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Occupazioni illegittime: vai a vedere che, alla fine, la riattivazione del procedimento espropriativo sarà l’unica soluzione?

Pubblico
Sabato, 29 Novembre, 2014 - 01:00

 

Occupazioni illegittime: vai a vedere che, alla fine, la riattivazione del procedimento espropriativo sarà l’unica soluzione?
di Marco Morelli 
(avvocato del Foro di Roma) 
 
SOMMARIO: 1. Tra lo sconforto e l’entusiasmo per una sentenza “originale”. 2. Il risarcimento del danno per il periodo di mancato utilizzo. 3. Conclusioni.   
_______________
1. Tra lo sconforto e l’entusiasmo per una sentenza “originale”.
Confesso che quando ho letto la sentenza del TAR Calabria-Catanzaro, dello scorso 22 ottobre, la n.1694, sono stato colpito da un misto, al tempo stesso, di sconforto ed entusiasmo. 
Non ritenendo di essere affetto da allucinazioni o altro, credo che il mix di entusiasmo e sconforto, al contempo, sia la giusta definizione dello stato d’animo vissuto alla lettura della sentenza. 
Spiego meglio perché le premesse potrebbero, davvero, apparire come deliri di una mattina autunnale, ma così non è (almeno lo voglio sperare). 
La citata sentenza, infatti, non può non essere segnalata giacchè, a ben vedere, rappresenta, al contempo, una alterazione dei meccanismi di acquisizione legittimi previsti dal nostro sistema per il superamento delle occupazioni illegittime ed uno strumento che, se utilizzato dalle amministrazioni pubbliche, certo aiuterebbe (ma con legittimi dubbi) l’operato delle stesse per “sanare”. 
Il tema è quello delle occupazioni illegittime che tanto sta a cuore (al di là di chi scrive) alle pubbliche amministrazioni esproprianti, spessissimo alle prese con la necessità di superare espropri non conclusi per tempo o, peggio, niente affatto avviati. 
Nel caso di specie ad essere interessata è la prima ipotesi, ossia la mancata conclusione, nei termini, di una procedura ablativa. 
Inutile ripercorrere l’appassionante susseguirsi di soluzioni, più o meno condivisibili, succedutesi negli anni nella giurisprudenza e nella normativa. 
Oggi è storia la soluzione della c.d. accessione invertita, è storia l’ormai abrogato art.43 del testo unico sugli espropri, mentre è attualità la presenza (non si sa se e fino a quando, posta la spada di Damocle del sindacato di legittimità costituzionale pendente da inizio anno) dell’art.42-bis del d.P.R. n.327/01.
Quest’ultimo, in particolare, è indicato come soluzione possibile alle occupazioni illegittime accanto al raggiungimento degli accordi  ovvero, sotto altri profili, alla restituzione in forma specifica dell’area occupata con rimessione in pristino. 
Il tutto salvo l’eventuale limite della intervenuta usucapione. 
Lo stato dell’arte, allora, ad oggi, dovrebbe portare a ritenere operante, quale soluzione alla problematica delle c.d. occupazioni illegittime, una tra quelle sopra indicate. 
Non mancano, e lo sappiamo perfettamente, i dubbi, le perplessità, le critiche, per esempio, alla operatività dell’istituto dell’usucapione a favore della PA; senza andare troppo lontano, basti risalire a quanto sostenuto il luglio scorso dal Consiglio di Stato , secondo cui tale istituto non sarebbe operante a favore delle amministrazioni pubbliche. Oppure basti considerare quanto recentemente affermato, sempre dai Giudici di Palazzo Spada, nella sentenza dello scorso 18 novembre , nella quale si arriva a definire “altamente opinabile ed incerta” la questione della usucapione di immobili dalla PA. Il tutto senza scomodare lo stesso TAR Catanzaro che, nella sentenza n.1696 del 22 ottobre 2014 ha ritenuto operante l’usucapione della PA solo a partire dal 30 giugno 2003 ossia dalla entrata in vigore del d.P.R. n.327/01. 
Non mancano, neppure, le critiche alla teorica, pure pregevole per chi scrive, della c.d. riapprovazione in sanatoria della intera procedura espropriativa. Tale soluzione è da più parti, in dottrina e giurisprudenza, criticata, apparendo in contrasto col dato normativo di cui all’art.42-bis. 
Eppure, lo dico con tono sommesso, forse nelle maglie di alcune decisioni dello stesso Consiglio di Stato si ventila esattamente tale soluzione? 
Ad ogni modo, lo stato dell’arte, oggi è il seguente. 
