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Occupazioni illegittime: presupposti e prescrizione

Privato
Martedì, 14 Marzo, 2023 - 08:45

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce - Sezione Terza, sentenza n.333 del 13 marzo 2023, sulle occupazioni illegittime prescrizioni

MASSIMA

Nella materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, ad eccezione delle ipotesi in cui manchi del tutto una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e l'Amministrazione espropriante abbia agito nell’assoluto difetto di una potestà ablativa (devolute come tali alla giurisdizione ordinaria), spettano alla giurisdizione amministrativa esclusiva, ex art. 133 primo comma lettera g) c.p.a., le controversie (come quella de qua) nelle quali si faccia questione - anche ai fini della tutela risarcitoria - di attività di occupazione e trasformazione di un bene immobile conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento ablatorio all'interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprietà, purchè vi sia un collegamento - anche mediato - all’esercizio della pubblica funzione” (ex multis Consiglio di Stato, IV Sezione, 4 Aprile 2011 n. 2113; T.A.R. Lombardia, Brescia, I Sezione 18 Dicembre 2008 n.1796; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria 30 Luglio 2007 n. 9 e 22 Ottobre 2007 n. 12; T.A.R. Basilicata, 22 Febbraio 2007 n. 75; T.A.R. Puglia, Bari, III Sezione, 9 Febbraio 2007 n. 404; T.A.R. Lombardia, Milano, II Sezione, 18 Dicembre 2007 n. 6676; T.A.R. Lazio, Roma, II Sezione, 3 Luglio 2007 n. 5985; T.A.R. Toscana, I Sezione, 14 Settembre 2006 n. 3976; Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 20 Dicembre 2006 nn. 27190, 27191 e 27193)” (T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 12 maggio 2015, n. 1549)» (ex multis, T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 23 aprile 2018, n.704).

La mancata persistente emanazione del decreto finale di esproprio, con conseguente illegittima privazione della disponibilità dei beni immobili di proprietà dei ricorrenti e loro trasformazione, configura un illecito permanente della P.A..

La fattispecie della “occupazione acquisitiva” è stata definitivamente espunta dall’ordinamento giuridico, a far data dalle decisioni con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto la illegittimità dell’istituto, segnalando che il rimedio della restituzione del bene risulta essere la forma privilegiata di riparazione a favore del proprietario illegittimamente spogliato dello stesso (sentenze, tutte contro Italia, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura e Società Belvedere Alberghiera; 15 e 29 luglio 2004, Scordino; 19 maggio 2005, Acciardi; 15 luglio 2005, Carletta; 21 dicembre 2006, De Angelis; 6 marzo 2007, Scordino; 4 dicembre 2007, Pasculli).

Nessuna norma attribuisce … al soggetto espropriato, pur a fronte dell’illegittimità del titolo espropriativo, un diritto, sostanzialmente potestativo, di determinare l’attribuzione della proprietà all’amministrazione espropriante previa corresponsione del risarcimento del danno” e ha negato, pertanto, l’applicabilità nel procedimento di espropriazione per pubblica utilità dell’istituto della rinuncia abdicativa (o traslativa) implicita nella domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario derivante dall’illecito permanente, costituito dall'occupazione di un suolo da parte della P.A., a fronte della irreversibile trasformazione del fondo, nonché rilevando l’assoluta neutralità della richiesta risarcitoria, in quanto “la proposizione di una domanda risarcitoria del pregiudizio sofferto rispetto a un bene, attraverso la richiesta di una somma corrispondente al controvalore del bene, nulla esprime realmente in ordine alla volontà di preservarne, o meno, la titolarità. Infatti, siffatta domanda non è né logicamente né giuridicamente incompatibile con la volontà di permanere titolare del diritto di proprietà, potendo anche il danno da perdita del godimento del bene, in vista della sua proiezione tendenziale all’infinito in ragione di una prospettata radicale e irreversibile trasformazione del bene, finire per equivalere al valore di scambio, sicché la mera richiesta di un risarcimento del danno commisurato al valore del bene appare del tutto neutra sotto il profilo della volontà di rinunciare, o meno, alla proprietà. Considerata la rilevanza degli effetti dell’atto abdicativo, comportante la perdita del diritto di proprietà su un bene immobile, non appare ammissibile, per ragioni di certezza del traffico giuridico immobiliare, ancorare l’effetto a manifestazioni di volontà enucleabili da atti processuali a contenuto non univoco, in violazione dei principi di accessibilità, precisione e prevedibilità cui deve essere improntata la disciplina delle procedure ablative nonché lo stesso regime giuridico di circolazione dei beni, per di più immobili.

