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Ordinanze di demolizione immobili abusivi e sospensione lavori - Cons.Stato, sez. VI, sent. n.4776 del 22.09.2014

Pubblico
Martedì, 28 Ottobre, 2014 - 01:00

 

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), sentenza n.4776 del 22 settembre 2014, sulle ordinanze di demolizione immobili abusivi e sospensione lavori 
 
N. 04776/2014REG.PROV.COLL.
N. 02307/2013 REG.RIC.
N. 02308/2013 REG.RIC.
N. 02309/2013 REG.RIC.
N. 02310/2013 REG.RIC.
N. 02773/2013 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2307 del 2013, proposto dalla società -OMISSIS- Oggi denominata -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Mara Merlini e Francesco Castiello, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Giuseppe Cerbara, 64; 
contro
Comune di Desio, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Viviani, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina, 2; 
 
sul ricorso numero di registro generale 2308 del 2013, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Castiello e Mara Merlini, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Giuseppe Cerbara, 64;
contro
Comune di Desio, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Viviani, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina, 2; 
 
sul ricorso numero di registro generale 2309 del 2013, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Mara Merlini e Francesco Castiello, con domicilio eletto presso il secondp in Roma, via Giuseppe Cerbara, 64; 
contro
Comune di Desio, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Viviani, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina, 2; 
 
sul ricorso numero di registro generale 2310 del 2013, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Castiello e Mara Merlini, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Giuseppe Cerbara, 64; 
contro
Comune di Desio, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Viviani, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina, 2; 
 
sul ricorso numero di registro generale 2773 del 2013, proposto dai signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, nonché dalla società -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Mara Merlini e Francesco Castiello, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Giuseppe Cerbara, 64; 
contro
Comune di Desio, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Claudio Colombo, con domicilio eletto presso l’avv. Giulia Greco in Roma, via F. Cesi 21; 
per la riforma
quanto al ricorso n. 2307 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Lombardia – Milano, Sezione II, n. 03105/2012, resa tra le parti, concernente ordinanze di sospensione lavori e di demolizione di opere abusive, nonché verbali del Corpo di Polizia locale;
quanto al ricorso n. 2308 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Lombardia – Milano; Sezione II, n. 03106/2012, resa tra le parti, concernente diniego di permesso di costruire in sanatoria, preavviso di rigetto e verbali del Corpo di Polizia locale;
quanto al ricorso n. 2309 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Lombardia – Milano, Sezione II, n. 03107/2012, resa tra le parti, concernente diniego di permesso di costruire in sanatoria, preavviso di rigetto e verbali del Corpo di Polizia locale;
quanto al ricorso n. 2310 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Lombardia – Milano, Sezione II, n. 03108/2012, resa tra le parti, concernente diniego di permesso di costruire in sanatoria, preavviso di rigetto e verbali del Corpo di Polizia locale;
quanto al ricorso n. 2773 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Lombardia – Milan, Sezione II, n. 03109/2012, resa tra le parti, concernente ingiunzione di demolizione di opere eseguite senza titolo e rimessa in pristino stato dei luoghi;
 
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Desio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1, 2 e 5;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 luglio 2014 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Castiello e Giovanni Monti per delega dell'avvocato Viviani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
FATTO e DIRITTO
E’ tornata all’esame del Collegio la questione – oggetto di cinque appelli già riuniti con ordinanza n. 1415/14 del 24 marzo 2014 – concernente dinieghi di condono edilizio e ordini di demolizione, riferiti ad alcuni immobili (villa bifamiliare, casa unifamiliare, edificio ad uso commerciale ed altre pertinenze) costruiti dai signori -OMISSIS- e -OMISSIS- su un terreno di proprietà della società “-OMISSIS- (ora denominata -OMISSIS-).
Nella vicenda contenziosa, avviata con riferimento ai provvedimenti sopra indicati, intervenivano le seguenti sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Milano, sez. II: sentenze nn. 3106/12 e 3107/12 del 18 dicembre 2012 (entrambe notificate il 31 dicembre 2012 e oggetto di appelli della signora -OMISSIS- nn. 2308/13 e 2309/13, notificati il 2 marzo 2013), 3108/12 del 22.11.2012 (notificata il 31 dicembre 2012 ed oggetto di appello del signor -OMISSIS- n. 2310/13, notificato il 2 marzo 2013), 3109/12 del 18 dicembre 2012 (oggetto di appello n. 2773/13 – notificato il 23 marzo 2013 – dei signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, nonché della società -OMISSIS-) e 3105/12 del 18 dicembre 2012 (notificata il 31 dicembre 2012 ed appellata dalla stessa società -OMISSIS-, con atto notificato il 2 marzo 2013).
