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Opere di urbanizzazione: beni del patrimonio indisponibile

Privato
Mercoledì, 20 Dicembre, 2023 - 22:30

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n.10970 del 18 dicembre 2023, opere di urbanizzazione quali beni del patrimonio indisponibile

MASSIMA

Con la pronuncia dell’Adunanza plenaria, 29 novembre 2021 n. 19, si è recentemente ribadita l’inammissibilità “dell’eccezione di difetto di giurisdizione proposta in appello dal ricorrente soccombente in primo grado”, dandosi conto delle numerose sentenze con cui questo principio è stato ribadito nel tempo dal Giudice amministrativo (si citano qui soltanto Cons. Stato, Ad. plen., ord. 28 luglio 2017, n. 4; e giurisprudenza costante da sez. II,18 giugno 2021, n. 4740 a sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 703).

I “beni del patrimonio indisponibile” costituiscono una categoria che annovera beni il cui peculiare regime giuridico è correlato alla qualità intrinseca della cosa, che la legge ritiene idonea a soddisfare le esigenze pubbliche, indipendentemente dalla destinazione del bene, (“beni indisponibili per natura” o “beni quasi demaniali”), e beni che invece vedono l’applicazione del medesimo regime giuridico solo in ragione di un atto o di un fatto della pubblica amministrazione che assegni un bene ad un servizio pubblico e che partecipano del regime pubblicistico solo fino a quando duri tale destinazione (“beni indisponibili per virtù di destinazione” o “beni funzionali”).

Con il sintagma “opere di urbanizzazione” si indica l’insieme delle opere ed impianti necessari a rendere una porzione di territorio idonea ad essere effettivamente utilizzata con le destinazioni stabilite dagli strumenti urbanistici vigenti.

In ragione di quanto disposto dall’art. 16, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, le “opere realizzate” a “scomputo totale o parziale della quota dovuta” a titolo di oneri di urbanizzazione sono acquisite al patrimonio indisponibile del comune. In base all’art. 16, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 i beni che costituiscono “opere di urbanizzazione” presentano, ex lege, natura di beni del patrimonio indisponibile.

Per procedere all’interpretazione della clausola andranno applicati i criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., i quali, oltre che per l’interpretazione dei contratti, degli atti unilaterali (in quanto compatibili, ai sensi dell’art. 1324 cod. civ.), dei provvedimenti amministrativi (nei limiti della compatibilità), devono applicarsi anche agli accordi di cui all’art. 11 della L. n. 241 del 1990, in ragione del richiamo, da parte del comma secondo della suddetta disposizione, ai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti per quanto compatibili” (Cons. Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2019, n. 1150; Sez. IV, 3 dicembre 2015 n. 5510; Sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2997; Sez., IV, 17 dicembre 2014, n. 6164; Sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4812).

Costituisce jus receptum, il principio secondo cui costituisce elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria la presenza di un provvedimento illegittimo causa di un danno ingiusto (da ultimo, Cons. Stato, sez. VII, 27 marzo 2023, n. 3094).

SENTENZA

N. 10970/2023REG.PROV.COLL.

N. 08334/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8334 del 2021, proposto dalla società OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Moffa, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;

contro

il Comune di Monserrato, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Irene Madeddu, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna (Sezione Prima) n. 613 del 23 agosto 2021, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Monserrato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 settembre 2023 il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Consiglio di Stato l’appello proposto dalla OMISSIS avverso la sentenza del T.a.r. per la Sardegna n. 613 del 23 agosto 2021, che ha respinto il ricorso proposto dalla suddetta società.

2. Risulta controversa la legittimità della “determinazione n. 908 del 10 novembre 2020” del responsabile del SUAPE del Comune di Monserrato avente ad oggetto “Dichiarazione di scadenza della concessione d'uso dell'immobile, di proprietà del Comune di Monserrato, sito in via Argentina, 92, pdz 167 – Riu saliu, conv. rep. 82033 del 05.07.2020. Diffida ad adempiere al rilascio e alla riconsegna dell’immobile”, nonché la domanda di risarcimento del danno domandato dalla società nei confronti del Comune di Monserrato.

3. Si riassumono i fatti rilevanti del giudizio.

3.1. Con il decreto n. 395/U del 9 maggio 1979 e n. 577/U del 20 giugno 1979 del Comune di Cagliari veniva approvato il Piano di Zona (in seguito: P.d.Z.) “Riu Saliu” – Monserrato.

3.1.1. La OMISSIS ha presentato l’istanza diretta ad ottenere la concessione del diritto di superficie su un’area compresa nel piano, per la realizzazione di 210 alloggi.

3.1.2. L’istanza è stata accolta e, il 16 dicembre 1987, è stata stipulata la convenzione per la concessione del diritto di superficie, sull’area compresa in piano per l’edilizia economica popolare.

3.1.3. Il corrispettivo della concessione del diritto di superficie è stato fissato nella misura pari al costo di acquisizione dell’area, da espropriare ai privati, oltre al costo degli oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria).

