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Servitù pubblica di passaggio

Privato
Martedì, 28 Maggio, 2024 - 12:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Settima), sentenza n. 3079 del 4 aprile 2024, servitù pubblica di passaggio

MASSIMA

Affinché un’area privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio, è necessaria, oltre all'intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico generale interesse. Non sussiste, invece, uso pubblico qualora il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari dei fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, ovvero da coloro che abbiano occasione di accedervi per esigenze connesse ad una privata utilizzazione, oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cons. Stato, Sez. V, 8 gennaio 2021, n. 311).

SENTENZA

N. 03079/2024REG.PROV.COLL.

N. 10009/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10009 del 2021, proposto dal Comune di Campo nell’Elba, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Montana e Alfonso Celotto, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Emilio de' Cavalieri, n. 11 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la società Hotel OMISSIS in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Raffaele Bifulco, Carlo Contaldi La Grotteria, Mauro Gioventù, Paolo Pittori e Federico Mazzella, con domicilio eletto presso lo studio ADLaw – Avvocati Amministrativisti in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 24 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

dei sig.ri OMISSIS non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (Sezione Seconda) n. 1357/2021, pubblicata in data 21 ottobre 2021.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale proposto dalla società Hotel La Stella S.r.l.;

Vista l’ordinanza collegiale di questa Sezione n. 3944 del 18 aprile 2023;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 19 marzo 2024 il Cons. Brunella Bruno e uditi l’avvocato Giovanni Battista Conte, su delega scritta dell’avvocato Alfonso Celotto, per la parte appellante e l’avvocato Federico Mazzella per la società appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Il Comune appellante impugna la sentenza del TAR per la Toscana indicata in epigrafe, con la quale sono stati definiti, previa riunione, quattro ricorsi, con connessi motivi aggiunti, tutti proposti dalla società Hotel OMISSIS S.r.l., titolare di una struttura alberghiera prospiciente il mare, sita in località Seccheto nel Comune di Campo nell’Elba, che si affaccia a sinistra sulla baia ove è sita la spiaggia omonima (spiaggia di Secchetto) e, a destra, sugli scogli di una piccola insenatura denominata “Caloncino”.

In particolare, la suddetta sentenza ha avuto ad oggetto:

- il ricorso RG n. 694 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto avverso le autorizzazioni rilasciate dall’amministrazione comunale in favore di operatori terzi (OMISSIS) per l’installazione di un corridoio di lancio nello specchio di mare antistante la predetta struttura alberghiera;

- il ricorso RG n. 984 del 2020, proposto avverso l’ordinanza adottata in data 8 luglio 2020, n. 47, avente ad oggetto il “ripristino dello stato dei luoghi – “Caloncino” Loc. Seccheto in Campo nell’Elba” – unitamente agli atti presupposti specificamente indicati –, segnatamente riferita ad un paletto in ferro con catena chiusa da lucchetto, apposti dalla società Hotel OMISSIS all’ingresso dell’area in questione, in modo da impedire l’accesso carrabile alle particelle 1362, 1363, 1364, 1365, ivi compreso lo spazio in cui è presente uno scivolo di alaggio e varo per piccole imbarcazioni;

- il ricorso RG n. 1045 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto per: l’accertamento dell’occupazione abusiva da parte del Comune di Campo nell’Elba delle aree di proprietà della ricorrente catastalmente censite al foglio 44, particelle 1362-1363-1364, nonché dell’insussistenza di servitù pubbliche di passaggio pedonale e carrabile sulle stesse; la condanna dell’amministrazione comunale alla restituzione, previa riduzione in pristino, con riserva di agire per la determinazione e la condanna al pagamento dell’indennizzo dovuto per l’occupazione abusiva e al risarcimento dei danni (patrimoniali e non) conseguenti alla privazione del possesso e della proprietà dell’area in questione dalla data della materiale occupazione fino alla sua restituzione; in via subordinata, per la condanna del Comune di Campo nell'Elba, al risarcimento dei danni asseritamente subiti per la perdita di avviamento dell'azienda e il suo depauperamento, per l’impossibilità di convertire la struttura in hotel di categoria di lusso e la perdita del relativo avviamento e utile commerciale, oltre che per il maggior prezzo pagato per l’immobile in questione;

- il ricorso RG n. 144 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto avverso il provvedimento prot. n. 16433 del 27 novembre 2020, con cui il Comune di Campo nell’Elba ha opposto il proprio diniego definitivo all’istanza di concessione demaniale marittima presentata dalla società ricorrente in data 13 settembre 2019.

Negli ultimi tre dei giudizi riuniti sopra indicati hanno spiegato intervento ad opponendum vari soggetti, in proprio e quali soci dell’associazione “OMISSIS”, costituita anche per la tutela dell’omonima area.

Con la sentenza impugnata, il TAR, esaminati alcuni profili preliminari riferiti agli interventori, ha dichiarato improcedibile il primo dei ricorsi riuniti, come integrato da motivi aggiunti, per sopravvenuta carenza di d’interesse, sul rilievo della sostituzione della prima autorizzazione all’installazione di un corridoio di lancio del 18 maggio 2020 con un nuovo e analogo titolo, rilasciato in data 20 maggio 2021, il quale pure ha esaurito i suoi effetti, stante la durata limitata alla stagione balneare 2021, ormai decorsa.

