Consenso all'uso dei cookie

Tu sei qui

Proroga della PU

Privato
Martedì, 12 Aprile, 2022 - 16:30

Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, (Sezione Seconda), sentenza n.183 del 7 marzo 2022, vizi di una procedura espropriativa legittimato alla impugnazione

MASSIMA

Il successivo acquirente di un bene non può dolersi, iure proprio, dei vizi afferenti una procedura espropriativa iniziata prima che acquisti un titolo giuridico idoneo sul bene in questione, se non per quegli atti della procedura adottati in un momento successivo a quello in cui ha acquistato il diritto, tuttavia censurabili soltanto per vizi propri e non derivati da attività o provvedimenti anteriori al predetto acquisto (TAR Lombardia, Sez. V, 31/05/2011, sent. n. 1389, conforme Cons. Stato, IV, 22/01/2010, n. 209).

Il termine biennale di cui all’art. 13 TUE non è da intendersi come riferito in maniera perentoria e tassativa ad una durata complessiva massima di prorogabilità della dichiarazione di pubblica utilità, ben potendo l’autorità espropriante per ragioni connesse a cause di forza maggiore o ad altre comprovate ragioni, non necessariamente imprevedibili, reiterare la proroga.

Il termine biennale di cui all’art. 13, comma 5, sopra riportato pertanto può validamente essere derogato in relazione alle concrete ragioni che hanno determinato la proroga.

SENTENZA

N. 00183/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00108/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 108 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla T.S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Vivani e Simone Abellonio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Claudio Vivani in Torino, Galleria Enzo Tortora, 21;

contro

Città Metropolitana di Torino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Nicoletta Bugalla, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Comune di Volpiano, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- della Determinazione del Dirigente della Direzione Programmazione e Monitoraggio OO.PP. Beni e Servizi, della Città Metropolitana di Torino, prot. n. 48 – 13440/2019 del 2 dicembre 2019, recante ad oggetto “Raccordo S.P. n. 40 – Autostrada A4 nel Comune di Volpiano. Determinazione d'esproprio finale (Prat. 4/2004 D.P.R. 324/2001 e s.m.i.)”, comunicata con nota prot. 104496/2019 in data 5 dicembre 2019;

- di ogni altro atto antecedente, susseguente e/o comunque connesso, ivi espressamente compresi: la nota della Città Metropolitana di Torino, prot. n. 104496/2019 in data 5 dicembre 2019; la Deliberazione della Giunta Provinciale di Torino, prot. n. 576 – 19944/2011 del 7 giugno 2011, con cui a dichiarazione di pubblica utilità è stata prorogata per la durata di 24 mesi, fino al 1° giugno 2013; la Deliberazione della Giunta Provinciale di Torino, prot. n. 304 – 19853/2013 del 21 maggio 2013, con cui la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera è stata prorogata per ulteriori 24 mesi, sino al 1° giugno 2015; la Determinazione del Dirigente del Servizio appalti, contratti ed espropriazioni, prot. n. 46-12372 del 18 maggio 2015, con cui la dichiarazione di pubblica utilità è stata prorogata per 24 mesi, fino al 1° giugno 2017; la Determinazione del Dirigente del Servizio appalti, contratti ed espropriazioni, prot. n. 135-35666/2017 del 18 dicembre 2017, con cui la dichiarazione di pubblica utilità è stata prorogata fino al 21 dicembre 2018; la Determinazione del Dirigente del Servizio appalti, contratti ed espropriazioni, prot. n. 151-27413/2018 in data 27 dicembre 2018, con cui veniva prorogata la dichiarazione di pubblica utilità è stata prorogata fino al 31 dicembre 2019; la Determinazione del Dirigente della Direzione Programmazione e Monitoraggio Opere Pubbliche Beni e Servizi prot. n. 52-13763/2019 del 10 dicembre 2019, con cui la dichiarazione di pubblica utilità è stata prorogata fino al 31 dicembre 2020; gli eventuali ulteriori provvedimenti di proroga, in particolare intercorsi tra l'anno 2009 e l'anno 2011, non noti alla Ricorrente.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati in data 3 luglio 2020:

- della determinazione n. 50-24336 del 9 giugno 2009 della Provincia di Torino (convalidata con D.G.P. 659-44447/2009 del 29 dicembre 2009), recante la proroga della dichiarazione di pubblica utilità fino al 9 giugno 2011; della determinazione n. 29-6417 del 5 maggio 2017 della Città Metropolitana di Torino, recante la proroga;

- della dichiarazione di pubblica utilità fino al 31 dicembre 2017; della determinazione n. 155-35666 del 18 dicembre 2017 della Città Metropolitana di Torino, recante la proroga della dichiarazione di pubblica utilità fino al 31 dicembre 2018;

- nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, tra i quali e per quanto occorrere possa la Determinazione del Dirigente della Direzione Programmazione e Monitoraggio OO.PP. Beni e Servizi, della Città Metropolitana di Torino, prot. n. 48 – 13440/2019 del 2 dicembre 2019, recante ad oggetto “Raccordo S.P. n. 40 – Autostrada A4 nel Comune di Volpiano. Determinazione d'esproprio finale (Prat. 4/2004 D.P.R. 324/2001 e s.m.i.)”, comunicata con nota prot. 104496/2019 in data 5 dicembre 2019, già gravata con il ricorso introduttivo.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Torino;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2022 il dott. Marcello Faviere e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La T. SpA è proprietaria, a far data dal 19.12.2017 (ed in forza di un contratto di compravendita con la ENI S.p.A.), di un complesso immobiliare a destinazione produttiva (per una superficie di mq 144.371) sito nel comune di Volpiano. Nel complesso rientrano i terreni censiti al NCT foglio 34, mappali 420, 429, 441, 435, 450, 410, 479, 520 e 516.

