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Termini proposizione ricorso su atti espropriativi

Pubblico
Martedì, 23 Aprile, 2019 - 17:30

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, (Sezione Prima), sentenza n. 410 del 2 aprile 2019, sui termini dimezzati per la proposizione del ricorso in materia espropriativa

N. 00410/2019 REG.PROV.COLL.

N. 02654/1998 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2654 del 1998, proposto da: 
OMISSIS rappresentati e difesi dagli avvocati Enrica M. Zanin e Giuliano Marchi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuliano Marchi in Venezia, S. Polo, 2237;

contro

Comune di Castellavazzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Granzotto e Dora Venturi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Dora Venturi in Venezia, Santa Croce, 468/B; 

per l'annullamento, previa sospensione dell’esecutività,

1) della deliberazione del Consiglio comunale n. 32/96, della deliberazione della Giunta comunale n. 75/97 e della deliberazione del Consiglio comunale n. 50/97;

2) del piano particolareggiato adottato dal Comune di Castellavazzo il 10.10.1989 con deliberazione consiliare n. 71 ed approvato con provvedimento della Giunta Provinciale il 11.06.91;

3) del decreto di occupazione d'urgenza emesso il 8.6.1998 nonché dei successivi connessi e conseguenti, anche non noti, ed in particolare del verbale di immissione nel possesso del 30.7.1998;

- nonché per la restituzione ed il risarcimento del danno.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellavazzo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica straordinaria del giorno 19 marzo 2019 il dott. Giovanni Giuseppe Antonio Dato e uditi per le parti i difensori presenti come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Gli esponenti rappresentano, con riguardo alla zona di Olantreghe in Castellavazzo, che con deliberazione della Giunta Regionale Veneta 24 aprile 1988 è stata approvata, dopo l’adozione comunale, una c.d. variante di settore che ha riconfermato (rispetto allo strumento generale del 1978) la necessità di sottoporre ogni intervento previsto nella zona all’approvazione di uno strumento esecutivo che prevedesse anche una viabilità di penetrazione, procedendo altresì alla perimetrazione della zona con pianificazione esecutiva.

Con deliberazione consiliare del 10.10.1989 n. 71 è stato adottato il Piano particolareggiato della zona di Olantreghe, poi approvato dalla Giunta provinciale il 11.06.1991, che prevede anche la realizzazione della viabilità e dei parcheggi (piano che non sarebbe stato notificato alle ditte interessate).

Espongono i ricorrenti che il progetto preliminare delle opere è stato approvato dal Consiglio comunale in data 11.06.1996, con deliberazione n. 32/96, mentre con deliberazione di Giunta n. 75/97 è stato approvato il progetto definitivo con dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità.

I ricorrenti espongono che tale deliberazione sarebbe stata notificata il 24.03.1998 insieme all’avviso di deposito degli atti del procedimento espropriativo, senza menzione del termine ad impugnare previsto dall’art. 3, comma 4, della legge n. 241/1990.

Inoltre, evidenziano gli esponenti, è stata presentata l’osservazione di data 31.3.1998 sulla quale il Consiglio comunale si è espresso negativamente con deliberazione 34/98 del 21.5.1998, pubblicata il 28.5.1998 e notificata il giorno 8.6.1998.

I ricorrenti hanno chiesto la remissione in termini, non avendo, in tesi, nulla saputo dello stato della procedura (rispettivamente fino ai giorni 8, 9 e 11 giugno 1998) mentre attendevano di conoscere quanto l’Amministrazione avrebbe deciso in ordine all’osservazione presentata, ponendosi essi - secondo quanto esposto - il problema dell’esperibilità del rimedio giurisdizionale in tale fase del procedimento.

Tutto ciò premesso, i ricorrenti hanno avversato gli atti espropriativi e per quanto di utilità lo strumento di pianificazione esecutiva, con ricorso che risulta notificato in data 22 settembre 1998 e depositato il successivo 8 ottobre 1998.

Parte ricorrente ha ulteriormente argomentato le proprie tesi nella memoria depositata in data 15 febbraio 2019.

1.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Castellavazzo, argomentando in ordine alla infondatezza delle motivazioni addotte dalla controparte e chiedendo la reiezione della istanza di sospensione dell’efficacia degli atti impugnati nonché della domanda di restituzione dei fondi occupati e di risarcimento del danno.

1.2. Con ordinanza n. 1416 del 28 ottobre 1998 è stata respinta la domanda di sospensione.

1.3. All’udienza pubblica straordinaria del 19 marzo 2019, presente il difensore dei ricorrenti che ha rilevato interesse per risarcimento del danno, come da verbale, il Presidente ha dato avviso che il Collegio avrebbe valutato preliminarmente possibili profili di tardività della notifica e del deposito del ricorso in riferimento all'art. 19 del D.L. 67/1997.