Se la PA si trova costretta a superare una occupazione illegittima, deve ricorrere ad uno tra i seguenti (sicuri) strumenti: art.42-bis, accordi traslativi, restituzione in forma specifica. 
Accanto ai tre predetti inopinabili rimedi, sui quali non c’è discussione sulla attuale loro legittimità (la questione di costituzionalità pendente sull’art.42-bis non può, allo stato, farlo considerare non legittimo, ovviamente), si debbono aggiungere soluzioni, diciamolo pure con le stesse parole dei Giudici di Palazzo Spada, opinabili ed incerte quali l’usucapione (nel caso di occupazione ultraventennale) e la riattivazione in sanatoria della procedura ablativa con tutte le sue garanzie. 
Invero il pronunciamento in parola del TAR Catanzaro rappresenta, a rigore, altra “soluzione”, oserei dire “originale”, senza che se ne abbia nessuno, al tema delle occupazioni illegittime. 
Spiego meglio il perché ritengo del tutto originale la conclusione del Collegio calabro. 
Dinanzi ad una occupazione di una PA divenuta illegittima per scadenza dei termini della pubblica utilità il TAR Catanzaro arriva a ritenere, a chiare note, riferendosi alla presenza di un decreto di esproprio tardivamente adottato dalla PA che quest’ultimo “sebbene viziato in quanto adottato tardivamente, una volta divenuto inoppugnabile, ha tuttavia prodotto irrevocabilmente i propri effetti e dunque il trasferimento della proprietà del bene”.  
Apriti cielo! 
Ma come, non si era arrivati al punto di ritenere illegittimo un riavvio della procedura in sanatoria con la riapprovazione, ai soli fini della pubblica utilità, del progetto dell’opera già realizzata? Non si era arrivati a ritenere legittime e non opinabili solo le soluzioni del 42-bis, della restituzione in forma specifica e degli accordi? 
Letta la sentenza, allora, da un lato mi sono sentito avvolto da sconforto per essermi imbattuto dinanzi ad un decisum che altera le (poche) certezze che la materia delle occupazioni illegittime ha dato in questi anni. 
L’iniziale sconforto ha lasciato il campo, invero, al pressoché immediato e concomitante entusiasmo nel ritenere che la soluzione, più volte caldeggiata (anche su questa Rivista) da chi scrive, della riattivazione in sanatoria della procedura ablativa con tutte le sue garanzie (ergo: con le comunicazioni di avvio del procedimento), tutto sommato non è che sia cosi strampalata. 
Difatti a me sembra che la sentenza del TAR Catanzaro in parola, lungi dall’essere derubricata come isolata o altro, possa, davvero, costituire una occasione di analisi, studio, confronto e dibattito sul tema della sanatoria delle occupazioni illegittime. 
Non vorremmo essere tacciati di apparire come “gufi” (tanto va di moda oggi), ma se la Corte Costituzionale dovesse abrogare l’art.42-bis, ce ne sarebbero da vedere delle belle ed, allora, il dibattito sulle occupazioni illegittime, che non ha mai smesso di essere attuale, tornerebbe a re-infuocarsi inesorabilmente. 
Ed ecco che la soluzione del TAR Catanzaro potrebbe essere un punto di partenza per una riflessione condivisa. 
Difatti è poco consigliabile, nei fatti, suggerire alla PA di emettere un decreto di esproprio tardivo ed attendere, eventualmente, la sua non impugnazione per consolidarne gli effetti. 
Confesso che tale conclusione mi è stata, più volte, prospettata, negli anni, dalle amministrazioni, ma dinanzi all’interrogativo del se, effettivamente, fosse possibile, ho sempre ritenuto non fattibile tale scelta non fosse altro perché eclatantemente illegittima!
E sul punto anche il TAR Catanzaro non può fare a meno di ritenere illegittimo un decreto di esproprio adottato fuori termine massimo; poi, però, conclude affermando che se esso non viene annullato , non essendo, a proprio avviso, inesistente giuridicamente, spiega i tipici effetti di passaggio del diritto di proprietà. 
La soluzione non convince. 
Non convince perché sarebbe svuotato di significato, completamente, l’art.42-bis; non convince perché sarebbe “troppo facile” per le PA emettere fuori termine massimo un decreto di esproprio e, successivamente, giocare alla roulette russa, aspettando il consolidarsi degli effetti per mancata impugnazione. 
Sul punto la sentenza, invero, segnala anche, seppure velatamente, che potrebbe ritenersi tamquam non esset il decreto tardivo ma, di fatto, si discosta da tale posizione, pure ragionevole. 
