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Cambio destinazione d'uso - Cons. Stato, sent. n.4359 del 18.09.2015

Pubblico
Sabato, 26 Settembre, 2015 - 02:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), sentenza n.4359 del 18 settembre 2015, sul cambio di destinazione uso
 
N. 04359/2015REG.PROV.COLL.
 
N. 09234/2014 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 9234 del 2014, proposto dal Comune di Bellusco nella persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Rusconi, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Piazzale Flaminio, n.19
contro
Dong Zhou Xiao, Schiavi Spa, rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Laruffa e Roberto Colagrande, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, viale Liegi N. 35 B; 
per la riforma
della sentenza n. 612 del TAR Lombardia – Milano (Sezione Seconda) del 10 marzo 2014, resa tra le parti;
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Dong Zhou Xiao e di Schiavi Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2015 il Cons. Carlo Mosca e uditi per le parti l’avvocato Andrea Manzi per delega dell’avvocato Rusconi,e gli avvocati Laruffa e Colagrande;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
1. L'originario e attuale appellato signor Dong Zhon Xiao, in seguito signor Dong, si rivolgeva al TAR Lombardia per l'annullamento del diniego del permesso di costruire in sanatoria, espresso il 1° febbraio 2012 dal Comune di Bellusco in esito alla sua istanza per la realizzazione di una porta di collegamento tra lo spazio dell'immobile adibito ad attività commerciale per la vendita di prodotti non alimentari e la porzione del capannone a sud, nonché di una bussola di ingresso nella facciata a sud ovest dello stesso immobile, con ripostiglio laterale, e ancora di un muro di separazione in corrispondenza dei pilastri portanti lungo il lato nord-ovest, del controsoffitto su tutta la superficie del locale e, infine, di tutte le altre opere necessarie per utilizzare l'intera superficie del locale per la vendita di capi di abbigliamento, anziché per l’uso di deposito.
Le opere predette hanno riguardato un immobile di proprietà della società Schiavi s.p.a., eseguito nell'ambito di un piano di lottizzazione commerciale-terziario avviato nel 1998 e per il quale, in data 29 maggio 2007, è stato stipulato un atto unilaterale d'obbligo tra la predetta società e il comune di Bellusco con cui veniva previsto che sull'immobile medesimo non potesse essere esercitata un'attività di vendita in uno spazio superiore a mq. 1500, in conformità a quanto previsto dall'articolo 122 del Piano delle Regole dello stesso Comune per medie strutture di vendita, inserito nel Piano di governo del territorio. All'atto della realizzazione delle medesime opere, nell'immobile risultava essere presente un supermercato con una superficie di vendita autorizzata pari a mq. 1200. In effetti, il signor Dong, il 26 ottobre 2010, presentava una SCIA, allo scopo di creare nel citato immobile una nuova area di vendita, ma la ritirava subito dopo per malintesi intervenuti con il suo tecnico di fiducia. Nel frattempo, in seguito ad un sopralluogo effettuato il 13 gennaio 2011, il Comune accertava che, in assenza di qualsiasi titolo o comunicazione erano state eseguite non solo le opere di cui alla SCIA ritirata, ma anche nuovi lavori che portavano alla trasformazione di un deposito di 900 mq. in locale commerciale, per una superficie complessiva di mq. 1200 contro i 300 mq. autorizzati in favore del predetto signor Dong, titolare dell'impresa individuale “Kin Kin Store”.
Accertata la violazione, il Comune avviava il procedimento di cui all'articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001, comunicandolo all'interessato con l'atto del 21 gennaio 2011. Il successivo 6 aprile 2011 lo stesso signor Dong, congiuntamente con la società Schiavi, presentava istanza di sanatoria ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 al fine di sanare le opere abusive eseguite, richiedendo contestualmente l'ampliamento dell'autorizzazione commerciale dai 300 mq. originari a 1200 mq.