SENTENZA

N. 00333/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00214/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 214 del 2017, proposto da
omissis, rappresentati e difesi dagli avvocati Vincenzo Colucci e Doranna Rinaldi, con domicilio eletto presso lo studio Vincenzo Colucci in Martina Franca, via Vito Bascio n. 27;

contro

Comune di Martina Franca, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Marco Morelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la condanna

1) del Comune di Martina Franca - previo accertamento della scadenza del periodo di occupazione legittima del fondo di proprietà dei ricorrenti, in Catasto riportato al foglio 132, p.lle 396, 469 e 470 per un'estensione di mq. 1.730, e declaratoria dell'abusiva protrazione di tale occupazione dal gennaio 2000 fino alla data in cui tale situazione sarà regolarizzata - alla restituzione previa riduzione in pristino del citato fondo in comproprietà dei ricorrenti, illegittimamente occupato ed utilizzato;

2) per effetto di quanto innanzi, per la condanna, sempre per le medesime ragioni, del Comune di Martina Franca a corrispondere in favore dei ricorrenti il risarcimento dovuto per l'illegittima occupazione del suddetto fondo, dalla scadenza del periodo di occupazione legittima sino all'attualità, dal gennaio 2000, in misura corrispondente al 5% del valore venale del fondo in questione (valore indicato: €. 394.440,00), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali come per legge;

3) del Comune di Martina Franca a corrispondere in favore dei ricorrenti l'importo dovuto a titolo di indennità per il periodo quinquennale di occupazione legittima, in misura parti all'8,33% del valore venale del fondo in questione, legittimamente occupato da gennaio 1995 a gennaio 2000 (valore indicato €. 205.355.32), oltre interessi legali come per legge;

4) in via subordinata, per il caso di mancato accoglimento dell'azione di restituzione del fondo in questione, per la condanna del Comune di Martina Franca al risarcimento del valore venale del suolo in questione, secondo le indicazioni fornite nella relazione tecnica redatta a firma del Geom. Martino Fanelli, con valore base €. 285,00/mq.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Martina Franca;

Viste le ordinanze istruttorie della Sezione nn. 956/2022 e 1594/2022;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° febbraio 2023 la Cons. dott.ssa Patrizia Moro e uditi per le parti i difensori avv.ti D. Rinaldi e G. Calella, quest'ultima in sostituzione dell'avv. V. Colucci, per iricorrenti e avv. M. Morelli per l’A.C.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.I ricorrenti espongono quanto segue.

Sono comproprietari pro-indiviso, ciascuno secondo le quote riportate nella visura catastale allegata, di un fondo ubicato nel centro abitato del Comune di Martina Franca, in Catasto Terreni contraddistinto al foglio 132, particelle 396, 469 e 470.

Tale diritto rinviene in loro favore per essere eredi dei signori omissis i quali lo ricevettero in virtù di atto per notar Giovanni De Tullio del 13.08.1973.

Detto immobile, originariamente corrispondente ad un terreno libero, contraddistinto con la sola particella catastale 396, della superficie di mq. 1.730, a decorrere dal 1988 veniva parzialmente occupato dal Comune di Martina Franca per la realizzazione di una strada di pubblico passaggio.

A ridosso del 2000, inoltre, quest’ultima strada è stata oggetto di importante allargamento, con la conseguenza che è stata completamente impegnata tutta l’originaria particella, nel frattempo frazionata nelle particelle 396, 469 e 470, avente sempre la complessiva estensione di mq. 1.730.

L’Amministrazione Municipale intimata, però, non ha mai corrisposto per tale occupazione ed utilizzazione alcun risarcimento od indennizzo e non ha adottato alcun formale decreto di esproprio.

Per tale ragione, con atto di citazione notificato in data 19.06.2002, gli odierni ricorrenti, unitamente ad altri comproprietari, proponevano azione giudiziaria dinanzi al Tribunale Civile di Taranto, Sezione Distaccata di Martina Franca, per ottenere, previo accertamento dell’occupazione illegittima e/o usurpativa del fondo di loro proprietà da parte del Comune di Martina Franca, la condanna di quest’ultimo “al risarcimento dei danni … conseguenti alla perdita del loro diritto di proprietà sul fondo in questione … nella misura corrispondente al valore venale del fondo, con rivalutazione monetaria sino al momento della decisione, oltre all’indennità per l’occupazione abusiva e al risarcimento del danno per il mancato godimento del bene con gli interessi e la rivalutazione monetaria sino all’effettivo soddisfo..” (cfr. conclusione sub lett. b) dell’atto di citazione sopra richiamato).