Nelle prime tre delle citate sentenze (nn. 3106/12, 3107/12 e 3108/12) i ricorsi, proposti avverso altrettanti dinieghi di permesso di costruire in sanatoria, a norma del d.l. n. 269/2003, venivano dichiarati inammissibili, non avendo i ricorrenti provato di possedere titolo di proprietà, o altro titolo idoneo, sull’area; nella quarta sentenza (n. 3109/12), relativa all’ordine di demolizione e rimessa in pristino n. 12026 (ordinanza n. 78) del 6 aprile 2011, si sottolineavano la destinazione agricola dell’area e la presenza di un vincolo di fascia di rispetto stradale, con ulteriore infondatezza di censure di eccesso di potere, indirizzate avverso un atto vincolato ed inammissibilità dell’istanza risarcitoria, poiché proposta con memoria non notificata; con la quinta sentenza (n. 3105/12), infine, era dichiarato in parte improcedibile, in parte irricevibile ed in parte inammissibile il ricorso proposto dalla società -OMISSIS- avverso l’ordine di demolizione n. 99 del 24 marzo 2006, nonché avverso i verbali della Polizia municipale presupposti.
Nei ricordati appelli nn. 2308, 2309 e 2310 – proposti avverso la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, riferiti ai dinieghi di sanatoria – venivano rappresentate analoghe ragioni, riferite all’art. 11 del Testo Unico dell’Edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), che consente di presentare domanda di permesso di costruire non solo ai proprietari, ma a tutti coloro che abbiano titolo ad utilizzare l’immobile, in base ad atto negoziale o comunque ad un rapporto reale e qualificato con l’immobile stesso. Tale rapporto sarebbe stato sussistente nel caso di specie sia per la signora -OMISSIS- (abitante con la propria famiglia nell’immobile, oggetto dei provvedimenti di diniego di sanatoria nn.16093 e 16095 del 31 marzo 2006), sia per il signor -OMISSIS-, amministratore della società -OMISSIS-, anch’esso abitante con la propria famiglia in uno degli immobili contestati, oggetto di diniego n. 16091 del 31 marzo 2006, nonché per la citata società, proprietaria del terreno interessato dagli interventi in questione.
Nel merito, sempre con riferimento ai dinieghi di sanatoria, venivano riproposte le ulteriori censure di violazione di legge ed eccesso di potere già prospettate in primo grado, con prioritario riferimento all’art. 32 del d.-l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modificazioni dalla l.24 novembre 2003, n. 326, in quanto sarebbero state sussistenti, nel caso di specie, tutte le condizioni per il rilascio dei richiesti condoni edilizi, per opere certamente ultimate al rustico entro il 31 marzo 2003.