Il Comune, dopo il preavviso ai sensi dell'art. 10 bis della legge n. 241/90, rigettava la richiesta, in quanto:
a. l'istanza di sanatoria riguardava le opere rilevate in sede di sopralluogo, nonché l'uso a locale di vendita della porzione di capannone destinata a deposito;
b. l'edificio ricadeva in zona urbanistica secondo il PGT vigente, AMF2-media struttura di vendita;
c. l'articolo 122 del Piano delle Regole consentiva l'insediamento di medie strutture commerciali con superficie di vendita non superiore a mq. 1500;
d. con l'atto unilaterale di obbligo stipulato il 29 maggio 2007 tra la società Schiavi proprietaria dell'immobile concesso in affitto al signor Dong e il Comune medesimo era stato pattuito che l'insediamento della media struttura di vendita era consentito sino al raggiungimento della superficie totale massima ammessa per l'insediamento e cioè' 1500 mq. ;
e. nell'immobile in questione risultava gia' insediata un'attività commerciale della superficie di mq. 1200 circa e l'attivita' svolta dall'impresa individuale del signor Dong su una superficie commerciale di mq. 300, per uno sviluppo complessivo delle due attività commerciali di mq. 1500;
f. dall'accertamento effettuato tramite sopralluogo, la superficie commerciale risultava incrementata di mq. 900, ben oltre quanto stabilito dall'atto unilaterale d'obbligo, con conseguente cambio di destinazione d'uso del capannone deposito a locale di vendita.
Il provvedimento di rigetto dell'istanza di sanatoria veniva impugnato con plurimi motivi di censura, che riguardavano pure il Piano di governo del territorio comunale e, in particolare, l'art. 122 del Piano delle Regole e con motivi aggiunti presentati il 31 ottobre 2012, l'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi del 26 luglio 2012. Avverso quest'ultima ordinanza proponeva altresì ricorso la citata societa' Schiavi, eccependo censure in parte coincidenti con quelle di cui ricorso del signor Dong.
2. Con la sentenza impugnata, il primo giudice, dopo aver provveduto, per ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, a riunire i due gravami, accoglieva il ricorso presentato dal signor Dong e i relativi motivi aggiunti, e dichiarava improcedibile il ricorso proposto dalla società Schiavi. In particolare, con riguardo al ricorso accolto stabiliva:
a. di disattendere l'eccezione di inammissibilità per intervenuta acquiescenza, poiché quest'ultima esige un'esplicita e non equivoca manifestazione di volontà di piena accettazione degli atti che si pretende di impugnare, mediante il compimento di comportamenti univocamente rivelatori della volontà di accettarne gli effetti, volontà posta in essere in un momento successivo a quello in cui si è verificata la lesione dell'interesse legittimo azionato;
b. di ritenere, sulla base della giurisprudenza più recente dello stesso TAR Lombardia, che gli atti di pianificazione urbanistica non possono introdurre limiti e restrizioni all'insediamento o ampliamento delle attività economiche in determinati ambiti territoriali, se essi non sono riconducibili ad esigenze annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale. Ciò in quanto la normativa comunitaria e segnatamente la direttiva Bolkestein, recepita nell'ordinamento interno dal d.lgs. n. 59/2010, prevede che l'iniziativa economica non possa essere di regola assoggettata ad autorizzazioni e limitazioni, essendo ciò consentito solo qualora sussistano motivi imperativi di interesse generale rientranti nel catalogo formulato dalla Corte di giustizia. Ne consegue la distinzione fra atti di programmazione economica - che in linea di principio non possono più essere fonte di limitazioni all'insediamento di nuove attività - e atti di programmazione aventi natura non economica, i quali, invece, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono imporre limiti rispondenti ad esigenze annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale (cfr. art. 11, comma 1, lett. e) del d.lgs. n. 59 del 2010, art. 34, comma 3, lett. a) del d.lgs. 201/2011). Tale distinzione riverbera i suoi effetti anche nell'ambito degli atti di programmazione territoriale, dovendosi verificare se essi perseguano finalità di tutela dell'ambiente urbano o, comunque, riconducibili all'obiettivo di dare ordine e razionalità all'assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell'offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà d'insediamento delle imprese. Il citato d.lgs. n. 59/2010 impone, quindi, al giudice chiamato a sindacare la legittimità degli atti di pianificazione urbanistica che dispongono limiti o restrizioni all'insediamento di nuove attività economiche in determinati ambiti territoriali, l'obbligo di effettuare un riscontro più penetrante di quello che si riteneva essere consentito in passato. Ciò, per verificare, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati ad effettive esigenze di tutela dell'ambiente urbano e dell'ordinato assetto del territorio, dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime;
