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, via via sostituito fino all’attuale disciplina contenuta nel d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160, caratterizzato dall’introduzione dell’esclusivo utilizzo degli strumenti telematici. In particolare, ai sensi dell’art. 2 di ridetto d.P.R. n. 160 del 2010, in linea con i principi di cui al ricordato art. 38 del d.l. n. 112/2008, «[…] è individuato il SUAP quale unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l’esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività, ivi compresi quelli di cui al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59. […]».

14.1. Pertanto, lo sportello unico costituisce l’unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva ed è chiamato a fornire, altresì, una risposta in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle di cui all’art.14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, laddove esso non sia sostituito o affiancato nell’attività di istruttoria da soggetti privati accreditati (Agenzie per le imprese).

15. Nel rispetto del nuovo ruolo assunto dai Comuni, alle Regioni sono state attribuite funzioni di coordinamento e miglioramento di servizi e di assistenza a favore delle imprese, con particolare riguardo alla raccolta e alla diffusione, anche per via telematica, di tutte le informazioni utili agli operatori economici attivi sul territorio, comprese quelle sugli strumenti di agevolazione contributiva e fiscale. Ciò allo scopo di rendere accessibili e trasparenti le informazioni afferenti alle effettive opportunità offerte dalle singole realtà economiche e territoriali. Con l’approvazione del Titolo V della Costituzione, in alcune di esse la disciplina si è progressivamente staccata da quella prevista a livello nazionale, con diversi gradi di specialità e di autonomia, al fine di interpretare con la modalità ritenuta più fattiva, la trasversalità delle soluzioni organizzative costituite dai SUAP con le rinnovate competenze legislative in materia di attività produttive lato sensu intese.

16. Anche il giudice delle leggi è stato chiamato a pronunciarsi sulla compatibilità del sistema con i principi costituzionali. Con una prima, significativa pronuncia (n. 376 del 2002), la Corte costituzionale ebbe a coniare l’efficace terminologia con la quale ancora oggi si denomina il procedimento facente capo ai SUAP, definendolo «una sorta di procedimento dei procedimenti», in quanto basato «sulla concentrazione in una sola struttura […] della responsabilità dell’unico procedimento attraverso cui i soggetti interessati possono ottenere l’insieme dei provvedimenti abilitativi necessari per la realizzazione di nuovi insediamenti produttivi, nonché sulla concentrazione nello “sportello unico” […] dell’accesso a tutte le informazioni da parte dei medesimi soggetti interessati: ciò al fine di evitare che la pluralità delle competenze e degli interessi pubblici oggetto di cura in questo ambito si traduca per i cittadini in tempi troppo lunghi e in difficoltà di rapporti con le amministrazioni». Nella stessa occasione, tuttavia, essa ebbe modo di ribadire anche che l’introduzione di tale articolazione organizzativa degli Enti territoriale non implica «che vengano meno le distinte competenze e le distinte responsabilità delle amministrazioni deputate alla cura degli interessi pubblici coinvolti».

17. Ad assetto normativo radicalmente mutato è sopraggiunta poi la pronuncia (n. 15 del 13-21 gennaio 2010), chiamata ad occuparsi proprio del comma 3 dell’art. 38 del d.l. n. 112 del 2008, del quale le Regioni lamentavano l’incoerenza rispetto al principio di leale collaborazione. In tale occasione, i giudici della Consulta hanno ricordato come la cornice nella quale va collocata la disposizione «deve essere rinvenuta, non nel coacervo, peraltro indeterminato, di materie afferenti a industria, commercio, agricoltura, artigianato, turismo etc., complessivamente compendiato dalla Regione sotto la generica denominazione di “attività produttive”, ma in quella, affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione, del “coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati della amministrazione statale, regionale e locale”». Da qui la ritenuta infondatezza della questione sollevata in quanto riconducibile alla «funzione di coordinamento perseguita dalla normativa che disciplina compiti e funzionamento dello “sportello unico per le imprese”, attraverso la istituzione di un procedimento amministrativo uniforme volto a consentire ai soggetti in possesso dei requisiti di legge la intrapresa dell’attività economica. Ciò non solo al fine di garantire, attraverso la uniformità e la ragionevole snellezza del procedimento, la maggiore trasparenza ed accessibilità del mercato, sì da assicurare le migliori condizioni di concorrenza, ma anche al fine di dare contenuto al precetto di cui all’art. 41 della Costituzione, il quale assegna, fra l’altro, alla legge dello Stato il compito di determinare i controlli opportuni affinché la iniziativa economica, anche privata, sia coordinata a fini sociali».

