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Lunedì, 27 Aprile, 2020 - 21:15

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Terza), sentenza n. 3803 del 6 aprile 2020, su espropri 

N. 03803/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02520/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2520 del 2013, proposto da
IMALAI di Cocciante Tullio & Figli s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Vincenzo Di Baldassarre, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandra Mattioli in Roma, via Lago Tana, n. 59;

contro

Enel Distribuzione s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe De Vergottini, Cesare Caturani e Giuseppe Gontrano Malcangi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Antonio Bertoloni, 44;
Terna Rete Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Paolo Berruti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Flaminia, n.135;

per la condanna

delle società intimate, ciascuna per quanto di ragione, allo spostamento della linea elettrica attraversante la proprietà della società ricorrente in uno all’integrale risarcimento dei danni tutti subiti a causa di tale occupazione o, subordinatamente, alla regolarizzazione di detta situazione antigiuridica fermo restando il risarcimento dei danni tutti subiti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Enel Distribuzione s.p.a. e della Terna Rete Italia s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2020 la dott.ssa Eleonora Monica e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il presente gravame, la IMALAI s.n.c. - proprietaria di terreno sito in Montesilvano (PE), riportato in catasto al foglio 8, particelle 1456 (ex 44), 1458 (ex 45), 1460 (ex 46), 1463 (ex 604), 1465 (ex 606), attraversato dalla linea elettrica Enel “SE Villanova – CP Pineto – derivazione CP Montesilvano” (direzione nord) – nell’evidenziare come la relativa occupazione sia stata posta in essere in assenza di un legittimo provvedimento autorizzativo o di una regolare procedura espropriativa, agisce affinché le società intimate vengano condannate allo spostamento dei relativi cavi aerei o, in subordine, nella eventualità in cui si tratti di un’opera oggettivamente non rimovibile, alla regolarizzazione di detta situazione antigiuridica, fermo restando il risarcimento dei danni conseguentemente subiti per effetto dell’illegittima compressione del proprio diritto dominicale e della fruibilità dell’area rispetto alla sua effettiva potenzialità edificatoria.

Rappresenta, in particolare, a tal fine la società ricorrente:

- di essere titolare di un permesso di costruire rilasciato il 10 febbraio 2011 (in atti) per la realizzazione sul sito di un opificio artigianale, la cui realizzazione sarebbe preclusa dalla presenza della linea elettrica per cui è causa e della relativa fascia di rispetto, che impedirebbero di sfruttare oltre 1.724 metri quadri di superficie costruibile;

- di aver inutilmente sollecitato la cessazione della perpetrata occupazione, da ultimo con diffida del 26 gennaio 2011 (in atti);

- come l’unico atto al riguardo adottato sia il provvedimento della Giunta Regionale della Regione Abruzzo n. DN4/01 del 22 gennaio 2002 di per sè “privo di efficacia ablatoria”, che ha disposto “l’autorizzazione definitiva in sanatoria” ai sensi dell’art. 20 della l.r. Abruzzo n. 83/1988 di una serie di elettrodotti già in esercizio a quella data, tra cui quello in oggetto, atto al quale non avrebbe fatto seguito un regolare decreto di esproprio dell’area in questione.

Si costituivano in giudizio sia Enel Distribuzione s.p.a. (di seguito, anche semplicemente “Enel”) che Terna Rete Italia s.r.l. (di seguito anche semplicemente “Terna”), entrambe depositando memoria di pura forma.

Parte ricorrente il 22 gennaio 2020 depositava propria “relazione di consulenza tecnica di parte” del 18 gennaio 2020, recante una stima della diminuzione di valore subita dal terreno di sua proprietà a causa della presenza dei cavi aerei per cui è causa, tra l’altro evidenziando come, in ragione dell’esistenza della fascia di rispetto relativa alla linea elettrica per cui è causa, sia stata apportata una variante al progetto inizialmente approvato nel 2011 per la realizzazione sul sito di un opificio artigianale e sia stato ottenuto un nuovo relativo permesso di costruire (n. A16-22 del 15 marzo 2016, in atti), con una riduzione della superficie coperta da realizzare da 1.754,24 metri quadri a 1.365,00 metri quadri.