3.1.4. Le parti hanno stabilito, altresì, che, in luogo del pagamento degli oneri di urbanizzazione dovuti e in sostituzione dell’esecuzione diretta delle relative opere, la OMISSIS a r.l. si obbligava a realizzare, in area vincolata a servizi pubblici dal P.d.Z. Riu Saliu, “le opere di urbanizzazione di cui al progetto approvato dalla Commissione edilizia in data 19.11.1987, sino alla concorrenza della somma di lire 998.900.349”.

3.2. Nel tempo, fra il Comune e la cooperativa sono state stipulate altre convenzioni.

3.2.1. Con la concessione edilizia n. 103/7 dell’11 gennaio 1989 prot. n. 434, a cui hanno fatto seguito alcuni provvedimenti di variante, è stata assentita la realizzazione del Centro servizi, previsto tra le opere di urbanizzazione secondarie.

3.2.2. Poiché il costo di ultimazione di questo edificio è risultato superiore alla somma stimata e dovuta per gli oneri di urbanizzazione da parte della cooperativa, quest’ultima ha manifestato la disponibilità al completamento dell’opera a sue spese, domandando la concessione in uso del bene per un arco temporale sufficiente a “rientrare” economicamente dell’investimento, poi fissato in venticinque anni.

3.2.3. Con le delibere di Giunta comunale n. 1231 del 9 marzo 1990 e n. 2045 del 12 aprile 1990 il Comune di Cagliari e la OMISSIS a r.l. stipulavano la Convenzione per la concessione d’uso dell’erigendo Centro commerciale “Riu Saliu” nel P.d.Z. 167 di “Riu Saliu” in Monserrato.

3.3. Con la nota prot. 11024 del 20 ottobre 1995, la cooperativa ha comunicato di aver completato i lavori di realizzazione del centro servizi in data 10 ottobre 1995.

3.4. Medio tempore, il quartiere di Monserrato è divenuto un Comune autonomo ed è subentrato nei rapporti di cui, precedentemente, era titolare il comune di Cagliari.

3.5. Con la delibera di giunta n. 110 del 30 settembre 2020, il Comune ha deliberato di “Dichiarare la scadenza della Convenzione per la concessione d’uso dell’erigendo centro servizi “Riu Saliu” nel P.d.Z. 167 di “Riu Saliu” in Monserrato; b) Avviare conseguentemente, nei modi e nelle forme degli artt. 7 e ss L. n. 241/1990, il procedimento finalizzato alla declaratoria di scadenza della concessione nei confronti della OMISSIS a r.l. e al conseguente rilascio della struttura con contestuale accertamento dello stato manutentivo della stessa; c) Riacquisire, se del caso con gli strumenti di cui all’art. 823 C.C. e seguenti, la disponibilità della struttura di proprietà comunale, mediante ordine di rilascio; d) Demandare gli adempimenti necessari e conseguenti al fine di dare esecuzione al predetto atto di indirizzo, all’Ing. OMISSIS, Responsabile del III Settore Urbanistica, Edilizia Privata, Attività Produttive, SUAPE, conferendogli tutti i poteri necessari al fine di porre in essere gli atti, anche di autotutela esecutiva, nessuno escluso, finalizzati al rientro in possesso dell’immobile in uso alla OMISSIS, in virtù della Convenzione per la concessione d’uso, atto del 5.7.1990 rep. 82033, nonché attivare eventuali azioni risarcitorie per l’eventualità in cui il bene dovesse presentare vizi manutentivi, nonché azioni restitutorie in riferimento a canoni indebitamente percepiti dalla OMISSIS nei periodi successivi alla scadenza della concessione, nonché ulteriori canoni percepiti rispetto all’importo di € 253.815,00 (£ 507.630.000) che la OMISSIS avrebbe dovuto reintroitare dalla locazione dei locali del centro servizi”.

3.5.1. Con la comunicazione del 13 ottobre 2020, il Comune ha comunicato l’avvio del procedimento per l’accertamento della scadenza del termine e per la riconsegna dell’immobile.

3.5.2. La cooperativa ha preso parte al relativo procedimento, contestando la pretesa del Comune.

3.6. Con la determina del responsabile del servizio n. 908 del 10 novembre 2020, il Comune di Monserrato ha determinato di dichiarare scaduta la concessione d’uso e ha ordinato il rilascio dell’immobile, dando attuazione alla delibera di giunta comunale n. 110 del 30 settembre 2020.

4. Con il ricorso notificato il 19 novembre 2020, la cooperativa ha impugnato la determina n. 908 del 10 novembre 2020, innanzi al T.a.r. per la Sardegna.

Nelle sue conclusioni, la cooperativa ha domandato “in via pregiudiziale e preliminare, accertare se sussiste la giurisdizione e/o competenza a conoscere e a dirimere la controversia in relazione alla scadenza della concessione dell'immobile di cui alla Convenzione rep. 82033 del 05.07.1990, nonché ogni controversia relativa all’esecuzione e interpretazione della Convenzione rep. 82033 del 05.07.1990. Nel merito e in via principale accogliere il ricorso e per l'effetto annullare, previa la sospensione e concessione di idonee misure cautelari, il provvedimento indicato in epigrafe”.