In via istruttoria il G.U. adito ammetteva una Consulenza Tecnica d’Ufficio, espletata dal Geom. Martino Fanelli, per accertare “1) Lo stato attuale dei luoghi e la irreversibile trasformazione del fondo di proprietà degli attori; 2) l’esatta estensione del suolo occupato;3) il valore del fondo al momento della irreversibile trasformazione; 4) le somme dovute a titolo di indennità di occupazione ed a titolo di risarcimento dei danni”.

Con sentenza n. 218 del 19 ottobre 2010, il Giudice Unico presso il Tribunale Civile di Taranto, Sezione Distaccata di Martina Franca, originariamente adito, riconoscendo che nel caso di specie l’occupazione era avvenuta a seguito di una dichiarazione di pubblica utilità, e, quindi, implicitamente riconoscendo che l’occupazione era avvenuta nell’esercizio di un pubblico potere, declinava la propria giurisdizione in favore di quella del G.A.

1.1. Con il ricorso all’esame i ricorrenti hanno pertanto adito questo Tribunale al fine di sentir accogliere le domande in epigrafe rassegnate.

Questi i motivi di ricorso.

Violazione del diritto di proprietà così come riconosciuto dall’art. 42 della Costituzione e dall’art. 6 della C.E.D.U. - Violazione dei principi di buona amministrazione, ex art. 97 Costituzione – Eccesso di potere per sviamento ed ingiustizia.

1.2. Con ordinanza istruttoria n. 956 del 10 giugno 2022, pronunciata in esito alla pubblica udienza dell’11 maggio 2022, questo Tribunale, ai fini del decidere, ha disposto incombenti istruttori a carico del Comune di Martina Franca, ordinando “l’esibizione di una dettagliata relazione di chiarimenti sulla vicenda dedotta in contenzioso a firma del Dirigente e /o Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale, con particolare riferimento alle circostanze fattuali dedotte dai ricorrenti, che chiarisca compiutamente lo stato attuale del procedimento ablatorio per cui è causa, precisando, in particolare, se sia mai stato emanato il decreto finale di esproprio o eventualmente un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001 e ss.mm. in relazione alle aree di proprietà dei ricorrenti”, assegnando il termine di 60 (sessanta) giorni dalla notificazione o, se antecedente, dalla comunicazione in via amministrativa dell’ordinanza medesima;

Con nota depositata il 27.09 2022 il Dirigente del Settore III (Dott. Ing.  omissis) del Comune di Martina Franca ha chiesto una proroga di ulteriori 60 giorni per l’espletamento degli incombenti istruttori richiesti dalla Sezione.

Con ordinanza interlocutoria n. 1594/2022, pronunciata in esito all’udienza in Camera di Consiglio del 12.10.2022, questa Sezione ha accolto parzialmente la richiesta di proroga di cui sopra, accordando al Comune di Martina Franca l’ulteriore termine di 30 (trenta) giorni dalla comunicazione dell’ordinanza, per l’espletamento degli incombenti istruttori disposti da questo Tribunale con la precedente ordinanza n. 956/2022.

Il 10.11.2022, il Comune di Martina Franca ottemperava all’incombente istruttorio depositando una dettagliata relazione di chiarimenti, con allegati documenti, a firma del Dirigente del Servizio Tecnico.

Il 10.12.2022 si è costituito in giudizio il Comune di Martina Franca eccependo l’inammissibilità, sotto diversi profili (fra cui il parziale difetto di giurisdizione) e l’infondatezza del ricorso anche per estinzione della pretesa sostanziale, stante la mancata tempestiva riassunzione del giudizio a seguito della sentenza dell’A.G.O. n.218 del 19 ottobre 2010 e, in via subordinata, l’avvenuta prescrizione estintiva del diritto al risarcimento del danno.

Nella pubblica udienza del 1° febbraio 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. In primo luogo, rileva il Tribunale che è inammissibile per difetto di giurisdizione dell’adito G.A. la domanda proposta dai ricorrenti di condanna dell’A.C. intimata al pagamento dell’indennizzo con riguardo al periodo di occupazione legittima (dal 1995 al 2000) del fondo in questione, per la quale l’art. 133, primo comma, lettera g) del Codice del Processo Amministrativo fa, invece, espressamente salva la giurisdizione dell’A.G.O. (cfr. T.A.R. Puglia - Lecce, Sezione III, 14/06/2019, n. 1054).

2.1. Con riferimento alle ulteriori domande azionate, osserva invece il Tribunale che sussiste la giurisdizione dell’adito Giudice Amministrativo, ai sensi dell’art. 133, primo comma, lettera g) del Codice del Processo Amministrativo (in forza del quale “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (…) le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”).

