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Occupazione illegittima: condizioni, presupposti e rimedi

Pubblico
Domenica, 9 Gennaio, 2022 - 16:45

Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, (Sezione Quinta), sentenza n.6651 del 22 ottobre 2021, sui termini della occupazione illegittima 

N. 06651/2021 REG.PROV.COLL.
N. 02224/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2224 del 2011, proposto da
Istituto Autonomo per Le Case Popolari di Napoli - I.A.C.P., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Raffaele Marciano, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via S. Lucia, 62;
contro
Comune di San Giorgio a Cremano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Arnaldo Miglino, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Lombardo in Napoli, via Riviera di Chiaia, 127;
per la condanna del Comune di San Giorgio a Cremano al pagamento dell’indennità per l'occupazione ab origine "sine titulo", al risarcimento per occupazione illegittima della maggiore consistenza delle aree relative al fondo in catasto al f. 4, p.lle 228 e 998 su cui era stata realizzata una strada, al pagamento delle indennità offerte ma non liquidate in relazione alle parti delle medesime particelle oggetto di immissione in possesso da parte del Comune ai fini della realizzazione di una ludoteca, nonché per la condanna del medesimo Comune al pagamento delle indennità e del risarcimento del danno in relazione alla particella n. 5 del foglio 4 oggetto di decreto di occupazione d’urgenza ai fini della realizzazione di una scuola elementare e materna.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Giorgio a Cremano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 13 luglio, tenuta da remoto in videoconferenza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 d.l. 28/2020 e 25 d.l. 137/2020, come modificato dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176 e dal D.L. n. 44/2021, la dott.ssa Diana Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato al Comune di San Giorgio a Cremano il 1° aprile 2011 e depositato il successivo 21 aprile, l’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Napoli – d’ora in poi I.A.C.P. – ha riassunto innanzi questo T.A.R., a seguito di declaratoria di difetto di giurisdizione intervenuta con la sentenza del Tribunale di Napoli, n. 11886 del 18/10/2010, depositata il successivo 25 novembre 2010, il giudizio proposto in sede civile con atto di citazione notificato in data 10 luglio 2009 relativo alla condanna del Comune al pagamento dell’indennità per l'occupazione ab origine "sine titulo", al risarcimento per occupazione illegittima della maggiore consistenza delle aree relative al fondo in catasto al f. 4, p.lle 228 e 998 su cui era stata realizzata una strada, al pagamento delle indennità offerte ma non liquidate in relazione alle parti delle medesime particelle oggetto di immissione in possesso da parte del Comune ai fini della realizzazione di una ludoteca, nonché alla condanna del medesimo Comune al pagamento delle indennità e del risarcimento del danno in relazione alla particella n. 5 del foglio 4, oggetto di decreto di occupazione d’urgenza ai fini della realizzazione di una scuola elementare e materna.
In via subordinata peraltro lo I.A.C.P., con la domanda azionata innanzi al G.O., aveva richiesto, in caso di mancata realizzazione delle opere, la condanna del Comune alla restituzione delle aree, con salvezza del risarcimento del danno da occupazione legittima ed illegittima.
2. A sostegno delle domande lo I.A.C.P. assume in punto di fatto di essere proprietario di un suolo sito nel Comune di San Giorgio a Cremano, distinto in catasto terreni di detto Comune al foglio 4, particella 228 dell'estensione mq. 4.035, fg. 4, part. 998 dell'estensione di mq 237, fg. 4 part. 5 dell'estensione di mq. 10.950.
Con decreto d'occupazione d'urgenza n. 31110 del 15.11.1982 il Sindaco del Comune di S. Giorgio a Cremano disponeva l'occupazione temporanea d'urgenza della part. 5 del fg. 4 per mq. 10.950, necessari per la realizzazione di una scuola elementare e materna in località S. Martino - Via Rubinacci e, con verbale del 20.12.82, procedeva alla consistenza ed immissione in possesso di detto suolo.
Successivamente, con successivo decreto n. 31065 del 6.9.2004, il Dirigente dell'Ufficio Espropriazioni del Comune di S. Giorgio a Cremano, disponeva l'occupazione d'urgenza preordinata all'esproprio delle part. 228 e 998, per complessivi mq. 4.272,00, occorrenti per l'esecuzione dei lavori di realizzazione di una ludoteca con verde attrezzato ed educativo per ragazzi nell'area PEEP S. Martino - in località Via Noschese.
In data 03.12.2004, previa redazione del verbale di consistenza e di occupazione, il Comune di San Giorgio a Cremano si immetteva nel possesso del detto suolo per complessivi mq. 3.138, (in luogo dei previsti mq. 4.272,00) e, precisamente mq. 2.901 della particella 228 e mq. 237 della particella 998.
Parte ricorrente precisa che, relativamente alla particella 5 del fg. 4, non aveva ricevuto alcuna offerta di indennità, mentre, relativamente alle part. 228 e 998 del fg. 4, con nota prot. n. 0022929 del 22/12/2004 l'istante comunicava al Comune di San Giorgio a Cremano di accettare l'indennità di espropriazione offerta ed ammontante ad euro 253.906,00.
Pertanto, in relazione alle suddette part. 228 e 998, il Dirigente del IV° Settore del Comune di San Giorgio a Cremano, preso atto dell'accettazione delle indennità da parte dell'I.A.C.P. di Napoli, con determina n. 203 del 22.12.2006, impegnava in favore dell'istante la complessiva somma di €. 173.284,34 quale indennità di espropriazione per la superficie totale di mq. 3.138,00, effettivamente appresa.
Peraltro, nella prospettazione attorea, la restante parte del suolo (mq. 1.1134), oggetto della originaria procedura espropriativa, sebbene mai legittimamente appresa con il menzionato decreto di occupazione d'urgenza n. 31065/04, era stata illegittimamente ed in precedenza già occupata, in assenza di un valido titolo autorizzatorio, dal Comune di San Giorgio a Cremano per la realizzazione di una strada denominata traversa S. Martino.
L’Amministrazione comunale secondo parte ricorrente non avrebbe peraltro mai provveduto a corrispondere le indennità relative ai suoli appresi, neppure quella già accettata relativa alle particelle part. 228 e 998 per la superficie totale di mq. 3.138,00, né avrebbe mai corrisposto alcuna somma in relazione ai restanti 1134 mq delle particelle n. 228 e 998, illegittimamente occupate per la realizzazione della traversa S. Martino in assenza di alcun atto espropriativo.
Parte ricorrente evidenzia pertanto l’illegittimità del comportamento del Comune che aveva proceduto all’occupazione di parte delle particelle n. 228 e n. 998, ai fini della realizzazione della predetta strada, senza avviare alcun procedimento espropriativo, nonché il grave inadempimento del Comune di San Giorgio a Cremano che, dopo aver attivato il procedimento rivolto all'acquisizione dell'area di sua proprietà per la restante parte delle particelle n. 228 e n. 998 e per la particella n. 5, e dopo aver disposto l'occupazione d'urgenza dell'area, rendendone possibile la trasformazione, era rimasto del tutto inerte, omettendo di ristorare il proprietario.
3. Si è costituito il Comune di San Giorgio a Cremano, con deposito di documenti e di articolata memoria difensiva, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso in riassunzione in quanto contenente domande diverse da quelle azionate innanzi al G.O. e comunque la genericità delle domande, nonché la prescrizione quinquennale, ovvero in subordine decennale, con riferimento a qualsivoglia richiesta risarcitoria in relazione all’occupazione e all’irreversibile trasformazione dei cespiti di proprietà dello I.A.C.P. oggetto del presente giudizio.