4.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Monserrato, eccependo, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione della delibera di giunta comunale n. 110/2020, e resistendo, nel merito, al ricorso.

5. Con la sentenza n. 613/2021, il T.a.r., accantonato l’esame dell’eccezione pregiudiziale, ha respinto il ricorso e compensato le spese di lite.

6. La sentenza è stata impugnata dalla cooperativa, che ha formulato tre motivi di appello.

6.1. Si è costituito in appello il Comune di Monserrato, il quale, con la memoria del 22 ottobre 2021, ha riproposto l’eccezione di inammissibilità non esaminata dal T.a.r. e ha formulato l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancata specificità dei motivi di impugnazione ai sensi dell’art. 101 c.p.a. e, in particolare, della domanda risarcitoria, non essendo stato impugnato il capo della sentenza che l’ha respinta in primo grado né essendo stati allegati i presupposti della domanda.

Inoltre, a pagina 32, ha eccepito l’inammissibilità dei nuovi documenti prodotti in giudizio.

Nella medesima memoria, il Comune ha preso posizione, nel merito, sui motivi di appello, contestandone la fondatezza.

6.2. Il 21 novembre 2021, il Comune ha depositato una memoria difensiva riepilogativa delle difese per la camera di consiglio fissata per la decisione dell’istanza di sospensiva.

6.3. Con la memoria del 22 novembre 2021, la cooperativa ha depositato una sintetica memoria in vista della camera di consiglio fissata per la decisione dell’istanza di sospensiva.

6.4. Alla camera di consiglio del 25 novembre 2021, questo Consiglio ha accolto l’istanza cautelare.

6.5. Il 14 luglio 2023, la società ha depositato un nuovo documento.

6.6. Il 20 luglio 2023 il Comune ha depositato la memoria ex art. 73 c.p.a. per l’udienza di discussione.

6.7. Il 27 luglio 2023, l’appellante ha depositato la sua memoria difensiva.

6.8. Il 5 settembre 2023, il Comune ha depositato le repliche, formulando l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del documento depositato il 14 luglio 2023 e della memoria depositata il 27 luglio 2023, in quanto “i termini per il deposito dei documenti e delle memorie ex art. 73 c.p.a. scadevano, rispettivamente, il 12 ed il 21 luglio 2023” in ragione del “decreto del Ministro della Giustizia in data 17.11.2022, [con il quale] è stato fissato il periodo feriale per l’anno 2023, dal 26 luglio al 31 agosto 2023”.

6.9. Il 6 settembre 2023, la società ha depositato le sue repliche.

7. All’udienza del 28 settembre 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

8. In applicazione del criterio della ragione più liquida, il Collegio ritiene che non sia necessario procedere alla disamina dell’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per mancata impugnazione della delibera della giunta comunale del Comune di Monserrato n. 110/2020 (riproposta in appello), nonché dell’eccezione di inammissibilità del deposito dei documenti prodotti da parte della società appellante nel corso del processo innanzi a questo Consiglio e della memoria dell’appellante del 27 luglio 2023, formulate dal Comune appellato, bensì che si possano esaminare direttamente i motivi di impugnazione, essendone palese la loro infondatezza (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015, § 5.3.).

9. Con il primo motivo di appello, si formulano due censure avverso la sentenza di primo grado.

Con la prima censura (estesa da pagina 12 a pagina 15), la società impugna il capo della sentenza che ha respinto “l’eccezione di difetto di giurisdizione” che la ricorrente deduce di aver “sollevato” innanzi al T.a.r., con il primo ricorso introduttivo del giudizio.

Secondo l’appellante, sarebbe errata l’affermazione del T.a.r. secondo cui la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio sarebbe incompatibile con “la volontà di avvalersi del predetto compromesso”, in quanto:

i) “la determinazione comunale impugnata n° 908 del 10/11/2020 conteneva l’obbligatorio avviso, di cui al comma 4 dell’art. 3 della L. 241/1990, relativo alla possibilità di impugnare nanti il TAR il dedotto provvedimento amministrativo”;

ii) “tale atto amministrativo conteneva l’ordine di consegna dell’immobile, correttamente la cooperativa ha sollevato l’eccezione di giurisdizione nanti l’organo indicato dall’amministrazione comunale per contestare tale provvedimento”

iii) “il Giudice non potrà mai considerare un’eccezione di giurisdizione come adesione implicita od esplicita all’Organo Giudicante davanti a cui è sollevata”.

Con la seconda censura (estesa da pagina 15 a pagina 18), la società ha impugnato il medesimo capo della sentenza, nella parte in cui ha affermato la sussistenza della giurisdizione del G.A. ai sensi dell’art. 133, comma 1, n. 2 c.p.a., rilevando che, trattandosi di controversia avente ad oggetto la scadenza della concessione dell’immobile e la consegna dell’immobile (e, dunque, profili attinenti a diritti soggettivi), la clausola compromissoria sarebbe valida ai sensi dell’art. 9 c.p.a. e, quindi, “la sentenza è erronea allorquando attribuisce all’amministrazione comunale di indicare il giudice amministrativo come giudice competente in via esclusiva a conoscere della controversia”.