Con articolate argomentazioni, il primo giudice ha accolto il secondo dei ricorsi riuniti (RG n. 984 del 2020), con conseguente annullamento dell’ordine di rimozione impugnato riferito al paletto in ferro con catena chiusa da lucchetto. Con detto ricorso, la società ha dedotto che tra gli spazi esterni in sua proprietà rientrerebbe la porzione di terreno, distinta in catasto al foglio 44, particelle 1362, 1363, 1364, 1365, che separa il giardino antistante l’albergo dagli scogli frontistanti, confinante, a sinistra, con la strada realizzata dal Comune per raggiungere la spiaggia di Secchetto e a destra con l’insenatura del “Caloncino”. Il primo giudice, previa esplicitazione dei limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo circa la effettiva esistenza della servitù di pubblico passaggio, circoscritto, ai sensi dell’art. 8 c.p.a., alla cognizione incidentale sulla questione, in correlazione con l’impugnazione del provvedimento amministrativo, ha ritenuto documentalmente provata la storica appartenenza delle particelle in questione al complesso alberghiero in proprietà della società ricorrente, derivando da ciò che l’apposizione dei suddetti elementi (paletto e catena) funzionali ad impedire il passaggio carrabile sul tratto di terreno in questione deve ricondursi ai poteri e alle facoltà del proprietario. Specularmente, è stato rilevato nella sentenza impugnata che non risulta in alcun modo dimostrata da parte del Comune di Campo nell’Elba l’esistenza di una servitù di uso pubblico sull’area in questione, diretta a consentire il collegamento tra la via del Mare (quest’ultima realizzata per consentire l’accesso alla spiaggia di Seccheto) e l’area del “Caloncino”, asseritamente utilizzata dai diportisti come “porticciolo”. Sul punto, oltre a sottolineare la mancanza di un atto di messa a disposizione del bene in favore della collettività da parte della struttura alberghiera proprietaria (c.d. dicatio ad patriam) e anche di una mera tolleranza del passaggio, il primo giudice ha evidenziato che non risulta l’esistenza di una effettiva necessità di utilizzazione di tale passaggio da parte della collettività, per le specifiche circostanze dettagliatamente indicate, inclusa l’imprescindibilità, per la legittima destinazione dell’area del Caloncino all’ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio delle piccole imbarcazioni ovvero a porticciolo, del previo rilascio di un provvedimento amministrativo, secondo quanto prescritto dall’art. 49 undecies del d.lgs. n. 171 del 2005 (codice della nautica da diporto), rubricato “Ricovero a secco per piccole imbarcazioni e natanti”, dovendosi anche tener conto delle previsioni dell’art. 2 lett. c) del d.P.R. n. 509 del 1997 (Regolamento recante disciplina del procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto), con le quali i «punti d'ormeggio» sono definiti come “le aree demaniali marittime e gli specchi acquei dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all'ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio, anche a secco, di piccole imbarcazioni e natanti da diporto”. In tale quadro, nella sentenza impugnata è stato, altresì, evidenziato che l’esistenza dell’asserito “porticciolo” del Caloncino non corrisponde neppure alla realtà storica dell’area, come ricostruita in ancoraggio alla documentazione prodotta agli atti del giudizio. Al riguardo, il primo giudice ha, peraltro, osservato, come la successiva adozione del provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, costituisca conferma della circostanza che se pure vi sia stato un utilizzo delle aree in questione da parte della collettività, lo stesso è avvenuto sine titulo.

Il terzo dei ricorsi riuniti (R.G. n. 1045 del 2020), come integrato da motivi aggiunti, è stato accolto nei termini indicati nella motivazione della sentenza, con conseguente annullamento del provvedimento di acquisizione sanante impugnato, nella parte in cui il Comune di Campo nell’Elba ha disposto l’acquisizione al proprio patrimonio, tra gli altri, dei terreni di proprietà della società Hotel OMISSIS S.r.l., catastalmente identificati al foglio 44, particelle 1362 (parte), 1363, 1364 (parte) e 1365. Previa illustrazione delle previsioni dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, con riferimenti anche alla pertinente giurisprudenza costituzionale, il primo giudice ha rilevato l’assenza nella fattispecie di un utilizzo, effettivo e attuale, da parte del Comune delle particelle di proprietà della ricorrente, per finalità di interesse pubblico. Ciò con l’ulteriore rilievo che ove il Comune avesse ritenuto effettivo e rilevante l’interesse alla realizzazione di un attracco pubblico sull’area demaniale antistante l’albergo, avrebbe senz’altro portato a termine il procedimento espropriativo ordinario iniziato nel 1979 sulle particelle oggetto della controversia, in modo da eliminare un ostacolo alla piena fruizione collettiva dell’approdo e delle aree ad esso funzionalmente collegate. È stata, altresì, esclusa la possibilità di ravvisare un interesse generale all’apprensione da parte del Comune di dette aree nell’esigenza della collettività di raggiungere a piedi il mare attraverso gli scogli antistanti all’albergo, ciò in quanto, per un verso, la ricorrente ha manifestato la disponibilità a consentire il passaggio pedonale attraverso la banchina di sua proprietà e, sotto altro profilo, la balneazione sarebbe comunque incompatibile con il dichiarato uso diportistico della medesima area. Escluso, inoltre, che le aree in questione abbiano mai avuto una funzione viaria, il primo giudice ha anche rilevato l’assenza di evidenze idonee a comprovare l’intervenuta trasformazione del bene immobile, presentando l’area immediatamente antistante all’albergo più le caratteristiche di una banchina in cemento che di una strada, mentre quella posta alla destra dell’albergo non ha subito alcuna significativa alterazione. Nel soffermarsi anche sulle previsioni del piano di fabbricazione approvato nel 1974 e ancora vigente per quanto attiene, in specie, alla classificazione delle aree in questione quale “Zona di rispetto paesistico”, nonché sulla rilevanza della denominazione del progetto elaborato “per la costruzione della strada della spiaggia di Seccheto”, la sentenza impugnata ha accertato la totale carenza di motivazione del provvedimento di acquisizione alla luce dei principi espressi dalla Corte costituzionale, stante l’omessa individuazione, con precipuo riferimento alle aree in proprietà della ricorrente, delle “attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico” di cui il Comune si farebbe portatore, la carenza di una valutazione dei contrapposti interessi della impresa alberghiera, la quale verrebbe definitivamente privata dell’accesso diretto al mare, con evidente importante diminuzione del suo valore commerciale, nonché l’omessa considerazione di soluzioni alternative, come la costituzione di una servitù pedonale, la fissazione di fasce orarie mattutine e serali per l’accesso carrabile al Caloncino (salvi casi di emergenze), oppure la concessione, in mancanza di domande concorrenti, alla stessa struttura alberghiera, delle aree demaniali ad essa antistanti per la realizzazione di un punto di ormeggio autorizzato e regolamentato.

Il primo giudice ha, infine, concluso per l’accoglimento, nei sensi e nei limiti indicati nella motivazione della sentenza, anche del quarto dei ricorsi riuniti (RG n. 144 del 2021), come integrato da motivi aggiunti, disponendo, per l’effetto, l’annullamento del provvedimento di diniego di concessione demaniale marittima, richiesta dalla società Hotel OMISSIS con istanza presentata in data 13 settembre 2019, per l’affidamento dell’area della scogliera antistante quella in sua proprietà e della adiacente porzione di specchio acqueo. Decisiva, ai fini di tale statuizione, è stata ritenuta la fondatezza delle deduzioni incentrate sulla carenza di motivazione e sulla violazione dei principi di legale collaborazione, buona fede e buon andamento. Viene evidenziato nella sentenza, infatti, che l’amministrazione comunale, senza avviare un eventuale confronto competitivo tra più proposte e senza effettuare alcuna ponderazione d’interessi, ha in limine opposto all’iniziativa della ricorrente la necessità di mantenere l’uso pubblico dell’insenatura naturale del “Caloncino”, considerata “l’unica area di attracco dopo il porto di Marina di Campo, presente sul versante occidentale dell’Isola d’Elba”, senza alcuna dimostrazione della legittima utilizzazione per fini diportistici del bene demaniale in questione e con conseguente carenza di elementi idonei a comprovare la prevalenza di un uso prettamente pubblico e diffuso del tratto di costa che viene in rilievo rispetto all’assenso in relazione all’iniziativa privata proposta dalla ricorrente, la quale, peraltro, è l’unica proprietaria delle aree retrostanti a quelle demaniali e intendeva proporre un assetto concordato con l’amministrazione, che avrebbe potuto scongiurare il ricorso allo strumento eccezionale dell’acquisizione sanante. In tale quadro, il primo giudice ha, tra l’altro, rilevato l’infondatezza delle argomentazioni articolate dall’amministrazione comunale in relazione al piano operativo adottato con delibera di Consiglio comunale n. 65 del 18 dicembre 2019, neppure prodotto agli atti del giudizio, con conseguente preclusione della possibilità di verificare il contrasto dell’istanza, asserito dall’ente locale, con la classificazione del contesto quale “area a servizio di interesse collettivo”, con l’ulteriore rilievo della possibilità di inclusione in tale ambito della zona del Caloncino a seguito delle opportune modulazioni da concordare in sede di stipula di una eventuale convenzione con la società ricorrente originaria.