In subordine, nell’ipotesi di mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione, il Comune ha eccepito l’usucapione in relazione alla particella di cui al foglio n. 5, in quanto oggetto di irreversibile trasformazione mercé la realizzazione dell’edificio scolastico realizzato sin dal novembre del 1987, con conseguente libera disponibilità delle aree interessate, laddove l’atto di citazione innanzi al Tribunale di Napoli era stato notificato soltanto in data 10 luglio 2009, allorquando si era già compiuta l’usucapione in forza dell’indisturbato possesso decennale (per l’usucapione abbreviata), ovvero in subordine ventennale.
4. Il Comune si è in ogni caso opposto all’espletamento della C.T.U. per la valutazione del valore venale delle particelle n. 228 e n. 998 sulle quali doveva essere realizzata una ludoteca, essendo stata l’indennità di esproprio già determinata ed accettata da parte dello I.A.C.P., ed ha contestato la pretesa relativa al pagamento del risarcimento del danno per la parte delle particelle n. 228 e n. 998 non oggetto di occupazione d’urgenza ed asseritamente appresa in precedenza per la realizzazione della strada denominata traversa San Martino, sulla base del rilievo che si tratterebbe di manufatto in proprietà dell’Istituto ricorrente e dallo stesso realizzato.
5. Con memoria depositata in data 15 novembre 2017 il Comune ha inoltre eccepito il difetto di prova in ordine alla legittimazione ad agire di parte ricorrente
6. All’esito dell’udienza pubblica del 21 dicembre 2017, fissata per la trattazione del merito del ricorso, la Sezione ha adottato l’ordinanza collegiale n. 00112/2018 del seguente tenore: “Rilevato che il ricorrente agisce con il presente ricorso anche in relazione al ristoro del danno patito in relazione all’occupazione ad opera del Comune della maggiore consistenza delle aree relative al fondo in catasto al f. 4, p.lle 228 e 998, per circa mq. 1134, non oggetto dell’immissione in possesso di cui alle restanti parti delle medesime particelle, diretta alla realizzazione di una ludoteca, deducendo che sulla stessa il Comune aveva in precedenza realizzato una strada (traversa S. Martino) e che con la sentenza del Tribunale di Napoli n. 1186/2010, che si è pronunciata sul difetto di giurisdizione dell’adito G.O., si evidenzia che detta parte, seppure oggetto di espropriazione di fatto, era oggetto di un decreto di occupazione di urgenza corrispondente ad opere di pubblica utilità;
Rilevato che il Comune deduce di non avere realizzato detta strada e che la stessa sarebbe di proprietà del ricorrente;
Ritenuto che ai fini del decidere, anche in ordine alla giurisdizione – con la conseguente necessità di sollevare eventualmente conflitto negativo di giurisdizione (che peraltro si profila necessario in ordine alla domanda di condanna al pagamento dell’indennità da occupazione legittima relativamente alla particella n. 5 e alla parte della particelle 228 e 998 oggetto di immissione in possesso ai fini della realizzazione di una ludoteca) – sia necessario assumere dal Comune documentati chiarimenti in ordine alla classificazione di tale strada ed in ordine alla realizzazione della medesima;
Ritenuto in particolare che il Comune dovrà precisare se la stessa è stata realizzata dal Comune medesimo mercé dichiarazione di pubblica utilità, non potendosi annettere rilievo alla successiva dichiarazione di pubblica utilità relativa alla realizzazione della ludoteca;
Ritenuta inoltre la necessità che il Comune precisi se la restante parte delle medesime particelle, oggetto di immissione in possesso ai fini della realizzazione di una ludoteca - che il Comune peraltro deduce non essere stata mai realizzata - sia stata o meno oggetto di irreversibile trasformazione;
Ritenuto che ai predetti adempimenti istruttori il Comune debba provvedere entro il termine di quaranta giorni dalla comunicazione o dalla notifica, se antecedente, della presente ordinanza e di dovere rinviare all’udienza pubblica del 18 giugno 2018”.
7. Il Comune ha provveduto al deposito dei richiesti chiarimenti in data 24 maggio 2018, con nota del seguente tenore: “In riferimento all'ordinanza del TAR Campania (Sezione Quinta) n.112/2018 trasmessa con nota prot. n. 19038 del 20/04/2018, a seguito degli accertamenti d'ufficio effettuati, si riscontra quanto segue:
·la strada richiamata nell’Ordinanza, traversa San Martino, non risulta nell'elenco delle strade comunali e vicinali pubbliche di cui all'allegata Deliberazione di Consiglio Comunale n.41 del 08/04/2002. All'interno dei fascicoli di ufficio, inoltre, è stata rinvenuta l'allegata planimetria in base alla quale tale strada sembrerebbe essere stata realizzata quale viabilità di accesso alle aree oggetto di costruzione dell'IACP e, pertanto, dallo stesso Ente;
·non si rinvengono agli atti dell'ufficio provvedimenti inerenti la dichiarazione di pubblica utilità di tale strada, la cui epoca di realizzazione è antecedente all'anno 2000, in cui è stato redatto l'aggiornamento del vigente PRG di cui si allega un estratto;
·le aree interessate dal progetto di realizzazione della ludoteca non sono state oggetto di irreversibile trasformazione in quanto l'opera pubblica non è stata mai realizzata”.
8. All’udienza del 18 giugno 2018 la trattazione del ricorso è stata rinviata su istanza delle parti a data da destinare.
9. Con ordinanza collegiale n. 03265/2020, adottata all’esito della camera di consiglio del 21 luglio 2020, fissata per la verifica del perdurante interesse alla decisione, la Sezione, avuto riguardo al mancato deposito di qualsivoglia scritto difensivo, ha invitato le parti a manifestare espressamente il proprio interesse alla definizione nel merito della controversia nel termine fissato in dispositivo, ai fini della eventuale fissazione dell’udienza pubblica, con avvertenza che, in caso di ulteriore inerzia, il comportamento processuale sarebbe stato valutato anche ai sensi dell’art. 64 c.p.a..
10. L’Istituto ricorrente pertanto, con memoria depositata in data 30 luglio 2020, ha manifestato il proprio perdurante interesse alla decisione nel merito del ricorso.
11. Nelle more della trattazione nel merito del ricorso, in data 19 maggio 2021, l’Agenzia campana per l'edilizia residenziale – A.C.E.R. (già I.A.C.P.) ha preliminarmente controdedotto in ordine alla sussistenza della giurisdizione del G.A. adito in riassunzione, a seguito della sentenza declinatoria della giurisdizione adottata dal G.O., rappresentando che, trattandosi di giudizio di riassunzione, aveva meramente riproposto “tutte le domande e le eccezioni già avanzate” secondo quanto sancito dall’art. 50 c.p.c. e che ad avvalorare la giurisdizione del G.A., nonché a conferma delle deduzioni già sollevate nel presente giudizio sin dal ricorso introduttivo, si richiamava la nota prot. n. 2021.0054081/67877 del 17.05.2021, a firma del Dirigente dell’Agenzia ricorrente, nella quale si chiarisce che, per le aree oggetto di contenzioso contro il comune di San Giorgio a Cremano, “non è mai stato definito il procedimento di esproprio e che, pertanto, le aree in questione sono state e sono illegittimamente occupate”.
Da ciò la legittima pretesa risarcitoria dell’A.C.E.R. in forza di un’evidente occupazione illegittima perpetrata sine titulo dal Comune resistente.
Ha pertanto evidenziato, precisando meglio la domanda formulata nel ricorso introduttivo, che l’occupazione sine titulo posta in essere dal Comune rappresenterebbe un chiaro illecito permanente, perpetrato per mezzo di occupazione illegittima di terreni, irreversibilmente trasformati, non esitata in un regolare e definitivo procedimento di esproprio, a fronte della quale ha richiesto la restituzione del bene, previo ripristino dei luoghi e risarcimento del danno da occupazione temporanea illegittima, ovvero l’emanazione del decreto di acquisizione sanante previsto dall’art. 42 bis TU Espropri, il tutto con il conseguente pagamento degli indennizzi, peraltro stabiliti sin dall’anno 2004 dal Comune resistente e mai corrisposti.
12. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza del 13 luglio 2021, celebrata da remoto in videoconferenza, alla luce della legislazione emergenziale vigente ratione temporis, nella cui sede il legale di parte ricorrente ha dichiarato di rinunciare alla domanda relativa alla corresponsione dell’indennità da occupazione legittima, nonché a tutte le richieste riferite alla realizzazione della strada denominata Traversa S. Martino (in relazione alle quali la Sezione aveva evidenziato la sussistenza di seri dubbi sulla sussistenza della giurisdizione del G.A. con conseguente necessità di sollevare – in relazione solo a tali domande – conflitto di giurisdizione).
13. In via preliminare va precisato che la Sezione è chiamata a pronunciarsi sulla domanda di parte ricorrente di restituzione dei cespiti illegittimamente occupati dal Comune resistente in forza di occupazione d’urgenza di cui al decreto n. 31110 del 15.11.1982 del Sindaco del Comune di S. Giorgio a Cremano e cioè della part. 5 del fg. 4 per mq. 10.950, finalizzata all’espropriazione per la realizzazione di una scuola (poi effettivamente realizzata come da concorde allegazione in atti) seguita dall’immissione in possesso di cui al verbale del 20.12.82 e in forza dell’occupazione d’urgenza di cui al decreto n. 31065 del 6.9.2004 del Dirigente dell'Ufficio Espropriazioni del Comune di S. Giorgio a Cremano, preordinata all'esproprio delle particelle 228 e 998, per complessivi mq. 4.272,00, occorrenti per l'esecuzione dei lavori di realizzazione di una ludoteca (poi non realizzata come da allegazione del Comune non oggetto di contestazione ad opera di controparte) di cui al decreto n. 31065 del 6.9.2004, effettuata peraltro in forza del verbale di immissione in possesso 03.12.2004, solo per complessivi mq. 3.138, nonché di risarcimento dei danni per l’occupazione illegittima in relazione a tali cespiti, avuto riguardo al rilievo che all’occupazione d’urgenza non è seguita l’adozione di alcun decreto di esproprio.
Ed invero l’oggetto del contendere deve intendersi così precisato e limitato, dovendosi tenere conto da un lato della precisazione della domanda contenuta nella memoria finale di parte ricorrente depositata in data 19 maggio 2021, dall’altro della rinuncia, formulata a verbale di udienza, alla corresponsione dell’indennità di occupazione legittima e al risarcimento del danno riferito all’occupazione delle particelle 228 e 998 per mq. 1.1134, asseritamente riferita alla realizzazione della strada denominata traversa S. Martino.
13.1. Infatti, del tutto ammissibile deve ritenersi la precisazione/conversione della domanda formulata in ricorso, riferita alla corresponsione dell’indennità della procedura espropriativa - rectius del controvalore dei terreni illegittimamente occupati - in domanda di restituzione degli stessi - fatta salva la possibilità di ricorso all’acquisizione sanante ex art. 42 bis T.U. espropriazioni – e corresponsione del risarcimento del danno da occupazione illegittima, quale contenuta nella memoria di discussione finale, venendo in rilievo una mera emendatio libelli, resasi necessaria a seguito dell’evoluzione giurisprudenziale in materia - di cui all’arresto giurisprudenziale dell'Adunanza plenaria n. 2 del 20 gennaio 2020, e alla luce del principio univocamente affermato anche dalle pronunce nn. 3 e 4 della stessa Adunanza (per recenti applicazioni delle decisioni della A.P. richiamate, cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 7309, n. 5527, n. 5522 del 2020) - che ha portato a ritenere inammissibile la rinuncia abdicativa quale eventualmente contenuta nella domanda riferita alla corresponsione del valore venale delle aree illegittimamente occupate.
Con le suddette pronunce, l'Adunanza plenaria, sulla base di approfondite argomentazioni cui si fa rinvio, ha affermato che la domanda di risarcimento per equivalente non è causa di cessazione dell'illecito permanente e non è idonea a determinare la perdita della proprietà in capo a chi ha subito l'illegittima ed irreversibile trasformazione del bene; la "rinuncia abdicativa", quindi, non ha alcun rilievo giuridico nelle fattispecie disciplinate dall'art. 42-bis del testo unico sugli espropri e non è idonea a determinare l'acquisto del bene in capo all'ente che occupa l'area. Infatti, "preminenti esigenze di sicurezza giuridica, implicanti la prevedibilità, per tutti i soggetti coinvolti (compresa la parte pubblica), della fattispecie ablativa/acquisitiva, non possono che escludere la rilevanza dell'atto unilaterale di rinuncia abdicativa alla proprietà dell'immobile, ai fini della cessazione dell'illecito permanente costituito dall'occupazione sine titulo del bene di proprietà privata e della riconduzione della situazione di fatto a legalità". L'art. 42-bis, quindi, esaurisce la disciplina della fattispecie e comporta che l'occupazione senza titolo può terminare solo con l'adeguamento dello stato di diritto a quello di fatto, con un atto di acquisizione, un accordo transattivo tra le parti, avente effetti reali, o con la restituzione dell'area.
Da ultimo il Consiglio di Stato Sez. IV, 05/05/2021, n. 3514, facendo applicazione di tali principi, ha precisato che “La rinuncia abdicativa non ha alcun rilievo giuridico nelle fattispecie disciplinate dall'art. 42-bis del testo unico sugli espropri (D.P.R. n. 327/2001) e non è idonea a determinare l'acquisto del bene in capo all'ente che occupa l'area. Infatti, preminenti esigenze di sicurezza giuridica, implicanti la prevedibilità, per tutti i soggetti coinvolti (compresa la parte pubblica), della fattispecie ablativa/acquisitiva, non possono che escludere la rilevanza dell'atto unilaterale di rinuncia abdicativa alla proprietà dell'immobile, ai fini della cessazione dell'illecito permanente costituito dall'occupazione sine titulo del bene di proprietà privata e della riconduzione della situazione di fatto a legalità. L'art. 42-bis, quindi, esaurisce la disciplina della fattispecie e comporta che l'occupazione senza titolo può terminare solo con l'adeguamento dello stato di diritto a quello di fatto, con un atto di acquisizione, un accordo transattivo tra le parti, avente effetti reali, o con la restituzione dell'area. In particolare, per l'ipotesi che sia invocata la sola tutela risarcitoria (o restitutoria) prevista dal codice civile, senza richiamare l'art. 42-bis citato, il giudice deve pronunciarsi tenuto conto del suddetto quadro normativo e del carattere doveroso della funzione attribuita dalla disposizione in esame all'amministrazione, con la conseguenza che non sarebbe ammissibile una richiesta solo risarcitoria in quanto essa si porrebbe al di fuori dello schema legale tipico previsto dalla legge per disciplinare la materia ponendosi anzi in contrasto con lo stesso. Questo non significa, che il giudice non possa, ove ne ricorrano i presupposti fattuali, accogliere la domanda. Infatti, l'ordinamento processuale amministrativo offre un adeguato strumentario per evitare, nel corso del giudizio, che le domande proposte in primo grado, congruenti con quello che allora appariva il vigente quadro normativo e l'orientamento giurisprudenziale di riferimento assurto a diritto vivente, siano di ostacolo alla formulazione di istanze adeguate al diverso contesto normativo e giurisprudenziale vigente al momento della decisione della causa in appello, quali la conversione della domanda, ove ne ricorrano le condizioni, la rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell'art. 37 del D. Lgs. n. 104/2010 o l'invito alla precisazione della domanda in relazione al definito quadro giurisprudenziale, in tutti i casi previa sottoposizione della relativa questione processuale, in ipotesi rilevata d'ufficio, al contraddittorio delle parti ex art. 73, comma 3, D. Lgs. n. 104/2010, a garanzia del diritto di difesa di tutte le parti processuali. Fermo restando che la qualificazione delle domande proposte in giudizio passa attraverso l'interpretazione dei relativi atti processuali, rimessa al giudice investito della decisione della controversia nel merito”).