L’appello n. 2773/13, a sua volta, risultava proposto avverso la sentenza di rigetto (e parziale declaratoria di inammissibilità) del ricorso, con cui veniva contestata l’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino n. 12026 del 6 aprile 2011. In tale appello si sosteneva il venir meno della destinazione agricola dell’area, con ulteriore intervenuta decadenza del regime vincolistico di inedificabilità assoluta, fermo restando che le opere oggetto di sanatoria non sarebbero ricadute in aree soggette a tale vincolo. L’impugnativa, tuttavia, risultava in parte improcedibile, essendo stata adottata una nuova ordinanza di demolizione (n. 78/2011), dopo i dinieghi di condono, né avrebbe potuto ritenersi ammissibile l’impugnativa di quest’ultima, effettuata con memoria non notificata, al pari dell’istanza risarcitoria. L’ordine di sospensione dei lavori, infine, sarebbe stato impugnato ben oltre la scadenza del termine decadenziale prescritto. Avverso detta decisione è stato proposto l’ulteriore atto di appello n. 2307/13, notificato il 2 marzo 2013, con rinnovata descrizione dell’intera vicenda e prospettazione di censure, riferite alla data di ultimazione dei lavori, nonché all’emanazione del provvedimento repressivo ad oltre cinque mesi dall’ordine di sospensione dei lavori; gli immobilirealizzati, inoltre, sarebbero stati condonabili, a norma dell’art. 32 del d.-l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326. Sicuramente illegittima infine, per violazione dell’art. 44 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, sarebbe stata l’emanazione della misura sanzionatoria, in pendenza del termine per la presentazione di istanze di condono. Il provvedimento, peraltro, avrebbe dovuto essere preceduto da comunicazione di avvio del procedimento e non avrebbe potuto ritenersi venuto meno l’interesse all’annullamento della diffida n. 99/2006, in quanto “atto precedente, ineliminabile ed imprescindibile dell’iter amministrativo”, concluso con l’emanazione dell’”ingiunzione n. 78/2011, “parimenti viziata” e suscettibile di travolgimento per effetto dell’annullamento della prima. Nel ritenere non ritualmente impugnata detta ordinanza n. 78/2011, comunque, il giudice di primo grado sarebbe incorso nel vizio di non corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, essendo l’annullamento di detta ordinanza oggetto del procedimento R.G. 2077/11. La mancata riunione di tutti i ricorsi avrebbe configurato, infine, ulteriore vizio delle decisioni appellate, che dovrebbero essere oggetto di annullamento, con rinvio al giudice di primo grado per il relativo adempimento.
Il Comune di Desio, costituitosi in giudizio per tutte le impugnative sopra indicate, ha nuovamente sottolineato, in capo agli appellanti, la “mancanza della titolarità della situazione giuridica sostanziale, di cui è lamentata la lesione”, specificando l’oggetto delle diverse domande di condono e precisando la non rilasciabilità del titolo abilitativo richiesto in sanatoria, non solo per omessa ultimazione delle opere abusive al 31 marzo 2003, ma anche per l’espressa esclusione prevista dall’art. 2, comma 1, primo periodo, della legge regionale n. 31/2004, secondo cui “fatti salvi gli ampliamenti entro i limiti massimi del 20 per cento della volumetria della costruzione originaria, o, in alternativa, di 500 metri cubi, non sono suscettibili di sanatoria le opere abusive relative a nuove costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici generali, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge”. Nella fattispecie, l’area interessata dalle opere abusive sarebbe stata inclusa in “zona agricola e fascia di rispetto”, con conseguente legittimità del diniego di sanatoria, mentre dovrebbe ritenersi inammissibile per carenza di giurisdizione del giudice amministrativo l’impugnazione dei rapporti della Polizia locale. L’ultimazione delle opere alla data del 31 marzo 2003, inoltre, non sarebbe stata dimostrata dai soggetti interessati.
Con ulteriore memoria, il medesimo Comune sottolineava poi l’assenza, in capo agli appellanti, di una posizione che civilisticamente desse titolo per esercitare sul fondo un’attività costruttiva (diritto di proprietà o altri diritti reali o personali di godimento, attributivi della facoltà di effettuare interventi sull’immobile (Cons. Stato, IV, 21 agosto 2013, n. 4234). L’ultimazione delle opere alla data prescritta, infine, sarebbe smentita dai verbali dei sopralluoghi eseguiti dalla Polizia locale, da cui risulterebbe che i manufatti, oggetto delle domande di condono in questione, non sarebbero stati, in parte, neppure esistenti alla data del 2 settembre 2003.
Premesso quanto sopra, con la citata ordinanza n. 1415/14 è stata disposta la riunione degli appelli nn. 2307, 2308, 2309, 2310 del 2011 e 2773 del 2013, in quanto inerenti edificazioni abusive, oggetto di istanze e successivi dinieghi di condono, nonché di provvedimenti sanzionatori sostanzialmente connessi, da valutare in modo analitico, seppure con ottica unitaria.
Nella dimensione appena indicata – e preso atto della mancanza, negli atti di causa, del fascicolo, formato nei modi di cui all’art. 5 Cod. proc. amm. – il Collegio riteneva inoltre necessario acquisire, da parte del Comune di Desio, la seguente documentazione:
A) per ciascuno degli appelli riuniti, con adeguata numerazione e distinta degli allegati:
- atto impugnato in primo grado;
- preavviso di rigetto, limitatamente ai dinieghi di condono;
- verbali di accertamento della polizia municipale, prodromici all’emanazione di ciascun atto impugnato;
B) dettagliata relazione riepilogativa, in cui fosse illustrata in termini sintetici la natura delle opere, rese oggetto dei provvedimenti sanzionatori, con precisazione della riconducibilità, o meno, delle stesse alle domande di condono, presentate dalle diverse parti in causa.