L’area è interessata da una procedura di esproprio (la n. 4/2004) avviata dalla Provincia di Torino (oggi Città Metropolitana) funzionale alla realizzazione di un raccordo stradale (SP 40-autostrada A4) nonché alla realizzazione di una rotatoria ed alla modifica della viabilità comunale e provinciale, i cui progetti sono stati approvati tra il 2002 (progetto preliminare) e il 2004 (progetto definitivo ed esecutivo). L’opera principale è terminata nel 2009 (il certificato di collaudo è del 1.09.2009).

Con determinazione del dirigente del Servizio Espropriazioni della Provincia n.33-216737/2005 veniva disposta l’occupazione anticipata di urgenza; il collaudo dei lavori è stato sottoscritto il 30.01.2009 ed approvato con deliberazione della Giunta Provinciale del 1.09.2009, n. 114-24978/2009.

Dal 2009 la Città Metropolitana ha emanato una serie di provvedimenti di proroga della dichiarazione di pubblica utilità delle opere interessanti le aree di proprietà della ricorrente, motivati in vario modo in ragione di esigenze temporali legate ad operazioni tecniche ed alla definizione della indennità di esproprio (mediante la procedura di cui all’art. 21 del DPR n. 327/2001) con la proprietà.

I provvedimenti adottati risultano i seguenti: a) D.G.P. 659-44447/2009 del 29.12.2009, che dispone la proroga sino al 09.06.2011; successivamente alla formalizzazione del collaudo dell’opera principale: b) la D.G.P. n. 576 – 19944/2011 del 7.06.2011, che reitera la proroga fino al 1.06.2013; c) D.G.P. n. 304 – 19853/2013 del 21.05.2013, che reitera la proroga sino al 1.06.2015; d) D.D. n. 46-12372 del 18.05.2015, che reitera la proroga fino al 1.06.2017; e) la D.D. n. 29-6417 del 5.05.2017, che reitera la proroga fino al 31.12.2017; f) la D.D. n. 155-35666/2017 del 18.12.2017, che reitera la proroga fino al 31.12.2018; g) la D.D. n. 151-27413/2018 del 27.12.2018, che reitera la proroga fino al 31.12.2018; h) la D.D. n. 52-13763/2019 del 10.12.2019, che reitera la proroga fino al 31.12.2020, poi rivelatasi un refuso e non necessaria.

La Città Metropolitana trasmetteva, in data 04.06.2019, alla Tazzetti SpA una nota a mezzo PEC con cui veniva offerta indennità espropriativa con riferimento ai terreni di cui sopra interessati dalla procedura espropriativa.

Ritenuti decorsi i termini di legge l’ente notificava alla Tazzetti S.p.A. il decreto di esproprio di cui alla D.D. n. 48-13440/2019 del 02.12.2019, avente ad oggetto “Raccordo S.P. n. 40 – Autostrada A4 nel Comune di Volpiano. Determinazione d’esproprio finale”, comunicata con nota prot. 104496/2019 in data 5.12.2019, con cui l’ente ha concluso l’iter espropriativo e disposto il passaggio in proprietà dei terreni sopra citati.

2. Avverso il decreto di esproprio e gli atti presupposti, inclusi i provvedimenti di proroga della dichiarazione di pubblica utilità conosciuti all’epoca della notificazione, è insorta la Tazzetti SpA, mediante ricorso, notificato il 03.02.2020, ritualmente depositato avanti questo Tribunale, con il quale lamenta in sei distinti motivi violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili, instando per il rilascio di misure cautelari (cui la parte ha rinunciato in corso della camera di consiglio del 04.03.2020).

In data 28.02.2020 si è costituita la città Metropolitana di Torino che, oltre a controdedurre nel merito, eccepisce irricevibilità ed inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione.

In data 23.06.2020 la ricorrente ha notificato ricorso per motivi aggiunti con i quali ha impugnato espressamente alcuni provvedimenti di proroga non noti al momento della notifica del ricorso ma conosciuti in occasione del deposito agli atti del processo (segnatamente i provvedimenti sopra indicati alle lett. a), e) ed f). La ricorrente lamenta, in tre motivi di ricorso, violazione di legge ed eccesso di potere.

Ha fatto seguito il deposito di memorie di entrambe le parti (il 03.09.2021) e delle memorie di replica della resistente (il 09.09.2021) e della ricorrente (il 10.09.2021). Dopo un breve rinvio per dedotte trattative, sono state depositate memorie di entrambe le parti (il 4.02.2022) e relative memorie di replica (il 11.02.2022).

