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Legittimazione a richiedere il permesso di costruire

Pubblico
Giovedì, 17 Marzo, 2022 - 10:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n. 1827 del 15 marzo 2022, legittimazione a richiedere il permesso di costruire

MASSIMA

Ai sensi dell’art. 11, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.

L’onere di verifica del Comune sulla legittimazione a richiedere il permesso di costruire, di cui all’art. 11, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, assume connotati differenti a seconda che la detta legittimazione si fondi sulla titolarità di un diritto reale, ovvero attenga ad una disponibilità del bene a titolo diverso. In tale ultimo caso (ad esempio, bene detenuto per effetto di contratto di locazione), l’Amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire. 

SENTENZA

N. 01827/2022REG.PROV.COLL.

N. 07848/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7848 del 2020, proposto da U. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Alfredo Contieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

- la Parrocchia di OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Costantino Macchia e Francesco Maria Piscopo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marco Costantino Macchia in Roma, via del Governo Vecchio, 20;
- il Comune di Castel di Sangro, non costituito in giudizio;

nei confronti

di OMISSIS, non costituita in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) n. 300/2020, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Parrocchia di San Nicola di Bari;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 30 settembre 2021, il Cons. Oberdan Forlenza e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con l’appello in esame, la società U.S.r.l. impugna la sentenza 29 agosto 2020, n. 300, con la quale il TAR per l’Abruzzo, sez. I, in accoglimento del ricorso proposto dalla Parrocchia OMISSIS, ha annullato, in particolare, il permesso di costruire 20 settembre 2019, n. 4, concernente la realizzazione di una scala esterna di sicurezza in acciaio a servizio della RSA (residenza sanitaria assistita) condotta dalla medesima società U.

La Parrocchia, proprietaria in Castel di Sangro di un immobile utilizzato come convitto, ne aveva a suo tempo locato una parte alla Cooperativa sociale servizi S.r.l., la quale, con nota del 18 giugno 2016, comunicava la cessione del contratto alla società U.

Quest’ultima, in data 14 marzo 2019, diffidava la Parrocchia, ai sensi del D.M. 19 marzo 2015, all’esecuzione di lavori di rifacimento di talune strutture (precisamente: rifacimento di otto bagni, impianto di rilevazione fumi, impianto di evacuazione del personale e compartimentazione) e in data 18 marzo 2019 presentava istanza edilizia al Comune.

La Parrocchia faceva pervenire al Comune, in data 3 aprile 2019, il proprio diniego all’autorizzazione delle opere, poiché talune di esse avrebbero interferito con il godimento della parte di immobile non concesso in locazione sia da parte di terzi, sia da parte della stessa Parrocchia.

Veniva infine rilasciato un titolo autorizzatorio con prescrizioni alla realizzazione delle opere e, in data 5 luglio 2019, la società chiedeva alla Parrocchia di autorizzare la realizzazione di una scala antincendio.

Non avendo ottenuto riscontro, la società presentava istanza al SUAP di Castel di Sangro onde ottenere il necessario permesso di costruire, allegando alla medesima un’autorizzazione rilasciata dalla Parrocchia nel 2007 alla Cooperativa all’epoca locataria per lavori di messa a norma del fabbricato, nonché una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante la piena disponibilità dei suoli su cui è prevista l’ubicazione della scala esterna in acciaio.

2. Il permesso di costruire 20 settembre 2019, n. 4, a tal fine rilasciato, veniva impugnato dalla Parrocchia ed annullato con la sentenza oggetto del presente appello, la quale – previo rigetto di eccezione di inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum spiegato dalla comodataria di parte dell’immobile - afferma in particolare:

- “l’amministrazione non è tenuta a svolgere indagini approfondite sull’esistenza e la portata del titolo allegato dal richiedente il permesso di costruire, salvo nel caso in cui a chiederlo sia un soggetto diverso dal proprietario, il quale si sia opposto al rilascio”;

- “nel caso di oggettiva incertezza sul diritto di realizzare un’opera edilizia su suolo altrui, prevale l’opposizione del proprietario e l’amministrazione deve senz’altro negare il rilascio del permesso di costruire”;