Ed invero, a tale riguardo, la Sezione non ha motivo per discostarsi dall’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, “nella materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, ad eccezione delle ipotesi in cui manchi del tutto una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e l'Amministrazione espropriante abbia agito nell’assoluto difetto di una potestà ablativa (devolute come tali alla giurisdizione ordinaria), spettano alla giurisdizione amministrativa esclusiva, ex art. 133 primo comma lettera g) c.p.a., le controversie (come quella de qua) nelle quali si faccia questione - anche ai fini della tutela risarcitoria - di attività di occupazione e trasformazione di un bene immobile conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento ablatorio all'interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprietà, purchè vi sia un collegamento - anche mediato - all’esercizio della pubblica funzione” (ex multis Consiglio di Stato, IV Sezione, 4 Aprile 2011 n. 2113; T.A.R. Lombardia, Brescia, I Sezione 18 Dicembre 2008 n.1796; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria 30 Luglio 2007 n. 9 e 22 Ottobre 2007 n. 12; T.A.R. Basilicata, 22 Febbraio 2007 n. 75; T.A.R. Puglia, Bari, III Sezione, 9 Febbraio 2007 n. 404; T.A.R. Lombardia, Milano, II Sezione, 18 Dicembre 2007 n. 6676; T.A.R. Lazio, Roma, II Sezione, 3 Luglio 2007 n. 5985; T.A.R. Toscana, I Sezione, 14 Settembre 2006 n. 3976; Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 20 Dicembre 2006 nn. 27190, 27191 e 27193)” (T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 12 maggio 2015, n. 1549)» (ex multis, T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 23 aprile 2018, n.704).

2.2. Nella fattispecie concreta dedotta in giudizio, come risulta dalla relazione di chiarimenti a firma del Dirigente del Settore III del Comune di Martina Franca acquisita agli atti del giudizio il 10.11.2022, “il Progetto di costruzione della strada di penetrazione nel comprensorio C5 con innesto in via Taranto (denominata Via Leone XIII) è stato approvato con Delibera del Commissario Prefettizio n. 144 del 8 Luglio 1987 resa pubblica nelle forme di legge e resa pienamente efficace decorsi i termini di legge in assenza di ricorsi e/o impugnative di sorta (Allegato C). Con Decreto Sindacale n. 30 del 3 Febbraio 1988 è stata disposta l’occupazione d’urgenza degli immobili necessari alla costruzione della strada congiungente via Taranto con v.le Sanità innesto in via Taranto (Allegato D).Tra le ditte interessate dal Decreto di Occupazione rientrano gli “Eredi Palazzo” – p.lla 396 – consistenza are 17.30; b. l’ampiezza dell’ area oggetto di occupazione; c. indennità prevista 15.000 lire/mq per un totale complessivo di 4.500.000 lire. d. Il Decreto risulta regolarmente notificato a tutte le “ditte catastali” tra il 15 ed il 22 febbraio 1988; e. Con nota prot. n. 1662 del 7 aprile 1988 si è disposto invito all’immissione in possesso delle aree, immissione avvenuta in data 5 maggio 1988. I Lavori di costruzione della strada di penetrazione nel comprensorio C5 con innesto in via Taranto (denominata Via Leone XIII) sono stati aggiudicati giusta Delibera di G.M. n. 562 del 14 Luglio 1988 resa pubblica nelle forme di legge e resa pienamente efficace decorsi i termini di legge in assenza di ricorsi e/o impugnative di sorta. Il contratto è stato sottoscritto in data 29 luglio 1988, i lavori sono stati ultimati in data 29 luglio 1991 e successivamente collaudati in data 11 Ottobre 1993 - collaudo approvato don Delibera di G.M. n.84 del 12 febbraio 1994 resa pubblica nelle forme di legge e resa pienamente efficace decorsi i termini di legge in assenza di ricorsi e/o impugnative di sorta. A far data dal 5 settembre 1991 e fino al 20 Settembre 1991 è stato affisso all’albo pretorio comunale l’”Avviso ad Opponendum” senza che siano pervenute richieste di risarcimento e/o crediti da parte di privati. I lavori sono stati positivamente collaudati nel 1993, giusto atto unico di collaudo sottoscritto in data 11.10.1993 (Allegato E.)”