13.2. La rinuncia formulata a verbale dell’udienza di discussione è per contro consequenziale all’adozione da parte di questa Sezione dell’ordinanza collegiale n. 00112/2018, con la quale si è evidenziata, in relazione alle domande oggetto di rinuncia, la sussistenza di profili di inammissibilità per difetto di giurisdizione, con possibilità di sollevare conflitto negativo di giurisdizione, rientrando la richiesta di corresponsione dell’indennità di occupazione legittima per costante giurisprudenza in materia nella giurisdizione del G.A. (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, Sent., 04/02/2014, n. 494) e non potendosi annettere rilievo, in riferimento alla riferita realizzazione della strada denominata traversa S. Martino, alla successiva dichiarazione di pubblica utilità relativa alla realizzazione della ludoteca, con la conseguente configurabilità di un’occupazione usurpativa, del pari rientrante nella giurisdizione del G.O. (ex multis, da ultimo, Cons. Stato, Sez. II, 13/11/2020, n. 7033, secondo cui “Appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie concernenti l'occupazione del suolo privato e la conseguente sua irreversibile trasformazione compiute in difetto della dichiarazione di pubblica utilità (perché assente del tutto ovvero riferita ad aree diverse da quelle occupate che inverano un comportamento di mero fatto dell'amministrazione pubblica in alcun modo ricollegabile all'esercizio di poteri amministrativi, dando vita a c.d. occupazione usurpativa”).
14. La domande così come emendate sono comprese senza dubbio nella giurisdizione del G.A. adito in quanto “rientrano nella giurisdizione amministrativa tutte le occupazioni illegittime in cui l'esercizio del potere si è manifestato con l'adozione della dichiarazione di pubblica utilità, pur se poi l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione, nonché la sua irreversibile trasformazione, sono avvenute senza alcun titolo che le consentiva o malgrado detto titolo sia stato annullato dalla stessa autorità amministrativa che lo aveva emesso o dal giudice amministrativo” (in tal senso, da ultimo, Cons. Stato, Sez. II, 13/11/2020, n. 7033 cit.).
15. Così precisato l’oggetto del contendere, alla luce della precisazione/riduzione delle domande, deve evidenziarsi come non sia ravvisabile alcuna inammissibilità del ricorso per genericità della domande medesime e per contrasto fra le domande contenute nell’atto di citazione e quelle contenute nel ricorso in riassunzione, essendo, come innanzi evidenziato, possibile la precisazione delle domande, alla luce anche dell’evoluzione giurisprudenziale, ed essendovi piena coerenza fra le domande successivamente emendate con la causa petendi.
16. Sempre preliminarmente va delibata l’eccezione sollevata dal Comune resistente di difetto di prova della legittimazione ad agire dell’Istituto ricorrente.
16.1. La stessa va disattesa alla luce della documentazione in atti (cfr. atto di compravendita del 17 gennaio 1959 in favore della Gestione INA CASA e dichiarazione notarile contenuti nel fascicolo di parte del giudizio civile, depositati in allegato al ricorso, dalla quale risulta la proprietà dei cespiti oggetto dei menzionati decreti di occupazione d’urgenza, del resto adottati proprio nei confronti della gestione INA CASA- IACP e dello IACP).
17. Ciò posto, prima di passare alla disamina delle domande azionate e delle eccezioni di usucapione e di prescrizione sollevate dal Comune resistente, che attengono al merito della pretesa, appare utile, ad avviso del collegio, ripercorrere l'evoluzione giurisprudenziale e normativa che, al fine di contemperare le ragioni proprietarie con le finalità di pubblico interesse perseguite dall'amministrazione espropriante, ha caratterizzato la disciplina dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità qualificati da un esito patologico, ovvero dalla realizzazione sine titulo dell'opera pubblica per sopravvenuta inefficacia o annullamento degli atti del procedimento.
In siffatte evenienze si è tradizionalmente negata al privato la tutela possessoria, riconoscendosi solo una limitata tutela risarcitoria, in ragione dell'esigenza di assicurare l'opera pubblica alla collettività pur in assenza di un legittimo atto traslativo della proprietà in capo alla pubblica amministrazione, sia esso di tipo autoritativo (decreto di esproprio) ovvero di natura consensuale (accordo di cessione del bene espropriando).
L'acquisto della proprietà dell'opera pubblica così realizzata si è fatto risalire all'istituto di creazione pretoria dell'accessione invertita, elaborata in base ai principi di diritto desumibili per analogia iuris dall'art. 938 c.c., comportante l'acquisto della proprietà del suolo illegittimamente occupato a partire dal momento della sua irreversibile trasformazione, ovvero dalla modifica della consistenza e natura, con l'emersione di un bene nuovo e diverso, incorporato inscindibilmente al suolo.
L'istituto in questione è stato reputato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo contrario all'art. 1 Prot. 1 della Carta E.D.U., in quanto contrastante con il riconoscimento della natura fondamentale del diritto del proprietario al rispetto dei propri beni, stigmatizzandolo nella misura in cui lasciava il privato danneggiato in balia di regole non sufficientemente chiare, accessibili e prevedibili, auspicandone la damnatio memoriae (sentenze 30 maggio 2000 Carbonara e Ventura c/ Italia e Belvedere Alberghiera c/ Italia).
Al fine di adeguare l'ordinamento interno ai principi espressi dalle surrichiamate pronunce della Corte Europea, in adempimento agli obblighi specificamente assunti dall'Italia con la riforma dell'art. 117, comma 1, Cost, che impegna il legislatore al rispetto dei "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario", è stata introdotta all'art. 43 T.U espropri (DPR 327/2001) la cd. acquisizione sanante o occupazione provvedimentale. Essa rilevava quale “legale via d'uscita” per l'amministrazione nei casi in cui fosse riscontrabile la realizzazione di un'opera pubblica su terreno di proprietà privata in assenza di valido ed efficace decreto di esproprio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 5830 del 2007; n. 1552 del 2008).
Abiurata l'occupazione appropriativa tra i modi di acquisto della proprietà, sulla base della ratio e dei principi sottesi al nuovo istituto, la giurisprudenza amministrativa ha ampliato gli strumenti a tutela del diritto di proprietà, non più limitati a quelli risarcitori, ma estesi a piena ragione alla tutela ripristinatoria di natura reale, mediante azione di restituzione, ancorché accompagnata dalla richiesta di riduzione in pristino.
Si è dunque ravvisata nel provvedimento di acquisizione sanante l'unico possibile presupposto ostativo alla tutela reale accordata dall'ordinamento al proprietario illegittimamente privato dei propri beni, non essendo infatti predicabili i limiti intrinseci alla disciplina risarcitoria, come l'eccessiva onerosità prevista dall'art. 2058 c.c., comma 2; né potendo farsi ricorso alla previsione dell'art. 2933 cod. civ., comma 2, ove non risulti che la distruzione della "res" indebitamente edificata sia di pregiudizio all'intera economia del Paese, ma abbia, al contrario, riflessi di natura individuale o locale (v. decisione Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 29 aprile 2005 n. 2, sent. Corte di Cassazione, sez. I civile, 23 agosto 2012 n. 14609, sent. TAR. Toscana, sez. I, 23 ottobre 2012 n. 1707).
