Consenso all'uso dei cookie

Tu sei qui

TAR Abruzzo, sez. I, sent. n. 727 del 26.10.2015 - sull'uso pubblico di una strada

Pubblico
Martedì, 3 Novembre, 2015 - 01:00

Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo, (Sezione Prima), sentenza n. 727 del 26 ottobre 2015, sull'uso pubblico di una strada 
 
N. 00727/2015 REG.PROV.COLL.
 
N. 00565/2013 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
 
(Sezione Prima)
 
ha pronunciato la presente
 
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 565 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
S.N.C. Hotel Fabiola di Censori A. & C., rappresentata e difesa dagli avv. Tommaso Navarra, Francesco Camerini, con domicilio eletto presso avv. Francesco Camerini in L'Aquila, Via Garibaldi, 62; 
contro
Comune di Giulianova in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Michele Del Vecchio, con domicilio eletto presso avv. Giulio Agnelli in L'Aquila, Via Cardinale Mazzarino, 76; 
nei confronti di
S.R.L. Hotel Sea Park Resorting; 
per l'annullamento
del provvedimento prot. 23720 del 6.6.2013 con il quale il dirigente dell'area tecnica del comune di Giulianova ha disposto l'annullamento in autotutela del provvedimento tacitamente formatosi sulla SCIA presentata il 3.4.2012 dalla società ricorrente; del successivo atto con il quale non si è ricevuta la SCIA proposta dalla ricorrente; del successivo atto di annullamento della SCIA di seguito presentata.
 