La Terna con successiva memoria eccepiva, in rito, il difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo e, comunque, la tardività del gravame in relazione alla mancata impugnazione del citato provvedimento della Giunta Regionale Abruzzo 22 ottobre 2002 n. DN4/01 nonché, nel merito, come la contestata situazione di fatto si sarebbe “effettivamente e pacificamente protratta per il tempo utile all’usucapione del diritto di servitù” coattiva di elettrodotto, atteso che:

- la linea elettrica oggetto di causa sarebbe stata realizzata da Enel (dante causa di Terna) “tra l'estate del 1982 e la primavera del 1983” (in tal senso, il "Modello 12", redatto in data 30 giugno 1983, attestante l'attivazione del trasformatore collegato all'elettrodotto);

- l’elettrodotto sarebbe in esercizio da allora e, conseguentemente, da tale stessa data potrebbe evidentemente considerarsi insistente, anzitutto in via di fatto, il godimento di una servitù di elettrodotto in favore di Enel e, successivamente, della sua avente causa Terna;

- l’usucapione si sarebbe dunque maturata, trascorso il ventennio, il 30 giugno 2003 con acquisto a titolo originario;

- si tratterebbe, inoltre, di un impianto regolarmente autorizzato con relativa dichiarazione di pubblica utilità, rientrando tra quelli compresi nell’ambito della citata ordinanza della Giunta Regionale Abruzzo n. DN4/01 del 22 gennaio 2002, successivamente entrato a far parte della Rete Elettrica Nazionale (RTN) e, quindi, divenuto di proprietà di Terna;

- la ricorrente, sulla quale incombe l’onere di provare l'esistenza di tempestivi ed efficaci atti interruttivi, avrebbe dichiarato - con effetti confessori - di essersi in via epistolare attivata chiedendo la rimozione dell'impianto solo con la lettera del 26 gennaio 2011 (dunque, circa otto anni dopo il compimento del termine ad usucapiendum) con conseguente inesistenza (nel ventennio necessario all’usucapione) di iniziative della ricorrente idonee ad interrompere gli effetti giuridici del decorso del tempo.

Parte ricorrente replicava, contestando integralmente la documentazione posta a sostegno degli avversi rilievi, oltre che in termini di non chiara riferibilità alle opere in oggetto, per assoluta inidoneità a comprovare la decorrenza dei termini di usucapione, dal giugno del 1983 e sino al ventennio, non valendo essa ad attestare alcuna forma di possesso uti dominus in tale arco temporale, ed evidenziando come la sollevata eccezione di usucapione sarebbe non solo del tutto infondata, pretestuosa e strumentale, ma costituirebbe essa stessa dimostrazione dell’illegittimità della procedura espropriativa in esame.

Terna, con successiva memoria, insisteva sull’intervenuta costituzione per usucapione della servitù di elettrodotto, non incidendo la natura permanente dell’illecito sul decorso del relativo termine, il cui maturarsi provoca, in definitiva, la prescrizione del diritto (estinzione) anche nel caso di illecito permanente.

Anche Enel depositava propria memoria di replica in cui ribadiva l’acquisto a titolo originario del diritto di servitù per usucapione.

All’udienza pubblica del 12 febbraio 2020, la causa veniva trattata e, dunque, trattenuta in decisione.

Seguendo l’ordine logico delle questioni sollevate, occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione, formalmente sollevata da Terna nella memoria depositata il 24 gennaio 2020 in relazione all’asserita “matrice civilistica” della pretesa azionata, volta ad ottenere una “tutela del diritto reale dominicale” del tutto “scoordinat(a) da qualsivoglia ambito procedimentale o sindacato sulla legittimità provvedimentale”.

Orbene, ritiene il Collegio che la presente controversia, diversamente da quanto vorrebbe la resistente Terna, debba essere trattenuta alla potestas iudicandi di questo T.A.R., ai sensi della norma generale di cui all’art. 133, comma 1, lett. g, cod. proc. amm. che, infatti, devolve al giudice amministrativo la giurisdizione per “le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità”, ferma restando “la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”.