All’udienza del 22.2.2022, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Il ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato.

4. Preliminarmente il Collegio intende scrutinare la eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione sollevata dalla amministrazione resistente.

È pacifico tra le parti che la ricorrente sia divenuta proprietaria dei terreni interessati dalla procedura di esproprio in data 19.12.2017 (cfr. doc. n. 23 di parte resistente).

Formano oggetto del ricorso, oltre al decreto di esproprio del 02.12.2019, anche i provvedimenti con cui l’amministrazione ha prorogato la dichiarazione di pubblica utilità: a) D.G.P. 659-44447/2009 del 29.12.2009; b) la DGP n. 576 – 19944/2011 del 7.06.2011; c) DGP n. 304 – 19853/2013 del 21.05.2013; d) D.D. n. 46-12372 del 18.05.2015; e) la D.D. n. 29-6417 del 5.05.2017, che reitera la proroga fino al 31.12.2017; f) la D.D. n. 155-35666/2017 del 18.12.2017, che reitera la proroga fino al 31.12.2018; g) la D.D. n. 151-27413/2018 del 27.12.2018, che reitera la proroga fino al 31.12.2018; h) la D.D. n. 52-13763/2019 del 10.12.2019, che reitera la proroga fino al 31.12.2020.

Orbene il Collegio rileva che, con riferimento ai provvedimenti emanati prima della data in cui la ricorrente ha acquisito titolo, l’unico soggetto legittimato ad impugnare tali provvedimenti risultava la precedente proprietaria ENI SpA che però non ha provveduto in tal senso contribuendo così alla definitività dei relativi effetti giuridici.

In giurisprudenza, infatti, è stato affermato che “il successivo acquirente di un bene non può dolersi, iure proprio, dei vizi afferenti una procedura espropriativa iniziata prima che acquisti un titolo giuridico idoneo sul bene in questione, se non per quegli atti della procedura adottati in un momento successivo a quello in cui ha acquistato il diritto, tuttavia censurabili soltanto per vizi propri e non derivati da attività o provvedimenti anteriori al predetto acquisto” (TAR Lombardia, Sez. V, 31/05/2011, sent. n. 1389, conforme Cons. Stato, IV, 22/01/2010, n. 209)

A nulla rileva il fatto che nei motivi di ricorso afferenti tali provvedimenti sia lamentata la nullità degli atti in luogo della illegittimità degli stessi. A tacere le conclusioni nel merito circa l’infondatezza delle censure di nullità, come si avrà modo di evidenziare in seguito, anche per tale tipologia di azione occorre in ogni caso il ricorrere dei presupposti dell’azione, tra cui la legittimazione ad agire.

Del pari non è predicabile la rilevabilità officiosa del vizio, poiché, come correntemente affermato in giurisprudenza, “il rilievo della nullità da parte del giudice in via officiosa non può intervenire quando sia la parte stessa a far valere detta forma di invalidità, in via di azione; l'esercizio del potere officioso da parte del giudice, in tale caso, renderebbe vana la previsione stessa del termine decadenziale per la deduzione del vizio in via autonoma da parte del ricorrente” (T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 25/02/2021, n. 1273).

Per tali ordini di ragioni il ricorso è parzialmente inammissibile con riferimento all’impugnazione dei provvedimenti i cui effetti si sono esauriti prima del 17.12.2017 (segnatamente i sopra citati: a) D.G.P. 659-44447/2009 del 29.12.2009; b) la D.G.P. n. 576 – 19944/2011 del 7.06.2011; c) D.G.P. n. 304 – 19853/2013 del 21.05.2013; d) D.D. n. 46-12372 del 18.05.2015; e) la D.D. n. 29-6417 del 5.05.2017, che reitera la proroga fino al 31.12.2017).

4.1 In considerazione degli esiti nel merito il Collegio ritiene di poter soprassedere dall’esame della ulteriore eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata dall’amministrazione resistente.

5. Passando al merito, con il primo ed il quarto motivo del ricorso originario ed il primo ed il secondo di quello per motivi aggiunti, che possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione oggettiva, la ricorrente lamenta nullità ai sensi dell’art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del D.P.R. 13 giugno 2001, n. 327 e s.m.i. violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del D.P.R. 327/2001. nonché violazione dell’art. 3 della legge 241/1990.

Con un primo ordine di censure (di cui al primo motivo del ricorso originario ed al primo motivo del ricorso per motivi aggiunti) la ricorrente lamenta l’illegittimità della reiterazione delle proroghe scaturente dalla sequenza dei provvedimenti presupposti impugnati.

Con un secondo ordine di censure (di cui al quarto motivo del ricorso originario ed al secondo di quello per motivi aggiunti) la ricorrente lamenta carenza di motivazione dei medesimi provvedimenti.

Le doglianze non meritano accoglimento.

Il Collegio premette che, come evidenziato dalla amministrazione resistente, le censure mosse avverso il provvedimento di proroga di cui alla D.D. n. 52-13763/2019 del 10.12.2019 non sono ammissibili in quanto lo stesso fa riferimento per sbaglio alla procedura espropriativa in argomento essendosi questa conclusa con il provvedimento del 02.12.2019 che dispone l’esproprio.