A seguito della declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 43, per eccesso di delega, l'istituto dell'acquisizione sanante, sia pure rivisitato nei presupposti e modalità applicative, è stato reintrodotto con l'art. 42 bis inserito nel testo unico sugli espropri dall'art. 34, comma 1, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, per cui si può in tutta evidenza affermare che alcuni fondamentali arresti giurisprudenziali elaborati con riferimento all'istituto in questione conservino tuttora la loro validità.
L'istituto dell'acquisizione sanante, nel testo introdotto dall'art. 42 bis, è stato, tuttavia, sospettato d'incostituzionalità dalla Corte di Cassazione, sezioni unite civili, con due ordinanze del 13 gennaio 2014 e dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con ordinanze del 12 maggio e del 5 giugno 2014, per una serie di plurime considerazioni, che di seguito sinteticamente si riportano e cioè:
- perché avrebbe riservato un trattamento privilegiato alla pubblica amministrazione che abbia commesso un fatto illecito, concedendole la facoltà di mutare - successivamente all'evento dannoso - il titolo e l'ambito di responsabilità, nonché il tipo di sanzione (da risarcimento in indennizzo), traendo vantaggio da una situazione di illegalità da essa stessa determinata;
- perché avrebbe trasformato il precedente regime risarcitorio in un indennizzo derivante da atto lecito;
- perché, prescindendo dalla dichiarazione di pubblica utilità, autorizzerebbe l'espropriazione in assenza di una predeterminazione dei motivi di interesse generale che, nella prospettiva dell'art. 42 Cost., dovrebbero palesarsi gradualmente ed anteriormente al sacrificio del diritto di proprietà, in un momento in cui la comparazione tra l'interesse pubblico e l'interesse privato possa effettivamente evidenziare la scelta migliore;
- perché non vi sarebbero termini certi di avvio e conclusione del procedimento;
- perché la nuova operazione "sanante" presenterebbe numerosi ed insuperabili profili di contrasto con le norme convenzionali, non risolvibili in via ermeneutica, sulla base dell'interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo che, in più occasioni, avrebbe considerato "in radicale contrasto" con la CEDU il principio dell'"espropriazione indiretta", nella quale il trasferimento della proprietà del bene dal privato alla pubblica amministrazione avviene in virtù della constatazione della situazione di illegalità o illiceità commessa dalla stessa amministrazione, con l'effetto di convalidarla, consentendo a quest'ultima di trarne vantaggio e di passare oltre le regole fissate in materia di espropriazione. In sostanza, la "legalizzazione dell'illegale" non sarebbe consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tanto meno ad un provvedimento amministrativo di essa attuativo, qual è quello che disponga la cosiddetta acquisizione "sanante";
- perché la Corte EDU avrebbe ripetutamente considerato lecita l'applicazione dello ius superveniens in cause già pendenti soltanto in presenza di "ragioni imperative di interesse generale", pena la violazione del principio di legalità nonché del diritto ad un processo equo. La norma censurata violerebbe questo principio perché avrebbe confermato la possibilità dell'amministrazione di utilizzare il provvedimento ex tunc, per fatti anteriori alla sua entrata in vigore, al fine di attribuire alle amministrazioni occupanti una legale via d'uscita dalle situazioni di illegalità.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 71/2015 del 30/4/2015, ha respinto tutte le censure.
Dopo aver sommariamente descritto il contesto, anche giurisprudenziale, nel quale sono stati inseriti dapprima l'art. 43 e poi l'art. 42 bis del T.U. sulle espropriazioni, finalizzati a risolvere le anomalie del procedimento espropriativo per le quali la giurisprudenza amministrativa aveva elaborato gli istituti dell'occupazione "appropriativa" ed "usurpativa", ha rimarcato le ragioni poste a fondamento della declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 43 del T.U. sulle espropriazioni e segnatamente che "l'intervento della pubblica amministrazione sulle procedure ablatorie, come disciplinato dalla norma da ultimo richiamata, eccedeva gli istituti della occupazione appropriativa ed usurpativa, così come delineati dalla giurisprudenza di legittimità, prevedendo un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che aveva commesso l'illecito, addirittura a dispetto di un giudicato che avesse disposto il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato", oltre ai numerosi dubbi sulla compatibilità del meccanismo di "acquisizione sanante" con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, orientata a ritenere l'espropriazione cosiddetta indiretta in contrasto con il principio di legalità e non utilizzabile come valida alternativa ad un'espropriazione adottata secondo "buona e debita forma" (sentenza 12 gennaio 2006, Sciarrotta ed altri contro Italia).
Ha, quindi, proceduto ad un raffronto tra l'art. 43 del T.U. sulle espropriazioni ed il nuovo art. 42 bis del T.U. affermando che "il nuovo meccanismo acquisitivo presenta significative differenze rispetto all'art. 43 del T.U. sulle espropriazioni. La nuova disposizione, risolvendo un contrasto interpretativo insorto in giurisprudenza sull'art. 43 appena citato, dispone espressamente che l'acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc, solo al momento dell'emanazione dell'atto di acquisizione (ciò che ne impedisce l'utilizzo in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato)".
Ha, poi, rimarcato le differenze rispetto alla precedente disposizione, evidenziando che:
- la norma censurata impone uno specifico obbligo motivazionale "rafforzato" in capo alla p.a. procedente;
- la motivazione deve esibire le "attuali ed eccezionali" ragioni di interesse pubblico che giustificano l'emanazione dell'atto;
- nel computo dell'indennizzo viene fatto rientrare non solo il danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale;
- il passaggio del diritto di proprietà è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, da effettuare entro 30 giorni dal provvedimento di acquisizione;
- va disposta la comunicazione del provvedimento, entro trenta giorni, alla Corte dei Conti, mediante trasmissione di copia integrale.
Ha concluso affermando che "Si è, dunque, in presenza di un istituto diverso da quello disciplinato dall'art. 43 del T.U. sulle espropriazioni".
La Corte costituzionale ha, quindi, utilizzato le descritte differenze per giungere alla reiezione delle censure rassegnate, ivi comprese quelle sollevate con riferimento al contrasto, prospettato dai remittenti, della nuova disposizione con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
È stato, infatti, precisato che, seppure la norma trovi applicazione anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, per i quali siano pendenti processi, ed anche se vi sia stato un provvedimento di acquisizione successivamente annullato o ritirato, è anche vero che la stessa risponde all'esigenza di eliminare definitivamente il fenomeno delle "espropriazioni indirette", proprio per dare una risposta a quella "defaillance structurelle" individuata dalla Corte EDU.
18. Alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale e normativa delineata, emerge allora che ove, come nel caso in questione, il procedimento espropriativo non sia stato portato alla sua conclusione con l’adozione del decreto di esproprio nei termini normativamente previsti e si sia addivenuti alla realizzazione, anche parziale, dell’opera pubblica a seguito della disposta occupazione in via d’urgenza, si concretizzi un illecito permanente.
A tale situazione la P.A. può porre fine o con la restituzione del bene ancora di proprietà del privato, previa rimozione delle opere, salvo il risarcimento dei danni, ove ad una rinnovata valutazione ritenga non attuale e prevalente l'interesse pubblico all'eventuale acquisizione dei fondi; ovvero con l'adozione di un formale provvedimento di acquisizione avente effetti non retroattivi ex art. 42 bis DPR 327/2001, previa corresponsione del valore venale del bene, maggiorato di un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito.