Soccorre al riguardo quel consolidato indirizzo giurisprudenziale (ispirato dalle celebri pronunce della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006) secondo il quale, in materia di espropriazione per pubblica utilità, ad eccezione dei casi in cui l’amministrazione espropriante abbia agito nell’assoluto difetto di una potestà ablativa (ipotesi attribuite alla giurisdizione ordinaria), sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione - anche a fini risarcitori - di un’attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguente ad una dichiarazione di pubblica utilità, anche se il procedimento all’interno del quale tale attività è stata posta in essere non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprietà (in tal senso, questo T.A.R., sez. III ter, n. 637/2017 e altra pregressa giurisprudenza ivi citata), sicchè sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche in caso di (lamentati) danni conseguenti a contestati comportamenti di impossessamento del bene altrui, purchè tali comportamenti siano pur sempre collegati all’esercizio, anche se (in tesi) illegittimo, di un pubblico potere.

Orbene, nel caso di specie, il “comportamento” contestato dalla ricorrente (consistente nell’occupazione del proprio terreno per la realizzazione di un linea elettrica in asserita assenza di una regolare procedura espropriativa) è indubbiamente riconducibile all’esercizio del pubblico potere ablatorio, risultando incontestato tra le parti che, con riferimento all’occupazione di cui si discorre, sia stato adottato il provvedimento della Giunta Regionale della Regione Abruzzo n. DN4/01 del 22 gennaio 2002 di “autorizzazione definitiva in sanatoria”, ai sensi dell’art. 20 della l.r. Abruzzo n. 83/1988, (anche) dell’elettrodotto incidente sull’area di proprietà della società ricorrente (all’epoca già in esercizio), recante un’implicita dichiarazione di pubblica utilità di tale opera.

Ne discende, dunque, l’evidente ricomprensione della presente controversia nell’ambito della giurisdizione esclusiva dell’adito giudice amministrativo, in quanto chiaramente connessa e correlata all’esercizio di pubblici poteri, afferendo essa ad un’ipotesi non già di “occupazione usurpativa” (per mancanza ab origine della dichiarazione di pubblica utilità o sua nullità), del tutto svincolata dall’esercizio del potere amministrativo, bensì di “occupazione acquisitiva” (per mancata adozione di un successivo decreto di esproprio), nell’ambito di una procedura espropriativa di cui si contesta la legittimità (ex multis, Sezioni Unite di Cassazione, 7 dicembre 2016 n. 25044 e Consiglio di Stato, Sezione IV, 12 giugno 2012 n. 3456).

Deve essere, ugualmente, respinta anche l’altra eccezione formulata in rito da Terna, di inammissibilità del ricorso per mancata tempestiva impugnazione del provvedimento della Giunta Regionale del 22 gennaio 2002, contestando la società ricorrente non già la legittimità di tale atto, bensì la mancata regolarizzazione e definizione della relativa procedura ablatoria in ragione del non esser seguito ad esso un relativo decreto di esproprio dell’area.

Passando ad esaminare il merito il ricorso, la pretesa di parte ricorrente è fondata e deve, quindi, essere accolta, nei limiti ed alla stregua delle seguenti precisazioni.

La IMALAI s.n.c. ha proposto un’azione ex art. 30 c.p.a., volta ad ottenere - previa dichiarazione dell’illegittimità dell’occupazione del proprio terreno, mediante la realizzazione della linea elettrica Enel per cui è causa, per non essere intervenuto alcun provvedimento che ne sancisse il definitivo passaggio in mano pubblica - la condanna delle resistenti “ciascuna per quanto di ragione” alla restituzione del fondo in proprio favore e, quindi, al risarcimento del danno in forma specifica, oltre al risarcimento del danno da occupazione illegittima, ovvero, in subordine, la condanna delle stesse resistenti al risarcimento del danno per equivalente monetario, fermo restando il diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima, come sopra specificato.