5.1. Con il primo ordine di censure la ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento conclusivo di esproprio in quanto adottato oltre il termine quinquennale dalla dichiarazione di pubblica utilità, sul presupposto dell’inutilizzabilità delle proroghe medio tempore disposte.

Più nel dettaglio la ricorrente sostiene che i provvedimenti con cui l’amministrazione ha reiterato la proroga della dichiarazione di pubblica utilità violerebbero il limite sancito dall’art. 13, comma 5 del DPR n. 327/2001 nella parte in cui prevede un massimo di due anni di prorogabilità e nella parte in cui richiede che la proroga deve essere disposta prima della scadenza del termine.

Con ciò la ricorrente sostiene che i provvedimenti di proroga, intervenuti tra l’anno 2011 e l’anno 2019, sarebbero nulli in quanto emanati in carenza di potere, o comunque, illegittimi per manifesta e grave violazione dell’art. 13, comma 5, del D.P.R. 327/2001.

Il Collegio ritiene che le doglianze non sono condivisibili.

Sulla qualificazione del vizio il Collegio ritiene non vi siano dubbi sul fatto che si possa escludere la nullità. Come evidenziato dalla giurisprudenza proprio su un caso di reiterazione della dichiarazione di pubblica utilità, “a tutto concedere —ove mai, cioè, siffatta reiterazione fosse vietata— si verserebbe in un caso non già di c.d. carenza di potere “in astratto” (esercizio d’una funzione che nessuna norma attribuisce alla P.A.), bensì di violazione del divieto legale per superamento del tempo massimo prorogabile. Sicché la P.A. è in effetti titolare del potere, perché lo dice appunto il citato art. 13, c. 5, ma l’avrebbe al più esercitato in difetto dei suoi concreti presupposti, per cui si ha un’illegittimità e non un difetto assoluto di attribuzioni con conseguente giurisdizione di legittimità del G.A.” (Cons. Stato, Sez. IV, 11/08/2016, sent. n. 3618).

Si pone pertanto la questione della ulteriore censura di illegittimità delle proroghe disposte con i provvedimenti per i quali il ricorso risulti ammissibile, vale a dire quelle i cui effetti non si siano esauriti al 19.12.2017 (data in cui la ricorrente acquisisce titolo per impugnare gli atti della procedura espropriativa), vale a dire: la D.D. n. 155-35666/2017 del 18.12.2017, che reitera la proroga fino al 31.12.2018; la D.D. n. 151-27413/2018 del 27.12.2018, che reitera la proroga fino al 31.12.2019.

L’art. 13, comma 5 prevede che “l'autorità che ha dichiarato la pubblica utilità dell'opera può disporre la proroga dei termini previsti dai commi 3 e 4 per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni. La proroga può essere disposta, anche d'ufficio, prima della scadenza del termine e per un periodo di tempo che non supera i due anni”.

La questione riguarda la prorogabilità, a mezzo di una reiterata serie di atti, dei termini indicati nella dichiarazione di pubblica utilità oltre i due anni previsti dal citato art. 13, comma 5.

Le argomentazioni dell’amministrazione resistente sono condivisibili nella misura in cui sostengono che il termine biennale di cui all’art. 13 citato non sia da intendersi come riferito in maniera perentoria e tassativa ad una durata complessiva massima di prorogabilità della dichiarazione di pubblica utilità, ben potendo l’autorità espropriante per ragioni connesse a cause di forza maggiore o ad altre comprovate ragioni, non necessariamente imprevedibili, reiterare la proroga.

Il Consiglio di Stato, proprio nel riformare una sentenza di questo Tribunale, ha avuto modo di evidenziare che “la norma pone l’accento sui «casi di forza maggiore» e di «altre comprovate ragioni». Gli uni sono i fatti sopravvenuti all’inizio della procedura ablatoria, ma indipendenti dalla volontà della P.A. espropriante e, comunque, da essa non prevedibili secondo criteri di ordinaria diligenza. Le altre devono risultare da idonea motivazione giustificatrice della disposta proroga, ma non devono essere per forza rappresentate da ipotesi imprevedibili. Queste ultime ben possono consistere, come nel caso in esame per i terrenti degli appellanti incidentali (inquinati e da ripulire, oltre che sottoposti a sequestro penale), in complessità e/o ritardi del procedimento espropriativo, dipendenti da svariati, ma non futili o facilmente risolubili fattori (arg. ex Cons. St., IV, 11 aprile 2014 n. 1750; id., 6 ottobre 2014 n. 4490).

Ebbene, sono appunto queste vicende, da interpretare in senso rigoroso, che danno il senso preciso non solo dell’an, ma pure del quantum della proroga ammissibile.

I citati presupposti, come servono ad impedire che la mera inerzia sia adoperata per allungare senza limiti la procedura ablatoria, così manifestano pure il tempo effettivamente occorrente per superare le criticità di quest’ultima. Il legislatore certo ha fornito così una valutazione di massima sul periodo di tempo che si presume sufficiente a riportare la procedura nel suo iter fisiologico, indicato di regola in un biennio. Ma non ha pure vietato in modo espresso la reiterazione della proroga, ove a tal fisiologia non si possa pervenire, se sostenuta da una congrua motivazione sulla sussistenza di uno o più dei presupposti, entro il termine stimato (inferiore al biennio) o di legge.