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Giulianova in persona del Sindaco p.t.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2015 la dott.ssa Maria Abbruzzese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
La società ricorrente ha proposto il ricorso che ne occupa, come integrato da motivi aggiunti, contestando gli atti emanati dal Comune di Giulianova intesi ad impedire la recinzione di un’area di proprietà di essa ricorrente, inibendo le iniziative a tal fine intraprese, sul rilievo che l’area in questione sarebbe in proprietà pubblica, gravata da servitù di uso pubblico e comunque non nella libera disponibilità del privato proprietario.
In particolare, con il provvedimento prot. 23720 del 6.6.2013, gravato con il ricorso originario, il Comune di Giulianova disponeva l’annullamento in autotutela del provvedimento tacitamente formatosi sulla SCIA presentata il 3.4.2012 dalla ricorrente, ordinando la rimozione della recinzione realizzata entro il termine di gg. 15, pena l’esecuzione d’ufficio; nonostante il TAR avesse concesso decreto cautelare ante causam, richiesto per sospendere la detta esecuzione coattiva, l’esecuzione in danno avveniva ugualmente (in data 28.6.2013); la ricorrente presentava allora in data 10.2.2014 la SCIA per il ripristino della recinzione, ma l’istanza veniva rifiutata sul rilievo che “l’intervento oggetto della segnalazione ricade su di un’area di uso pubblico (strada) pertanto non può essere acquisita allo sportello unico dell’edilizia, atteso che il suo deposito costituisce titolo all’esecuzione del lavori”; detto atto veniva gravato con motivi aggiunti notificati in data 11.4.2014; il TAR accordava la chiesta misura cautelare dichiarando l’obbligo del Comune di ricevere l’istanza ed istruirla nelle forme di legge; con successivo atto, la SCIA veniva rigettata con atto che veniva anch’esso gravato con ulteriori motivi aggiunti.
La ricorrente spiega, in punto di fatto, di gestire una struttura alberghiera in Giulianova, via Nervi n.12, realizzata in forza di regolari concessioni edilizie e successive varianti a far data dal 1980; di aver richiesto, dopo l’intervenuto rilascio di autorizzazione paesaggistica (n.4/2012), autorizzazione alla realizzazione di una recinzione sulla particella n.678 di sua proprietà, trattandosi di intervento rientrante tra quelli previsti dall’art. 22 comma terzo DPR 380/2001; il Comune dapprima ordinava la sospensione dei lavori (peraltro completati all’epoca) e poi disponeva l’annullamento della SCIA e la rimozione della recinzione.
Deduce in diritto: avverso l’originario atto di annullamento della SCIA del 6.6.2013: 1) eccesso di potere per assenza assoluta dei presupposti: la circostanza che l’area sulla quale insisteva la recinzione avrebbe dovuto formare oggetto di cessione gratuita al Comune al momento della realizzazione della struttura alberghiera della ricorrente (previsione contenuta nel piano particolareggiato relativo alla sottozona urbanistica E4 turistico-alberghiera adottato dall’ente locale con la delibera consiliare n.243 del 30.9.1075 ed approvato dalla G.R.A. con delibera n.5224 del 29.9.1977) non esclude che l’area de qua (particella n.978 del foglio di mappa n.1 di mq. 1310) sia tuttora nella piena disponibilità della ricorrente, come veniva peraltro attestato nello stesso provvedimento impugnato (non essendo stata formalizzata la cessione); dunque viene meno l’assunto sul quale si basa l’operato del Comune e cioè la natura “pubblica” dell’area de qua; nessun titolo avrebbe il Comune, peraltro, a pretendere la cessione, in ragione della prescrizione del relativo diritto con riguardo alla data di rilascio della concessione edilizia; 2) Violazione e falsa applicazione art. 61 del vigente Regolamento edilizio del Comune di Giulianova: non rileva che il vigente PRG abbia destinato l’area sulla quale insiste la recinzione a viabilità pubblica, atteso che, in difetto del’attivazione del procedimento espropriativo, l’area rimane comunque nella disponibilità del proprietario; l’art. 1 del Regolamento edilizio del Comune prevede la possibilità di delimitare le aree, pubbliche e private, con recinzioni; in caso di sottoposizione a vincoli urbanistici, le recinzioni invece possono essere realizzate con carattere di provvisorietà e rimovibilità (tipo a rete metallica sorretta da paletti infissi direttamente nel terreno), che è esattamente quanto richiesto e realizzato dalla ricorrente; 3) Violazione e falsa applicazione degli articoli 35 e 22 DPR 380/2001: è illegittimo il termine di 15 giorni assegnato l’esecuzione della rimozione, non vertendosi in tema di abuso commesso su