Il Comune appellante critica la sentenza impugnata, riproponendo le censure disattese, con precipuo riferimento alla definizione degli ultimi tre dei ricorsi riuniti, in sostanza devolvendo tutta l’originaria materia del contendere, ad eccezione dei capi della sentenza concernenti la declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse in relazione al ricorso iscritto al numero RG 694 del 2020, integrato da motivi aggiunti.

La società appellata si è costituita in giudizio, avversando le censure articolate dal Comune di Campo nell’Elba e proponendo, altresì, ricorso incidentale.

Successivamente le parti hanno prodotto memorie, anche in replica, in vista dell’udienza pubblica calendarizzata nella data del 21 marzo 2023.

Con ordinanza collegiale n. 3944 del 18 aprile 2023, questa Sezione ha rilevato l’opportunità, “in ragione della peculiare complessità della controversia e della notevole consistenza della documentazione offerta in comunicazione”, di richiedere chiarimenti al Comune appellante con precipuo riferimento alla specificazione di quali eventuali “opere pubbliche (asfaltatura dell’area, impianti di illuminazione pubblica, ecc…) siano state realizzate e siano attualmente presenti sulle particelle 1364 e 1365”, nonché quanto all’eventuale attuale sussistenza dell’interesse alla “decisione dell’appello avente ad oggetto l’impugnazione dei capi della sentenza di primo grado dedicati al ricorso iscritto al R.G. n. 984/2020, in ragione della presunta volontaria rimozione sia del paletto che della catena con lucchetto precedentemente apposti dalla società appellata nel tratto di terreno oggetto di causa”.

A distanza di molti mesi dalla pubblicazione della sopra indicata ordinanza, in data 2 febbraio 2024, il Comune appellato ha depositato una considerevole mole di documentazione, inclusiva anche di fotografie, video e di dichiarazioni di terzi, in asserita ottemperanza della sopra indicata ordinanza collegiale.

In considerazione dell’ingente consistenza della documentazione depositata dall’amministrazione comunale in prossimità dell’udienza pubblica fissata per la definizione del presente giudizio, la società appellata, nonché appellante incidentale, ha richiesto, con atto depositato in data 5 febbraio 2024, il rinvio della trattazione della causa, in relazione al quale il Comune ha espresso la propria opposizione con memoria depositata in data 12 febbraio 2024.

Con memoria depositata in data 17 febbraio 2024, la società appellata ha motivatamente insistito sul rinvio della trattazione della causa e sollevato anche eccezioni di inammissibilità delle produzioni documentali dell’ente, il quale ha prodotto memoria di replica in data 26 febbraio 2024, oggetto, a sua volta, di replica della società appellata con atto depositato in data 27 febbraio 2024, con allegazione di ulteriore documentazione e formulazione anche di una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del TFUE in relazione all’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, ove interpretato nel senso dell’ammissibilità dell’acquisizione, nonostante una non irreversibile e modificabile trasformazione fisica, anche di un’opera abusiva, perché priva dei titoli abilitativi (edilizi e paesaggistici) e difforme dal progetto approvato, il cui uso è risultato contra legem e, comunque, mai autorizzato, e sia riferibile non all’autorità pubblica espropriante bensì ad una non meglio definita collettività.

Con atto depositato in data 18 marzo 2024, la società appellata ha, infine, dichiarato la perdurante sussistenza del proprio interesse in relazione ai profili di contestazione concernenti il secondo dei ricorsi riuniti (R.G. n. 984 del 2020) con la sentenza impugnata.

All’udienza pubblica del 19 marzo 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente il Collegio non ritiene di disporre il rinvio della trattazione della causa, pure motivatamente richiesto dalla società appellata, in quanto gli elementi ritualmente depositati in atti e la consistenza delle difese articolate dalle parti consentono la definizione immediata del giudizio, anche nella consapevolezza che, comunque, l’appellata ha ribadito le proprie argomentazioni su tutti i versanti della causa.

1.1. Si evidenzia, infatti, che nonostante lo stigmatizzabile contegno processuale tenuto dal Comune appellato, il quale ha prodotto in giudizio, solo in prossimità della data di celebrazione dell’udienza pubblica, copiosa e per la gran parte – come di seguito si andrà a rilevare – inammissibile documentazione, in pretesa ottemperanza di una ordinanza collegiale la cui pubblicazione risale alla data del 18 aprile 2023, la società appellata si è comunque difesa efficacemente, con le memorie da ultimo depositate nelle date del 17 e 27 febbraio 2024.

1.2. Si osserva, al riguardo, che nell'ordinamento processuale vigente non esiste norma o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso, fuori dai casi tassativi di diritto a rinvio per usufruire dei termini a difesa previsti dalla legge. Al di fuori di tali ipotesi, le parti hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare un eventuale differimento dell’udienza. Ciò in quanto alle parti spetta la disponibilità delle proprie pretese sostanziali e, in funzione di esse, del diritto di difesa in giudizio, ma le stesse non hanno anche la disponibilità dell’organizzazione e dei tempi del processo, che compete al giudice, al fine di conciliare e coordinare l’esercizio del diritto di difesa di tutti coloro che si rivolgono al giudice. La decisione finale sui tempi della decisione della controversia spetta al giudice, e la domanda di rinvio deve fondarsi su “situazioni eccezionali” (come recita il comma 1-bis dell’art. 73 c.p.a.: “Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza”). Tali situazioni eccezionali possono essere integrate solo da gravi ragioni idonee a incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici coinvolti (cfr. C.g.a. 31 gennaio 2022, n. 153).

1.3. Da siffatti rilievi consegue il rigetto dell’istanza di rinvio, risultando prioritaria la celere definizione del giudizio, in conformità ai generali principi processuali.

2. Sempre in via preliminare il Collegio rileva che nessuna censura è stata rivolta avverso i capi della sentenza impugnata aventi ad oggetto la definizione, con declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, del primo dei ricorsi riuniti (RG n. 694 del 2020), come integrato da motivi aggiunti, concernente le autorizzazioni rilasciate dall’amministrazione comunale in favore di operatori terzi (OMISSIS) per l’installazione di un corridoio di lancio nello specchio di mare antistante la predetta struttura alberghiera. Ne discende che si è per tal via formato un giudicato interno, in parte qua, sulla sentenza impugnata.