Il 23 maggio 2014 la documentazione richiesta è stata depositata e su tale base, nella pubblica udienza in data odierna, la causa è passata in decisione.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene di dover precisare, in via preliminare, come le domande di annullamento, contenute nelle diverse impugnative, debbano ritenersi riferite ai soli provvedimenti, incidenti sulle situazioni soggettive protette degli appellanti, ovvero ai dinieghi di sanatoria e agli ordini di demolizione, data l’efficacia temporanea degli ordini di sospensione dei lavori (superati comunque dall’emanazione delle misure sanzionatorie) ed avendo carattere endo-procedimentale i verbali di accertamento dello stato dei luoghi, da considerare soltanto quali presupposti delle misure successivamente assunte e, in ogni caso, contestabili quali atti pubblici solo con querela di falso, ove contenenti accertamenti ritenuti non veritieri. Sembra appena il caso di sottolineare, inoltre, come la mancata riunione delle diverse impugnative in primo grado di giudizio non possa considerarsi vizio delle sentenze appellate, essendo tale riunione rimessa ad apprezzamento ampiamente discrezionale del giudice.
Appaiono invece fondate le censure che, negli appelli nn. 2308/13, 2309/13, 2310/13, investivano la dichiarata inammissibilità delle impugnative, proposte dai signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, per non avere gli stessi documentato il proprio titolo per utilizzare gli immobili, oggetto dei provvedimenti impugnati. Non è contestato, infatti, che il terreno interessato dalle costruzioni di cui trattasi fosse di proprietà di una società (a sua volta appellante in due delle cause in esame), di cui era amministratore unico il signor -OMISSIS-, che – pur non avendo sul punto prospettato una linea difensiva adeguatamente articolata – poteva, comunque, presumibilmente effettuare atti di disposizione del terreno, assegnando singoli immobili sul medesimo realizzati (come risulta avvenuto) a se medesimo o a propri familiari. Di fatto, l’intestazione societaria del bene non impediva di identificare nei signori -OMISSIS- e -OMISSIS- – per incontestata situazione di fatto protrattasi negli anni, nonché per il ruolo di rappresentanza societaria del secondo – i titolari di una situazione legittimante a disporre delle aree, rientranti nella loro effettiva disponibilità anche a fini costruttivi, tramite richiesta di permesso di costruire o di sanatoria. Come sottolineato dagli appellanti, infatti, a norma dell’art. 11 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia “titolo per richiederlo”: espressione, quest’ultima, che la giurisprudenza ha identificato con la legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, di natura reale, o anche solo obbligatoria, purchè con il consenso del proprietario (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 23 febbraio 2012, n. 983, 16 marzo 2012, n. 1488, 5 giugno 2012, n. 3300 e 8 giugno 2007, n. 3027). Tale lettura si estende alle procedure di condono edilizio, per la cui richiesta la normativa di riferimento rinvia alla domanda di concessione edilizia e a chi abbia titolo per presentarla (cfr. art. 31, comma 3 e 37, comma 1 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive disposizioni di rinvio a quest’ultima; cfr. anche Cons. Stato, VI, 27 giugno 2008, n. 3282 e 25 marzo 2011, n. 1842; IV, 26 gennaio 2009, n. 437 e 27 ottobre 2009, n. 6545). Nella fattispecie la situazione rappresentata (due immobili adibiti ad abitazione familiare dei citati appellanti, altre costruzioni finalizzate all’attività societaria) porta a ritenere che -OMISSIS- e -OMISSIS- (rispettivamente, in qualità di amministratore e di collaboratrice dell’azienda, o anche solo come affittuaria o comodataria) avessero titolo per la gestione e lo sfruttamento a fini edilizi dell’area di proprietà della società -OMISSIS-, con conseguente legittimazione attiva – nei termini fatti propri dalla vigente normativa – alla presentazione delle istanze di sanatoria, così come sono stati considerati dal Comune legittimati passivi, per il rigetto di tali istanze e per i conseguenti provvedimenti sanzionatori. Sul punto in questione, pertanto, le sentenze nn. 3106/12, 3107/12, 3108/12 e 3109/12, nelle quali si ravvisava l’inammissibilità dei ricorsi, appunto per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, debbono essere riformate, senza che ciò precluda l’ulteriore esame nel merito degli appelli, non essendo ravvisabile quel “difetto di procedura” della sentenza appellata che impone il rinvio al primo giudice, nei termini precisati dall’art. 105 Cod. proc. amm., mentre – in caso di erronee declaratorie di inammissibilità, irricevibilità o decadenza del ricorso, identificate come contenuto della sentenza appellata – l’effetto devolutivo del gravame ne consente l’esame in secondo grado di giudizio (cfr. al riguardo, per il principio, Cons. Stato, V, 6 dicembre 1988, n. 797; IV, 15 gennaio 1980, n. 13; IV, 23 ottobre 1984, n. 774; VI, 17 aprile 2003, n. 2083 e 25 settembre 2009, n. 5792; IV, 7 giugno 2004, n. 3608; V, 10 maggio 2005, n. 2348, 14 aprile 2008, n. 1605 e 2 ottobre 2008, n. 4774, nonché, per il nuovo rito: Cons. Stato, IV, 5 giugno 2012, n. 3317 e VI, 12 dicembre 2011, n. 6492).