area pubblica; posto inoltre che il provvedimento di autotutela ha annullato un provvedimento autorizzatorio ottenuto per l’assegnazione del termine dal deposito della SCIA, l’ordine avrebbe dovuto assegnare comunque il termine di giorni 90, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001; avverso l’atto di “rifiuto “ della SCIA: 4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 della legge 7.8.1990, n.241 e s.m.i.: non è normativamente previsto che la PA possa rifiutare la ricezione della SCIA, ma solo che, entro 60 giorni dal “ricevimento“ della segnalazione, la PA possa adottare motivati provvedimenti di diniego di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti dannosi, ferma l’adozione di provvedimento di autotutela; la SCIA deve quindi essere “ricevuta” perché la PA possa poi eventualmente denegarla: 5) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo dell’art. 19 della legge 7.8.1990, n.241 e s.m.i. – Eccesso di potere per assenza assoluta e falsità dei presupposti – Sviamento: è illegittimo il diniego di prosecuzione dell’attività, ove implicitamente contenuto nel rifiuto di ricezione, come già espresso nel ricorso introduttivo; non è comunque vero che l’area sia destinata ad uso pubblico; 6) Violazione e falsa applicazione dell’art. 61 del vigente Regolamento edilizio del Comune di Giulianova: le disposizioni in questione prevedono la possibilità di recintare tutte le aree pubbliche e private; avverso il successivo atto di annullamento della SCIA: 7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 della legge 7.8.1990, n.241 e s.m.i. – Eccesso di potere per difetto di istruttoria, falsità dei presupposti, falsità della causa – Sviamento: l’annullamento della SCIA è avvenuto senza alcuna attività istruttoria, come desumibile dalla data stessa del provvedimento che è la stessa della presentazione della SCIA; le ragioni addotte con l’ultimo provvedimento sono diverse da quelle a base dei precedenti dinieghi e non desunte da alcuna istruttoria; non esiste alcun diritto pubblico di passaggio da tempo immemore in mano all’Amministrazione pubblica; d’altra parte la delibera consiliare n.55 del 5.8.2013 (con la quale, in variante allo strumento urbanistico, il Comune di Giulianova ha introdotto l’obbligo di cessione per le aree della ex sottozona P4, ora E9, dimostra che l’area non è affatto di proprietà pubblica; l’area è sempre stata nel possesso della ricorrente; non si comprende come l’Ente possa sostenere la trasformazione dell’area in pubblica via e la sua messa a disposizione dell’uso pubblico; 8) Violazione e falsa applicazione dell’art. 61 del vigente Regolamento Edilizio del Comune di Giulianova: il provvedimento è illegittimo in quanto in violazione della disposizione epigrafata.
Si costituiva il Comune di Giulianova, richiamando i presupposti in fatto e in diritto a preteso sostegno dei provvedimenti impugnati; ribadiva che l’area de qua (in particolare, compresa tra la via Arenzano e il Lungomare Zara; particella n.978 del foglio di mappa n.1) da tempo immemore era destinata a pubblico passaggio da parte di una pluralità indistinta di persona, e dunque sottoposta ad uso pubblico; si sarebbe dunque costituita una servitù pubblica di passaggio per uso da tempo immemorabile ovvero per dicatio ad patriam; pienamente giustificato sarebbe allora l’operato del Comune che ha inteso inibire le iniziative intraprese dalla ricorrente agendo in forza di autotutela possessoria su un bene gravato da uso pubblico; concludeva per il rigetto del ricorso, dei motivi aggiunti e delle istanza cautelari proposte.
Il TAR adito accoglieva le proposte istanze cautelari.
Le parti depositavano memorie e documentazione.
All’esito della pubblica udienza del 7 ottobre 2015, il Collegio riservava la decisione in camera di consiglio.
DIRITTO
I. La controversia all’esame oppone la ricorrente al Comune di Giulianova che, mediante i provvedimenti impugnati, ha inteso contrastare il diritto (preteso) della ricorrente alla recinzione di un fondo che essa ricorrente assume di sua proprietà e libero da pesi, oneri e/o servitù di sorta.
I.1) Al contrario, il Comune di Giulianova sostiene che la ricorrente non avrebbe affatto il diritto di disporre liberamente del proprio fondo (al fine di recintarlo) perché detto fondo, oggetto di obbligo di cessione al Comune in forza di risalente convenzione urbanistica, sarebbe comunque entrato nella disponibilità di esso Comune o comunque asservito all’uso pubblico.