3. Il Collegio rileva, altresì, l’inammissibilità di tutte le produzioni nuove depositate dal Comune appellante in violazione del divieto di nova di cui all’art. 104 c.p.a., incluse quelle prodotte in pretesa ottemperanza dell’ordinanza collegiale istruttoria di questa Sezione n. 3944 del 18 aprile 2023, non conferenti rispetto alle richieste specificamente formulate con detto provvedimento.

3.1. Con la sopra indicata ordinanza, infatti, il perimetro degli incombenti istruttori dei quali è stata onerata l’amministrazione comunale è stato inequivocabilmente riferito a due specifici elementi; il Comune avrebbe dovuto chiarire e documentare:

- quali eventuali “opere pubbliche (asfaltatura dell’area, impianti di illuminazione pubblica, ecc…) siano state realizzate e siano attualmente presenti sulle particelle 1364 e 1365”;

- l’eventuale perdurante sussistenza attuale sussistenza dell’interesse alla “decisione dell’appello avente ad oggetto l’impugnazione dei capi della sentenza di primo grado dedicati al ricorso iscritto al R.G. n. 984/2020, in ragione della presunta volontaria rimozione sia del paletto che della catena con lucchetto precedentemente apposti dalla società appellata nel tratto di terreno oggetto di causa”.

Lungi dal rimettere in termini l’appellante in relazione ad allegazioni probatorie che avrebbero dovuto essere tempestivamente prodotte nel giudizio di primo grado, l’ordinanza istruttoria ha dettagliato con specificazioni puntuali l’oggetto dell’approfondimento istruttorio, dovendosi stigmatizzare l’espediente elusivo delle previsioni dell’art. 104 c.p.a., al quale la parte ha fatto ricorso.

Ne deriva l’inammissibilità, in particolare, di tutta la documentazione, inclusa quella fotografica, video e le dichiarazioni prodotte al fine di comprovare l’asserito e risalente uso pubblico dell’area, come pure della documentazione che, già nella disponibilità dell’ente locale in quanto risalente, avrebbe dovuto essere versata agli atti del giudizio di primo grado, con l’ulteriore rilievo che la produzione di prove testimoniali, mai richieste né ammesse in conformità alla disciplina processuale, risulta del tutto irrituale e (doppiamente) inammissibile.

Gli unici elementi ammissibili attengono esclusivamente alle due circostanze sopra rilevate: a) realizzazione e perdurante esistenza di eventuali opere pubbliche sulle particelle 1364 e 1365 (e non in altri mappali); b) comprova della sussistenza di un interesse attuale in relazione alle censure formulate con il primo motivo del ricorso in appello, riferito capi della sentenza di primo grado concernenti il ricorso RG n. 984 del 2020, in ragione della volontaria rimozione da parte della società appellata sia del paletto che della catena con lucchetto precedentemente apposti nel tratto di terreno oggetto di causa, come da quest’ultima asserito. A venire in rilievo, dunque, sono esclusivamente circostanza attinenti alla situazione di fatto esistente nella sua attualità.

Ove l’appellante si fosse attenuta, conformemente al generale canone di lealtà processuale, alla formulazione – si ribadisce, inequivoca – dell’ordinanza sopra indicata, le tempistiche per l’ottemperanza alla richiesta istruttoria sarebbero state, peraltro, consistentemente ridotte, senza aggravamenti ingiustificati nella definizione della controversia.

4. Specularmente, il Collegio rileva analoga preclusione quanto alle allegazioni documentali nuove della società appellante, scaturite dalle inammissibili produzioni della controparte.

5. Deve, infine, rilevarsi che la memoria depositata dal Comune appellante in data 17 febbraio 2023 supera i limiti dimensionali di cui al d.P.C.S. n. 167 del 2016, in assenza di qualsivoglia autorizzazione, mai richiesta da detta parte, dovendosi evidenziare che, come chiarito da questo Consiglio in numerose pronunce, “il superamento dei limiti dimensionali è questione di rito afferente all’ordine pubblico processuale, stabilito in funzione dell’interesse pubblico all’ordinato, efficiente e celere svolgimento dei giudizi, ed è rilevabile d’ufficio a prescindere da eccezioni di parte. Il rigoroso rispetto dei limiti dimensionali costituisce attuazione del fondamentale principio di sinteticità (art. 3 c.p.a.), a sua volta ispirato ai canoni di economia processuale e celerità” (cfr. Cons. Stato, V, 22 settembre 2023, n. 8487; IV, 9 gennaio 2023, n. 280; 13 ottobre 2023, n. 8928).

6. A prescindere dai profili di inammissibilità correlati alla sopra indicata violazione (l’art. 13-ter, comma 5, dell’allegato II al c.p.a., dispone che: “Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione”), come pure dall’eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, sollevata dalla società OMISSIS in considerazione dell’intervenuto sgombero del Caloncino, documentato in atti, l’appello principale è infondato, per le ragioni di seguito esposte.

7. Il primo motivo del ricorso in appello è incentrato sui capi della sentenza impugnata concernenti il ricorso RG n. 984 del 2020, avente ad oggetto l’ordinanza n. 47 dell’8 luglio 2020, con la quale, come esposto nella narrativa in fatto, è stata ingiunta alla società Hotel OMISSIS la rimozione di un paletto in ferro con catena e lucchetto, asseritamente preclusivi del transito stradale (“transito sulla strada”) di “uso pubblico” costituente l’unico accesso al “porticciolo del Caloncino”.

7.1. Nessuna delle deduzioni dell’appellante principale è suscettibile di favorevole apprezzamento, dovendosi comunque rilevare che le opere (paletto in ferro con catena e lucchetto) sanzionate con la sopra indicata ordinanza non appaiono coincidenti con quelle attualmente presenti, come documentate in atti, circostanza, questa, che suffraga la ricostruzione della società appellata, la quale ha sostenuto di aver provveduto alla rimozione delle opere oggetto dell’ordinanza del 2020, salvo poi adottare ulteriori misure di sicurezza a seguito di atti di vandalismo, denunciati all’Autorità competente e funzionali ad assicurare l’incolumità degli ospiti dell’albergo e dei pedoni.

E, invero, la spontanea rimozione delle opere, con ripristino dello stato dei luoghi, è stata attestata dalla stessa amministrazione comunale con la memoria depositata in data 7 novembre 2020 nel giudizio di primo grado, iscritto al numero RG 984 del 2020, e tale circostanza, convergente con le allegazioni della società appellata, effettivamente denota la sussistenza dei profili di improcedibilità prospettati anche nell’ordinanza collegiale di questa Sezione n. 3944 del 18 aprile 2023.