9.1. Le censure articolate con il primo motivo di appello possono essere esaminate congiuntamente, in quanto, riguardando ambedue l’insussistenza della giurisdizione amministrativa, ne è evidente la loro connessione.

9.2. L’odierna appellante deduce, in sintesi, l’ammissibilità della censura, già articolata innanzi al T.a.r., con la quale sostiene il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo da essa adito in luogo di avvalersi della clausola compromissoria che avrebbe comportato il deferimento ad arbitri dell’odierna controversia.

Le doglianze d’appello pongono, dunque, la questione se la parte che abbia incardinato la causa presso un plesso giurisdizionale (nella specie, dinanzi al Giudice amministrativo), possa poi contestare la competenza giurisdizionale di quel Giudice.

9.3. Relativamente al motivo di appello in esame, va ricordato che l’orientamento della Corte di Cassazione più risalente nel tempo, affermava che la questione di giurisdizione poteva essere proposta anche dalla stessa parte che, adito un giudice, ne contestava successivamente la giurisdizione in base all’interesse derivante dalla soccombenza nel merito o da chi aveva assunto sulla giurisdizione un’opposta determinazione rispetto a quella poi fatta valere con il gravame (Cass. civ., Sez. unite, 27 luglio 2011, n. 16391; Sez. unite, 20 gennaio 2014, n. 1006; Sez. unite, 20 maggio 2014, n. 11022; Sez. unite, 19 giugno 2014 n. 13940);

9.3.1. Questo orientamento è stato successivamente rimeditato dalla Corte di Cassazione, che ha affermato che “Di fronte ad una sentenza di rigetto della domanda non è ravvisabile una soccombenza dell'attore anche sulla questione di giurisdizione: rispetto al "capo" relativo alla giurisdizione egli va considerato a tutti gli effetti vincitore, avendo il giudice riconosciuto la sussistenza del proprio dovere di decidere il merito della causa, così come implicitamente o esplicitamente sostenuto dallo stesso attore, che a quel giudice si è rivolto, con l'atto introduttivo della controversia, per chiedere una risposta al suo bisogno individuale di tutela.

L'attore non è pertanto legittimato a contestare il capo sulla giurisdizione e a sostenere che la potestas iudicandi spetta ad un giudice diverso, appartenente ad un altro plesso giurisdizionale: relativamente ad una tale pronuncia a contenuto processuale di segno positivo, non è configurabile, per l'attore, soccombenza, che del potere di impugnativa rappresenta l'antecedente necessario; la soccombenza nel merito non può essere trasferita sul (e utilizzata per censurare il) diverso capo costituito dalla definizione endoprocessuale della questione di giurisdizione, trattandosi di aspetto non destinato, per sua natura, a differenza di ciò che avviene con riguardo ad altre questioni pregiudiziali di rito, a condizionare l'efficacia e l'utilità stessa della decisione adottata. Rispetto al capo sulla giurisdizione che accompagna la statuizione di rigetto nel merito della domanda è configurabile esclusivamente la soccombenza del convenuto, sempre che a sua volta non abbia chiesto al giudice di dichiararsi munito di giurisdizione.” (Cass. civ., Sez. unite, sent., 20 ottobre 2016, n. 21260, §. 10.4.).

La Corte regolatrice della giurisdizione ha perciò affermato il seguente principio di diritto: “L'attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato a interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto” (Cass. civ., Sez. unite, n. 21260 del 2016, §. 12).

9.3.2. Successivamente a questo “revirement”, la Corte di Cassazione ha consolidato e ribadito il principio di diritto su enunciato in ulteriori pronunce (Cass. civ., Sez. unite, 20 ottobre 2016, n. 21260; seguita poi dalle sentenze 19 gennaio 2017, n. 1907; 25 maggio 2018, n. 13192; 24 settembre 2018, n. 22439 e, da ultimo, Cass. civ., Sez. unite, 12 aprile 2022 n. 21836, §. 2.1., secondo cui “l'attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui stesso prescelto, in quanto non soccombente su tale, autonomo, capo della decisione;”.).

9.4. Sulla medesima questione, dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, si è consolidato innanzi al Consiglio di Stato quell’orientamento secondo cui non può trovare accoglimento il motivo di impugnazione con il quale la parte ricorrente ha impugnato il capo della sentenza che ha esplicitamente o implicitamente statuito sulla giurisdizione del T.a.r., da essa precedentemente adito, al fine di ribaltare l'esito negativo nel merito del giudizio, in quanto una siffatta censura si porrebbe in contrasto con il divieto di venire contra factum proprium e con la regola di correttezza e buona fede prevista dall'art. 1175 c.c. (cfr., per la prima affermazione di questo principio, Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2012 n. 656; cfr., anche, sez. IV, 7 novembre 2015 n. 5484; sez. VI, 29 febbraio 2016 n. 856).