La questione è stata ripresa ed approfondita dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 2 del 2016, ha affermato quanto segue:
"In linea generale, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell'amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l'acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c., con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull'occupazione contra ius, ovvero dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene, che viene a cessare solo in conseguenza:
a) della restituzione del fondo;
b) di un accordo transattivo;
c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo;
d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti perspicuamente individuati dal Consiglio di Stato allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie (i.e. alleviare gli oneri finanziari altrimenti gravanti sull'Amministrazione responsabile), si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014); dunque a condizione che:
I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta;
II) si possa individuare il momento esatto della interversio possessionis;
III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003) perché solo l'art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il <<.... giorno in cui il diritto può essere fatto valere>>;
e) di un provvedimento emanato ex art. 42-bis t.u. espr”.
Con la citata pronuncia n. 2/2016 la Plenaria ha peraltro precisato, quanto al provvedimento ex art. 42 bis T.U. espropri, che “non esiste la possibilità, tranne si versi in una situazione processuale patologica, che il giudice condanni direttamente in sede di cognizione l’Amministrazione a emanare tout court il provvedimento in questione: vi si oppongono, da un lato, il principio fondamentale di separazione dei poteri (e della riserva di amministrazione) su cui è costruito il sistema costituzionale della Giustizia Amministrativa, dall’altro, uno dei suoi più importanti corollari processuali consistente nella tassatività ed eccezionalità dei casi di giurisdizione di merito sanciti dall’art. 134 c.p.a. fra i quali non si rinviene tale tipologia di contenzioso (cfr., negli esatti termini, Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5).
E tanto a maggior ragione in una fattispecie in cui vengono in rilievo sofisticate valutazioni sulla ricorrenza delle circostanze eccezionali che giustificano l’acquisizione coattiva, cui si possono eventualmente riconnettere gravi ricadute in termini di responsabilità erariale.
Se del caso, dovrà essere cura delle parti evitare che si formi un giudicato di tal fatta su domande il cui petitum ha proprio ad oggetto l’emanazione di un provvedimento ex art. 42–bis, attraverso la proposizione di specifiche eccezioni (o mezzi di impugnazione all’esito della sentenza di primo grado).
Come si è testé rilevato è ben possibile, invece, che il giudice amministrativo, adito in sede di cognizione ordinaria ovvero nell’ambito del c.d. rito silenzio, a chiusura del sistema, imponga all’amministrazione di decidere - ad esito libero, ma una volta e per sempre, nell’ovvio rispetto di tutte le garanzie sostanziali e procedurali dianzi illustrate - se intraprendere la via dell’acquisizione ex art. 42-bis ovvero abbandonarla in favore delle altre soluzioni individuate in precedenza”.
Ciò in quanto il menzionato art. 42-bis, introducendo nell'ordinamento una facoltà di valutazione della fattispecie da parte dell'Amministrazione per l'eventuale acquisizione in via di sanatoria della proprietà di aree precedentemente occupate "contra ius", fonda in capo ai proprietari una posizione di interesse legittimo ulteriore e distinta rispetto a quella di diritto soggettivo consistente nel diritto di proprietà.
La sentenza dell'Adunanza plenaria ammette pertanto incidentalmente la configurabilità dell'usucapione pubblica (che si innesta, cioè, su un procedimento espropriativo avviato con l'occupazione d'urgenza), seppure solo in presenza delle condizioni indicate. In merito a detta ammissibilità, la giurisprudenza prevalente del G.A. precedente la Plenaria è peraltro di segno contrario: Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2015 n. 5414; Id., 26 agosto 2015 n. 3988; Id., 3 luglio 2014 n. 3346 (“Predicare che l'apprensione materiale del bene da parte della P.A. al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante ex art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001 possa essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell'acquisto per usucapione rischierebbe di reintrodurre nell'ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, nonché non onerose per l'Amministrazione dal momento che la c.d. retroattività reale dell'usucapione estinguerebbe anche ogni pretesa risarcitoria”). Per la giurisprudenza favorevole, per tutte, Cass., Sez. un., 19 gennaio 2015 n. 735.
19. Anche con il successivo arresto dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, di cui alla sentenza 20/01/2020, n. 2, si è ribadito che “La scelta di acquisire un bene occupato ed utilizzato sine titulo o restituirlo va effettuata esclusivamente dall'Autorità (o dal commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo, all'esito del giudizio di cognizione o del giudizio d'ottemperanza, ai sensi dell'art. 34 o dell'art. 114 c.p.a): in sede di giurisdizione di legittimità, né il giudice amministrativo né il proprietario possono sostituire le proprie valutazioni a quelle attribuite alla competenza e alle responsabilità dell'Autorità individuata dall'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001; pertanto, il giudice amministrativo, in caso di inerzia dell'Amministrazione e di ricorso avverso il silenzio ex art. 117 c.p.a., può nominare già in sede di cognizione il commissario ad acta, che provvederà ad esercitare i poteri di cui all'art. 42-bis o nel senso della acquisizione o nel senso della restituzione del bene illegittimamente espropriato; qualora, invece, sia invocata solo la tutela (restitutoria e risarcitoria) prevista dal c.c. e non si richiami l'art. 42-bis, il giudice deve pronunciarsi tenuto conto del carattere doveroso della funzione attribuita dall'art. 42-bis all'Amministrazione” .
Con tale ultima pronuncia, peraltro, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha, come innanzi evidenziato, ritenuto inammissibile l’istituto della rinuncia abdicativa, ponendo fine ad orientamenti giurisprudenziali contrastanti sul punto (peraltro questa Sezione già con la sentenza n. 367 del 23 gennaio 2019 aveva aderito all’orientamento giurisprudenziale affermatosi anche dopo la pronuncia della Plenaria di cui alla citata sentenza n. 2 del 2016 nella giurisprudenza di prime cure, secondo il quale detto istituto non può trovare ingresso nel nostro ordinamento; cfr., sul punto, T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, sez. I, 12/05/2017, n. 438; T.A.R. Lombardia - Brescia, sez. II, 16/11/2017, n. 1358; T.A.R. Piemonte, 28/03/2018, n. 368/2018; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 12/06/2018 n. 06548; T.A.R. Lazio, sez. II bis, 10/09/2018, n. 09219/2018).
20. Ciò posto, in ordine alla ricostruzione dell’istituto, va senz’altro disatteso il rilievo del Comune resistente circa l’intervenuta usucapione dei cespiti di cui è causa, in considerazione del mancato decorso sia del termine ventennale dell’usucapione ordinaria, che di quello decennale per l’usucapione abbreviata, peraltro non ammissibile nella fattispecie de qua, in mancanza di un titolo astrattamente idoneo al passaggio di proprietà.
20.1. Il Collegio - nell'evidenziare come tale questione involga la decisione circa profili di spettanza del giudice ordinario (come puntualizzato, invero da Cass. Sez. Un., 11 luglio 2017, n. 17110, secondo cui, diversamente dalla mancata retrocessione del fondo occupato, l'eventuale usucapione della proprietà di quest'ultimo non è immediatamente riconducibile al pregresso esercizio del potere espropriativo, ma ne costituisce una conseguenza meramente occasionale, atteso che tra quel potere e il suddetto effetto dovrebbe necessariamente intercorrere la “interversio possessionis”, dalla detenzione qualificata al possesso, da parte dell'occupante), ritiene come la stessa possa essere, peraltro, affrontata e risolta, incidentalmente, nell'ambito del presente giudizio ai sensi dell'art. 8 c.p.a., rientrando tra le "questioni ... incidentali relative a diritti, la cui risoluzione è necessaria per pronunciare sulla questione principale".
L’eccezione va disattesa, in maniera dirimente e senza neppure dover affrontare la diversa questione della natura del possesso utile all'usucapione, stante il mancato decorso del relativo termine ventennale – ma anche decennale per quella abbreviata - con conseguente sua inidoneità a paralizzare, nel caso di specie, la domanda avanzata dalla parte ricorrente di reintegrazione e risarcimento del danno da occupazione illegittima.