Ebbene, la giurisprudenza amministrativa è granitica nell’affermare come l’occupazione e trasformazione di un bene immobile per scopi di interesse pubblico in presenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità e di un legittimo decreto di occupazione d’urgenza ma senza tuttavia adottare il provvedimento definitivo di esproprio non possano giammai determinare un effetto traslativo della proprietà bensì debbano essere qualificate come occupazione sine titolo e dunque, illecito di carattere permanente, sicchè è fatto obbligo primario all’amministrazione di risarcire integralmente il relativo danno mediante la restituzione del fondo illegittimamente detenuto previa sua riduzione in pristino (ex art. 2058 c.c.) o, in alternativa, per equivalente, atteso che solo un formale atto di acquisizione del fondo riconducibile ad un negozio giuridico ovvero al provvedimento ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 (introdotto a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 43 dello stesso decreto) potrà, infatti, precludere la restituzione del bene.

Ciò posto, nel caso di specie - stante l’assenza di un titolo, valido ed efficace, idoneo al trasferimento della proprietà (decreto di esproprio, contratto o provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001) - deve essere affermata la permanenza della situazione di illiceità in cui versa parte resistente per l’attuale incontestata occupazione del terreno in questione.

Il Collegio rinviene, infatti, nel contestato comportamento da costoro tenuto tutti gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana per danno ingiusto, ravvisando sia il compimento di un atto illecito, derivante dalla perdurante occupazione sine titulo del fondo di parte ricorrente, sia l’elemento psicologico della colpa, per la negligenza dimostrata nella mancata conclusione della procedura espropriativa, sia il nesso causale tra l’azione appropriativa e il danno patito per effetto della sottrazione del bene e la trasformazione dei luoghi.

Con specifico riferimento al fatto illecito, costituiscono, infatti, principi acquisiti quelli per cui:

- è oramai espunto dal nostro ordinamento giuridico l’istituto dell’occupazione acquisitiva - che, in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità o di una dichiarazione d'indifferibilità e urgenza esplicita o implicita, dell'occupazione dell'area e dell'irreversibile trasformazione del fondo nonché della scadenza del termine di occupazione legittima senza adozione di un decreto di esproprio ovvero in caso di annullamento giurisdizionale della procedura espropriativa, ipotizza un acquisto a titolo originario della proprietà del fondo in capo all’amministrazione occupante (legittimando il privato proprietario ad agire esclusivamente per il risarcimento del danno), in ragione dell'evidente contrasto con l’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU (secondo cui “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”), al cui rispetto il legislatore è vincolato in forza dell'art. 117, comma 1, della Costituzione;

- caduto il presupposto della possibilità di affermare in via interpretativa che da un’attività illecita dell’amministrazione possa derivare la perdita del diritto di proprietà da parte del privato, diviene applicabile lo schema generale degli artt. 2043 e 2058 c.c., il quale non solo non consente l’acquisizione autoritativa alla mano pubblica del bene altrui su cui sia stata realizzata un’opera di pubblica utilità o di pubblico interesse, ma attribuisce al proprietario, rimasto tale, la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell'immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione, ecc.), oltre al consueto risarcimento del danno - limitato, però, al valore d’uso del bene - secondo i parametri dell’art. 2043 c.c. (ex plurimis, Sezioni Unite di Cassazione, sentenza n.735 del 19 gennaio 2015);

- il privato, il cui bene sia stato illegittimamente occupato dall’amministrazione, ne rimane in ogni caso proprietario (non potendosi attribuire efficacia abdicativa della proprietà neppure all’eventuale domanda risarcitoria per equivalente), sicché il risarcimento del danno subito dovrà coprire non già il valore venale del bene, bensì il solo valore d’uso del bene medesimo, dal momento della sua illegittima occupazione fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie, ovvero fino al momento in cui l’amministrazione acquisterà legittimamente la proprietà dell’area, vuoi con il consenso della controparte mediante contratto, vuoi mediante l’adozione del provvedimento autoritativo di acquisizione sanante ex art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (in tal senso, T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 23 maggio 2018, n. 3368);

- “alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 71 del 2015, l'adozione dell'atto acquisitivo ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001 è consentito quale "extrema ratio" per la soddisfazione di "attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico", solo quando siano state escluse, all'esito di una effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati, le altre opzioni sopra configurate” (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 2690 17 giugno 2016).