E’ assurdo, difatti, pensare che la PA possa emettere, anche tardivamente, un decreto di esproprio, senza preoccuparsi della tempistica procedurale di cui all’art.8 del TUE. 
Tanto varrebbe, allora, e di qui l’entusiasmo suscitato dalla sentenza in chi scrive, riavviare la procedura ablativa con tutte le sue garanzie, inviando prima al proprietario leso l’avviso di avvio del procedimento per la riapprovazione del progetto, ai soli fini della pubblica utilità, dell’opera già esistente e successivamente riapprovando la stessa.
Spiego perché la sovraesposta soluzione a chi scrive sembra più convincente di un decreto di esproprio emesso eclatantemente fuori termine e considerato efficace se non impugnato.  
Sappiamo che, all’interno della macrostruttura del procedimento ablativo esiste un limite oltre il quale si “consolidano” gli effetti di un atto; segnatamente quando la PA invia la comunicazione di cui all’art.17 del TUE, informando della avvenuta approvazione della pubblica utilità, individualmente il proprietario viene portato a conoscenza di un dato che, se non contestato, si consolida e non può più essere “aggredito” nel prosieguo. 
Sappiamo, infatti, che la pubblica utilità dell’opera costituisce procedimento autonomo che si chiude con un provvedimento autonomo le cui patologie eventuali non possono inficiare il decreto di esproprio, in via derivata, se non contestate per tempo. 
E’ questo, allora, il dato che mi porta a ritenere che riavviando la procedura ablativa daccapo dinanzi ad occupazioni illegittime si possa trovare un punto di soluzione condivisa che non leda le posizioni del privato ed, al tempo stesso, consenta alla PA di sanare senza ricorso (talvolta scomodo per varie ragioni) al 42-bis. 
Una volta inviato l’avviso di avvio del procedimento ex art.16 TUE ovvero ex art. 7 della legge n.241/90, la PA, dando termine al privato per la presentazione delle osservazioni alla riapprovazione della pubblica utilità, metterebbe lo stesso al riparo da “sgradevoli” sorprese di vedersi espropriato con un decreto tardivo, e gli consentirebbe di presentare le proprie osservazioni ad un procedimento espropriativo nuovo in sanatoria. 
Potrebbe dirsi: troppo facile, ed il ristoro per il mancato utilizzo? E quello per il danno non patrimoniale? Che fine farebbero le voci di danno presenti nell’attuale art.42-bis? Utilizzare il riavvio in sanatoria di una procedura espropriativa avrebbe, forse, l’effetto di eludere i ristori del 42-bis? Ma non può essere!
Ricordo che un TAR ebbe modo di sostenere che il riavvio della procedura espropriativa in sanatoria sarebbe illegittimo se elusivo dei ristori del 42-bis. Ebbene, sul punto, il TAR Catanzaro offre un assist alla soluzione del dubbio sollevato, in parte qua, proprio da quanti ritengono illegittimo riattivare il procedimento ablativo. 
2. Il risarcimento del danno per il periodo di mancato utilizzo.   
E’ noto che l’art.42-bis ha previsto, quale componenti di danno, sia quello patrimoniale che quello non patrimoniale e da mancato utilizzo. 
Il primo fondato sul valore venale attuale del bene, il secondo sul 10% del valore venale (salvo casi i casi di cui al comma 5, in cui è del 20%), l’ultimo sul 5% di interesse annuo, salvo maggiore, del valore venale del bene per ogni anno di occupazione. 
Quello predetto è il dato vigente. 
Bene, se si parte da tale elemento normativo e lo si giustappone alla conclusione del TAR Catanzaro citato, non appare, a chi scrive, peregrino ritenere che anche per il riavvio del procedimento in sanatoria, si possa immaginare una soluzione per un corretto ristoro economico al privato leso. 
Il TAR calabro, infatti, ritenendo che il decreto di esproprio emesso fuori termine della pubblica utilità, se non impugnato, possa produrre gli effetti del passaggio del diritto di proprietà in capo alla PA, arriva a riconoscere, per il proprietario leso, il solo danno da c.d. mancato utilizzo dalla scadenza dei termini della pubblica utilità stessa alla adozione del (tardivo) decreto. 
Ed arriva a tale conclusione proprio richiamando i parametri normativi, per il danno da mancato utilizzo, di cui all’art.42-bis: a proprio avviso andrebbe risarcito il danno sulla base del 5% di interesse annuo del valore venale del bene!