Nel merito, tuttavia, il Collegio ritiene che gli appelli non siano meritevoli di accoglimento, per le ragioni che emergono dai singoli atti impugnati e sulla base del consolidato indirizzo giurisprudenziale, che addossa l’onere della prova – circa la data di ultimazione delle opere, che siano state oggetto di domande di condono edilizio – ai responsabili dell’abuso e non all’Amministrazione (cfr in tal senso, fra le tante, Cons. St., IV, 10 giugno 2014, n. 2960, 15 gennaio 2013, n. 211 e 31 gennaio 2012, n. 478;, 3 giugno 2013, n. 3034, 15 luglio 2013, n. 3834 e 20 agosto 2013, n. 4182; VI, 24 settembre 2012, n. 5057, 1 febbraio 2013, n. 631, 5 agosto 2013, n. 4075 e 15 ottobre 2013, n. 5007).
Nell’ottica sopra indicata, il Collegio ritiene opportuno ripercorrere la complessa vicenda contenziosa attraverso il reale contenuto degli atti impugnati e gli accertamenti che ne costituiscono presupposto, in base a quanto illustrato e documentato dal Comune di Desio.
Nella relazione conclusiva di quest’ultimo, depositata in esito all’istruttoria, si evidenzia quanto segue:
a) le opere, cui si riferisce l’appello n. 2307/13 (manufatto in cemento armato, parzialmente aperto, di 425 mq., altro manufatto in cemento armato e mattoni di mq. 225 circa, pavimentazione dell’intera area in battuto di cemento, tratti di recinzione in cemento armato e passo carraio, copertura in cemento armato di mq. 440 circa, tra i manufatti sopra indicati, ulteriore manufatti mq. 85 circa e ulteriore completamento della recinzione) non risultano oggetto delle domande di condono edilizio di cui trattasi, ad eccezione di alcuni “tratti di recinzione in cemento armato”; sussisterebbero dunque i presupposti per la legittima emanazione dell’ordinanza di demolizione n. 99 del 24 marzo 2006 (poi comunque superata dall’ordinanza n. 78 del 2011, con cui è stata rinnovata la procedura sanzionatoria per tutte le opere contestate);
b) le opere, cui si riferisce l’appello n. 2308/13 (manufatto privo di copertura alla data del sopralluogo, effettuato il 26 gennaio 2004), benchè oggetto di istanza di condono risultavano non riconducibili ai presupposti normativi della sanatoria, richiesta il 9 dicembre 2004, ai sensi dell’art. 32, comma 25, del d.-l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326 e riferita alle opere ultimate entro il 31 marzo 2003, come riportato nel rigetto di detta istanza n. 16093 del 31 marzo 2006;
c) le opere, cui si riferisce l’appello n. 2309/13 (tettoia), sarebbero state oggetto del diniego n. 7911 del 17 febbraio 2006, in quanto il manufatto non sarebbe più stato esistente;
d) le opere, di cui all’appello n. 2310/13 (manufatto privo di copertura alla data del sopralluogo del 26 gennaio 2004, come riportato nel diniego di condono n. 7914 del 17 febbraio 2006) si sarebbero trovate in una situazione del tutto analoga a quella, di cui al precedente punto b);
e) le opere, oggetto dell’appello n. 2773/13, sono quelle di cui ai punti precedenti, cui si riferisce l’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino n. 78 (prot. n. 12026) del 6 aprile 2011, con allegata documentazione fotografica, attestante la relativa consistenza.