9.4.1. Con la pronuncia dell’Adunanza plenaria, 29 novembre 2021 n. 19, si è recentemente ribadita l’inammissibilità “dell’eccezione di difetto di giurisdizione proposta in appello dal ricorrente soccombente in primo grado”, dandosi conto delle numerose sentenze con cui questo principio è stato ribadito nel tempo dal Giudice amministrativo (si citano qui soltanto Cons. Stato, Ad. plen., ord. 28 luglio 2017, n. 4; e giurisprudenza costante da sez. II,18 giugno 2021, n. 4740 a sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 703).

Segnatamente, l’Adunanza Plenaria ha rilevato come l’inammissibilità presenti un duplice fondamento, da rinvenirsi, in sintesi e in ragione di quanto già evidenziato in precedenza, nel divieto di abuso del diritto (sub specie di abuso del processo) e nell’applicazione della regola della soccombenza (Cons. Stato, Ad. plen. 19 del 2021, §. 2).

9.5. Il consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione e di questo Consiglio evidenziano, pertanto, l’infondatezza della doglianza di parte appellante.

9.6. Del resto, come evidenziato in uno dei precedenti innanzi citati (Cass. civ., Sez. unite, n. 21260 del 2016, §. 11.1. e, più di recente, Cass. civ., Sez. unite, ord. 22 aprile 2021 n. 10742 e 12 aprile 2022 n. 21836), eventuali dubbi sulla giurisdizione, nei quali, in tesi, il proponente la domanda dovesse essere incorso (e, nel caso di specie, invocati dall’appellante nell’ambito del primo motivo), ben potrebbero essere risolti mediante la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione.

9.6.1. Questo rimedio non impugnatorio, disciplinato dall’art. 41 c.p.c. (a cui rinviano sia l’art. 10 cod. proc. amm. che l’art. 16 cod. giust. cont.), consente infatti a ciascuna parte, e quindi anche a chi introduce il giudizio, “di rivolgersi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione per chiedere il regolamento preventivo di giurisdizione, quantunque né il convenuto né il giudice abbiano sollevato la relativa questione”, sicché “Possono pertanto ben coesistere la facoltà, anche per l'attore, di accedere al giudice regolatore della giurisdizione finché la causa non sia decisa nel merito dal giudice adito, e la preclusione a interporre appello con un motivo di difetto di giurisdizione per chi ha promosso la controversia dinanzi ad un giudice e dallo stesso ha ricevuto un esame nel merito della domanda di tutela giurisdizionale” (Cass. civ., Sez. unite, n. 21260 del 2016, §. 11.1.).

9.6.2. Come evidenziato dalla richiamata sentenza dell’Adunanza plenaria, “Il mancato utilizzo dello strumento processuale appositamente previsto per risolvere la questione pregiudiziale di giurisdizione prima che la causa «sia decisa nel merito in primo grado» (così l’art.41, comma 1, cod. proc. civ.) rende pertanto palese la strumentalità della sua riproposizione in appello da parte di colui che avrebbe potuto farlo già in primo grado e che su tale questione non abbia nondimeno riportato alcuna soccombenza.”.

9.7. Il quadro di principi innanzi prospettato ha trovato, peraltro, un definitivo consolidamento ad opera della recente riforma del processo civile di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, art. 3, che nel novellare l’art. 37 c.p.c., ha introdotto le seguenti norme, delle quali è particolarmente significativa quella enunciata dall’ultimo periodo della disposizione: “Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo. Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo o dei giudici speciali è rilevato anche d'ufficio nel giudizio di primo grado. Nei giudizi di impugnazione può essere rilevato solo se oggetto di specifico motivo, ma l'attore non può impugnare la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui adito”.

9.8. Il primo motivo di appello va pertanto respinto.

10. Con il secondo motivo di appello, la società impugna il capo della sentenza che ha respinto il corrispondente motivo di ricorso proposto in primo grado, con il quale si è dedotta l’illegittimità del provvedimento impugnato per aver adoperato poteri autoritativi rispetto ad un rapporto che non è sussumibile nell’istituto della concessione, bensì nel contratto di locazione.

Si deduce, in proposito, che il bene oggetto della convenzione non può essere qualificato come un bene patrimoniale indisponibile ai sensi dell’art. 826, terzo comma, c.c., in quanto difetterebbe il “requisito oggettivo”, non essendo stata la struttura mai destinata ad un pubblico servizio.

10.1. Il secondo motivo di appello è infondato.

10.2. Risulta comprovato, “in fatto”, che l’edificio realizzato in base alla concessione edilizia Rep. 103/7 dell’11 gennaio 1989 e oggetto della convenzione per la concessione in uso n. 82033 del 5 luglio 1990 costituisca un’opera di urbanizzazione.

10.2.1. Si tratta, secondo l’art. 1 della convenzione n. 82033 del 5 luglio 1990, dell’immobile da adibire a centro commerciale nel “PdZ (scilicet, piano di zona) 167 di ‘Riu Saliu’ di Monserrato in corso di costruzione da parte della Cooperativa Cento”, a “scomputo” degli oneri di urbanizzazione.