Soltanto questo è il significato ritraibile dalla natura decadenziale (non perentoria, ché tal concetto afferisce al diritto processuale) del termine per la definizione del procedimento ablatorio, incappando nella decadenza non il caso fortuito o dipendente da fatto altrui non rimediabile, bensì l’inerzia colpevole della P.A. procedente.

Donde l’estraneità di un divieto di reiterazione al regime della proroga poiché essa, qualunque sia il termine che la P.A. ha adoperato in concreto per concludere il procedimento, resta sempre ancorata, nei propri presupposti legittimanti, solo alla specificità del singolo caso. Non v’è né un dato testuale, né uno funzionale in virtù del quale detta proroga debba esser assentita una ed una volta sola, ché, se così fosse stato, il legislatore ben avrebbe potuto formulare la norma con questa o una simile dicitura. Ma quando ciò accadde (come nel caso della rigida determinazione del termine quinquennale ex art. 20 della l. 22 ottobre 1971 n. 865), più e più volte, lo ricordano gli stessi appellanti incidentali, il legislatore dovette intervenire per superare appunto i problemi derivanti da tale rigidità, ora risolti in via definitiva grazie al citato art. 13, c. 5.

Tale norma costituisce così un soddisfacente punto di equilibrio tra due esigenze in tensione tra loro, la rapida efficacia dell’espropriazione per p.u. e l’assenza di perpetui vincoli preordinati all’esproprio sulla proprietà privata, prevalendo questa su quella solo per l’inerzia o l’illegittimo comportamento della P.A. espropriante” (Cons. Stato, Sez. IV, 11/08/2016, sent. N. 3618).

Il termine biennale di cui all’art. 13, comma 5, sopra riportato pertanto può validamente essere derogato in relazione alle concrete ragioni che hanno determinato la proroga.

Orbene nei provvedimenti impugnati si legge testualmente che la reiterazione della proroga è dovuta alla necessità di concludere il sub procedimento di determinazione dell’indennità definitiva affidata al Collegio peritale, ai sensi dell’art. 21 del DPR n. 327/2001, come richiesto dalla precedente proprietà degli immobili (ENI S.p.A., cfr. doc. 20 di parte resistente).

Tale Collegio risulta costituito in data 17.12.2018 dopo che il Presidente è stato nominato in data 22.10.2018 dal Tribunale di Ivrea (a seguito di richiesta comunale del 03.03.2016, reiterata il 12.12.2016 e il 11.01.2017) ed il Terzo Tecnico di ENI SpA è stato nominato il 23.10.2018. L’organismo ha terminato i propri lavori il 11.03.2019 (comunicando la perizia alla città Metropolitana il 14.03.2019, cfr. doc. 21 e 22 di parte resistente - i cui esiti non sono peraltro stati accettati dalle parti tanto che la città Metropolitana ha effettuato il previsto deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti). Il decreto di esproprio è stato adottato in data 02.12.2019 senza la necessità di ulteriori proroghe.

Il compimento della fase sub procedimentale di determinazione dell’indennità, infatti, risulta non solo necessario per la conclusione del procedimento di esproprio - poiché il relativo esito è parte integrante del contenuto del decreto conclusivo, ai sensi dell’art. 23, comma 1 del DPR n. 327/2001 – ma la relativa gestione non può essere imputata esclusivamente alla Città Metropolitana, essendo necessario il coinvolgimento del Tribunale ed operando l’organismo collegiale in maniera autonoma sia nell’organizzazione dei propri lavori che nella determinazione del contenuto della perizia.

Anche la giurisprudenza ha avuto modo di esaminare il rapporto esistente tra tale sub procedimento ed il provvedimento finale di esproprio. “In tema di espropriazione per pubblica utilità, il principio per il quale la pronuncia del decreto di espropriazione costituisce una condizione dell'azione per la determinazione della corrispondente indennità - sicché il giudice non può esaminare il merito della causa senza che esso venga ad esistenza - resta valido anche con riferimento alla disciplina introdotta dal d.P.R. n. 327 del 2001, atteso che il menzionato decreto continua a costituire la fonte del credito indennitario: sia nel senso che non è possibile addivenire ad una statuizione definitiva sull'indennità in assenza del provvedimento ablatorio, sia nel senso che, emanato quest'ultimo, sorge ed è azionabile il diritto del proprietario a percepire l'indennizzo, da determinarsi con riferimento alla data del trasferimento coattivo” (Cass. civ. Sez. I Sent., 31/05/2016, n. 11261).

Diversamente ragionando ed adottando una interpretazione rigida ed inderogabile dei termini disciplinati nella disposizione in commento, infatti, si rischierebbe di avallare l’utilizzo strumentale a scopi meramente dilatori delle garanzie procedimentali riconosciute in capo privato proprietario.