- nel caso di specie, il Comune, anziché richiedere alla U. una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante la piena disponibilità dell’area interessata dall’intervento edilizio (e ciò nonostante la ricevuta opposizione del proprietario), avrebbe “agevolmente potuto acquisire al procedimento . . . il contratto di locazione e l’autorizzazione rilasciata dalla Parrocchia alla realizzazione di opere di messa a norma . . . e trarne elementi idonei ad escludere sicuramente che la U. potesse disporre in modo pieno dell’area in questione”;

- ciò in quanto l’art. 6 del contratto di locazione, che consente di “apportare modifiche e innovazioni richiedendo anche direttamente, ove necessario, autorizzazioni oppure concessioni amministrative”, è chiaramente “limitato ai locali interni dell’edificio”;

- inoltre, “l’area interessata dall’intervento in questione serve per l’accesso al fabbricato e quindi alla parte di esso oggetto di locazione”, di modo che la scala antincendio ed il pannello ignifugo “costituiscono innovazioni eccedenti l’uso normale del bene locato”;

- Unisanitas non poteva avvalersi in sede procedimentale di “un’autorizzazione rilasciata ad un soggetto diverso . . . e non riprodotta nel contratto del 2012 cedutole dalla Cooperativa sociale servizi 2000”;

- nel conflitto tra proprietario e locatario, l’Amministrazione “avendo omesso di condurre un’istruttoria sul contratto di locazione, avrebbe dovuto far prevalere, rebus sic stantibus, la posizione espressa dalla Parrocchia, mentre, affidando l’esito del procedimento alla dichiarazione unilaterale della richiedente, viola l’art. 11 del DPR n. 380/2001, che richiede invece l’allegazione di un titolo non controverso”.

3. Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando; omessa pronuncia; violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato; difetto di motivazione; ciò in quanto:

a1) il contratto di locazione deve essere interpretato tenendo conto dello scopo perseguito da U., “struttura sanitaria dotata di 55 posti letto autorizzati di cui 28 accreditati”, atteso che la “rimozione” della scala costituisce “circostanza obiettivamente ostativa alla prosecuzione dell’attività sanitaria . . . a fronte di un contratto di locazione nel quale era ben chiara ed evidente alle parti quale fosse la modalità di esercizio dell’attività” da svolgersi;

a2) i lavori della scala antincendio sono stati realizzati sulla base di una SCIA in variante al permesso di costruire, la cui contestazione ad opera del terzo è in radice esclusa ex art. 19 legge n. 241 del 1990, di modo che ne deriva “l’inammissibilità del ricorso di primo grado poiché lo stesso era finalizzato a contestare titoli autorizzativi superati dalla citata SCIA in variante, che a sua volta non può costituire oggetto di domanda di annullamento”;

a3) “la realizzazione della scala antincendio . . . era stata già autorizzata dalla stessa Parrocchia alla società conduttrice dell’immobile, società che ha poi ceduto il ramo d’azienda alla Unisanitas”;

a4) “la scala è stata ubicata in un’area in cui non sussistono interferenze con i locali al piano terreno dell’immobile e attualmente sede della Croce Rossa e di A.”;

b) error in iudicando; eccesso di potere per travisamento dei fatti, perplessità ed irragionevolezza; illogicità della motivazione; carenza di istruttoria; violazione o falsa applicazione dell’art. 818 c.c.; ciò in quanto “l’area su cui insiste la scala è area pertinenziale dell’immobile locato” e il contratto di locazione non esclude l’area pertinenziale dal godimento di U. (ai sensi dell’art. 818 c.c.) “proprio perché sull’area in oggetto poteva essere istallata la scala antincendio finalizzata alla effettiva realizzazione dello scopo del contratto di locazione”. Inoltre, il progetto approvato nel 2007 dalla Diocesi di Sulmona – Valva già includeva la scala per cui è causa.

4. Si è costituita in giudizio la Parrocchia appellata, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Con ordinanza 13 novembre 2020 n. 6627, questa Sezione “in disparte ogni valutazione in ordine al fumus boni juris”, al fine di evitare il periculum rappresentato dall’appellante, ha accolto l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.

Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

5. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

5.1. La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. IV, 19 luglio 2021, n. 5407, e 30 agosto 2018, n. 5115; sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4776; sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4818), che il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.

Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria” (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in senso conforme, sez. V, 4 aprile 2012, n. 1990).

Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in generale, che:

- per un verso, chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio debba comprovare la propria legittimazione all’istanza;

- per altro verso, è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio.

Tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza (Cons. giust. Amm., 11 maggio 2021, n. 413; Cons. Stato, sez. II, 30 settembre 2019, n. 6528), ma non comporta anche che l’Amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.

Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’Amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.

In tal senso, laddove ricorrano limitazioni negoziali al diritto di costruire, l’Amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico, appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario (Cons. Stato, sez. IV, n. 5407/2021 cit.).

Tuttavia – come si è già affermato – assume rilievo differente l’ipotesi in cui la legittimazione a richiedere l’autorizzazione edilizia si fondi sulla titolarità di un diritto reale, da quella in cui essa attenga ad una disponibilità del bene a titolo diverso.

In tale ultimo caso (ad esempio, bene detenuto per effetto di contratto di locazione), l’Amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire (Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4919; sez. IV, n. 5115/2018 cit.)

5.2. Nel caso di specie, non sussistono i presupposti per il rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 11 DPR n. 380/2001, così come elaborati dalla giurisprudenza.

Per un verso, la società richiedente non è titolare di alcun diritto reale, ma semplice locataria dell’immobile, il che già rende necessario un consenso espresso, inequivoco del proprietario, che invece ha manifestato la propria contrarietà all’intervento e di ciò il Comune era consapevole.

Per altro verso, laddove anche fosse possibile superare il dissenso espresso del proprietario, la stessa sussistenza di una “discordanza interpretativa” in ordine all’art. 6 del contratto di locazione - in disparte ogni considerazione in ordine all’esatto contenuto di questo, che la sentenza impugnata ha condivisibilmente ritenuto non permissivo di attività edilizia - rende evidente come la legittimazione di Unisanitas a presentare l’istanza non fondi su basi chiare e certe inctu oculi, essendo invece necessarie interpretazioni del contenuto del contratto estranee alla competenza della pubblica amministrazione in sede di rilascio del titolo edilizio.

Per altro verso ancora, il Comune di Castel di Sangro – pur a conoscenza della volontà contraria del proprietario – ha ritenuto sia di procedere ad una istruttoria esulante dalle proprie competenze, sia, soprattutto, di fondare il rilascio del titolo solo, in buona sostanza, sulla base di una autocertificazione della medesima società istante, attestante la piena disponibilità dei suoli.

Da un lato, dunque, il Comune non ha proceduto ad accertamenti istruttori (ancorché questi, come si è detto, travalicassero le sue competenze in sede di rilascio di titolo edilizio); dall’altro lato, si è sostanzialmente rimesso alla “autorappresentazione” della sussistenza della propria legittimazione, rimessa ad una autocertificazione del richiedente il permesso di costruire.

Appare, dunque, evidente come, nel caso di specie, siano del tutto mancanti i presupposti di legittimazione, in capo alla società appellante, a richiedere il permesso di costruire.

Né può trovare accoglimento quanto rappresentato dall’appellante, laddove essa sostiene “l’inammissibilità del ricorso di primo grado poiché lo stesso era finalizzato a contestare titoli autorizzativi superati dalla citata SCIA in variante, che a sua volta non può costituire oggetto di domanda di annullamento”.

In disparte ogni valutazione sui precisi contenuti della citata SCIA, appare evidente come essa si ponga come comunicazione in ordine a “variante” su lavori precedentemente assentiti da permesso di costruire per il quale non sussisteva alcuna legittimazione alla richiesta; di modo che il sopravvenire della segnalazione non preclude affatto l’esame della legittimità del titolo, relativamente al quale si ritiene di poter agire (unilateralmente) in variante.

6. Alla luce di tutte le considerazioni esposte, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Unisanitas S.r.l. (n. 7848/2020 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore della costituita Parrocchia di San Nicola di Bari, delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 settembre 2021 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

Luca Lamberti, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Oberdan Forlenza

Raffaele Greco

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

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