Non risulta contestata, inoltre, l’affermazione del Comune secondo cui “l’immobile, che veniva definito “Centro Servizi”, […] è sorto su area vincolata a servizi dal PDZ, area espropriata ai privati per finalità pubbliche…” (pagina 5 della memoria di primo grado del 12 dicembre 2020, nonché pagina 5 della memoria del 22 ottobre 2021 e pagina 10 della memoria del 20 luglio 2023, depositate nel presente giudizio).

10.2.2. La costruzione dell’opera da parte della Cooperativa è stata prevista dall’art. 14 della convenzione n. 37065 del 16 dicembre 1987 che ha stabilito “l’impegno” di quest’ultima di “realizzare le opere di urbanizzazione di cui al progetto approvato dalla Commissione Edilizia in data 19.11.1987, fino alla concorrenza delle opere di urbanizzazione a carico della Cooperativa stessa”.

10.2.3. Secondo il progetto approvato dalla Commissione Edilizia in data 19 novembre 1987, in base alla delibera di giunta municipale n. 1231 del 9 marzo 1990, l’opera di urbanizzazione è costituita da un “centro servizi”, nei cui locali “verranno ricompresi dei servizi essenziali per la popolazione della zona quali punti vendita, attività sociali e ricreative”.

10.2.4. Nella delibera di giunta municipale n. 2045 del 12 aprile 1990, si evidenzia che il completamento dell’opera, finanziato mediante la cessione del godimento del bene alla Cooperativa per un periodo di tempo determinato, risulta necessario in quanto “Con tali lavori l’opera potrà essere pienamente utilizzata ed al servizio di una collettività di circa 4000 abitanti in una zona evidentemente priva di tale servizio”.

10.2.5. Si è previsto, altresì, che, scaduto il periodo di venticinque anni, l’immobile verrà restituito al Comune (art. 5 della convenzione del 5 luglio 1990 n. 82033).

10.2.6. Non può dunque mettersi in discussione la qualificazione dell’opera come opera di urbanizzazione.

10.3. “In diritto”, va puntualizzato che i “beni del patrimonio indisponibile” costituiscono una categoria che annovera beni il cui peculiare regime giuridico è correlato alla qualità intrinseca della cosa, che la legge ritiene idonea a soddisfare le esigenze pubbliche, indipendentemente dalla destinazione del bene, (“beni indisponibili per natura” o “beni quasi demaniali”), e beni che invece vedono l’applicazione del medesimo regime giuridico solo in ragione di un atto o di un fatto della pubblica amministrazione che assegni un bene ad un servizio pubblico e che partecipano del regime pubblicistico solo fino a quando duri tale destinazione (“beni indisponibili per virtù di destinazione” o “beni funzionali”).

10.3.1. Quanto alla seconda tipologia di beni patrimoniali indisponibili, l’art. 826, terzo comma, c.c. dispone che: “Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio”.

10.3.2. Sempre “in diritto”, si evidenzia che con il sintagma “opere di urbanizzazione” si indica l’insieme delle opere ed impianti necessari a rendere una porzione di territorio idonea ad essere effettivamente utilizzata con le destinazioni stabilite dagli strumenti urbanistici vigenti.

Queste opere si distinguono, per tipologia e funzione, in opere di urbanizzazione primaria (dette anche “tecnologiche”), previste dall’art. 4 della legge 29 settembre 1964 n. 847, che costituiscono il presupposto indispensabile per il rilascio del titolo edilizio, e opere di urbanizzazione secondaria (dette anche “sociali”), previste dall’art. 44 della legge n. 865/1971 e da altre leggi speciali.

10.4. Muovendo da queste puntualizzazioni “in fatto” e “in diritto”, il Collegio ritiene che la sentenza del T.a.r. vada confermata, per un concorrente ordine di ragioni.

Il T.a.r. ha congruamente motivato circa la qualificazione del bene “dato” in uso alla Cooperativa, come bene appartenente al patrimonio indisponibile.

Partendo dall’incontestata qualificazione del Centro servizi quale “opera di urbanizzazione”, il T.a.r. ha evidenziato che “la qualificazione dell’opera come di “urbanizzazione secondaria” ha già di per sé valenza costitutiva della natura e del relativo regime giuridico del bene, ossia la sua appartenenza al patrimonio indisponibile della Amministrazione” in quanto “per loro natura, sono opere destinate al soddisfacimento di pubblici servizi, […]” (§. 10) e questo principio merita conferma.

10.5. Come messo in evidenza precedentemente, il progetto da realizzare prevedeva quale opera di urbanizzazione la realizzazione di un “centro servizi”, di cui è incontroversa la proprietà comunale, finalizzato a dotare la zona, nella quale sarebbero sorti un cospicuo numero di alloggi, di un edificio destinato ad ospitare quei “punti vendita, attività sociali e ricreative” di cui l’area sarebbe risultata altrimenti priva.