Nel caso di specie, infatti, la necessità dei maggiori termini per la conclusione del procedimento è sorta in funzione di una richiesta della parte privata (precedente proprietaria dei cespiti interessati dalla procedura ablativa) ed è dipesa dai tempi necessari alla nomina del Collegio peritale e dall’espletamento del relativo incarico. Ciò è sufficiente a dimostrare che si verte proprio in una di quelle giustificate ragioni, non necessariamente imprevedibili, che legittimano l’adozione dei provvedimenti di proroga e la loro eventuale reiterazione ai sensi della giurisprudenza sopra citata.

5.2. Con il secondo ordine di censure la ricorrente lamenta che le la quarta, la quinta e la sesta proroga (di cui alla D.D. n. 155-35666/2017 del 18.12.2017, che reitera la proroga fino al 31.12.2018; alla D.D. n. 151-27413/2018 del 27.12.2018, che reitera la proroga fino al 31.12.2019; alla D.D. n. 52-13763/2019 del 10.12.2019, che reitera la proroga fino al 31.12.2020), per le quali sussiste legittimazione della ricorrente ricorso, sarebbero carenti di motivazione.

Sulla inammissibilità delle censure avverso la D.D. n. 52-13763/2019 del 10.12.2019 (che reitera la proroga fino al 31.12.2020) si è già detto.

Il Collegio osserva che quanto esplicitato al precedente punto sia utile anche per rigettare le censure incentrate sulla carenza motivazionale dei provvedimenti impugnati.

Si è già evidenziato infatti che nei provvedimenti impugnati le proroghe risultano motivate dalla necessità di concludere il sub procedimento di determinazione dell’indennità definitiva affidata al Collegio peritale, ai sensi dell’art. 21 del DPR n. 327/2001, come richiesto dalla precedente proprietà degli immobili (ENI S.p.A., cfr. doc. 20 di parte resistente).

Orbene, tali argomentazioni risultano sufficienti a soddisfare l’onere motivazionale richiesto dall’art. 13, comma 5 citato ed in particolare ad integrare giustificate ragioni per disporre le proroghe in argomento.

Al riguardo è stato affermato in giurisprudenza che rientrano in tali ipotesi anche ragioni connesse all’iter procedimentale che non dipendano da meri ritardi imputabili all’amministrazione procedente.

“L'obbligo di motivazione del provvedimento di proroga del termine per la conclusione della procedura espropriativa risulta adeguatamente assolto con il richiamo al ritardo degli organi pubblici preposti nella definizione delle procedure di esproprio, che costituisce fatto estraneo alla sfera di disponibilità dell'ente concessionario dei lavori e, quindi, riconducibile nei presupposti per l'adozione dell'atto di proroga del termine quali identificati dall'art. 13, l. 25 giugno 1865 n. 2359 (Cons. Stato, sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4301; Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 2005, n. 3298)” (TAR Piemonte, 06.02.2015, sent. n. 258).

“L’art. 13, c. 5, d.P.R. n. 327/2001 dispone che “l'autorità che ha dichiarato la pubblica utilità dell'opera può disporre la proroga dei termini previsti dai commi 3 e 4 per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni”. Mentre i primi sono fatti sopravvenuti all’inizio della procedura ablatoria, ma indipendenti dalla volontà della P.A. espropriante e, comunque, da essa non prevedibili secondo criteri di ordinaria diligenza, le seconde devono risultare da idonea motivazione giustificatrice della disposta proroga, ma non devono essere per forza rappresentate da ipotesi imprevedibili (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 16/03/2012, n.1482)” (TAR Piemonte, 29/01/2019, sent. n. 99). “Come è dato osservare, il comma 5 consente alla “autorità che ha dichiarato la pubblica utilità dell’opera” di disporre la proroga dei termini per l’emanazione del decreto di esproprio, nelle due ipotesi dei “casi di forza maggiore” e di “altre comprovate ragioni”. Inoltre, la proroga deve essere disposta prima della scadenza del termine (al quale la giurisprudenza riconosce natura perentoria: Cons. Stato, sez. IV, 4 aprile 2003 n. 1768) e per un periodo non superiore a due anni. Orbene, appare evidente: - per un verso, che i casi di forza maggiore devono, quantomeno, presentare la caratteristica di essere indipendenti dalla volontà dell’espropriante e, comunque, da questi non prevedibili, secondo criteri di ordinaria diligenza (Cons. Stato, sez. IV, 26 luglio 2011 n. 4457); - per altro verso, che le “comprovate ragioni” devono risultare da idonea motivazione giustificatrice della disposta proroga, ma non devono essere rappresentate necessariamente da ipotesi imprevedibili, ben potendo esse consistere in complessità e/o ritardi del procedimento espropriativo, dipendenti dalla pluralità degli espropriandi e dalla natura dell’opera. Da quanto esposto, consegue che, nel caso di specie – nel quale le ragioni della proroga sono state individuate (sia pur succintamente) nel “numero delle ditte coinvolte nell’espropriazione” e nel “verificarsi di rilevanti imprevisti” – può convenirsi con la sentenza impugnata, laddove la stessa osserva che “la sussistenza di un rilevante numero di ditte da espropriare, comportando un ovvio dilatarsi del procedimento, ancorché prevedibile ex ante, è causa sufficiente e non irragionevole per disporne la proroga” (Cons. Stato, sez. IV, 11/04/2014, sent. n. 1750).