c. di ritenere che i provvedimenti legislativi sopra menzionati non dispongono solo per il futuro, ma contengono clausole di abrogazione attraverso cui il legislatore statale ha manifestato la volontà di incidere sulle norme regolamentari e sugli atti amministrativi generali vigenti, imponendo alle regioni e agli enti locali una revisione dei propri ordinamenti finalizzata ad individuare quali norme siano effettivamente necessarie per la salvaguardia degli interessi di rango primario annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale e quali, invece, siano espressione diretta o indiretta dei principi dirigistici che la direttiva servizi ha messo definitivamente fuori gioco ( art. 31, ultimo periodo del comma 2 del D.L. n.201 del 2011 e art.1, comma 4 del D.L. n. 1 del 2012), fermo restando che, ai sensi dell'art. 1, comma 2 della legge n. 131/2003 la decorrenza del termine assegnato dal legislatore statale per l'adeguamento degli ordinamenti regionali e locali ai principi in materia di concorrenza, comporta la perdita di efficacia di ogni disposizione regionale e locale, legislativa e regolamentare, con essi incompatibili;
d. di evidenziare la fondatezza delle censure con cui si è lamentata la violazione dell'art. 31 del D.L. 201/2011, nonché il difetto di istruttoria e di motivazione dell'operato dell'Amministrazione comunale sfociato nel diniego di sanatoria, atteso che, al cospetto della limitazione all'insediamento e/o all'ampliamento di medie strutture di vendita posta dall'art. 122 citato, il Comune stesso non ha fornito alcuna dimostrazione che detta limitazione fosse giustificata dai superiori motivi imperativi di interesse generale sopra ricordati. In tal senso, l' Amministrazione avrebbe dovuto evidenziare nel diniego, anche al cospetto degli obblighi assunti dalla società' Schiavi nell'atto d'obbligo più volte richiamato, l'insufficienza degli stessi ai fini dell'insediamento di una nuova struttura di vendita o, comunque, la indisponibilità della stessa società all'assunzione di ulteriori obblighi, che si fossero resi necessari a salvaguardia dei superiori motivi più sopra evidenziati, di cui pure occorreva dare contezza. Dagli atti di causa è emerso, invece, che il Comune ha ritenuto impossibile insediare nell'area di proprietà della societa' Schiavi un'altra struttura di vendita, in aggiunta a quella per la quale era stato stipulato l'atto d'obbligo più volte richiamato ed è emerso, altresì, che la difesa comunale abbia affermato, senza però' fornire alcuna dimostrazione, che gli impegni assunti dalla medesima società Schiavi nel citato atto unilaterale d'obbligo del 29 maggio 2007, risultassero inadeguati rispetto alla dotazione di standard o di altre opere pubbliche richieste dalla destinazione d'uso realizzata dal ricorrente. In tal modo, il provvedimento di rigetto dell'istanza anzi di sanatoria non è stato preceduto da una verifica in concreto della ricorrenza delle finalità di interesse generale, che solo potrebbero consentire le limitazioni all'insediamento di nuove attività economiche come quelle di cui all'art. 122 citato, da parte di atti di programmazione aventi natura non economica;
e. di soprassedere, per la pregnanza delle suesposte censure, allo scrutinio dei restanti motivi del ricorso introduttivo, da reputarsi dunque assorbiti.
Dall'accoglimento del ricorso introduttivo conseguiva, poi, l'accoglimento degli stessi motivi aggiunti che, vertendo sull'atto conseguente a quello impugnato col ricorso, facevano principalmente leva sul vizio di invalidità derivata da reputarsi fondato.
Dall'accoglimento del ricorso del signor Dong conseguiva pure l'improcedibilità per difetto di interesse del gravame della società Schiavi.