7.2. Anche accedendo ad un esame nel merito, il Collegio rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante principale, il giudice amministrativo può e deve risolvere la questione del carattere pubblico ovvero privato di un’area, nonché accertare la sussistenza di una servitù di uso pubblico su area privata - eventualmente costituita anche mediante dicatio ad patriam - allorquando sia richiesto di risolvere la vicenda non già come questione principale, sulla quale pronunciarsi con efficacia di giudicato, ma come questione preliminare ad altra, ovvero alla questione, dedotta in via principale e rientrante nella sua giurisdizione (Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2022, n. 3618). La cognizione qui espletata non concerne, dunque, l’accertamento in via principale circa l’effettiva sussistenza del diritto in questione, la cui competenza giurisdizionale è, del resto, demandata al giudice ordinario bensì attiene ad un accertamento svolto in via incidentale in relazione al sindacato avente ad oggetto il provvedimento di riduzione in pristino rientrante nell’alveo della giurisdizione amministrativa.

7.3. Si evidenzia, inoltre, che i limiti del sindacato giurisdizionale afferiscono alle valutazioni di merito, restando la cognizione dei fatti elemento indefettibile del giudizio al fine di verificare, nei limiti del dedotto, se il potere attribuito all’autorità sia stato legittimamente esercitato (Cons. St., Sez. VI, 21 marzo 2011, n. 1712; id., sez. III, 2 settembre 2019, n. 6058, con la quale, con riferimento ai limiti del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, sia pure in relazione ad una differente materia rispetto a quella che viene in rilievo nel presente giudizio, sono state stigmatizzate come pronunce “con formula pigra” ovvero con motivazione apparente quelle che trincerandosi “dietro ad una declaratoria di inammissibilità” delle censure “per l’impossibilità di esercitare un sindacato sostitutivo” non procedano ad un esame delle stesse, con il rischio di “un sostanziale rifiuto di giurisdizione e un’abdicazione” alla “doverosa potestas iudicandi da parte del giudice amministrativo”).

Nella fattispecie, il primo giudice ha esercitato il proprio doveroso sindacato in stretto ancoraggio alle evidenze prodotte in giudizio dalle parti che sono state esaminate con particolare accuratezza anche in relazione ai profili attinenti alla ricostruzione fattuale per quanto attiene agli elementi rimessi al proprio apprezzamento sul piano della rilevanza probatoria.

7.4. Sono, inoltre, da condividere le valutazioni espresse dal primo giudice, risultando indimostrata l’esistenza di una servitù di uso pubblico sull’area in questione, diretta a consentire il collegamento fra la via del Mare (quest’ultima realizzata per consentire l’accesso alla spiaggia di Seccheto) e l’area del “Caloncino”.

7.5. Per univoco orientamento giurisprudenziale, affinché un’area privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio, è necessaria, oltre all'intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico generale interesse. Non sussiste, invece, uso pubblico qualora il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari dei fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, ovvero da coloro che abbiano occasione di accedervi per esigenze connesse ad una privata utilizzazione, oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cons. Stato, Sez. V, 8 gennaio 2021, n. 311).

7.6. Fuorviante e comunque erronea è la prospettazione dell’appellante in quanto dalle deduzioni articolate, esaminate congiuntamente alle relative allegazioni, emerge con inequivocabile evidenza la confusione tra due distinte aree, giacché a venire in rilievo ai fini della definizione del presene giudizio non è la spiaggia del Seccheto (cui si riferiscono, invece, buona parte delle produzioni fotografiche ritualmente prodotte dall’appellante principale) bensì la piccola insenatura del Caloncino, ubicata nella direzione esattamente opposta.

7.7. Nessuna evidenza congrua emerge in atti circa un utilizzo della piccola insenatura da parte della collettività e detta area, lungi dall’essere usata da una collettività indeterminata – come bene evidenziato dal primo giudice –, appare essenzialmente utilizzata dai clienti del centro immersioni e da una ristretta cerchia di soggetti, inclusi gli ospiti dell’hotel.

7.8. Deriva da quanto esposto che, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante principale, la circostanza che l’uso pubblico sia affermato nel provvedimento impugnato con il sopra indicato ricorso originario costituisce circostanza del tutto insufficiente sul piano della legittimità, in assenza di una istruttoria appropriata e di evidenze idonee a comprovare l’effettiva sussistenza di detto uso pubblico nei termini sopra chiariti.

7.9. Dalla documentazione in atti, inoltre, emerge che l’opera pubblica stradale oggetto del progetto esecutivo approvato nel 1979, con contestuale avvio di un procedimento espropriativo che tuttavia non è stato concluso, è stata preordinata ad assicurare l’accesso alla spiaggia del Secchetto, non essendo le particelle che vengono in rilievo nel presente giudizi neppure classificate come “strada”.

7.10. Del pari, deve evidenziarsi che la segnaletica stradale orizzontale e verticale a cui viene fatto riferimento nell’appello è stata posta dal Comune unicamente sulla piazzetta situata sul lato sinistro dell’albergo, e comunque al di fuori della proprietà della società appellata, e sulla strada che da questa risale verso la provinciale; ed è alla viabilità su tale piazzetta e tratto che si riferiscono anche le ordinanze municipali, prodotte gli atti del giudizio di primo grado dall’amministrazione comunale, concernenti la circolazione.

7.11. Non può che rilevarsi, inoltre, un parziale mutamento della linea defensionale dell’amministrazione comunale che nel giudizio di primo grado ha incentrato le proprie deduzioni, in coerenza, del resto, con i contenuti dell’ordinanza impugnata con il ricorso originario, sulla sostenuta “situazione viabilistica di una strada denominata Via del Mare che consente da tempo immemorabile l'accesso al porticciolo denominato Caloncino” e sulla preclusione determinata all’accesso all’area demaniale; il nucleo motivazionale dell’ordinanza di rimozione impugnata con il ricorso originario si appunta sull’asserito uso pubblico di una “strada” necessaria per raggiungere un “porticciolo” nel quale “nel periodo estivo approdano liberamente almeno 30 imbarcazioni di proprietà di residenti e turisti”, elementi, questi, non supportati da congrue e tempestive allegazioni e comunque insufficienti ai fini pretesi.

7.12. Le articolate ed esaustive argomentazioni poste a fondamento delle statuizioni contenute nella sentenza impugnata non risultano, infatti, superate dalle deduzioni dell’appellante principale e sono integralmente condivise dal Collegio anche per quanto attiene alla rilevata assenza di qualsivoglia titolo legittimante l’attività diportistica e di varo, alaggio delle imbarcazioni o approdo, rivestendo significatività sia le previsioni del regolamento comunale “delle aree destinate alla balneazione” che vietano espressamente l’alaggio e il varo di unità nautiche sulle aree demaniali marittime del Comune, sia le ordinanze della Capitaneria di Porto che vietano pure l’ormeggio e l’ancoraggio di qualsiasi imbarcazione entro i duecento metri dalle spiagge e i cento metri dalle coste, nonché l’assenza di un provvedimento espresso di destinazione prescritto – come del pari correttamente rilevato dal primo giudice – dall’art. 49 undecies del d.lgs. n. 171 del 2005 (codice della nautica da diporto) e la mancanza di una formale destinazione a “porticciolo” o similare.