In tal senso, si è, infatti, come innanzi evidenziato, espressa l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con l’indicata sentenza n. 2 del 2016, che - nell'intento di "ricostruire ... il quadro dei condivisibili principi che, successivamente all'ordinanza di rimessione della IV Sezione, sono stati elaborati dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 71 del 2015 cit.), dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. decisioni n. 735 del 19 gennaio 2015 e n. 22096 del 29 ottobre 2015) e dal Consiglio di Stato (cfr. sentenze Sez. IV, n. 4777 del 19 ottobre 2015; n. 4403 del 21 settembre 2015; n. 3988 del 26 agosto 2015; n. 2126 del 27 aprile 2015; n. 3346 del 3 luglio 2014), all'interno della consolidata cornice di tutele delineata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per contrastare il deprecato fenomeno delle <<espropriazioni indirette>> del diritto di proprietà o di altri diritti reali (cfr., ex plurimis e da ultimo, con riferimento all'ordinamento italiano, Corte europea dei diritti dell'uomo, Sez. II, 3 giugno 2014, Rossi e Variale; Sez. II, 14 gennaio 2014, Pascucci; Sez. II, 5 giugno 2012, Immobiliare Cerro; Grande Camera, 22 dicembre 2009, Guiso; Sez. II, 6 marzo 2007, Scordino; Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta; Sez. II, 17 maggio 2005, Scordino; Sez. II, 30 maggio 2000, Soc. Belvedere alberghiera; Sez. II, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura)" - ha chiarito come, in linea generale, la condotta dell'amministrazione incidente sul diritto di proprietà e manifestata per le vie di fatto (c.d. "occupazione acquisitiva") - configurante un illecito permanente ex art. 2043 c.c. - possa terminare anche in conseguenza "di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti individuati dal Consiglio di Stato, allo scopo di evitare che si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale della C.E.D.U. (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014).
Pertanto, l'usucapione può operare a condizione che:
I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta;
II) si possa individuare il momento esatto della interversio possessionis;
III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003) perché solo l'art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il <<... giorno in cui il diritto può essere fatto valere>>".
Pertanto, sulla base dei principi enucleati dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria, in caso di occupazione acquisitiva, l’intervenuta usucapione potrà essere accertata solo dal 30 giugno 2023, ovvero dal ventennio dopo l’entrata in vigore del t.u. espr.
Dunque, sulla base delle coordinate individuate nella citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2016, la decorrenza del dies a quo dovrebbe considerarsi coincidente con l’inizio dell’occupazione usurpativa, consentendo l’immediata applicazione dell’istituto, mentre nell’ipotesi, come nella specie, di occupazione acquisitiva, invece, la decorrenza avrà luogo a far data dal 2003, divenendo l’usucapione configurabile solo dal 30 giugno 2023; ciò in disparte dalla considerazione che il termine utile ad usucapionem deve considerarsi interrotto a partire dalla notifica dell’atto di citazione, avvenuta in data 10 luglio 2009, per cui non sarebbe ravvisabile neanche l’usucapione abbreviata (peraltro come detto non configurabile in assenza di un decreto di esproprio).
20.2. Ciò in disparte dalla considerazione che altra parte della giurisprudenza anche successiva alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2/2016 – fra le recenti sentenze cfr. C.G.A.R.S. 25/03/2019 n. 255, fondata sull’assorbente rilievo che “se l'area esproprianda viene occupata illegittimamente (ed a maggior ragione se viene occupata "sine titulo") si perfeziona un c.d. "illecito permanente"; con la conseguenza che, fino a quando esso perdura, il termine per l'usucapione (a favore dell'occupante) non inizia a decorrere (C.S., IV^, 30.1.2017 n. 4106; Id., 3.7.2014 n. 3346; Id., 26.8.2015 n. 3988)” – ritiene che non possa essere comunque ravvisabile un possesso utile ad usucapionem in presenza di un’occupazione illegittima (“pertanto il riconoscimento dell'usucapione per effetto dell'occupazione illegittima scaturita da una procedura espropriativa non conclusasi ritualmente (con la cessione bonaria ovvero con il decreto di esproprio) rappresenta ciò che è stato definito un esercizio di "equilibrismo interpretativo" dal quale debbono essere prese le distanze" (C.S., IV, 3.7.2014 n. 3346; Id., 26.8.2015 n. 3988)”.
21. Meritevole di parziale accoglimento è per contro l’eccezione di prescrizione, del pari sollevata dal Comune resistente, dovendo essere riconosciuto il richiesto risarcimento del danno per occupazione illegittima solo a far data dal quinquennio antecedente la notifica dell’atto interruttivo della prescrizione, ovvero dalla notifica dell’atto di citazione in data 10 luglio 2009, non risultando agli atti di causa precedenti atti interruttivi della prescrizione.
21.1.È infatti opportuno chiarire che, nel protrarre l'occupazione del fondo della parte ricorrente, in violazione degli obblighi civilistici di restituzione, naturalmente conseguenti al venir meno degli effetti dei provvedimenti ablatori, il Comune resistente ha posto in essere un illecito permanente, la cui caratteristica è rappresentata dalla circostanza che i danni si verificano momento per momento, con l'effetto che il termine prescrizionale per esercitare il diritto al risarcimento decorre "de die in diem", mano a mano che i danni stessi si verificano (sul punto cfr. Cass. Civ. 13 marzo 2007, n. 5831; 29 settembre 2006, n. 21190; 26 maggio 2006, n. 12647; Cass. Civ., III, n. 6512/2004; Cass. Civ, I, n. 5381/2011; T.A.R. Puglia, Lecce, I, n. 1492/2013; T.A.R. Lazio, Latina, n. 497/2013; T.A.R. Sicilia, Catania, II, n. 2597/2009).
In particolare, la natura permanente dell'illecito comporta che gli effetti dannosi si producono in maniera continuativa nel patrimonio del soggetto danneggiato, in diretta conseguenza dello stato di fatto determinato dal perdurante comportamento illecito del terzo, e, dunque, sono eliminabili soltanto con una condotta contraria di quest'ultimo. Tale illecito determina, ex art. 2043 c.c., il nascere del diritto al risarcimento del danno in favore del danneggiato che, di conseguenza, sorge in modo continuo e che in modo continuo si prescrive, se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui il fatto si è verificato (art. 2947, primo comma, c.c.) e si è manifestato all'esterno, ovvero da quando esso diviene oggettivamente percepibile e riconoscibile (cfr. Cass. Civ., n. 10072/2010).
Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con l’indicata sentenza n. 2 del 2016, ha precisato che il termine di prescrizione quinquennale decorre dalle singole annualità per l’azione basata sul mancato godimento del bene.
Nel caso all'esame del Collegio, la persistenza dell'occupazione del terreno, nonostante la mancata conclusione del procedimento entro il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere, rendeva palese la sua illiceità e l'insorgenza del danno ingiusto, con facoltà per la parte ricorrente di azionare il correlato diritto risarcitorio, nei termini di prescrizione indicati.
In definitiva, l'accertamento della fondatezza della pretesa risarcitoria deve limitarsi alla parte di danno non prescritta, che va calcolata dal quinquennio anteriore alla notifica dell’atto interruttivo della prescrizione, avvenuta, nella specie, in data 10 luglio 2009.
22. Ciò posto, va accolta la domanda di restituzione del fondo di proprietà della parte ricorrente, previa sua rimessione in pristino, rispetto alla quale per contro non è ravvisabile alcuna prescrizione, stante il carattere permanente dell’illecito, essendo l’occupazione de qua divenuta illegittima a far data dal periodo di scadenza dell’occupazione legittima.