II. Mette conto, anzitutto, osservare, in linea generale, che il titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che consentirebbe all’Amministrazione comunale l’esercizio dell’autotutela possessoria e comunque l’inibitoria di iniziative edilizie intraprese dal privato, può identificarsi non solo nella presenza di validi titoli pubblici e privati (es. convenzioni tra PA e privati) ma anche nell’acquisto per usucapione per decorso del termine ventennale ovvero nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile, titoli che, tuttavia, devono essere rigorosamente dimostrati (cfr., ex pluris, TAR Puglia, Lecce, n.1892/2011).
II.1) Va immediatamente chiarito che, se è vero che il fondo in questione era ricompreso tra quelli che i danti causa dell’odierna ricorrente si erano impegnati a cedere al Comune in occasione dell’edificazione risalente ai primi anni ’80, obbligo ribadito con nota 10.4.1995 di Censori Alberto (all. n.10 della produzione di parte resistente), come la stessa ricorrente non contesta, è certo che tale cessione non si è giammai perfezionata, non avendo il Comune dimostrato l’esistenza di alcun atto da quale poter desumere l’intervenuto trasferimento della proprietà.
Circostanza della quale il Comune è perfettamente consapevole per averla attestata anche nel provvedimento di annullamento della prima SCIA in data 6.6.013, dove il funzionario ing. Mastropietro riferiva che “la particella 978 del foglio di mappa n.1 di mq 1310 individua l’area oggetto di cessione prevista dal piano particolareggiato che alla data odierna non risulta effettuata ed è pertanto in capo alla Hotel Fabiola di Censori A.& C. s.n.c.”.
Né, giova aggiungere, esiste alcun atto pubblico, inteso come prova documentale, dal quale desumere l’intervenuta imposizione di servitù di sorta in favore del Comune o della collettività.
Invero, la stessa nota di Censori Alberto del 1995, richiamata dal Comune a sostegno delle proprie tesi, non fa altro che ribadire il persistente convincimento del Censori in ordine al suo obbligo di cedere l’area al Comune; il che per converso dimostra che, a tale epoca (1995) tale cessione non si era affatto perfezionata e che il diritto del Censori rimaneva integro e intonso.
Ne consegue, pertanto, che il Comune non avrebbe potuto, solo sulla base del mero (inadempiuto) obbligo di cessione, inibire la recinzione del fondo privato, con palese illegittimità del primo provvedimento impugnato che, annullando la SCIA depositata dalla ricorrente e volta alla recinzione, è motivata unicamente sulla base di tale presupposto fattuale, inidoneo, per quanto detto, all’esercizio di poteri inibitori e/o sanzionatori.
II.2) I successivi atti (e lo stesso seguito della presente controversia) hanno invece traslato l’asse argomentativo sul fatto che il Comune potrebbe comunque impedire la recinzione in quanto il tratto di “strada” de quo sarebbe gravato di servitù di uso pubblico (di passaggio).
La limitazione del diritto della ricorrente dovrebbe allora essere ricavata da altri fatti (dicatio ad patriam, usucapione, o simili) che, sulla base del principio già sopra richiamato, tuttavia dovrebbero essere rigorosamente provati dalla parte che ne afferma l’esistenza.
Osserva il Collegio che, ove fosse comprovata l’esistenza (che il TAR deve esaminare in via incidentale) di una servitù pubblica di passaggio e, dunque, l’uso pubblico del tratto di “strada”, ben potrebbe il Comune inibire la chiesta recinzione; e tuttavia, va ribadito, il presupposto dell’esercizio di tale potere deve essere rigorosamente provato da parte dell’Amministrazione.
Ritiene il Collegio che il Comune non abbia, tuttavia, fornito tale prova con il rigore che la fattispecie richiede.
II.3) Va evidenziato, preliminarmente, che il Comune non individua un preciso titolo di acquisto (della servitù), ma lo fonda, alternativamente, ma contraddittoriamente, sull’uso ab immemorabili (ovvero sull’usucapione ultraventennale), cioè su un presupposto collegato al passare del tempo e dunque a formazione non immediata, ovvero su un fatto costitutivo istantaneo, quale sarebbe la dicatio ad patriam effettuata dai danti causa dell’odierna ricorrente.
Invero, i due titoli sono entrambi, dalla difesa del Comune, posti a base del potere esercitato e la stessa sovrabbondanza delle pertinenti deduzioni difensive è indicativa dell’oggettiva incertezza dei fatti addotti.
II.4) Deve pure ribadirsi che della questione, che evidentemente involge l’esistenza e la consistenza di diritti soggettivi, il Collegio deve (solo) incidentalmente occuparsi, e ovviamente nei limiti propri del giudizio incidentale, giacché la legittimità degli atti impugnati, per quanto sopra detto, potrebbe predicarsi solo ove effettivamente potesse negarsi il diritto del proprietario di disporre liberamente del suo bene, in quanto gravato da servitù di uso pubblico.