3. Con l'appello in epigrafe, la sentenza del TAR Lombardia è stata ritenuta errata perché ha travisato i fatti di causa, confondendo i due distinti profili della vicenda, quello del rilascio dell'autorizzazione per l'ampliamento dell'attività commerciali, l'altro relativo agli abusi edilizi commessi dall'originario ricorrente per l'ampliamento di tale attività. Ciò' senza considerare che il requisito della doppia conformità di cui all'articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001, non esisteva nel momento in cui era stata presentata l'istanza di sanatoria.
In particolare, la parte appellante ha evidenziato che:
a. l'accertamento dell'abuso edilizio ha trovato riscontro nel verbale n. 781 del 20 gennaio 2011 che non è stato impugnato né dall'originario ricorrente, né dalla società Schiavi, come e' del resto avvenuto per il provvedimento n.782 del 21 gennaio 2011;
b. il ricorso in primo grado su cui si è pronunciata la sentenza impugnata ha per oggetto il diniego di sanatoria del 1 febbraio 2012;
c. con la mancata impugnazione degli atti di cui alla precedente lettera a., il ricorrente originario ha manifestato una chiara e inequivocabile acquiescenza nei confronti dell'accertamento dell'abuso edilizio riscontrato dal Comune;
d. il provvedimento con cui il Comune ha comunicato al sig.Dong e alla società Schiavi di procedere al ripristino dello stato dei luoghi è stato emanato il 21 gennaio 2011, mentre l'istanza ex art. 36 del D.P.R. 380/2011 è stata depositata (da entrambi i ricorrenti) il 6 aprile 2011, con ciò evidenziandosi l'acquiescenza ai provvedimenti comunali;
e. il signor Dong non ha impugnato neanche l'ordinanza comunale n. 6/2011 in data 11 marzo 2011 di sospensione dell'attività commerciale per ripetute violazioni dell'art. 8 del d.lgs. n.114/1998, con ciò manifestando ulteriore acquiescenza che non è' stata ravvisata dal TAR Lombardia;
f. il ricorso in primo grado della società Schiavi è comunque inammissibile perché tardivo in quanto la citata società proprietaria dell'immobile, quantunque destinataria dei provvedimenti comunali, e malgrado abbia presentato congiuntamente al signor Dong l'istanza di sanatoria, ha poi esclusivamente impugnato l'ordinanza n. 32/2012 conseguente ai prefetti accertamenti e valutazioni del Comune, mai contestati;
g. il Comune aveva eccepito l'inammissibilità delle censure sollevate dal signor Dong nei confronti dell'articolo 122 del Piano comunale delle Regole e il primo giudice ha rigettato l'eccezione, ritenendo che “la concreta lesività della norma regolamentare non potesse essere nota all'istante, discendendo la stessa dalla concreta applicazione che l'Amministrazione ne avrebbe fatto mediante il diniego qui avversato”. La sentenza è quindi errata ha errato perché il citato Piano risale al 2008 e quindi i termini per la sua impugnazione sono scaduti e comunque lo sono anche con riguardo al momento in cui il predetto articolo 122 ha manifestato la sua concreta lesività. L'accertamento dell'abuso edilizio, e la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, sono stati, infatti, rispettivamente eseguiti dal Comune con gli atti n. 781 del 20 gennaio 2011 e n. 782 del 21 gennaio 2011 ed è quindi da tale data che il citato art. 122 ha manifestato la sua concreta lesività. Essendo, pero', il ricorso stato proposto il 26 marzo 2012, risulta evidente la sua tardività;