Rileva, infine, il Dirigente del Settore III del Comune di Martina Franca che “l’irreversibile trasformazione dell’immobile è avvenuta nell’anno 1991. La strada, infatti, realizzata (ovverossia definitivamente ultimata) nel luglio 1991, viene regolarmente e costantemente utilizzata dalla collettività indifferenziata, ed è conosciuta da tutta la cittadinanza e l’utenza pubblica come Via Leone XIII. L’intera porzione di territorio in interesse (finanche l’area a parcheggio ricadente, in parte, nella p.lla 396 ed, in parte, nella p.lla 467 non oggetto di controversia) è destinata ad uso pubblico tanto che, periodicamente, ma comunque costantemente, il Comune di Martina Franca rilascia autorizzazioni per l’occupazione e/o la manomissione di suolo pubblico, ovvero si occupa costantemente della manutenzione sia del piano viabile sia di tutti gli arredi ed infrastrutture di urbanizzazione primaria ivi esistenti ed insistenti. Tale azione svolta nel tempo da parte dell’Amministrazione Comunale è comunque avvenuta con azione di possesso non violento, non clandestino ed ininterrotto dalla data di occupazione d’urgenza (ovverossia dal febbraio 1988). Da quanto sopra, ne consegue che possa ravvisarsi la fattispecie della dicatio ad patriam, in quanto è incontrovertibile la circostanza che la strada oggetto di controversia, denominata Via Leone XIII, benché attualmente ancora allibrata in catasto a ditte private (ancorché parzialmente differenti dagli attuali ricorrenti) risulta sin dal 1991: a) utilizzata da una collettività indeterminata di persone, e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) costituisce collegamento diretto tra pubbliche vie, pertanto è concretamente idonea a soddisfare esigenze di interesse generale; c) è oggetto di interventi di manutenzione da parte della Pubblica amministrazione. Agli atti di ufficio non è stato reperito decreto di esproprio delle aree oggetto di occupazione d’urgenza”.

2.3. Sempre in via preliminare, si rileva che, pur se non vi è stata nella specie una tempestiva “translatio judici”, il ricorso è sicuramente ammissibile.

2.4. Orbene, ciò precisato, il Collegio osserva che la mancata persistente emanazione del decreto finale di esproprio, con conseguente illegittima privazione della disponibilità dei beni immobili di proprietà dei ricorrenti e loro trasformazione, configura un illecito permanente della P.A., sottoposto alla cognizione di questo Tribunale.

A tanto deve ricordarsi che la fattispecie della “occupazione acquisitiva” è stata definitivamente espunta dall’ordinamento giuridico, a far data dalle decisioni con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto la illegittimità dell’istituto, segnalando che il rimedio della restituzione del bene risulta essere la forma privilegiata di riparazione a favore del proprietario illegittimamente spogliato dello stesso (sentenze, tutte contro Italia, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura e Società Belvedere Alberghiera; 15 e 29 luglio 2004, Scordino; 19 maggio 2005, Acciardi; 15 luglio 2005, Carletta; 21 dicembre 2006, De Angelis; 6 marzo 2007, Scordino; 4 dicembre 2007, Pasculli).

La mera circostanza relativa alla acquisizione di fatto del bene in mano pubblica a seguito della realizzazione dell’opera, non determina l’acquisto della titolarità del bene in capo alla Amministrazione e non fa venire meno l’obbligo di restituire al privato il bene illegittimamente appreso.

La Corte Costituzionale ha segnalato che il ristoro ordinario non può che essere costituito dalla restituzione del bene illegittimamente appreso, salve preminenti ragioni di interesse pubblico (integrante extrema ratio) comportanti la riparazione per equivalente (sentenze n. 293 del 2010 e n. 349 del 2007).

La Corte di Cassazione nell’anno 2015 (sentenza. n. 735), nel contesto di una causa relativa all’individuazione del dies a quo del diritto al risarcimento dei danni da occupazione illegittima, richiamando la propria giurisprudenza in tema di occupazione usurpativa, aveva ritenuto l’ammissibilità della domanda risarcitoria, individuando nella rinuncia abdicativa una delle ipotesi (accanto a quelle della restituzione, dell’accordo transattivo e della compiuta usucapione) di cessazione dell’illecito permanente perpetrato dall’Amministrazione con l’occupazione/manipolazione illegittima del bene del privato, ritenuta inidonea a determinare il trasferimento della proprietà in capo all’Amministrazione nonché qualificata come illecito di diritto comune determinante la responsabilità per i danni (cfr. ex plurimis, in tema di occupazione c.d. usurpativa, Cass. 28 marzo 2001, n. 4451 e Cass. 12 dicembre 2001, n. 15710), rilevando che tale rinuncia, infatti, assumerebbe in ogni caso carattere abdicativo e non traslativo: da essa, perciò, non conseguirebbe, quale effetto automatico, l’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’amministrazione - Cass. 3 maggio 2005, n. 9173; Cass. 18 febbraio 2000, n. 1814).

Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 2/2016, richiamando la sentenza della Corte di Cassazione n. 735/2015, ha indicato la rinuncia abdicativa (da ritenersi implicita nella domanda risarcitoria per equivalente del danno da perdita della proprietà) quale una delle possibili ipotesi di cessazione dell’illecito permanente.

Di recente, con le pronunce nn. 2, 3 e 4 del 20 gennaio 2020 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che “nessuna norma attribuisce … al soggetto espropriato, pur a fronte dell’illegittimità del titolo espropriativo, un diritto, sostanzialmente potestativo, di determinare l’attribuzione della proprietà all’amministrazione espropriante previa corresponsione del risarcimento del danno” e ha negato, pertanto, l’applicabilità nel procedimento di espropriazione per pubblica utilità dell’istituto della rinuncia abdicativa (o traslativa) implicita nella domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario derivante dall’illecito permanente, costituito dall'occupazione di un suolo da parte della P.A., a fronte della irreversibile trasformazione del fondo, nonché rilevando l’assoluta neutralità della richiesta risarcitoria, in quanto “la proposizione di una domanda risarcitoria del pregiudizio sofferto rispetto a un bene, attraverso la richiesta di una somma corrispondente al controvalore del bene, nulla esprime realmente in ordine alla volontà di preservarne, o meno, la titolarità.

Infatti, siffatta domanda non è né logicamente né giuridicamente incompatibile con la volontà di permanere titolare del diritto di proprietà, potendo anche il danno da perdita del godimento del bene, in vista della sua proiezione tendenziale all’infinito in ragione di una prospettata radicale e irreversibile trasformazione del bene, finire per equivalere al valore di scambio, sicché la mera richiesta di un risarcimento del danno commisurato al valore del bene appare del tutto neutra sotto il profilo della volontà di rinunciare, o meno, alla proprietà. Considerata la rilevanza degli effetti dell’atto abdicativo, comportante la perdita del diritto di proprietà su un bene immobile, non appare ammissibile, per ragioni di certezza del traffico giuridico immobiliare, ancorare l’effetto a manifestazioni di volontà enucleabili da atti processuali a contenuto non univoco, in violazione dei principi di accessibilità, precisione e prevedibilità cui deve essere improntata la disciplina delle procedure ablative nonché lo stesso regime giuridico di circolazione dei beni, per di più immobili”.

3. Ciò premesso, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa civica con riferimento alla mancata dimostrazione della titolarità del diritto di proprietà dei ricorrenti, avendo questi ultimi depositato in giudizio non solo le visure catastali attestanti la conformazione della proprietà, ma anche l’atto pubblico di divisione del 13.8.1973 per Notar dott. Giovanni de Tullio e n. 2 denunce di successione.

3.1. Del pari infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto proposto collettivamente, dato che non sussistono situazioni di conflittualità di interessi, anche solo potenziali, tra i ricorrenti i quali agiscono, ciascuno pro quota, per le medesime particelle oggetto di occupazione e, quindi, per i medesimi interessi e ragioni.

3.2. Inoltre, l’occupazione coattiva ed illegittima del bene immobile di che trattasi esclude senz’altro la sussistenza dei presupposti per l’operare della dicatio ad patriam, che è istituto presupponente la volontà del disponente di destinare un bene alla mano pubblica; volontà comunque senz’altro insussistente nel caso di specie, nel mentre la sentenza A.G.O. n. 218/2010 non ha accertato (nella vicenda de qua) alcuna occupazione appropriativa della P.A., ma si è limitata a dichiarare il difetto di giurisdizione del G.O..

3.3. Quanto all’eccezione formulata dalla difesa civica di estinzione del diritto o comunque di prescrizione del diritto alla restituzione e/o al risarcimento del danno, per la asserita consumazione del termine quinquennale, dalla stessa giurisprudenza è possibile evincere che gli effetti conseguenti alle condotte materiali ascrivibili al genus della occupazione abusiva implicano che:

a) si tratta di illecito permanente rientrante nel genus dell’art. 2043 c.c.;

b) v’è impossibilità per la P.A. di acquistare coattivamente alcun diritto sul bene oggetto di occupazione abusiva;

c) solo la prescrizione dell’azione risarcitoria per mancato godimento dei beni immobili è quinquennale;

d) il termine di prescrizione decorre:

d1) dalla singola annualità, per la domanda risarcitoria per equivalente della perdita del godimento con la conseguenza che la prescrizione estingue il diritto al risarcimento da mancato godimento del bene, per gli anni precedenti al quinquennio antecedente la messa in mora (per l’applicazione concreta del principio: C.G.A.., n. 255 del 2019; Cons. Stato, sez. IV, n. 5262 del 2017; sez. IV, n. 5084 del 2017; sez. IV, n. 4636 del 2016).