II.5) Va dunque rimarcato che, come ha chiarito la giurisprudenza in materia, affinché possa ammettersi l’esistenza di una servitù pubblica di passaggio non è affatto determinante il nomen juris e neppure l’inclusione negli elenchi comunali delle strade pubbliche (che tuttavia, giova osservare, mancano del tutto), quanto piuttosto a) il passaggio esercitato iure servitutis pubblica da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale; b) la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di interesse generale; c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico.
II.6) Orbene, quanto al primo presupposto richiesto (passaggio indifferenziato di utenti), ritiene il Collegio che il Comune non ne abbia fornito prova adeguata, limitandosi a depositare in atti quattro dichiarazioni testimoniali di cittadini di Giulianova residenti in zona o comunque collegati ad essa (le dichiarazioni sono state acquisite tutte nell’area de qua; cfr. Hotel “Seapark” in via Arenzano, Pensione Tre Scalini in via Nervi, Agenzia Immobiliare Valentini in via Nervi, abitazione di Luciani Franco in via Mantova) e dunque soggetti qualificati rispetto al bene gravato in forza della vicinitas, che è del tutto ovvio che ne abbiano potuto fruire, uti singuli, proprio in ragione della mancata recinzione.
Al contrario non via è prova dell’uso del tratto stradale in favore di una “collettività indeterminata di cittadini portatori di un interesse generale”, come richiesto ove si controverta, come nel caso, dell’esistenza di una servitù di uso pubblico.
II.7) Conseguentemente neppure può predicarsi la pacifica ricorrenza della protrazione ultraventennale dell’uso, da parte della detta collettività indistinta di utenti, che rappresenta, per quanto sopra detto, un altro dei requisiti si cui fondare l’esistenza di una servitù di uso pubblico; anche in tal caso, non è sufficiente che risultino provate singole utilizzazioni che si risolvono in sporadici episodi per mera tolleranza del legittimo proprietario.
II.8) Men che meno può sostenersi la tesi dell’immemorabile uso pubblico, inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto di uso pubblico sulla strada, atteso che le medesime dichiarazioni versate in atti risalgono non già ad epoca imprecisata, ma, al più, agli anni ’80, che pacificamente hanno segnato la trasformazione dei luoghi con la realizzazione delle strutture ricettive.
Come già sopra esposto, invero, il piano particolareggiato della sottozona E del prg 1 del 19790, in particolare, prevedeva la cessione di aree al Comune, in effetti giammai intervenuta.
Peraltro, ancora nel 1995, come si è già sopra ricordato, Censori Alberto riconosceva il suo persistente obbligo a cedere l’area; il che implicitamente significa che se ne riconosce ancora pieno proprietario; senza contestazione alcuna, sul punto, all’epoca, da parte dell’Amministrazione comunale.
E, giova aggiungere, solo con la delibera consiliare n.55 del 2013 (in atti), il Comune ha adottato una variante specifica al vigente PRG relativa alle aree della ex sottozona P4, ora comprese nella zona E5, finalizzata ad ottenere (finalmente), mediante la reintroduzione dell’obbligo di cessione, l’acquisizione delle aree private che avrebbero dovuto essere cedute all’Amministrazione in occasione delle originarie edificazioni, normando l’area con destinazione a strada, prima non affatto regolata in detti termini.
II.9) Dal che è agevole far conseguire che non solo manca un valido titolo pubblico o privato per l’acquisto della servitù, ma difetta altresì il presupposto principale dell’usucapione (o dell’uso ab immemorabili), ossia il possesso pacifico protratto per un congruo periodo di tempo e, ancor più a monte, l’animus possidendi, da intendersi quest’ultimo quale intenzione di riservare a sé il bene.
Che è quanto già affermato dal Consiglio di Stato il quale ha statuito che perché un’area privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio “è necessario, oltre all’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Ne consegue che deve escludersi l’uso pubblico quanto il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione (Cass. Civ, I, 23 maggio 1995, n.5637) (cfr. Cons. di Stato, sez.V, n.728/2012).
II.10) Nessun elemento presuntivo, in termini di gravità, precisione e concordanza dei convergenti indici fattuali, ha peraltro addotto il Comune a sostegno della interversione possessoria e del preteso mutamento dell’uso (da privato a pubblico), non allegando (e non dimostrando), ad esempio, l’inserimento della strada nella toponomastica comunale e l’apposizione della numerazione civica ai fabbricati aventi accesso dalla strada di cui trattasi, la presenza di opere di urbanizzazione (servizi di acquedotto, fognatura o illuminazione) o lo svolgimento di servizi comunali di spazzatura e raccolta rifiuti, l’assunzione a carico dell’amministrazione comunale dei lavori di manutenzione.