In conclusione, avendo la città Metropolitana motivato le proroghe in ordine alla necessità di concludere la fase sub-procedimentale della determinazione dell’indennità definitiva da parte del Collegio peritale di cui all’art. 21 del DPR n. 327/2001 ed essendo palese la necessità di tale passaggio per l’adozione del decreto di esproprio, il primo ed il quarto motivo del ricorso originario ed il primo ed il secondo di quello per motivi aggiunti sono infondati.

6. Con il secondo ed il terzo motivo del ricorso originario la ricorrente lamenta nullità ai sensi dell’art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del D.P.R. 13 giugno 2001, n. 327 e s.m.i. violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del D.P.R. 327/2001.

Nel dettaglio:

- con il secondo motivo si censura la proroga disposta con la DGP n. 576 – 19944/2011 del 7.06.2011 che si assume in violazione dell’art. 13 del DPR n. 327/2001, in quanto la prima proroga sarebbe intervenuta nel 2011 quando i termini originari di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità (individuato nel 9.06.2009), risalente al 9.06.2004, erano ormai ampiamente scaduti;

- con il terzo motivo si censura la proroga disposta con DD n. 155-35666/2017 del 18.12.2017 che sarebbe stata adottata quando ormai erano scaduti gli effetti della precedente proroga emanata con DD prot. n. 46-12372 del 18.05.2015.

Il secondo motivo è inammissibile per le ragioni sopra esposte.

Entrambi i motivi si fondano sulla censura della mancata “continuità” dei periodi di proroga e dell’adozione dei relativi atti solo successivamente alla scadenza del periodo precedente.

Con la proposizione del ricorso per motivi aggiunti si è appreso che la lamentela scaturiva solo dal mancato reperimento, all’epoca della proposizione del ricorso originario, dei provvedimenti che disponevano la proroga per i periodi mancanti.

Entrambe le doglianze si intendono pertanto superate dalla proposizione del ricorso per motivi aggiunti con il quale si producono in atti e si censurano proprio tali provvedimenti, ossia la determinazione n. 50-24336 del 9.06.2009 (con cui i termini di dichiarazione della pubblica utilità venivano prorogati fino al 9.06.2011) e la DD n. 29-6417 del 5.05.2017 (con cui i termini della dichiarazione sono stati prorogati fino al 31.12.2017), superando e rendendo superflue le censure proposte con i motivi in scrutinio.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso originario sono pertanto improcedibili (il secondo motivo, come visto, è anche inammissibile).

7. Con il quinto ed il sesto motivo del ricorso originario nonché il terzo di quello per motivi aggiunti si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 e dell’art. 3 della legge 241/1990 nonché eccesso di potere nelle figure sintomatiche del difetto di istruttoria, del travisamento dei fatti e dell’irragionevolezza manifesta.

La ricorrente lamenta la carenza motivazionale del decreto di esproprio che non avrebbe tenuto in considerazione quanto rappresentato dall’interessata in una nota del 29.10.2019 (cfr. doc. 3 di parte ricorrente) in ordine alla inutilità, ai fini dell’opera pubblica realizzata nel 2009, dei terreni espropriandi nonché dello scarso interesse pubblico della relativa ablazione a fronte di un grave danno agli interessi economici ed imprenditoriali dell’impresa che perderebbe l’unico accesso al sito produttivo.

Con il sesto motivo la ricorrente deduce altresì, in ragione della asserita mancanza di interesse pubblico all’ablazione di cui si controverte, contrarietà al combinato disposto degli articoli 832 e 834 cod. civ. - che consente alla Amministrazione di privare il proprietario dei suoi beni soltanto per “causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata”, il che non risulterebbe avvenuto nella presente fattispecie – nonché all’art. 42 Cost. e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la cui violazione sarebbe palese.

Il Collegio ritiene infondato quanto sostenuto dalla ricorrente.

Emerge dagli atti che l’opera di completamento dei collegamenti con il raccordo autostradale (rotatoria realizzata sulla SP40, nuova viabilità di accesso al sito produttivo, nuova viabilità di congiunzione con le strade comunali esistenti) insiste sui mappali di proprietà della ricorrente (nn. 516 ex 419, 520 ex 423, 479, 410, 450, 435, 441, 429, 420, cfr. doc. 5, 6, 7, 7bis di parte resistente).

Il lamentato mancato riscontro, nel decreto di esproprio, ad osservazioni inerenti la valutazione complessiva dell’interesse pubblico, connesso all’intero procedimento espropriativo, non può determinarne l’illegittimità.

L’art. 23 del DPR n. 327/2001, nel dettare il contenuto tipico del decreto di esproprio delinea un provvedimento che si pone al termine di una fattispecie procedimentale complessa, in cui il contraddittorio tra le parti è già assicurato sia in fase di apposizione del vincolo espropriativo (art. 11 del medesimo decreto) sia in fase di approvazione dei progetti e di dichiarazione di pubblica utilità (cfr. art. 16, che così dispone “4. Al proprietario dell'area ove è prevista la realizzazione dell'opera è inviato l'avviso dell'avvio del procedimento e del deposito degli atti di cui al comma 1, con l'indicazione del nominativo del responsabile del procedimento […] 10. Il proprietario e ogni altro interessato possono formulare osservazioni al responsabile del procedimento, nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione o dalla pubblicazione dell'avviso”).