10.5.1. Per la realizzazione di questa opera di urbanizzazione la Cooperativa ha preferito non versare le somme dovute a titolo di oneri di urbanizzazione e si è impegnata alla sua realizzazione.

Per completare i lavori, i cui costi sono aumentati in corso d’opera, la Cooperativa e il Comune hanno convenuto di attribuire l’uso del bene, pattuendone la destinazione a centro commerciale, per un periodo di venticinque anni, a copertura dei maggiori oneri sopportati dalla Cooperativa per il completamento dei lavori.

10.5.2. Una volta ultimata l’opera, l’edificio e i suoi locali, “dati” in uso alla Cooperativa, sono stati destinati, con la stipulazione di contratti di locazione fra quest’ultima e terzi, ad ospitare “punti vendita” (il supermercato di una nota catena di distribuzione e imprese di assicurazione, ai quali fa riferimento l’appellante nel gravame), “attività sociali” (il consultorio familiare, in regime di convenzione, e la scuola per l’infanzia, ai quali fa riferimento il comune nella memoria del 21 novembre 2021) e “ricreative” (palestre e bar, cui fa riferimento l’appellante nel gravame), secondo quella che era la destinazione a servizio della collettività comunale dell’opera di urbanizzazione (cfr. le delibere di giunta municipale n. 1231/1990 e 2045/1990).

10.5.3. L’opera di urbanizzazione, di proprietà comunale, è stata dunque destinata alla funzione di servizio della collettività, ai sensi dell’art. 826, terzo comma, c.c., e tanto risulta sufficiente ai fini della sussumibilità della fattispecie concreta nell’ambito della locuzione “altri beni destinati a un pubblico servizio”.

10.6. L’esito decisorio cui il Collegio è giunto al paragrafo precedente, muovendo da una disamina “in concreto” dei fatti di causa, trova ulteriore conferma seguendo una diversa, ma connessa, argomentazione che procede “in astratto”, muovendo cioè dal piano delle qualificazioni normative (e prescindendo dall’invocabilità, nel caso di specie, dell’art. 826, terzo comma, c.c.).

10.6.1. In ragione di quanto disposto dall’art. 16, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, le “opere realizzate” a “scomputo totale o parziale della quota dovuta” a titolo di oneri di urbanizzazione sono acquisite al patrimonio indisponibile del comune. In base all’art. 16, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 i beni che costituiscono “opere di urbanizzazione” presentano, ex lege, natura di beni del patrimonio indisponibile.

10.6.2. Va evidenziato che, secondo un’illustre dottrina, un modo di acquisizione della qualità di bene del patrimonio indisponibile “è il sopravvenire di una legge che inquadri tra i beni «pubblici» - demaniali o indisponibili - un certo tipo di beni già in atto appartenenti a un ente pubblico. In tali casi, è la stessa entrata in vigore della legge a determinare l'acquisto della qualità di bene - di volta in volta - demaniale indisponibile. Così, ad esempio, l’entrata in vigore del codice civile del 1940 ha determinato lo acquisto della qualità di beni demaniali delle biblioteche degli enti territoriali”.

10.6.3. L’art. 16 d.P.R. n. 380/2001 ha dunque sopito ogni dubbio circa la natura del bene per cui è causa, senza che rilevi la circostanza che l’opera in questione è stata progettata, convenuta e realizzata antecedentemente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 380/2001, rilevando, ai fini della sua qualificazione, il solo dato dell’appartenenza al Comune.

10.7. D’altronde, alla medesima conclusione questa Sezione era già giunta, in passato, attraverso un diverso e ulteriore percorso argomentativo, recependo e facendo propria la motivazione articolata dal T.a.r. per la Sardegna in una sua pronuncia.

10.7.1. Segnatamente, in questa sentenza, si è testualmente statuito che “…dopo la destinazione di un’area ad opere di urbanizzazione nell’ambito di un piano di lottizzazione (che imprime tale destinazione pubblicistica e sulla base del quale viene poi stipulata la relativa convenzione), qualunque clausola convenzionale di tenore opposto è da ritenersi nulla per contrasto con norma imperativa (l’art. 28 della legge urbanistica) e non può di fatto incidere sui relativi assetti urbanistici e dominicali”, a pena di vanificare altrimenti “...la tenuta dell’intero sistema urbanistico volto alla tutela di interessi pubblici di rango superiore, che risulterebbero gravemente frustrati dall’alienazione delle opere di urbanizzazione a soggetti privati...”, e tenuto conto che “...le opere di urbanizzazione vanno ricondotte al regime giuridico del patrimonio indisponibile e come tali godono del “regime di protezione” delineato dall’art. 828, comma 2, del codice civile” (Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2014 n. 4981, §. 3.4.).

11. Con il terzo motivo di appello, la società impugna il capo della sentenza che ha respinto la censura basata sulla violazione dell’art. 3 della convenzione.

La società insiste sulla circostanza che il decorso del termine di venticinque anni sarebbe ancorato al rilascio del certificato di agibilità, che, nel caso di specie, non sarebbe stato ancora rilasciato.