In applicazione delle suindicate coordinate normative e giurisprudenziali, pertanto, quanto, alla determinazione del risarcimento del danno per il mancato godimento delle aree di che trattasi a cagione dell’occupazione illegittima (a partire dall’anno 2000, come richiesto dai ricorrenti e non contestato dall’A.C. resistente), va accolta in parte l’eccezione di prescrizione della domanda di risarcimento del danno da mancato godimento della porzione del bene immobile occupato dalla A.C., limitatamente alle sole annate antecedenti il quinquiennio dalla data di notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio (9.2.2017), atteso che non possono ritenersi conservati gli effetti sostanziali interruttivi della traslatio iudicii ex art. 11 c.p.a. con riferimento al giudizio promosso innanzi al G.O. e culminato nella citata sentenza del Tribunale Civile di Taranto - Sezione Distaccata di Martina Franca n. 218 del 19.10.2010.

Invero, ai sensi dell’art.50 c.p.c. “Se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nella ordinanza dal giudice e, in mancanza, in quello di tre mesi dalla comunicazione dell'ordinanza di regolamento o dell'ordinanza che dichiara l'incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice. Se la riassunzione non avviene nei termini su indicati, il processo si estingue”.

Nella fattispecie dedotta in giudizio la riassunzione del giudizio proposto innanzi al G.O. e culminato nella citata sentenza n. 218/2010 non è avvenuta nel rispetto del termine suddetto (previsto dall’art. 11 c.p.a.), bensì dopo circa sette anni, sicchè non possono farsi salvi gli effetti (sospensivi) ivi prodotti.

3.3.1. Pertanto, in assenza di idonei (tempestivi) atti interruttivi, la domanda di risarcimento del danno da mancato godimento dei beni immobili occupati dalla A.C. di Martina Franca, deve essere accolta limitatamente alle sole annate antecedenti il quinquiennio dalla data di notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio (9.2.2017), ossia a far data dall’8.02.2012.

3.4. Inoltre, è necessario che sia accordata piena effettività all’accoglimento della domanda di restituzione dei beni immobili occupati, come formulata dai ricorrenti, dovendo la stessa intendersi quale prioritario strumento di ripristino della legalità violata e di soddisfazione dell’interesse sostanziale del titolare (Cassazione Civile, Sez. Unite, n. 29466 del 2019).

In particolare, posto che la mancata emanazione dell’atto finale ablatorio (come riconosciuto dallo stesso Comune resistente nella relazione di chiarimenti depositata il 10.11.2022), con conseguente illegittima privazione della disponibilità dei beni immobili indicati in narrativa e loro trasformazione, configura un illecito permanente della P.A (e in assenza del verificarsi delle ulteriori ipotesi di cessazione dell’illiceità individuate nella sentenza sopra citata dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato), le aree occupate in questione sono rimaste di proprietà dei ricorrenti, con la conseguenza che sussistono i presupposti per ordinarne la invocata restituzione agli stessi, previa la necessaria riduzione in pristino.

Ed invero, secondo la nota pronuncia del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 9 febbraio 2016, n. 2, “In linea generale, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. - con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale unicamente per singole annualità in relazione al mancato godimento del bene - che viene a cessare solo in conseguenza:

a) della restituzione del fondo;

b) di un accordo transattivo;

c) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti perspicuamente individuati dal Consiglio di Stato allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie (i.e. alleviare gli oneri finanziari altrimenti gravanti sull’Amministrazione responsabile), si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014) (…);

d) di un provvedimento emanato ex art. 42-bis T.U. espr.”

3.4.1.Rimane, comunque, salva l’eventuale applicazione da parte dell’Ente comunale dell’art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001 e ss.mm., che ha disciplinato ex novo il potere discrezionale della P.A. di acquisizione del bene “in sanatoria” (“Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale (…)”), dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 293/2010 dichiarativa dell’incostituzionalità dell’art. 43 del medesimo D.P.R. n. 327 del 2001.

3.4.2. Per la determinazione del predetto danno il Collegio ritiene, peraltro, di poter fare applicazione, in assenza di opposizione delle parti e in difetto della prova rigorosa di diversi ulteriori profili di danno, dell’art. 34, comma 4, c.p.a., secondo i criteri equitativi indicati dalla più recente giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2022, n. 9427), atteso che, stante la mancata tempestiva riassunzione del giudizio proposto incardinato innanzi al G.O. (sfociato nella citata sentenza n. 218/2010 del Giudice Unico presso il Tribunale di Taranto, Sezione Distaccata di Martina Franca) non possono essere utilizzate le risultanze istruttorie ivi acquisite (fra cui la C.T.U. a firma del Geom. Martino Fanelli, ).