22.1. Il Comune intimato, pertanto, onde evitare il maturarsi di un ulteriore danno risarcibile in favore dell'attuale parte proprietaria, dovrà provvedere, entro il termine di giorni 90 giorni decorrenti dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, alla giuridica regolarizzazione della fattispecie, in via prioritaria, mediante l'immediata restituzione dei beni, previo ripristino dell'originario stato, ovvero attivandosi per il legittimo acquisto della proprietà dell'area, intraprendendo la via dell'acquisizione ex art. 42 bis – prospettabile peraltro solo in relazione alla particella n. 5 oggetto di irreversibile trasformazione con la realizzazione della scuola - ovvero addivenendo alla conclusione con parte ricorrente di un accordo transattivo che contempli l'acquisizione ex nunc del bene al patrimonio comunale nelle forme del diritto privato (cfr. Ad. Plen., 9 febbraio 2016, n. 2, §§ 6.5 e 5.3).
23. In accoglimento della concorrente domanda, del pari formulata nell’odierno giudizio, spetta inoltre alla parte ricorrente il risarcimento del danno causato dall’illegittima detenzione delle aree da parte del Comune delle particelle di sua proprietà di cui ai verbali di immissione in possesso (ovvero part. 5 del fg. 4 per mq. 10.950 e part. 228 e 998, per complessivi mq.3138), non legittimamente espropriate, né altrimenti acquisite al patrimonio dell’ente, ma rimaste nella sua proprietà, limitatamente, come innanzi evidenziato, all’ultimo quinquennio antecedente la notifica dell’atto interruttivo della prescrizione, avvenuta in data 10 luglio 2009, ovvero a far data dal 10 luglio 2004.
24. Ciò posto quanto all’an delle poste risarcitorie, quanto al quantum va precisato che il risarcimento del danno per occupazione illegittima, secondo la costante giurisprudenza, deve coprire il solo valore d'uso del bene, dal momento della sua illegittima occupazione (ovvero dalla scadenza del periodo di occupazione legittima) fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie, ovvero fino alla restituzione dell’area o al suo legittimo acquisto, vuoi con il consenso della controparte mediante contratto, vuoi mediante l'adozione del provvedimento autoritativo di acquisizione sanante ex art. 42 - bis, d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 (T.A.R. Toscana, sez. III, 29.11.2013, n. 1655), confluendo peraltro in tale ultima ipotesi la posta risarcitoria, in senso lato, nell’indennizzo dovuto per l’acquisizione sanante, come evincibile dal richiamato disposto del comma 3 del citato art. 42 bis.
Tale valore d'uso, corrispondente come detto, al danno sofferto da parte ricorrente per l'illecita, prolungata occupazione del terreno di sua proprietà, può quantificarsi, con valutazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., nell'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene, comprensivo del valore del soprassuolo relativo alle opere legittimamente realizzate in virtù di titolo edilizio, in linea con il parametro fatto proprio dal legislatore con il cit. art. 42 bis comma 3, d.P.R. n. 327 del 2001, suscettibile di applicazione analogica in quanto espressione di un principio generale (T.A.R. Basilicata, 7.03.2014, n. 182; T.A.R. Liguria, sez. I, 14 dicembre 2012).
24.1. Ciò posto, con riferimento alla domanda di risarcimento, il Collegio ritiene di poter applicare, limitatamente all'obbligazione pecuniaria, l'art. 34, comma 4, del c.p.a. e, anche in ragione dei poteri equitativi e della “ratio” dell'art. 42 - bis d.P.R. n. 327/2001, di dover condannare il Comune resistente, secondo il proprio orientamento in materia, al pagamento del danno conseguente all’illegittima detenzione delle aree di proprietà di parte ricorrente, per le indicate annualità non prescritte, fino alla restituzione delle aree medesime, quantificandolo, in via equitativa, nella somma pari al 5% annuo del valore venale del bene, comprensivo del valore del soprassuolo relativo alle opere legittimamente realizzate in virtù di titolo edilizio, oltre interessi legali dalla data della presente decisione sino al soddisfo (ex multis, sentenza di questa Sezione n. 03768 del 7 luglio 2014).
Quanto alla determinazione del valore venale del bene, quale parametro per la quantificazione del danno patrimoniale da illegittima occupazione, il Comune, tenuto conto della destinazione urbanistica dell’area de qua e della valutazione del suo valore, dovrà proporre, in favore di parte ricorrente ed entro il termine di 90 gg. dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione della presente sentenza, se anteriore, il pagamento delle somme dovute, da quantificare alla luce dei criteri di seguito esposti, pagamento da effettuare poi, su accordo delle parti, nei 90 gg. successivi.
In specie, lo stesso dovrà:
a. utilizzare il metodo di stima diretta (o sintetica), che consiste nella determinazione del più probabile valore di mercato di un bene mediante la comparazione di valori di beni della stessa tipologia di quello oggetto di stima (atti di compravendita di terreni finitimi e simili), tenendo peraltro in considerazione anche della determinazione dell’indennità di esproprio quale accettata da parte ricorrente con riferimento alle particelle n. 228 e 998;
b. devalutare i valori medi a mq. indicati per il terreno interessato, fino a portarli alla data del 10 luglio 2004 (stante la prescrizione con riferimento al periodo antecedente);
c. applicare a questi ultimi gli interessi nella misura del 5% per ogni anno di occupazione fino alla data si restituzione;
d. sulla somma così liquidata decorreranno inoltre gli interessi legali ex art. 1282 comma 1 c.c. dalla data di pubblicazione della sentenza, sino al soddisfo.
25. Il Comune, onde evitare il maturarsi di un ulteriore danno risarcibile in favore di parte ricorrente, dovrà provvedere alla giuridica regolarizzazione della fattispecie, in via prioritaria, come detto, mediante l’immediata restituzione del bene, previa integrale riduzione in pristino, ovvero attraverso il legittimo acquisto della proprietà dell'area o con il consenso della controparte, mediante contratto, ovvero mediante l'adozione del provvedimento autoritativo di acquisizione sanante ex art. 42- bis, d.P.R. n. 327 del 2001.
26. Sulla base delle sovraesposte considerazioni, il ricorso, va accolto nel senso in precedenza indicato, con il riconoscimento del diritto alla restituzione del bene, previa riduzione in pristino stato, e del diritto al risarcimento del danno patrimoniale da occupazione illegittima, da calcolarsi nei termini sopra esposti.
27. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta) – NAPOLI - definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nel senso di cui in motivazione e per l’effetto:
a) ordina al Comune di S. Giorgio a Cremano di provvedere nel termine di 90 gg. alla restituzione a parte ricorrente degli immobili illegittimamente detenuti, previa necessaria riduzione in pristino, con salvezza degli ulteriori provvedimenti di cui all'art. 42 bis TU espropri da adottarsi nel medesimo termine;
b) condanna, il Comune medesimo al risarcimento del danno da occupazione illegittima, da quantificarsi, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., nella somma pari al 5% annuo del valore venale dei beni illegittimamente detenuti, come sopra determinato, da liquidarsi a partire dalla data del 10 luglio 2004 sino alla restituzione del bene o regolarizzazione della fattispecie, oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza fino al soddisfo.
Condanna il Comune di S. Giorgio a Cremano alla refusione, in favore della parte ricorrente, delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila/00) oltre oneri accessori, se dovuti, ed oltre a quanto anticipato a titolo di contributo unificato
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2021, tenuta da remoto in videoconferenza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 d.l. 28/2020 e 25 d.l. 137/2020, come modificato dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176 e dal D.L. n. 44/2021, con l'intervento dei magistrati:
Maria Abbruzzese, Presidente
Gianluca Di Vita, Consigliere
Diana Caminiti, Consigliere, Estensore
         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Diana Caminiti        Maria Abbruzzese
         
         
         
         
         
IL SEGRETARIO

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