Con riferimento, poi, al rilievo, sollevato da entrambe le resistenti, dell’intervenuta usucapione del terreno di proprietà della ricorrente, il Collegio - nell’evidenziare come tale questione, pur involgendo la decisione circa profili di spettanza del giudice ordinario, possa essere, peraltro, affrontata e risolta, incidentalmente, nell’ambito del presente giudizio ai sensi dell’art. 8 c.p.a., rientrando tra le “questioni … incidentali relative a diritti, la cui risoluzione è necessaria per pronunciare sulla questione principale” - ritiene che la relativa eccezione debba essere disattesa per mancato decorso del relativo termine ventennale, con conseguente sua inidoneità a paralizzare, nel caso di specie, la domanda avanzata dalla ricorrente di reintegrazione e risarcimento del danno da occupazione abusiva.

In tal senso, si è, infatti, recentemente espressa l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che - nell’intento di “ricostruire … il quadro dei condivisibili principi che, successivamente all’ordinanza di rimessione della IV Sezione, sono stati elaborati dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 71 del 2015 cit.), dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. decisioni n. 735 del 19 gennaio 2015 e n. 22096 del 29 ottobre 2015) e dal Consiglio di Stato (cfr. sentenze Sez. IV, n. 4777 del 19 ottobre 2015; n. 4403 del 21 settembre 2015; n. 3988 del 26 agosto 2015; n. 2126 del 27 aprile 2015; n. 3346 del 3 luglio 2014), all’interno della consolidata cornice di tutele delineata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per contrastare il deprecato fenomeno delle <<espropriazioni indirette>> del diritto di proprietà o di altri diritti reali (cfr., ex plurimis e da ultimo, con riferimento all’ordinamento italiano, Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, 3 giugno 2014, Rossi e Variale; Sez. II, 14 gennaio 2014, Pascucci; Sez. II, 5 giugno 2012, Immobiliare Cerro; Grande Camera, 22 dicembre 2009, Guiso; Sez. II, 6 marzo 2007, Scordino; Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta; Sez. II, 17 maggio 2005, Scordino; Sez. II, 30 maggio 2000, Soc. Belvedere alberghiera; Sez. II, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura)” - ha chiarito come, in linea generale, la condotta dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà e manifestata per le vie di fatto (c.d. “occupazione acquisitiva”) - configurante un illecito permanente ex art. 2043 c.c. - possa terminare anche in conseguenza “di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti individuati dal Consiglio di Stato, allo scopo di evitare che si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale della C.E.D.U. (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014); dunque a condizione che:

I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta;

II) si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis;

III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003) perché solo l’art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il <<… giorno in cui il diritto può essere fatto valere>>”.

Ne consegue, dunque, come nel caso di specie - avendo la società ricorrente instaurato il presente giudizio nel 2013 - non possa sicuramente ritenersi decorso il termine ventennale di formazione del relativo diritto di servitù.

Dall’applicazione delle superiori coordinate ermeneutiche al caso in esame discende, dunque, in relazione alla linea elettrica Enel per cui è causa (“SE Villanova – CP Pineto – derivazione CP Montesilvano” - direzione nord) l’illiceità dell’occupazione, detenzione e trasformazione del suolo di proprietà della società ricorrente con conseguente:

- accertamento in capo alla parte resistente dell’obbligo (civilistico) di procedere al ripristino del diritto di proprietà, mediante la restituzione del suolo occupato, detenuto e trasformato in assenza di un titolo legittimante, previa demolizione dei manufatti ivi realizzati, salva la facoltà di tali Enti di continuare a utilizzare i fondi purché li acquisiscano legittimamente, mediante lo strumento autoritativo previsto dall’art. 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001, con le conseguenze patrimoniali ivi indicate, ovvero attraverso gli ordinari strumenti privatistici, con il consenso dei privati anche in relazione ai corrispettivi patrimoniali da corrispondere;

- condanna della parte resistente al risarcimento del danno da occupazione illegittima per tutto il periodo in cui la società ricorrente è stata privata del possesso del bene, vale dire dal momento in cui l’occupazione è divenuta tale fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie (restituzione del bene ovvero sua acquisizione mediante l’adozione del provvedimento di cui al citato art. 42 bis o la stipula di un contratto).