18. Nella stessa linea si colloca la disciplina comunitaria. Il punto 48 del “considerando” della direttiva 2006/123/CE (c.d. “Bolkenstein”), richiamato pure dai giudici della Consulta, evoca infatti l’importanza dell’attività di coordinamento, che il nostro ordinamento costituzionale attribuisce, come competenza legislativa esclusiva, allo Stato proprio con la lettera r) del secondo comma dell’art. 117 Cost. Si ribadisce così che gli sportelli unici sono destinati a svolgere un ruolo importante di assistenza al prestatore sia come autorità direttamente competente a rilasciare i documenti necessari per accedere ad un’attività di servizio sia come intermediario tra il prestatore e le autorità direttamente competenti.

19. In tale nuova cornice normativa si inserisce la legge regionale della Sardegna n. 24 del 20 ottobre 2016, che nella Parte II, che contiene le disposizioni “speciali” di semplificazione (artt. 29-45), dedica l’intero Titolo I alla disciplina dello Sportello unico e dei procedimenti facenti capo allo stesso, diversificati per complessità, peraltro assommando nello stesso anche le funzioni inerenti l’edilizia abitativa (da qui l’acronimo SUAPE, che “abbraccia” sia le attività produttive che l’edilizia, appunto). All’art. 31, che detta le linee generali del “procedimento unico”, riproduce alla lettera la terminologia del legislatore nazionale, individuando esclusivamente nel SUAPE il soggetto preposto sia al rilascio del «titolo abilitativo unico che ricomprende e sostituisce tutti gli atti di assenso previsti dalle singole normative settoriali di competenza di tutte le pubbliche amministrazioni tenute a esprimersi sull’intervento», che all’adozione degli atti sospensivi/inibitori resi necessari in corso di istruttoria. La norma peraltro vieta espressamente, salvo specifiche ipotesi derogatorie, che le altre amministrazioni coinvolte provvedano in via autonoma con atti di diniego o dissenso.

20. Attingendo dunque alle affermazioni della sentenza della Corte costituzionale del 2010, può ancora affermarsi che tali disposizioni, nazionali e regionali, non hanno modificato l’attribuzione delle competenze in capo alle diverse amministrazioni coinvolte nel procedimento, ma hanno reso lo Sportello l’organo (comunale) che emette il provvedimento finale dopo aver raccolto gli atti di tutte le amministrazioni e gli enti coinvolti. Invero, il comma 3 dell’art. 4 del d.P.R. n. 160 del 2010, dispone che: «Le comunicazioni al richiedente sono trasmesse esclusivamente dal SUAP; gli altri uffici comunali e le amministrazioni pubbliche diverse dal comune, che sono interessati al procedimento, non possono trasmettere al richiedente atti autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche a contenuto negativo, comunque denominati e sono tenute a trasmettere immediatamente al SUAP tutte le denunce, le domande, gli atti e la documentazione ad esse eventualmente presentati, dandone comunicazione al richiedente». Ciò significa che esso funge da unico canale informativo sia verso le Amministrazioni che verso i soggetti istanti ed emette il provvedimento finale sulla base dei pareri delle Amministrazioni competenti sui vari aspetti, senza che ciò alteri il sistema delle competenze. Significa tuttavia anche che laddove ridette Amministrazioni non rispettino tale doveroso incanalamento centralizzato delle proprie determinazioni, può effettivamente ravvisarsi una incompetenza, ovvero più propriamente una violazione delle indicazioni procedurali, uniche a livello nazionale per le finalità di garanzia di omogeneità delle regole di semplificazione e conservazione dei dati messe in luce dalla Corte costituzionale. Di fatto, cioè, emerge un’accezione nuova di competenza, per così dire trasversale rispetto alle altre specifiche di settore, teleologicamente orientata a garantire quei principi di trasparenza e leale collaborazione da ultimo trasfusi anche nella legge fondamentale sul procedimento amministrativo (v. art.1, comma 2-bis della l. n. 241 del 1990).

21. Quanto detto, tuttavia, vale nei soli casi in cui il privato ha attivato tramite il SUAPE un determinato procedimento, coinvolgente più Amministrazioni, formulando un’istanza rispondente al paradigma astratto delineato dal legislatore allo scopo.