7.13. Esclusivamente per completezza, deve anche evidenziarsi che la società appellata ha documentato, con congrue evidenze, l’intervenuto sgombero, nell’agosto del 2022, da oggetti e imbarcazioni, dell’area demaniale confinante con la sua proprietà, sulla base di determinazioni adottate dalle competenti Autorità.

7.14. La circostanza, poi, che la società appellata abbia consentito il passaggio sull’area in sua proprietà al fine di permettere l’accesso all’area demaniale o lo svolgimento di sporadiche manifestazioni podistiche estive non è sufficiente a comprovare la dicatio ad patriam, difettando i caratteri della continuità, definitività e la generalità di una volontaria messa a disposizione in favore di una collettività indifferenziata.

7.15. In ogni caso, come evidenziato della sentenza impugnata, emerge una sostanziale inadeguatezza dell’istruttoria condotta dall’ente locale nel corso del procedimento dal quale è scaturita l’adozione dell’ordinanza di ripristino impugnata con il ricorso originario e una contraddittorietà intrinseca derivante dalla asserita qualificazione dell’insenatura del Caloncino in termini di porticciolo costituente “unica area di attracco dopo il porto di Marina di Campo”, destinata all’approdo nel periodo estivo di una trentina di imbarcazioni e dalla contestuale e incompatibile affermazione della destinazione alla balneazione, come chiaramente risulta dalle stesse previsioni del regolamento comunale “delle aree destinate alla balneazione”, richiamato nella sentenza impugnata.

7.16. Il provvedimento di rimozione del paletto in ferro con catena e lucchetto – che neppure constano essere ancora presenti in loco – per un verso è inficiato dalle illegittimità fondatamente censurate dalla società e accertate con la sentenza impugnata e, sotto diverso profilo, non risulta neanche comprovato che dette opere di protezione, rientranti nell’alveo delle prerogative del proprietario dei beni, abbiano precluso il raggiungimento dell’area demaniale o l’accesso di mezzi di sicurezza e soccorso, rendendo, dunque, il provvedimento di ripristino non adeguatamente supportato sul piano dei presupposti e del corredo motivazionale.

7.17. La compromissione di un legittimo accesso all’area demaniale per via pedonale, inoltre, risulta esclusa non solo dalle caratteristiche delle opere oggetto dell’ordinanza di ripristino – che, deve ribadirsi, sono state comunque rimosse – e dalla loro localizzazione, ma anche tenuto conto delle concrete e documentate iniziative intraprese dalla società appellata al fine di una valorizzazione del contesto attraverso un progetto di riqualificazione, oggetto di scia presentate nel 2019, con acquisizione anche della necessaria autorizzazione paesaggistica, che aveva previsto, tra l’altro, la copertura delle particelle in questione con una pedana amovibile di carattere stagionale, realizzata in “legno composito” e “scomposta in sei moduli, collegati tra loro da gradoni, per seguire il dislivello del terreno”, così da eliminare le “superfetazioni presenti (vecchi argani abbandonati, anelli e catene di ormeggio etc.)” e consentire il passaggio pedonale unitamente all’accesso dei disabili. In relazione alla scia presentata in data 11 luglio 2019, deve anche rilevarsi che consta l’adozione da parte dell’amministrazione comunale di una comunicazione di avvio del procedimento di annullamento che non risulta però essere mai stato concluso con l’adozione della determinazione finale. Al contempo, dette evidenze, unitamente a quelle ulteriori emergenti in atti, denotano un approccio collaborativo al quale la società ha informato i rapporti con l’amministrazione comunale, con lo scopo di favorire il soddisfacimento di tutti gli interessi implicati.

7.18. Da tutte le argomentazioni sopra articolate scaturisce, pertanto, l’illegittimità dell’ordinanza di ripristino, fermi i già evidenziati profili di improcedibilità scaturenti dall’avvenuta volontaria eliminazione da parte della società delle opere sanzionate con la suddetta ordinanza.

8. Le deduzioni successive articolate dall’appellante si appuntano sui capi della sentenza appellata riferiti alla definizione del terzo dei ricorsi riuniti, come integrato da motivi aggiunti, concernenti, segnatamente, la deliberazione del Consiglio comunale n. 22 del 9 aprile 2021, con la quale è stata disposta l’acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 delle aree relative alla viabilità carrabile esistente (via del Mare) che dall’abitato di Seccheto raggiunge la zona a mare e “termina in uno spazio di manovra adibito anche a scalo per il varo e l’alaggio di piccole imbarcazioni detto Caloncino”.

8.1. Come in precedenza esposto, nel 1979 è stato approvato il progetto esecutivo per la realizzazione della strada comunale, con contestuale avvio della procedura di esproprio mai completata; la strada è stata poi realizzata agli inizi degli anni ‘80 e fra le particelle oggetto del provvedimento di “acquisizione sanante” sono state inserite anche quelle in proprietà della società ricorrente originaria (1362 parte, 1363, 1364 parte e 1365) che identificano le aree poste in quello che secondo l’amministrazione sarebbe il tratto terminale della strada.

8.2. L'art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 si applica a tutte le ipotesi in cui un bene immobile altrui sia utilizzato e modificato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico e, quindi, qualunque sia la ragione che abbia determinato l'assenza di titolo che legittima alla disponibilità del bene. A tale conclusione si giunge valorizzando, sia sotto il profilo testuale che in virtù dell’inquadramento logico-sistematico, la natura di norma di chiusura propria di tale disposizione, che rende evidente la finalità di ricondurre nell’alveo legale del sistema tutte le situazioni in cui l’amministrazione, quale che ne sia la causa, si trovi ad avere utilizzato la proprietà privata per ragioni di pubblico interesse, ma in difetto di un valido titolo legittimante (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. IV, 2 novembre 2022, n. 9483).

8.3. Ai fini dell'adozione del decreto acquisitivo ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, non occorre, infatti, che vi sia una irreversibile trasformazione del suolo occupato sine titulo (requisito in passato richiesto per l’operatività del precedente - e non più esistente - meccanismo della "occupazione acquisitiva" di creazione pretoria), essendo sufficiente che l’autorità, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, abbia "utilizzato" e "modificato" un bene immobile.

8.4. Alla luce delle valutazioni espresse dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 71 del 2015, puntualmente richiamata nella sentenza impugnata, l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (n. 2 del 2016), ha chiarito che:

«a) la disposizione introduce una norma di natura eccezionale; tale conclusione è coerente con l'impostazione tradizionale che considera a tale stregua le norme limitatrici della sfera giuridica dei destinatari, con particolare riguardo a quelle che attribuiscono alla P.A. un potere ablatorio.