h. il primo giudice ha ravvisato l'illegittimità della decisione del Comune di Bellusco per l'asserita violazione dell'articolo 31 del D.L. 201/2011, in ciò travisando i fatti poiché non è' stato valutato l'abuso edilizio commesso, ma solo il profilo riguardante la regolarità urbanistico-edilizia delle opere contestate. Avendo l'articolo 36 del d.P.R. 380/2001, come presupposto, l'accertamento della doppia conformità ed essendo le date di riferimento per la valutazione della legittimità dell''intervento, quelle del 13 gennaio 2011 e del 6 aprile 2011 ( accertamento dell'abuso e presentazione dell'istanza di sanatoria), pur potendo l'intervento abusivo essere stato effettuato anche in un periodo anteriore, come sostenuto dal Dong, va evidenziato che il decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 non era in vigore sia al momento di esecuzione dell'intervento che all'atto di presentazione dell'istanza di sanatoria. Quindi, il requisito della doppia conformita' era del tutto assente a quelle date e di conseguenza il Comune non poteva che applicare il citato art. 122 del Piano comunale delle Regole. Lo stesso termine assegnato agli ordinamenti regionali e locali per adeguarsi alle novità introdotte dall'articolo 31 del d.l. n.201/2011 e la loro conseguente perdita di efficacia nel caso di mancato recepimento della predetta norma, non esisteva, non essendo ancora entrata in vigore;
i. la sentenza impugnata ha omesso ogni considerazione in merito all'abuso edilizio eseguito dal signor Dong, il quale, senza alcuna comunicazione e titolo, ha trasformato un deposito di 900 mq. in locale commerciale per la vendita di articoli vari. Risulta, quindi, irrilevante l'ammissibilità dell'intervento sulla base della normativa vigente all'epoca dei fatti, poiché il Comune doveva esercitare il suo potere di vigilanza urbanistico-edilizia sul proprio territorio, come ha fatto nel caso di specie;
l. i motivi aggiunti presentati dal signor Dong avverso l'ordinanza n. 32/2012 vanno dichiarati inammissibili per carenza di interesse, essendo egli solo il conduttore di parte dell'immobile e non avendo pertanto alcun interesse a sindacare l'acquisizione a titolo gratuito dell'area nel caso di mancata ottemperanza all'ordine di demolizione e ripristino;
m. nel ricorso di primo grado e' stata, altresì, contestata dai ricorrenti la legittimità dell'ordinanza n. 32 del 26 luglio 2012, non potendo applicarsi l'articolo 31 del d.P.R. n.380/2001 ad un semplice intervento di manutenzione straordinaria. Fermo quindi l'inammissibilità del ricorso, non essendo stata impugnata l' ordinanza di demolizione e ripristino, le opere contestate non rientrano comunque tra quelle catalogate come manutenzione straordinaria soggetta al regime della SCIA e disciplinate dall'art. 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. n. 380/2011, ma rientrano in quelle di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lettera d) dello stesso d.P.R., essendo peraltro stato accertato un cambio di destinazione d'uso, da deposito ad esercizio commerciale con la creazione di un nuovo spazio pari a 900 mq. con alterazione del carico urbanistico dell'area e con conseguente esigenza di reperimento di nuove aree per servizi e di preventivo rilascio del permesso di costruire. In ogni caso, la disciplina della SCIA non avrebbe potuto trovare applicazione, poiché' nel caso di specie vi è' stata una variazione rispetto all'originario permesso di costruire rilasciato in favore della società Schiavi, che anche alla luce dell'atto unilaterale di obbligo, prevedeva l'insediamento di una media struttura commerciale per una superficie di vendita pari a mq. 1500, mentre in seguito all'intervento contestato l'area di vendita è diventata di ben 2.400 mq. .
n. circa la dichiarazione di improcedibilità per difetto di interesse del ricorso della Società Schiavi, da una parte va ribadita l'inammissibilità del ricorso di quest'ultima, sia per acquiescenza che per mancata tempestiva impugnazione degli atti presupposti e comunque va evidenziata la legittimità del provvedimento di acquisizione dell'area, visto che la medesima società, sempre destinataria di tutti i provvedimenti del Comune, fino all'adozione dell'ordinanza di demolizione n. 32 del 26 luglio 2012, non ha mai eseguito alcun intervento idoneo ad indurre il signor Dong ad eliminare gli abusi edilizi commessi.