Come la giurisprudenza ha avuto modo di precisare in relazione alla decorrenza dei termini per la maturazione del silenzio assenso ovvero per la tempestività dei controlli della regolarità di un procedimento dichiarativo, affinché l’istanza abbia un seguito è necessario che essa sia quanto meno “configurabile”. La “configurabilità” costituisce una pre-condizione della domanda, in quanto la colloca in un preciso paradigma normativo, al di fuori del quale si ritiene che neppure sorga l’obbligo di valutazione da parte dell’amministrazione, eccezion fatta per le c.d. risposte di cortesia (sul punto, mutatis mutandis, v. Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746, ove il termine “inconfigurabilità” della domanda viene utilizzato quale sinonimo della inidoneità della stessa ad innescare il meccanismo di formazione silenziosa dell’atto).

La “configurabilità” anzidetta si situa ancor prima delle ipotesi in cui la legge (art. 2, co.1, l. n. 241/1990) prevede che in caso di «manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo».

Ed infatti, mentre nelle ipotesi ora richiamate l’istanza presenta il minimo indispensabile di requisiti formali per innescare l’avvio del procedimento (ma perché lo stesso possa immediatamente concludersi), nel caso del difetto di “configurabilità” l’istanza presenta un deficit strutturale tale da non consentire – come si è detto – nemmeno l’avvio del procedimento e dunque la sua immediata conclusione.

Ancora più precisamente: nei casi ex art. 2, comma 1 cit., il procedimento si avvia e deve avere una sua doverosa conclusione, ma quest’ultima – dato il riscontro di una delle ipotesi normativamente previste – interviene immediatamente, con un provvedimento adottato in forma semplificata, anche senza il rispetto di talune regole procedimentali (ad esempio, quelle di cui agli articoli 7 e 10-bis della medesima legge n. 241/1990). Al contrario, nel caso di “inconfigurabilità” dell’istanza il procedimento non si avvia affatto (fuoriesce dalle ipotesi di avvio/conclusione doverosa di cui all’art. 2 l. n. 241) e ciò perché l’istanza non è idonea a produrre tale effetto giuridico e non fa sorgere, di conseguenza, a carico dell’amministrazione, l’obbligo di conclusione mediante provvedimento espresso.

22. Nel caso di specie il procedimento attivato dall’appellante afferisce esclusivamente all’aspetto edilizio (la CILA), mentre per quanto attiene a quello paesaggistico essa ha reputato di non necessitare di alcunché, sull’assunto che tutte le opere elencate nella relazione del tecnico siano da annoverare tra quelle “libere” anche sotto tale profilo, riconducibili pertanto alla casistica di cui all’Allegato A al d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31.

23. Va ora ricordato che con ridetto d.P.R. n. 31 del 2017 (in G.U. 22 marzo 2017, n. 68), è stato adottato il Regolamento che, in sostituzione del previgente, ha introdotto nuove procedure, sia dal punto di vista documentale, sia nell’iter procedimentale, per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche. Il decreto individua anche gli interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica (art.2), distinguendoli da quelli soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato (art.3) e da quelli esonerati dall’obbligo di autorizzazione paesaggistica semplificata (art.4), ma che possono essere regolamentati attraverso accordi di collaborazione tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, le Regioni e gli enti locali. I primi sono elencati all’allegato A, che comprende 31 voci, tutte riferite a opere di minima entità, per lo più destinate a migliorare l’efficienza energetica e il consolidamento statico delle costruzioni, oltre che al superamento delle barriere architettoniche. In linea generale, vi rientra tutto ciò che salvaguarda situazioni preesistenti, non innovandole.