3.4.3. Pertanto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 34, comma 4, del c.p.a., il Comune resistente dovrà proporre ai ricorrenti il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno per il mancato godimento delle aree di che trattasi a cagione dell’occupazione (tuttora) illegittima, limitatamente alle sole annate antecedenti il quinquiennio dalla data di notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio (9.2.2017), ossia a far data dall’8.02.2012, secondo i seguenti criteri:

I) dovrà tenersi conto dell’area effettivamente occupata dalla P.A. per la realizzazione delle opere pubbliche di cui trattasi;

II) in base ai principi enunciati nella sentenza del Consiglio di Stato, IV Sezione, 7 novembre 2016, n. 4636, il risarcimento “può essere calcolato - ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., facendo applicazione, in via equitativa, dei criteri risarcitori dettati dall’art. 42-bis T.U. n. 327/2001 (cfr. da ultimo sul punto Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 2016 n. 3929; 28 gennaio 2016 n. 329; 2 novembre 2011 n. 5844), e dunque in una somma pari al 5% annuo del valore del terreno”.

In altri termini, “il risarcimento del danno per mancato godimento del bene a cagione dell’occupazione divenuta illegittima (illegittimità, nel caso di specie, tuttora permanente) deve essere calcolato facendo applicazione analogica, in via equitativa (ai sensi dell’art. 1226 del Codice Civile), dei criteri risarcitori dettati dall’art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001, e, dunque, in una somma pari al 5% annuo (per ciascun anno di illegittima occupazione) del valore dei terreni concretamente occupati.

III) trattandosi di debiti di valore, le somme di cui al precedente punto n. II dovranno essere rivalutate alla data della presente sentenza (con applicazione degli Indici nazionali dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, calcolati dall’I.S.T.A.T.); sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno per l’occupazione illegittima dovranno, inoltre, essere riconosciuti gli interessi al tasso legale, da calcolarsi sulla somma annualmente rivalutata in base ai suddetti indici I.S.T.A.T., secondo i principi di cui alla sentenza della Cassazione Civile, Sezioni Unite, 17 febbraio 1995, n. 1712, e ciò sino all’effettivo soddisfo.

La proposta di pagamento, elaborata sulla base dei criteri innanzi descritti, dovrà essere presentata ai ricorrenti, da parte del Comune di Martina Franca, entro il termine di sessanta giorni dalla data di comunicazione della presente sentenza o da quella di notificazione, se anteriore.

4. Per tutto quanto innanzi sinteticamente esposto, il ricorso deve essere accolto, quanto - da un lato - alla domanda, così correttamente qualificata, di restituzione della parte di terreno occupata dall’A.C., previa riduzione in pristino, fatta salva l’eventuale applicazione dell’art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001 e ss.mm., e - dall’altro - alla definizione dei criteri ex art. 34, comma 4, del c.p.a. per il risarcimento dei danni da mancato godimento rivenienti dall’illegittima occupazione nei sensi, limiti e termini innanzi precisati, limitatamente alle sole annate antecedenti il quinquiennio dalla data di notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio (9.2.2017), ossia a far data dall’8.02.2012.

Le spese di giudizio, stante l’accoglimento parziale del ricorso, possono essere compensate tra le parti del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente nei sensi, limiti e termini indicati in motivazione e, per l’effetto:

-condanna il Comune di Martina Franca, in persona del Sindaco pro tempore, alla restituzione in favore dei ricorrenti delle aree illegittimamente occupate indicate nella parte motiva, previa la necessaria riduzione in pristino, salva ed impregiudicata la possibilità per il predetto Comune di disporre l’acquisizione “sanante” delle aree ai sensi dell’art. 42 bis D.P.R. n. 327/2001 e ss.mm.;

- condanna il Comune di Martina Franca, in persona del Sindaco pro tempore, ai sensi e per gli effetti dell’art. 34, comma 4 c.p.a., a proporre ai ricorrenti il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno per il mancato godimento dei terreni di che trattasi secondo i criteri, le modalità e i termini specificati in parte motiva, limitatamente alle sole annate antecedenti il quinquiennio dalla data di notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio ( 9.2.2017), ossia a far data dall’8.02.2012;

- dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del G.A. la domanda di condanna dell’A.C. al pagamento dell’indennità per il periodo di occupazione legittima, spettandone la relativa cognizione all’A.G.O..

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella Camera di Consiglio del giorno 1 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Enrico d'Arpe, Presidente

Patrizia Moro, Consigliere, Estensore

Anna Abbate, Primo Referendario

 

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Patrizia Moro

Enrico d'Arpe

IL SEGRETARIO

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