Per giurisprudenza consolidata “un soggetto, avuta conoscenza dell'esistenza di una procedura espropriativa in corso e, segnatamente, dell'avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità, è senz'altro onerato ad assumere ogni iniziativa per la tempestiva impugnativa dei relativi atti, senza attendere l'adozione del decreto di esproprio, anche in considerazione del fatto che le doglianze articolate in ricorso attengono proprio alla legittimità del procedimento con cui la suddetta dichiarazione era stata prorogata. Si tratta di una condotta concretamente esigibile e rispondente al principio di buona fede che impone alle parti, anche nella relazione procedimentale, obblighi di informazione e di denuncia tempestivi, la cui omissione determina conseguenze che non possono non ricadere sulle parti medesime, in applicazione del generale principio di auto-responsabilità” (T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 24/06/2020, n. 2573).

Nella complessa vicenda procedimentale, peraltro, l’interesse pubblico dell’opera che sottende la dichiarazione di pubblica utilità e motiva gli atti ablativi si incardina nelle fasi antecedenti l’emanazione del decreto di esproprio. Come precisato dalla giurisprudenza, infatti, “in materia di espropriazione di pubblica utilità il progetto definitivo, la cui approvazione reca implicitamente la dichiarazione di pubblica utilità, ai sensi dell'art. 12 del D.P.R. n. 327/2001, possiede i caratteri complessivi non più modificabili dell'opera, al punto che sulla base dello stesso può già essere emesso il decreto di esproprio, mentre il successivo livello di progettazione esecutiva costituisce una fase accessoria e irrilevante ai fini della lesività per l'espropriando, atteso che reca esclusivamente un complesso di specificazioni meramente operative” (Cons. Stato Sez. IV, 26/10/2020, n. 6495).

Da ciò discende che i profili attinenti all’interesse pubblico sotteso non possono essere fatti valere in fase di impugnazione del decreto di esproprio attenendo a profili definiti nelle fasi antecedenti e che non possono essere rimessi in discussione in qualsiasi fase del procedimento. “Da un lato, non può accedersi all'impostazione secondo cui il più recente provvedimento, nella specie il decreto di esproprio, avrebbe prodotto una sorta di effetto "novativo" dell'intera procedura, con la conseguenza di rimettere l'interessato in termini per l'impugnazione di atti anteriori, già immediatamente lesivi e incontestatamente a lui noti o comunque conoscibili, e tuttavia non censurati a suo tempo nel termine di legge; dall'altro, la dichiarazione di pubblica utilità non può essere considerata un atto meramente preparatorio del procedimento espropriativo e del conclusivo decreto di espropriazione, trattandosi invece di atto presupposto dotato di autonoma lesività e, quindi, da impugnarsi immediatamente, con la conseguenza che la sua mancata tempestiva impugnazione determina la preclusione a dedurre, in sede di impugnativa del decreto di esproprio, motivi attinenti ad asseriti vizi della dichiarazione stessa” (T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 24/06/2020, n. 2573).

A nulla rileva che l’odierna ricorrente sia divenuta proprietaria dell’area solo nel 2017 e la prima comunicazione ricevuta dalla città Metropolitana sia stata quella del 4.06.2019, inerente la proposta della indennità di espropriazione. La successione della titolarità sul bene oggetto di esproprio infatti non può riverberarsi sull’amministrazione procedente che ha solo l’onere di coinvolgere i soggetti effettivamente titolati a partecipare al procedimento, ma attiene ai rapporti provati tra acquirente e venditore.

Per tali ragioni il quinto e il sesto motivo di ricorso e la terza censura dedotta con i motivi aggiunti non sono fondati.

8. Conclusivamente il ricorso originario e quello per motivi aggiunti sono in parte inammissibili, con riferimento ai provvedimenti presupposti impugnati e già definitivi prima del 19.12.2017 (data in cui la ricorrente è divenuta proprietaria delle aree assoggettate alla procedura espropriativa), ed in parte infondati.

9. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciandosi sul ricorso originario e quello per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, in parte li dichiara inammissibili ed in parte li rigetta, come da motivazione.

Condanna la Tazzetti SpA alla refusione delle spese di lite in favore della città Metropolitana di Torino, che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre oneri accessori dovuti per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Gianluca Bellucci, Presidente

Marcello Faviere, Referendario, Estensore

Martina Arrivi, Referendario

 

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Marcello Faviere

Gianluca Bellucci

IL SEGRETARIO

Registrati

Registrati per accedere Gratuitamente ai contenuti riservati del portale (Massime e Commenti) e ricevere, via email, le novità in tema di Diritto delle Pubbliche Amministrazioni.

Contenuto bloccato! Poiché non avete dato il consenso alla cookie policy (nel banner a fondo pagina), questo contenuto è stato bloccato. Potete visualizzare i contenuti bloccati solo dando il consenso all'utilizzo di cookie di terze parti nel suddetto banner.