23.1. Con circolare n. 42 del 21 luglio 2017 proprio l’allora denominato Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo - oggi Ministero della cultura - ebbe a precisare, su richiesta degli uffici periferici, che il prerequisito della “lieve entità”, necessario ai fini dell’applicabilità della disposizione di cui all’art.2, è sì oggetto di dichiarazione del privato, ovvero del suo tecnico, quando l’opera implichi comunque anche un qualche titolo sotto il profilo edilizio (tra i quali la CILA, appunto), ma è poi soggetto a un successivo controllo da parte degli organi competenti. La verifica della sussistenza dei presupposti della liberalizzazione, al pari di quelli della semplificazione riferita alle opere di cui all’Allegato B, cioè, come ogni accertamento e valutazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della eventuale decisione (art. 3 della legge n. 241 del 1990, applicabile a tutti i procedimenti e i provvedimenti amministrativi, ivi inclusa l’autorizzazione paesaggistica semplificata), spetta, in un regime di co-decisione quale quello proprio dell’autorizzazione paesaggistica, a entrambe le amministrazioni co-decidenti, ovvero Regione o ente territoriale delegato, da un lato, e Soprintendenza, dall’altro, né più, né meno di quanto accade ordinariamente per quello di cui all’articolo 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. Ciò con la sola precisazione che, secondo la scansione logico-giuridica del complesso procedimento, tale verifica deve essere effettuata in prima battuta dall’ente preposto alla gestione del vincolo (il Comune, solo se delegato dalla Regione) e, solo successivamente, dalla stessa Soprintendenza, che si troverà ad esaminare un’istruttoria e una proposta proveniente dall’ente co-decidente, rispetto alla quale dovrà e potrà svolgere tutte le considerazioni e le valutazioni di sua competenza, anche in ordine alla classificabilità dell’intervento entro l’allegato A, l’allegato B o nell’articolo 146.

24. Calando le coordinate tracciate nella disamina del caso di specie, si ha che essa si colloca a monte del rilascio del titolo. A tutto concedere, dunque, alla tesi dell’appellante, tesa a valorizzare la competenza “trasversale” dello Sportello unico, nel caso di specie l’atto interdittivo si basa non sulla riscontrata assenza di condizioni o presupposti per il buon esito del procedimento dichiarativo, ma sulla constatata necessità di attivarne uno specifico, laddove in concreto essa nulla ha richiesto sotto il profilo paesaggistico, limitandosi a presentare una CILA edilizia.

Il SUAPE di Quartu Sant’Elena ha rimesso alla Regione, quale amministrazione competente per la tutela paesaggistica, la valutazione di coerenza della certificazione -che esclude la necessità di alcunché - con l’assetto normativo della materia. Nessun endoprocedimento, dunque, è stato attivato, in ragione della scelta operata in tal senso dall’interessata. La Regione pertanto ha ritenuto il modulo procedimentale utilizzato “inconfigurabile”, sottolineandone l’estraneità rispetto al paradigma normativo stante che «[…] la maggior parte delle opere nuove previste in progetto non sono esenti dall’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica, essendo chiaramente inquadrate nell’Allegato B al d.P.R. n. 31/2017, ai punti B.3, B.4, B.18, B.21». Trattasi di un’indicazione che non necessitava di alcuna specificazione aggiuntiva, tanto più che ancora una volta risponde ad una scelta dell’appellante la prospettazione di tutti gli interventi complessivamente intesi, sussunti sotto l’egida della manutenzione straordinaria, anziché scorporarli, come nella specie sarebbe stato possibile non configurandosi certo un artato frazionamento finalizzato ad accedere alla disciplina di favore. Ad essa non poteva non conseguire un atto “interdittivo”, ovvero volto a scongiurare la prosecuzione di opere prive del titolo paesaggistico in quanto non richiesto, benché necessario almeno per alcune di esse.

Al di là, peraltro, del nomen iuris e delle innegabili aporie conseguenti all’utilizzo di un modello strutturato in maniera stereotipata e per formule, esso appare chiaro nell’indicazione dei presupposti e delle conseguenze, peraltro necessitate, ad essi riconducibili. Anche il richiamo a specifici paragrafi delle direttive della Regione ai SUAPE (delibera di Giunta regionale n. 49 del 5 dicembre 2019) a stretto rigore non appare del tutto conferente, in quanto afferisce ai casi in cui l’ulteriore amministrazione coinvolta avanza una proposta interdittiva in ragione dell’esito negativo della propria valutazione. Lo stesso è a dire per la frase, riportata peraltro in carattere “grassetto”, secondo la quale «essendo decorsi i termini di cui all’art. 35 della l.r. 24/2016 per l’emissione dell’atto, e sussistendo ragioni di interesse pubblico in quanto la tipologia di intervento ricade in area vincolata paesaggisticamente (ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. a) delle NTA del PPR), oggetto di salvaguardia del territorio e del paesaggio, si richiede che l’emissione dell’atto medesimo avvenga in regime di autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies L. 241/1990»; laddove nella specie la Regione non ha avanzato alcuna proposta, limitandosi a fornire il proprio supporto istruttorio al corretto inquadramento della fattispecie. Da qui l’inoltro della medesima comunicazione inviata al SUAPE anche alla proprietà, così resa edotta della ravvisata erroneità della propria scelta. Sul punto, il T.a.r. ha inteso valorizzare proprio tale comunicazione alla parte per respingere le censure di mancato rispetto delle garanzie procedimentali, salvo ricordare poi come comunque «il mancato o l’incompleto avviso di avvio del procedimento o preavviso di rigetto, non comporta l’automatica illegittimità del provvedimento finale» (§ 22 della sentenza impugnata). In realtà, il Collegio rileva come non essendo stato avviato alcun procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, neppure vi era ragione di comunicarne il rigetto, salvo nella già ricordata ottica della risposta di cortesia, a valere quale caveat a soprassedere rispetto alla realizzazione di opere prive di titolo paesaggistico, benché necessario secondo l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo.