Orbene, quanto al risarcimento del danno, il Collegio pronuncia sentenza ai sensi dell’art. 34, comma 4, del cod. proc. amm. (che, infatti, consente al giudice, in caso di condanna pecuniaria, di stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine), stabilendo che parte resistente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ovvero della sua notifica su istanza di parte se anteriore, proponga a parte ricorrente il pagamento delle somme dovute - da quantificarsi secondo i criteri di liquidazione di seguito esposti - e proceda al relativo versamento entro i sessanta giorni successivi al raggiungimento del relativo accordo.

Nello specifico, stabilisce a tal fine il Collegio che:

- tale danno potrà quantificarsi, con valutazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., nell'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene, in linea con il parametro fatto proprio dal legislatore all’art. 42 bis, comma 3, del d.P.R. n. 327/2001, suscettibile di applicazione analogica in quanto espressione di un principio generale (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli Sez. V, sentenza n. 4873/2019);

- quanto alla determinazione del valore venale del bene, da valutarsi unicamente per definire il parametro per la determinazione del danno patrimoniale da illegittima occupazione (pari al 5% annuo), gli enti intimati dovranno, tenuto conto della destinazione urbanistica dell’area:

i) utilizzare il metodo di stima diretta (o sintetica), che consiste nella determinazione del più probabile valore di mercato di un bene mediante la comparazione di valori di beni della stessa tipologia di quello oggetto di stima (atti di compravendita di terreni finitimi e simili), avuto, altresì, riguardo alle indicazioni della società ricorrente quanto all'accertamento del valore di mercato del terreno de quo;

ii) devalutare e rivalutare annualmente i valori medi a metro quadro indicati per il terreno interessato, secondo gli indici dell'andamento dei prezzi del mercato immobiliare pubblicati nei siti internet delle maggiori e più accreditate società di studi e di osservatori del mercato immobiliare, per comprendere il periodo che va dall’inizio dell’illegittima detenzione fino all’attualità;

iii) su tali ultimi valori - devalutati al momento dell'illegittimo possesso e aggiornati all'attualità - andranno, computati, a titolo di risarcimento del danno dovuto, gli interessi nella misura del 5% per ogni anno di occupazione illegittima sino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie.

Il Collegio ricorda - altresì - che in caso di mancata offerta, di mancato accordo sulla somma offerta o di mancato adempimento dell’accordo il rimedio esperibile è, ai sensi del citato 34, comma 4, del cod. proc. amm., quello del giudizio di ottemperanza.

In conclusione, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, il ricorso deve essere accolto, con la condanna di parte resistente a:

- la reintegra nel possesso, mediante restituzione in favore della parte ricorrente, previo ripristino dell’originario stato, del suolo attualmente oggetto di occupazione illegittima, fatta salva la facoltà degli Enti di continuare a utilizzare i fondi purché li acquisiscano legittimamente, mediante lo strumento autoritativo previsto all’art. 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001, con le conseguenze patrimoniali ivi indicate, ovvero attraverso gli ordinari strumenti privatistici, con il consenso dei privati anche in relazione ai corrispettivi patrimoniali da corrispondere;

- il risarcimento, in favore della società ricorrente, del danno patrimoniale da occupazione illegittima, calcolato secondo i criteri sopra indicati.

Le spese di lite, come liquidate in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, per l’effetto condannando parte resistente:

a) alla reintegra nel possesso, mediante restituzione in favore della parte ricorrente, previo ripristino dell'originario stato, dei suoli siti nel territorio comunale, attualmente oggetto di occupazione illegittima, fatta salva l’adozione di provvedimenti volti alla regolarizzazione postuma della fattispecie;

b) al risarcimento del danno patrimoniale conseguentemente subito dalla società ricorrente da liquidarsi, su accordo delle parti, ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm., secondo i criteri e nei tempi indicati in motivazione.

Condanna le resistenti, in solido tra loro, alla refusione, in favore della società ricorrente, delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato, over versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele, Presidente

Vincenzo Blanda, Consigliere

Eleonora Monica, Primo Referendario, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Eleonora Monica Giuseppe Daniele
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

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