Un atto definibile come espropriazione in sanatoria stricto sensu, e basato sulla illiceità dell'occupazione di un bene altrui, infatti, segnerebbe una interruzione della consequenzialità logica della disciplina generale (Europea e nazionale) di riferimento in materia di acquisizione coattiva della proprietà privata, ponendosi in contrasto con essa attraverso una discriminazione - pure sancita dalla legge - del trattamento giuridico di situazioni soggettive che altrimenti sarebbero destinatarie della disciplina generale; da qui l'indefettibile necessità, ex art. 14, disp. prel. c.c., di una esegesi rigorosa della norma medesima che sia, ad un tempo, conforme al sistema di tutela della proprietà privata disegnato dalla CEDU ma rispettosa del valore costituzionale della funzione sociale della proprietà privata sancito dall'art. 42, co. 2, Cost. (che costituisce il fondamento del potere attribuito alla P.A.), secondo un approccio metodologico basato su una visione sistemica, multilivello e comparata della tutela dei diritti, a sua volta incentrata sulla considerazione dell'ordinamento nel suo complesso, quale risultante dalla interazione fra norme (interne e internazionali) e principi delle Corti (interne e sovranazionali);

b) l'art. 42-bis, invece, configura un procedimento ablatorio sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall'Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell'infrastruttura realizzata sine titulo;

c) un tale obbiettivo istituzionale, inoltre, deve emergere necessariamente da un percorso motivazionale - rafforzato, stringente e assistito da garanzie partecipativo rigorose - basato sull'emersione di ragioni attuali ed eccezionali che dimostrino in modo chiaro che l'apprensione coattiva si pone come extrema ratio (perché non sono ragionevolmente praticabili soluzioni alternative e che tale assenza di alternative non può mai consistere nella generica;...eccessiva difficoltà ed onerosità dell'alternativa a disposizione dell'amministrazione;), per la tutela di siffatte imperiose esigenze pubbliche;

d) sono coerenti con questa impostazione:

I) le importanti guarentigie previste per il destinatario dell'atto di acquisizione sotto il profilo della misura dell'indennizzo (avente natura indennitaria secondo Cass. civ., Sez. un., n. 2209 del 2015 cit.), valutato a valore venale (al momento del trasferimento, alla stregua del criterio della taxatio rei, senza che, dunque, ci siano somme da rivalutare ma, in ogni caso, tenuto conto degli ulteriori parametri individuati dagli artt. 33 e 40 t.u.espr.), maggiorato della componente non patrimoniale (dieci per cento senza onere probatorio per l'espropriato), e con salvezza della possibilità, per il proprietario, di provare autonome poste di danno;

II) la previsione del coinvolgimento obbligatorio della Corte dei conti in una vicenda che produce oggettivamente (e indipendentemente dagli eventuali profili soggettivi di responsabilità da accertarsi nelle competenti sedi) un aggravio sensibile degli esborsi a carico della finanza pubblica;

e) per evitare che l'eccezionale potere ablatorio previsto dall'art. 42-bis possa essere esercitato sine die in violazione dei valori costituzionali ed Europei di certezza e stabilità del quadro regolatorio dell'assetto dei contrapposti interessi in gioco, la disciplina ivi dettata è inserita in (ed arricchita da) un più ampio contesto ordinamentale che - in ragione della sussistenza dell'obbligo della P.A. di valutare se emanare un atto tipico sull'adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto - prevede per il proprietario strumenti adeguati di reazione all'inerzia della P.A., esercitabili davanti al giudice amministrativo, sia attraverso il c.d. "rito silenzio" (artt. 34 e 117 c.p.a.), sia in sede di ordinario giudizio di legittimità avente ad oggetto il procedimento ablatorio sospettato di illegittimità (o altro giudizio avente ad oggetto la tutela reipersecutoria, come verificatosi nel caso di specie), secondo le coordinate esegetiche esplicitamente stabilite dalla sentenza n. 71 del 2015 (in particolare par. 6.6.3.);

f) assume un rilievo centrale (in particolare ai fini della risoluzione del quesito sottoposto all'Adunanza plenaria, come si vedrà meglio in prosieguo) un ulteriore elemento caratterizzante l'istituto in esame, ovvero l'impossibilità che l'Amministrazione emani il provvedimento di acquisizione in presenza di un giudicato che abbia disposto la restituzione del bene al proprietario; tale elemento - valorizzato dalla sentenza n. 71 del 2015 in coerenza coi principi elaborati dalla Corte di Strasburgo - si desume implicitamente dalla previsione del comma 2 dell'art. 42-bis nella parte in cui consente all'autorità di adottare il provvedimento durante la pendenza del giudizio avente ad oggetto l'annullamento della procedura ablatoria (ovvero nel corso del successivo eventuale giudizio di ottemperanza), ma non oltre, e quindi dopo che si sia formato un eventuale giudicato non soltanto cassatorio ma anche esplicitamente restitutorio (come meglio si dirà in prosieguo);

g) ne consegue che la scelta che l'amministrazione è tenuta ad esprimere nell'ipotesi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dai primi due commi dell'art. 42-bis, non concerne l'alternativa fra l'acquisizione autoritativa e la concreta restituzione del bene, ma quella fra la sua acquisizione e la non acquisizione, in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico - cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l'immobile assunta dall'amministrazione in sede procedimentale - ed essa non costituisce, né può costituire, espressione di una specifica volontà provvedimentale dell'autorità, atteso che, nell'adempiere gli obblighi di diritto comune, l'amministrazione opera alla stregua di qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento e non agisce iure auctoritatis;

h) per concludere sul punto utilizzando un argomento esegetico caro all'analisi economica del diritto, può dirsi che la nuova disposizione, in buona sostanza, ha evitato che si riproducesse il vulnus arrecato dal superato art. 43 t.u. espr., ovvero la possibilità, accordata dalla norma all'epoca vigente, di far regredire la property rule (che dovrebbe assistere il privato titolare della risorsa), a liability rule (con facoltà della pubblica amministrazione di acquisire a propria discrezione l'altrui bene con il solo pagamento di una compensazione pecuniaria), introducendo pragmaticamente una regola di second best, da un lato, riducendo al minimo l'ambito applicativo dell'appropriazione coattiva, dall'altro, evitando che tale strumento divenga di uso routinario - causa maggiori costi, responsabilità erariale, impossibilità di far valere l'onerosità della restituzione quale giusta causa di acquisizione del bene, partecipazione rafforzata del proprietario alla scelta finale, motivazione esigente e rigorosa sulla impossibilità di configurare soluzioni diverse - configurandosi come una normale alternativa all'espropriazione ordinaria: in quest'ottica la procedura prevista dall'art. 42-bis non rappresenta più (per usare il linguaggio della Corte di Strasburgo) il punto di emersione di una defaillance structurelle dell'ordinamento italiano (rispetto a quello Europeo) ma costituisce, essa stessa, espropriazione adottata secondo il canone della "buona e debita forma" predicato dal paradigma Europeo.».