L’inesistenza, o la mera realizzazione a rustico, ma senza completamento della copertura, alla data dei sopralluoghi effettuati dal Comune (in data 2 settembre 2003, 26 gennaio 2004 e 28 febbraio 2004), per le opere oggetto di istanza di condono edilizio, risulta attestata nei relativi verbali, la cui veridicità in punto di fatto non è stata smentita nei modi dovuti, in base a querela di falso. La molteplicità delle opere abusivamente realizzate e la prosecuzione dei lavori, nonostante le diffide e gli ordini di sospensione dei lavori stessi, risultano adeguatamente rappresentate con ampia documentazione fotografica.
In tale contesto, al deposito della documentazione richiesta in via istruttoria gli appellanti hanno replicato con semplice memoria, contestando in modo generico le acquisizioni documentali sotto i seguenti profili:
- già avvenuto deposito della documentazione stessa fin dal primo grado di giudizio;
- la genericità di atti, da cui non sarebbe chiaramente desumibile “la descrizione di alcun manufatto/edificio esistente”;
- imprecisa quotatura dei vari fabbricati;
- inverosimiglianza di quanto asserito dall’Amministrazione in rapporto ad un gazebo, che i proprietari sarebbero soliti spostare “a seconda delle necessità di ombreggiamento”;
- imprecisioni sul numero dei fabbricati presenti sull’area, addirittura superiore rispetto a quello dei manufatti “di volta in volta accertati”.
In aggiunta a quanto sopra, si lamenta la mancata produzione del verbale di sopralluogo del 29 gennaio 2004, da cui sarebbero emersi lavori riferibili ad un “fabbricato esistente”, sul quale sarebbe stata in corso la mera posa in opera di serramenti, con omessa specificazione delle opere, che sarebbero state ulteriormente effettuate dopo i primi accertamenti. Anche la relazione riepilogativa, prodotta dal Comune, non avrebbe “aggiunto alcun elemento”, tale da fornire “elementi certi, per addivenire ad una individuazione delle opere e dei manufatti coperti dalle domande di condono”.
Le considerazioni esposte, in effetti, dimostrano in modo evidente come le parti appellanti tentino di rovesciare l’onere della prova, su di loro gravante, addossando al Comune imprecisioni di dettaglio, riconducibili alla pluralità e progressività degli abusi edilizi dai medesimi realizzati.
In effetti sia gli appellanti, sia l’Amministrazione comunale, non predisponendo il fascicolo di parte nei modi prescritti dall’art. 5 dell’allegato 2 al codice del processo amministrativo (c.p.a.), hanno reso estremamente difficoltosa la ricostruzione della vicenda controversa, che solo in esito all’istruttoria ha potuto ricevere disamina sufficientemente esaustiva, attraverso nuovo deposito di atti che – se pure già in precedenza depositati – non erano stati disposti in ordine cronologico e con precisi riferimenti, anche fotografici, alle singole opere contestate. Proprio il riscontro fotografico, d’altra parte, eliminerebbe in buona parte quella “genericità”, che gli appellanti affermano senza fornire, a loro volta, alcun elemento di chiarificazione, nei diversi modi che la giurisprudenza ha individuato, per quanto riguarda la data di ultimazione delle opere oggetto di istanza di condono (aerofotogrammetrie, foto allegate all’istanza, fatture di acquisto dei materiali per la costruzione, dichiarazioni testimoniali). A fronte di costruzioni di notevole impatto, molte delle quali nemmeno oggetto di istanza di sanatoria (come attestato dall’Amministrazione senza precise contestazioni sul punto), nonché in presenza di copiosa documentazione fotografica, attestante il carattere solo iniziale dei lavori a gennaio 2004 (anche sotto il contestato profilo della copertura), il Collegio non può che trarre le conseguenze, di cui all’art. 64, commi 1 e 2. Cod. proc. amm., secondo cui “spetta alle parti l’onere di fornire elementi di prova che siano nella loro disponibilità, riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni”, con dovere del giudice di “porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite”.