La causa, dunque, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio evidenzia innanzitutto che il ricorso in epigrafe - iscritto al n. reg. gen. 2654 del 1998 - è soggetto alla disciplina processuale introdotta dall’art. 19 (Norme sul processo amministrativo) del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, come convertito in legge con modifiche dalla legge 23 maggio 1997, n. 135 secondo il quale <<1. Nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico-amministrative ad essa connesse e provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate, si applicano le disposizioni di cui al presente articolo […] 3. Tutti i termini processuali sono ridotti della metà ed il dispositivo della sentenza è pubblicato entro sette giorni dalla data dell'udienza con deposito in cancelleria […]>>.

1.1. Ciò precisato - in disparte l’elaborazione restrittiva delineata da Cons. Stato, Ad. Plen., 14 febbraio 2001, n. 1 in punto di concessione della rimessione in termini per errore scusabile con riguardo all’ipotesi di carenza delle indicazioni ex art. 3, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 - deve essere dichiarata l’irricevibilità del ricorso per tardività della notificazione (avvenuta il 22 settembre 1998) con riguardo all’impugnazione della delibera del Consiglio comunale n. 32/96, della deliberazione della Giunta comunale n. 75/97 e della deliberazione del Consiglio comunale n. 50/97; ciò anche per l’ipotesi di adesione alla tesi di parte ricorrente secondo cui il termine dovesse farsi decorrere solo dopo la comunicazione negativa (nelle date 8, 9 e 11 giugno 1998) concernente l’osservazione.

Parimenti irricevibile per tardività risulta la domanda di annullamento del decreto di occupazione d'urgenza emesso il 8.6.1998, notificato al ricorrente OMISSIS il 18.6.1998 e comunicato per posta rispettivamente in data 11.6.1998 al ricorrente OMISSIS e in data 18.6.1998 alla ricorrente OMISSIS.

Come precisato da Cons. Stato, Ad. Plen., 14 febbraio 2001, n. 1, la disciplina di cui al cit. art. 19 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito nella l. 23 maggio 1997, n. 135 era chiarissima nel senso del dimezzamento anche del termine per proporre ricorso (id est, di notificazione del ricorso), atteso anche il contenuto precettivo della legge di conversione n. 135/97, che ha premesso alla formulazione del decreto legge (“i termini processuali sono ridotti della metà”) un significativo “tutti”.

1.2. In ogni caso, il ricorso deve essere dichiarato irricevibile per la tardività del deposito, alla luce del dimezzamento dei termini processuali stabilito dalla disciplina sopra indicata.

Sul punto merita di essere ricordato che per consolidato orientamento giurisprudenziale, ai sensi dell'art. 19 del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, per termini processuali si intendono quelli (non solo per notificare il ricorso, ma anche) perdepositare il gravame presso il giudice adito (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2006, n. 6920; Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3061; Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2001, n. 1315).

Orbene, nel caso in esame il ricorso, come già detto, risulta essere stato notificato al Comune di Castellavazzo in data 22 settembre 1998 mentre il deposito è stato effettuato in data 8 ottobre 1998, id est successivamente allo spirare del quindicesimo giorno successivo alla medesima notifica (e, più precisamente, al sedicesimo giorno).

Sul punto è bene precisare che il giudizio in esame risulta essere stato instaurato ben più di un anno dopo l’entrata in vigore della richiamata disciplina, che la giurisprudenza di prime cure anteriore all’instaurazione dell’odierno giudizio aveva già chiarito che la riduzione a metà dei termini processuali disposta dal cit. art. 19 del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, riguardava anche i termini relativi agli atti introduttivi del giudizio e, dunque, anche il deposito del ricorso, il cui termine doveva considerarsi fissato in quindici giorni (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, 23 ottobre 1997, n. 536) e che anche la giurisprudenza d’appello, parimenti precedente l’instaurazione dell’odierno giudizio, aveva ritenuto dimezzato, alla luce della normativa in esame, il termine di deposito del ricorso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 maggio 1998, n. 695).

Il Collegio ritiene opportuno ricordare che l’ortodossia costituzionale della disciplina di cui all’art. 19 del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135 è stata affermata dal Giudice delle leggi (cfr. Corte cost., 10 novembre 1999, n. 427) che dopo aver evidenziato la finalità della norma (accelerazione dello svolgimento dei processi amministrativi relativi alla materia delle opere pubbliche, tradizionalmente incrementatrici di occupazione, e alle attività e procedimenti amministrativi connessi, contrassegnati dalla rilevanza degli interessi incisi e dal coinvolgimento di posizioni individuali e collettive) ebbe a chiarire - in ordine alla specifica questione della riduzione a metà di tutti i termini processuali - che la denunciata violazione dell'art. 3 Cost. non era ravvisabile, poiché il legislatore del 1997 aveva delineato un sistema derogatorio della disciplina processuale, finalizzato a realizzare precisi obiettivi di accelerazione della definizione delle controversie in materia di opere pubbliche o di pubblica utilità e di attività e procedure connesse.