Al contrario, e significativamente per quanto rileva, la “strada” de qua è sempre stata “non asfaltata” come riferisce il dichiarante Valentini Stefano (cfr. doc. n.7 della produzione di parte resistente), e come peraltro risulta anche dalla documentazione fotografica versata in atti, il che, per un verso, rende difficile la definizione della strada come “carrabile” asservita ad uso pubblico e, per altro, comprova che il Comune, benché si dichiari titolare di posizione attiva di servitù, non si è mai concretamente interessato della “strada”; in effetti solo nel 2015 (ossia in corso di causa), il Comune ha potuto documentare lavori di manutenzione (taglio di rami e sfogliatura) sul tratto in questione (cfr. produzione di parte resistente in data 28 luglio 2015, docc. nn.2 e 3) .
II.11) Ancora più complesso è sostenere la tesi della “dicatio ad patriam”, per cui i danti causa della ricorrente, Censori Alberto e Testardi Ada, secondo la prospettazione difensiva di parte ricorrente, avrebbero voluto in maniera inequivocabile destinare l’area all’uso pubblico, manifestando tale volontà in occasione del frazionamento del terreno presentato al Comune di Giulianova in data 4.7.1981 (doc. 11 del fascicolo di parte resistente); in tal modo, secondo la difesa comunale, “la proprietà dell’Hotel Fabiola avrebbe ceduto gratuitamente l’area in questione alla collettività, come espressamente scritto nell’oggetto dell’atto; e tale volontà di destinazione, “a finalità perpetue di uso pubblico”, sarebbe stata ribadita con la già richiamata dichiarazione del 13.4.1995, prot. n.14724 ove Censori Alberto “riconosce la sussistenza e la permanenza della cessione gratuita”, e messo l’area a disposizione della collettività.
In realtà, il frazionamento, come ha spiegato la ricorrente, era finalizzato a distinguere il sedime del fabbricato dall’area circostante e non può affatto, per le limitate finalità descritte, individuare l’atto di “dicatio ad patriam” preteso dal Comune.
La stessa dichiarazione del 1995, già sopra esaminata, nel ribadire la persistenza dell’obbligo, che non era stato ancora adempiuto, segnando anche temporalmente la convinzione del proprietario di poter liberamente disporre del bene a quella data, esclude, in maniera ancor più convincente, che si possa configurare una pregressa “dicatio ad patriam” nella mancata utilizzazione dell’area de qua successivamente all’edificazione della struttura alberghiera.
II.12) Ma se manca un titolo che legittimi l’uso del bene da parte del Comune o della collettività e così limiti il diritto del privato, è del tutto ingiustificata la opposizione del Comune all’uso del bene da parte del privato ai fini della sua recinzione.
III. Le considerazioni che precedono consentono di accogliere il ricorso all’esame, come integrato dai motivi aggiunti, in ragione dell’assorbente e sostanziale motivo, comune a tutti gli atti impugnati, che non risulta adeguatamente comprovata la tesi sostenuta dal Comune (natura pubblica dell’area ovvero insistenza di servitù d’uso pubblico) e potenzialmente idonea a sorreggere l’opposizione all’iniziativa intrapresa dal privato volta a recintare l’area tuttora in piena proprietà privata.
Gli atti impugnati devono, pertanto, essere annullati.
IV. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nell’importo in dispositivo fissato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo – L’AQUILA,
definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati.
Condanna il Comune di Giulianova al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi euro 3.000, 00 (tremila), oltre accessori di legge e rifusione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Bruno Mollica,Presidente
Maria Abbruzzese,Consigliere, Estensore
Lucia Gizzi,Referendario
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/10/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Registrati

Registrati per accedere Gratuitamente ai contenuti riservati del portale (Massime e Commenti) e ricevere, via email, le novità in tema di Diritto delle Pubbliche Amministrazioni.

Contenuto bloccato! Poiché non avete dato il consenso alla cookie policy (nel banner a fondo pagina), questo contenuto è stato bloccato. Potete visualizzare i contenuti bloccati solo dando il consenso all'utilizzo di cookie di terze parti nel suddetto banner.