L’unica domanda risarcitoria accoglibile nel caso trattato (nel quale parte ricorrente aveva avanzato richieste fondate, di fatto, sulle voci di danno del 42-bis), per il decidente TAR calabro, sarebbe quella relativa “all’illegittima occupazione dei suoli per il danno riferibile, nel caso, all’arco temporale compreso tra la scadenza di occupazione legittima e l’emanazione del decreto di esproprio , da calcolarsi nel 5% annuo sul valore venale del bene occupato per tutto il tempo di occupazione sine titulo, che va dalla scadenza dei termini finali dell’originaria dichiarazione di pubblica utilità all’emanazione del decreto di esproprio ”.
Per quanto riguarda le ulteriori pretese risarcitorie, il Collegio decidente le ritiene infondate  e, quindi, da rigettare a seguito dell’emanazione del decreto di esproprio, ferma la possibilità di rituale contestazione nella sede competente delle somme con esso attribuite.  
Il TAR Catanzaro, dunque, volendo riassume, afferma la legittimità ed efficacia di un decreto di esproprio “tardivo” a scadenza dei termini della pubblica utilità e riconosce, al proprietario, oltre alla pretesa indennitaria tipica del procedimento ablativo anche, sulla base del parametro legale del 42-bis, quella da mancato utilizzo. Tralascia il danno non patrimoniale, pure previsto dal TUE nel caso di occupazioni illegittime (art.42-bis, comma 1). 
La soluzione, come detto, offre l’assist per ritenere che anche nel caso di riavvio del procedimento in sanatoria il privato potrebbe essere risarcito del danno da mancato utilizzo, senza elusione delle previsioni indennitarie e risarcitorie del 42-bis. 
Difatti, pacifico l’effetto di “sanatoria” del ravvio del procedimento ablativo si avrebbe: a) un indennizzo calcolato al valore venale riferito al momento della adozione del decreto sanante (nel pieno rispetto dell’art.32 TUE che vuole la determinazione dell’indennizzo fatta al momento della adozione del decreto); b) un danno da mancato utilizzo parametrabile, come da art.42-bis, sul 5% di interesse annuo dalla scadenza della pubblica utilità originaria alla adozione del nuovo decreto. 
Resterebbe il danno non patrimoniale che, ugualmente, non vedrei ragioni per non riconoscere anche col riavvio del procedimento in sanatoria. 
Difatti, riavviando il procedimento, si avrebbe che la perdita patrimoniale verrebbe soddisfatta col pagamento di una somma di denaro pari al valore venale del bene al momento del decreto finale e quella non patrimoniale e da mancato utilizzo potrebbe riconoscersi ugualmente proprio in virtù del palese effetto di “sanatoria” del riavvio procedimentale. 
3. Conclusioni.  
La decisione del TAR Catanzaro che si è commentata, al di là delle opinioni di condivisione o meno che possa suscitare, offre, di sicuro, lo spunto per una riflessione sul tema delle occupazioni illegittime alle porte del sindacato di legittimità costituzionale dell’art.42-bis che la Consulta dovrà, a breve, affrontare. 
Senza voler essere cattivi profeti (o gufi, come si è detto più sopra), proprio alla luce di soluzioni tipo quella del TAR calabro, riteniamo che nell’eventualità di una abrogazione dell’art.42-bis da parte dei Giudici Costituzionali, vai a vedere che l’unica soluzione possibile per la sanatoria di vecchie occupazioni illegittime sarebbe il riavvio del procedimento espropriativo? 
Del resto, dal punto di vista procedimentale, la partecipazione potrebbe essere, facilmente, assicurata al privato interessato rendendolo destinatario di una semplice comunicazione di avvio; da quello della riaffermazione del pubblico interesse, si avrebbe il rispetto di tale condizione con la deliberazione di riapprovazione, ai soli fini della pubblica utilità, del progetto dell’opera esistente; da quello del ristoro economico, esso potrebbe, comunque, garantirsi in maniera piena, sommando all’indennizzo per l’esproprio attuale (al valore venale) il ristoro per mancato utilizzo e per danno non patrimoniale giustificati, questi ultimi, proprio dalla finalità stessa di sanatoria della nuova procedura. 
La parola fine non è stata ancora scritta sul tema delle occupazioni illegittime e, siamo sicuri, se ne vedranno ancora di belle. 
MARCO MORELLI   
 

 

Pubblicato in: Espropriazioni per P.U. » Commenti

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