8.5. Ne deriva, dunque, che l’art. 42-bis impone che gli scopi pubblicistici debbano rivestire carattere di eccezionalità, oltre che di attualità, per cui il loro soddisfacimento attraverso l’acquisizione al patrimonio comunale deve costituire la estrema ratio.

8.6. Correttamente il primo giudice ha accertato la censurata carenza di motivazione del provvedimento acquisitivo, non essendo ravvisabili vizi riferiti ai limiti del sindacato giurisdizionale concernenti le valutazioni che attengono all’esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione, tenuto conto delle argomentazioni articolate nella pronuncia impugnata, in esito ad una accurata analisi della documentazione prodotta e alla corretta applicazione dei principi sopra illustrati, riferiti all’operatività dell’art. 42 – bis, alla fattispecie in esame .

8.7. In relazione all’assenza di evidenze a comprova dell’attuale ed effettiva utilizzazione delle particelle in questione da parte dell’amministrazione comunale per finalità di pubblico interesse, si rinvia a quanto esposto ai capi precedenti della presente pronuncia, non constando neppure che le particelle in questione siano state interessate da interventi eseguiti dall’ente locale di consistenza tale da implicare una apprezzabile alterazione e modificazione del contesto per come descritto nella sentenza impugnata e per come anche attualmente si presenta concretamente e sul piano fattuale.

8.8. Risulta insuperata e dirimente, inoltre, la rilevata carenza di un adeguato approfondimento in ordine alla praticabilità di soluzioni alternative, nella direzione di escludere la perdita della proprietà della società appellante al contempo garantendo una migliore valorizzazione dell’area anche nella prospettiva della fruizione del bene demaniale localizzato a ridosso di dette particelle, alla luce, peraltro, delle già richiamate e documentate iniziative avviate dalla società.

8.9. Con argomentazioni condivise dal Collegio e con accurata motivazione, il primo giudice ha escluso la suscettibilità del riferimento, peraltro generico, dell’amministrazione comunale alle previsioni di un piano operativo, solo adottato nel 2019, in base alle quali le aree in questione sarebbero state destinate “a servizio di interesse collettivo”, essendo rimasta indimostrata e, comunque, non adeguatamente esplicitata la radicale incompatibilità con tale destinazione di altre opzioni prefigurabili e in buona parte anche prefigurate dalle iniziative avviate dalla società, inclusa la concessione, in mancanza di domande concorrenti, alla stessa struttura alberghiera, delle aree demaniali antistanti per la realizzazione di un punto di ormeggio autorizzato e regolamentato.

8.10. Ne deriva, dunque, che con valutazioni che restano immuni dai contestati vizi, il primo giudice ha accertato l’illegittimità del provvedimento di acquisizione sanante adottato dall’amministrazione comunale, nei limiti dell’interesse della ricorrente originaria.

9. Residua l’esame delle deduzioni articolate dall’appellante principale in relazione ai capi della sentenza impugnati con i quali, con riferimento al ricorso RG n. 144 del 2021, come integrato da motivi aggiunti, è stato annullato il diniego opposto dal Comune di Campo nell’Elba alla domanda presentata dalla società odierna appellata, in data 13 settembre 2019, per ottenere la concessione demaniale marittima della scogliera antistante alle aree in sua proprietà e della adiacente porzione di specchio acqueo.

9.1. Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante principale, le motivazioni recate nella sentenza impugnata risultano esaustive e congrue, essendo state rilevate le carenze inficianti la determinazione adottata dall’ente, dovendosi escludere che, con le argomentazioni articolate, il primo giudice si sia sostituito all’amministrazione nell’esercizio dei poteri di cui è attributaria, venendo piuttosto in rilievo l’illegittimità delle modalità attraverso le quali detti poteri sono stati in concreto esercitati.

9.2. Come bene evidenziato nella sentenza impugnata, il provvedimento di rigetto della domanda di concessione presenta evidenti lacune quanto alla ponderazione degli interessi implicati che avrebbero, invece, richiesto un vaglio particolarmente approfondito, alla luce tanto del quadro effettivamente esistente – come documentato agli atti del giudizio e secondo quanto accertato sia nella sentenza appellata sia nei capi precedenti della presente pronuncia –, quanto delle iniziative avviate dalla società e della concreta disponibilità dalla stessa manifestata ad una riqualificazione e valorizzazione dell’area.

9.3. Venendo in rilievo l’accertamento del vizio di carenza di motivazione è del tutto evidente che l’amministrazione non risulta esautorata dalla riedizione del potere, la quale non potrà che avvenire in doverosa osservanza dei vincoli giudiziali scaturenti dalla pronuncia, rispondendo a ragionevolezza, logicità e anche alla miglior cura degli interessi pubblici implicati, la considerazione delle caratteristiche del contesto, inclusa la proprietà delle aree – che il Comune non ha inteso espropriare con gli strumenti ordinari portando a termine il relativo procedimento – immediatamente retrostanti a quella demaniali in capo ad un operatore di riferimento nel settore, con disponibilità ad investire nella progettualità proposta, fermo restando che, come pure rimarcato nella sentenza, qualsivoglia affidamento non potrebbe comunque prescindere da un confronto competitivo.

10. In conclusione, per quanto esposto, l’appello principale va integralmente respinto.

11. In relazione, infine, all’appello incidentale proposto dalla società Hotel OMISSIS, in disparte le eccezioni preliminari sollevate dal Comune appellante principale, il Collegio ne rileva l’infondatezza, risultando le statuizioni alle quali è addivenuto il TAR, in relazione alle pretese disattese, equilibrate e condivisibili, tenuto conto, in specie, della circostanza che la stessa appellante incidentale non ha mai perso il possesso delle aree e, da ultimo nella memoria depositata in data 27 febbraio 2024, ha ribadito che nessuna irreversibile trasformazione delle stesse si è concretizzata e che, anzi, relativamente alle esigue opere in precedenza realizzate “siamo in un’ipotesi di palese reversione, già avvenuta”.

12. Le spese del presente giudizio vengono liquidate, in applicazione del criterio della soccombenza, a carico del Comune appellante, nella misura di cui al dispositivo, dovendosi reputare indubbiamente prevalenti i profili di rigetto del ricorso proposto in via principale rispetto all’infondatezza dei profili di censura dedotti dall’appellante incidentale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull’appello principale RG n. 10009 del 2021), come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma integralmente la sentenza impugnata.

Respinge l’appello incidentale.

Condanna il Comune appellante alla rifusione delle spese del grado in favore della società Hotel OMISSIS S.r.l., che liquida complessivamente in € 10.000,00 (diecimila/00), oltre accessori come per legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2024 con l’intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere

Marco Morgantini, Consigliere

Brunella Bruno, Consigliere, Estensore

 

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Brunella Bruno

Fabio Taormina

IL SEGRETARIO

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