Quanto alla questione di costituzionalità sollevata con riferimento agli artt. 24 e 113 Cost., il dimezzamento di "tutti i termini processuali" e, dunque, anche del termine di decadenza stabilito per la notifica del ricorso di primo grado fu ritenuto dal Giudice delle leggi non lesivo del diritto di difesa costituzionalmente garantito, poiché non implicante modalità di esercizio dell'azione così gravose da rendere impossibile od estremamente difficile l'esercizio della difesa e lo svolgimento della connessa attività processuale.

Per il Giudice delle leggi la congruità di un termine processuale in rapporto all'art. 24 Cost. deve essere valutata non solo in rapporto all'interesse di chi ha l'onere di osservarlo, ma anche con riguardo alla funzione assegnata al termine nell'ordinamento ed il termine introduttivo, pur ridotto a trenta giorni, appare congruo anche perché è funzionale alla rapida definizione del giudizio nel delicato settore delle opere pubbliche.

Queste considerazioni - osservò la Corte costituzionale - risultavano sufficienti per la infondatezza della sollevata questione di costituzionalità anche in relazione alla dimidiazione di altri termini processuali, fra i quali il termine per il deposito del ricorso.

Va peraltro ricordato che il legislatore del 2000, nell'introdurre l’art. 23 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (art. 4 della legge 21 luglio 2000, n. 205), operò una scelta - in parte - differente, prevendendo, in relazione ad un elenco di giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa (comma 1), ex aliis, la riduzione alla metà dei termini processuali previsti salvo quelli per la proposizione del ricorso. E tuttavia la locuzione de qua fu interpretata ed applicata dalla prevalente giurisprudenza nel senso che essa non ricomprendeva, nell'eccezione alla regola della riduzione dei termini anche il termine stabilito per il deposito del ricorso, e ciò in quanto l'espressione «proposizione» indicava esclusivamente la prima attività di composizione dell'atto introduttivo del giudizio e della sua notificazione, con la conseguenza che il ricorso doveva essere depositato entro quindici giorni (arg. ex Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2007, n. 2828; Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 2007, n. 1328).

2. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato irricevibile per tardività della notifica con riguardo alle sopra evidenziate domande di annullamento e, comunque, con riguardo a tutte le domande di annullamento con lo stesso proposte per tardività del deposito del gravame medesimo.

Il Collegio ritiene inoltre che l’irricevibilità per tardività del deposito del ricorso concerna anche le ulteriori domande – restitutoria e risarcitoria per equivalente – proposte dalla parte ricorrente, posto che queste ultime sono state avanzate unitamente alla domanda di annullamento dei provvedimenti lesivi, risultando evidente l’assenza di autonomia delle stesse e la loro stretta dipendenza dalla domanda di annullamento (in quanto richieste accessorie rispetto a quella principale, formulate al fine di ottenere una completa reintegrazione della situazione giuridica lesa).

Ne consegue che una volta venuta meno la possibilità di proseguire il giudizio con riferimento alla domanda principale di annullamento - per invalida instaurazione del rapporto processuale per le ragioni già dette - medesima sorte non possono che avere le ulteriori domande.

In ogni caso, il Collegio rileva che ove in tesi ricevibili, le ulteriori domande - restitutoria e risarcitoria per equivalente – avrebbero dovuto essere respinte nel merito.

Sul punto va premesso che la domanda di restituzione rientra nel paradigma della “reintegrazione in forma specifica”, secondo l’allora vigente art. 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, che la giurisprudenza dell’epoca - condivisa dal Collegio - considerava “istituto speciale del diritto processuale amministrativo” costituente “una delle possibili forme di risarcimento” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169).

Ricondotte, pertanto, le domande restitutoria e riparatoria per equivalente all’ambito della tutela risarcitoria, ove in tesi ricevibili - si ribadisce - tali domande avrebbero dovuto essere respinte nel merito, in applicazione della regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento (oggi sancita dall'art. 30, comma 3, cod. proc. amm.), regola ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione evolutiva del capoverso dell'art. 1227 cod. civ. (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3).

Ed invero, pur non sussistendo una pregiudizialità di rito già nel quadro normativo anteriore all'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, deve (e doveva) ravvisarsi immanente nell'ordinamento il principio che l'omessa rituale proposizione del ricorso per l'annullamento del provvedimento lesivo (a causa del tardivo deposito del ricorso notificato, come nel caso che occupa) denota una condotta che, nell'ambito di una valutazione complessiva del comportamento delle parti in causa, autorizza il giudice ad escludere il risarcimento, in quanto la rituale proposizione del ricorso per l'annullamento dell'atto lesivo avrebbe potuto evitare i danni da quest'ultimo derivanti (arg. ex Cons. Stato, sez. V, 1 dicembre 2014, n. 5917).

3. La conclusione in rito della vicenda contenziosa ed il carattere risalente della stessa inducono il Collegio a disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe La Greca, Presidente

Marco Rinaldi, Primo Referendario

Giovanni Giuseppe Antonio Dato, Referendario, Estensore

 

 
 

 

 
 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

Giovanni Giuseppe Antonio Dato

 

Giuseppe La Greca

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

IL SEGRETARIO

 

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