Nella situazione in esame, gli appellanti non solo non contribuiscono a fare chiarezza, ma contestano addirittura genericamente “il numero dei fabbricati presenti sull’area”, nonché l’assenza di elementi certi per chiarire l’effettivo oggetto delle domande di condono, ovvero si appigliano ad elementi marginali, quali la quotatura dei fabbricati o lo spostamento di un gazebo.
Quanto alla segnalata, omessa produzione del verbale di sopralluogo n. prot. 5/2004 del 29 gennaio 2004, il documento risulta viceversa depositato in atti, con la documentazione fotografica allegata, da cui si evince la consistenza delle opere all’epoca realizzate. Ancora più significativa appare poi la relazione del Corpo di polizia locale del Comune n. prot. 1568/05 in data 11 novembre 2005, trasmessa anche alla Procura della Repubblica, in cui si ribadisce la mancata ultimazione delle opere oggetto di istanza di condono alla data utile per lo stesso (31 marzo 2003) nei termini prescritti dalla normativa di riferimento, che prevedeva, per le nuove costruzioni, realizzazione a rustico del manufatto completo di copertura (e non certo con solo parziale posa in opera di tale copertura, ben dieci mesi dopo la predetta scadenza temporale, come risultante dagli atti). Nella medesima relazione si cita altresì un ulteriore sopralluogo, effettuato il 2 settembre 2003, in cui era stata segnalata l’effettuazione di lavori su un “manufatto esistente”, con ulteriore rilevata assenza di altre costruzioni, tranne lo “sbancamento della vasta area”, in cui si ravvisavano “scavi profondi, mentre nella zona sud si evidenziava una pavimentazione in battuto di cemento, sopra la quale si elevavano pilastri di ferro”. Quanto ai lavori sul “manufatto esistente”, si sarebbe trattato della mera posa in opera di serramenti: intervento, la cui entità era giudicata “irrilevante” dagli stessi agenti verificatori. In assenza di ulteriori precisazioni da parte dei diretti interessati, anche nella discussione svoltasi in data odierna, l’intervento di finitura in questione non può quindi che ritenersi estraneo ai provvedimenti repressivi impugnati, riferiti ad opere mai rese oggetto di istanza di condono, o prive dei requisiti per ottenere l’eccezionale sanatoria, accordata con legge solo ai fabbricati che fossero stati completati, nei tempi e nei modi sopra descritti; è stato infatti ribadito dalla difesa comunale (senza smentita di controparte) che le opere oggetto di dinieghi di condono erano corrispondenti agli sbancamenti, rilevati a settembre 2003. In tale situazione detti dinieghi e gli ordini di demolizione (sia conseguenti che riferiti ad opere, per le quali non era stato richiesto alcun titolo abilitativo) avevano carattere vincolato, con irrilevanza di vizi meramente formali, ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che tutti gli appelli riuniti debbano essere respinti, con assorbimento delle pur numerose contestazioni, che in nessun modo possono tuttavia ribaltare il punto focale della questione, da ravvisare nella totale assenza di titolo abilitativo per le imponenti costruzioni, effettuate sull’area di cui trattasi e nella non condonabilità di alcuni edifici, che alla data prescritta dalla normativa di riferimento risultavano (quanto meno) privi di copertura (come affermato nei dinieghi di sanatoria impugnati e come ulteriormente attestato dal Comune con documentazione fotografica, senza puntuali controdeduzioni dei diretti interessati, anche per quanto riguarda una più precisa identificazione del “manufatto esistente” alla data del citato sopralluogo del 2 settembre 2003, in quanto manufatto reso oggetto di una delle domande di condono).
Le spese giudiziali, da porre a carico delle parti soccombenti, vengono liquidate nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00), per tutti i ricorsi riuniti, a favore del Comune di Desio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge gli appelli riuniti nn. 2307, 2308, 2309, 2310 del 2011 e 2773 del 2013; condanna gli appellanti, in solido, al pagamento delle spese giudiziali, a favore del Comune di Desio, nella misura complessiva di €. 3.000,00 (euro tremila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all'art. 52, commi 1,2 e 5 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, manda alla Segreteria di procedere, in caso di diffusione del provvedimento, all'annotazione di cui ai commi 1,2 e 5 della medesima disposizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Carlo Mosca, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/09/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 
 

 

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

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