25. Nella specie, dunque, il procedimento aveva quale unico destinatario l’ufficio edilizia del Comune di Quartu Sant’Elena, cui l’interessata si è rivolta, come per legge, per il tramite del suo SUAPE mediante inserimento nel sistema di una mera CILA. Nulla ha inteso richiedere per la parte paesaggistica, sicché in alcun modo lo Sportello unico avrebbe potuto essere chiamato a rispondere della mancata attivazione di un endoprocedimento mai avviato perché ritenuto non necessario dal richiedente con le dichiarazioni contenute nella pratica (sul punto, v. § 8.5 delle ricordate direttive). La sostanziale “inconfigurabilità” - recte, inesistenza - della pratica paesaggistica, neppure fa decorrere i termini per l’effettuazione dei controlli finalizzati all’inibizione dell’attività, plasmati sul modello generale dell’art. 19 della l. n. 241 del 1990, di fatto rendendo inconferenti il richiamo alla presunta tardività nell’adozione del provvedimento.

26. Chiarito tutto quanto sopra detto, va ora ricordato come il T.a.r. per la Sardegna, senza in verità farsi carico della ricostruzione della complessa cornice giuridica di riferimento, ha ritenuto effettivamente lacunoso l’atto laddove, richiamando la nota regionale del 3 aprile 2020, non confuta caso per caso l’inquadramento dei vari interventi nell’allegato A al d.P.R. n. 31 del 2017. Da qui la valutazione della nota della Regione prot. 41334 del 26 ottobre 2020, adottata in esecuzione della propria decisione cautelare, ad integrazione peraltro di altra, dell’8 luglio 2020, essa pure versata in atti in corso di causa. L’ordinanza propulsiva, infatti, «non ha attribuito alla ricorrente alcun bene della vita ma si è limitata ad ingiungere alla pubblica amministrazione il riesame del contenuto del provvedimento alla luce delle censure dedotte nel ricorso introduttivo». Ciò in coerenza con la sua finalità di dare effettività alla tutela, promuovendo un riesame procedimentale, «nell’espletamento del quale la discrezionalità amministrativa rimane intatta».

27. Secondo l’appellante, se effettivamente solo attraverso i chiarimenti forniti ex post possa dirsi colmata l’originaria lacuna motivazionale dell’atto, esso si paleserebbe inammissibile; in senso diametralmente opposto, ove si fosse trattato, come affermato dal primo giudice, di un atto di conferma del precedente, riesce difficile escluderne gli effetti sulla permanenza dell’interesse all’impugnativa, sol perché adottato in esecuzione di decisione cautelare (circostanza che peraltro non “coprirebbe” comunque la nota dell’8 luglio 2020, di contenuto quasi integralmente sovrapponibile).

28. A ben guardare, tuttavia, il significato da attribuire alla scelta confermativa afferisce non alla nota interdittiva, che non a caso non ha subito modifiche, ma alla lettura della certificazione della parte, ritenuta (nuovamente) inadeguata a supportare la scelta di non attivare alcun procedimento, neppure semplificato, per acquisire l’autorizzazione paesaggistica. Solo in tale accezione essa può essere definita rilevante a fini di causa, in quanto dimostra per tabulas che la Regione, ancorché melius re perpensa, non ha ritenuto di rivedere la propria valutazione: così confermando anche, in senso letterale, piuttosto che giuridico, la correttezza della scelta interdittiva da subito motivata dal SUAPE sulla base delle indicazioni già fornite a tempo debito.