Si afferma che “vuole criticarsi il criterio dell’utilizzazione economica quale criterio interpretativo supplente e sostitutivo del ben più concreto certificato di agibilità il cui rilascio è stato contrattualmente assunto come momento per la decorrenza dei 25 anni della concessione”.

11.1. Il terzo motivo di appello è infondato.

11.2. In linea generale, si premette che, per procedere all’interpretazione della clausola andranno applicati i criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., i quali, oltre che per l’interpretazione dei contratti, degli atti unilaterali (in quanto compatibili, ai sensi dell’art. 1324 cod. civ.), dei provvedimenti amministrativi (nei limiti della compatibilità), devono applicarsi anche agli accordi di cui all’art. 11 della L. n. 241 del 1990, in ragione del richiamo, da parte del comma secondo della suddetta disposizione, ai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti per quanto compatibili” (Cons. Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2019, n. 1150; Sez. IV, 3 dicembre 2015 n. 5510; Sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2997; Sez., IV, 17 dicembre 2014, n. 6164; Sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4812).

In particolare, andrà applicato l’art. 1362 c.c., il quale prevede che “Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.

Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”.

11.3. La clausola della convenzione posta a fondamento del terzo motivo di appello, consistente nell’art. 3 della convenzione n. 82033 del 5 luglio 1990, è la seguente: “Il centro commerciale viene, una volta ultimato a cura e spese della Cooperativa Cento e fornito del certificato di agibilità comunale, attribuito in concessione alla stessa cooperativa realizzatrice per il periodo di anni 25 venticinque decorrenti dalla ultimazione dei lavori risultante dalla certificazione comunale di agibilità”.

11.3.1. Risulta evidente dalla serena lettura della clausola riportata che essa, in base al suo tenore testuale, non risulta né equivoca né ambigua, ed è suscettibile di essere pienamente intrepretata mediante il ricorso al criterio esegetico basato sul dato letterale di cui all’art. 1362 c.c.

11.3.2. Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, prima innanzi al T.a.r. e poi innanzi a questo Consiglio, dal dato testuale si evince che il decorso del termine di venticinque anni non è ancorato al rilascio del certificato di agibilità, bensì “dalla ultimazione dei lavori”, che risulti dal certificato di agibilità rilasciato dal Comune.

Quest’ultimo atto, dunque, assume, nell’intenzione delle parti desumibile dall’accordo, soltanto un’efficacia probatoria, per così dire, “privilegiata”, in quanto si dovrebbe prioritariamente fare riferimento a tale certificato per individuare la data di “ultimazione dei lavori”.

Tuttavia, il mancato rilascio del certificato, così come correttamente statuito dal T.a.r., non determina la sospensione sine die del decorso del termine di venticinque anni né impedisce che la prova della “ultimazione dei lavori”, che segna il momento iniziale del decorso del suddetto termine, possa essere raggiunta mediante altri mezzi di prova e, nel caso di specie, attraverso l’affermazione confessoria della parte che ha agito in giudizio.

11.3.3. Del resto, il “certificato”, proprio in quanto atto destinato ad attestare con giuridica certezza fatti, qualità, stati o altre circostanza, ben potrebbe - anzi dovrebbe - recare la data di effettiva ultimazione dei lavori, anche laddove questa sia risalente nel tempo e non coincidente con il rilascio del suddetto certificato, con conseguente immediata cessazione del rapporto, qualora dal certificato di agibilità rilasciato dovesse evincersi che dall’ultimazione dei lavori sono oramai trascorsi i venticinque anni presi in considerazione dalla convenzione conclusa tra le parti.

12. Nel rassegnare le conclusioni dell’appello, la società domanda, infine, il risarcimento del danno e la “conseguente condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento di tutti i danni arrecati alla ricorrente in ragione del danno emergente, del pregiudizio commisurato all’esercizio arbitrario di poteri autoritativi, al danno all’immagine, all’avviamento, all’alterazione del corretto confronto concorrenziale, da quantificarsi in corso di giudizio”.

12.1. La domanda, come eccepito dal Comune, è inammissibile.

12.2. La domanda risarcitoria non è infatti sorretta da alcuna allegazione degli elementi costitutivi della stessa, né può ammettersi che la causa petendi di questa domanda possa essere allegata nel corso del presente giudizio.

12.3. La domanda è comunque infondata, non essendosi ravvisata alcuna illegittimità dell’atto impugnato.

Costituisce jus receptum, il principio secondo cui costituisce elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria la presenza di un provvedimento illegittimo causa di un danno ingiusto (da ultimo, Cons. Stato, sez. VII, 27 marzo 2023, n. 3094).

13. In conclusione, in ragione delle motivazioni sin qui illustrate, l’appello va respinto.

14. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello n.r.g. 8334/2021, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune di Monserrato, delle spese del giudizio che liquida in euro 6.000,00 (seimila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere, Estensore

Luca Monteferrante, Consigliere

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Michele Conforti

Vincenzo Neri

IL SEGRETARIO

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