29. Ricordato dunque che è consolidato in giurisprudenza il criterio secondo cui la qualificazione di un atto amministrativo deve essere operata sulla base del suo effettivo contenuto e degli effetti concretamente prodotti, è del tutto evidente che il provvedimento che ha definito l’intera vicenda, non è quello emanato in esecuzione dell’ordinanza propulsiva del T.a.r., bensì quello originariamente adottato dal SUAPE del Comune di Quartu Sant’Elena. Solo in tal senso, sul piano sostanziale, la nuova nota regionale non ha portato al superamento della censura di genericità di quella originaria, ma ne ha confermato l’infondatezza, una volta collocata nel giusto alveo del supporto all’inquadramento corretto del procedimento da parte dell’Amministrazione competente per materia. La tesi secondo cui la nota regionale avrebbe dovuto confluire in un nuovo provvedimento del SUAPE e il sol fatto della sua sopravvenienza avrebbe potuto rendersi ‘spendibile’ per confermare l’illegittimità dei precedenti segmenti procedimentali, si mostra suggestiva ma non sincronizzabile con il complessivo assetto della vicenda, da guardarsi nella prospettiva della avvenuta attivazione, per il tramite del SUAPE medesimo, del solo procedimento edilizio e non di quello paesaggistico. Un annullamento di tale atto non avrebbe, in ipotesi, alcun effetto positivo per l’appellante, stante che ne dovrebbe conseguire uno di analogo contenuto, per il quale non possono valere i tempi dei controlli ordinari sui procedimenti dichiarativi essendosi travalicato completamento il perimetro di utilizzabilità di quello prescelto in concreto. E ciò in quanto per sette delle undici opere, ovvero la «maggior parte» di esse, (come indicato nella nota della Regione comunicata il 6 aprile 2020, che non ha mai parlato della loro totalità), sono «chiaramente inquadrate» nei casi di cui all’Allegato B e non all’Allegato A del d.P.R. n. 31 del 2017.

30. Quanto infine alle ragioni in forza delle quali tale inquadramento sarebbe errato e il T.a.r. avrebbe acriticamente aderito ai contenuti della nota regionale sopravvenuta, l’appellante non ha fornito alcuna plausibile argomentazione per discostarsi dalla stessa, tale non essendo certamente la generica relazione del tecnico che ha asseverato la CILA. Quest’ultimo, dopo aver assertivamente affermato, infatti, che tutti gli interventi elencati sono da ricondurre all’allegato “A” del d.P.R. n. 31 del 2017, nella descrizione di ciascuno di essi neppure specifica sempre la voce cui fare in concreto riferimento. Nella tabella riassuntiva degli interventi, quattro di essi mancano infatti di ogni indicazione di tale voce (n. 1, n. 6, n. 8 e n. 11), sicché la stessa genericità che si imputa all’istruttoria della Regione è ravvisabile nell’istanza di parte; e per gli altri, come chiarito nella nota regionale semplicemente richiamando le diciture delle singole voci, è l’elemento di novità a tracciare la differenza tra ciò che a parità tipologica rientra nell’allegato A e ciò che invece va ricondotto all’allegato B.

A mero titolo di esempio, l’utilizzo per la prima volta dei coppi per la copertura, necessita di autorizzazione paesaggistica, ancorché in modalità semplificata, mentre ove si fosse trattato di mera sostituzione degli stessi effettivamente l’attività avrebbe potuto essere qualificata come “libera”; lo stesso dicasi per la realizzazione (ex novo) del cancello pedonale, che è altra cosa dalla sua sistemazione - questa sì riconducibile all’Allegato A - o per l’ampliamento, che non è mero rifacimento, dell’area di parcheggio, o per la modifica della tinteggiatura dell’intero fabbricato, ovvero ancora per l’eliminazione degli sportelloni e la sostituzione degli infissi esterni con altri morfologicamente del tutto diversi: e ciò per l’evidente ragione, logica, prima che giuridica, che ciò che modifica lo stato dei luoghi produce un impatto sul contesto che viceversa manca laddove si agisca solo per ripristinare uno status quo ante.

31. Per tutto quanto sopra detto, l’appello va respinto e conseguentemente va confermata, con le integrazioni e precisazioni fornite, la sentenza del T.a.r. per la Sardegna n. 630 del 2021.

32. La particolarità della vicenda e la complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2025 con l’intervento dei magistrati:

Oberdan Forlenza, Presidente

Giovanni Sabbato, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Francesco Guarracino, Consigliere

Maria Stella Boscarino, Consigliere

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Antonella Manzione

Oberdan Forlenza

IL SEGRETARIO

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