4. Con il controricorso del 7 gennaio 2015, l'attuale appellato e originario ricorrente, dopo aver riepilogato i fatti e affermato di avere provveduto ad una semplice ripartizione interna degli spazi , realizzando un muro di separazione in cartongesso e un controsoffitto senza aumento di volumetria dell'immobile di proprietà della società Schiavi, evidenziando che sulla parte a lui locata può' insistere una superficie commerciale di vendita pari a 1500 mq., superficie ugualmente fruibile dall'altra porzione di immobile concessa in locazione ad altra società'. Ciò' in quanto i 1500 mq., previsti dall'atto unilaterale di obbligo stipulato tra Comune e società Schiavi, non si riferiscono alla somma di superficie di cui possono servirsi entrambe le strutture, ma alla superficie di vendita di cui può avvalersi ciascuna delle strutture che occupano le porzioni citate.
Diversamente la società Schiavi non avrebbe assunto, con le convenzioni stipulate con il Comune, gli ingenti oneri per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e non avrebbe ceduto al Comune un'area di superficie pari a 750 mq., oltre a 545 mq.di area di rispetto assumendosi l'obbligo di sistemare e riassettare nuove pavimentazioni, vialetti, giochi e panchine di un parco pubblico, nonché di creare un'area di sosta per autobus e un ulteriore parcheggio pubblico. Riguardando l'autorizzazione n. 242 del 20 ottobre 2010 una superficie di vendita pari a 300 mq., in data 6 aprile 2011 l'attuale parte appellata aveva chiesto il permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del d..P.R. n. 380/2001, per un intervento di manutenzione straordinaria sull'immobile, invero già realizzato. In effetti, l'intervento era stato preceduto dalla presentazione di una SCIA in data 26 ottobre 2010, poi erroneamente ritirata il successivo 2 dicembre per un'incomprensione tra il ricorrente e il tecnico di fiducia. L'istanza di sanatoria era stata quindi presentata proprio per eliminare le irregolarità' prodotte a seguito dell'erroneo ritiro della SCIA che avrebbe consentito un più ampio sfruttamento della superficie destinata alla vendita.
Peraltro, per i citati interventi edilizi veniva attivato un procedimento penale che si concludeva con una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, emanata dal Tribunale di Monza il 29 aprile 2014.
In particolare, l'attuale appellato sui motivi di appello proposti dal Comune, ha osservato quanto segue:
a. sulla mancata impugnazione dell'ordinanza n. 782/2011 e sull'acquiescenza ai provvedimenti comunali a seguito della istanza di sanatoria, l'atto n. 781 del 20 gennaio 2011 non può' essere considerato un'ordinanza, essendo un verbale di sopralluogo per presunta illazione urbanistico-edilizia, come tale non impugnabile. Da esso è conseguita l'ordinanza di rimozione n. 32/2012 impugnata anche dalla società Schiavi. Neppure peraltro l'atto n. 782 del 21 gennaio 2011 è un'ordinanza di ripristino, trattandosi di una comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio pure essa non impugnabile. L'ordinanza n. 6 dell'11 marzo 2011 riguarda, invece, la sospensione dell'attività commerciale per violazione dell'articolo 8 del d.lgs. n. 114/98. Nessuna acquiescenza, né tardività può dunque ravvisarsi nel caso di specie. La sanzione amministrativa è' stata applicata a causa del realizzato ampliamento della superficie di vendita senza alcun titolo. Da qui del resto, la successiva richiesta di permesso in sanatoria. Analogamente non sussiste l'eccepita mancata impugnazione dell'articolo 122 del Piano Comunale delle Regole che è del 2008, cioè' è successivo alle convenzioni stipulate tra la società Schiavi e il Comune e comunque è' in contrasto non solo con le menzionate convenzioni urbanistiche antecedenti al PGT del 2008, ma pure con la legislazione sulla liberalizzazione e, in particolare, con il d.l. n. 201/2011 convertito dalla legge n. 214/2011, i cui effetti sulla normativa preesistente sono stati evidenziati dal primo giudice con un' ampia ed esaustiva motivazione .
b. sull'abuso edilizio e sul diniego di sanatoria, e in particolare sul requisito della doppia conformità, in violazione dell'articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001, va ribadito che il motivo di appello e' inammissibile perché' formulato genericamente, ne' da esso si evince perché il più' volte citato art. 31 del d.l. n. 201/2011, entrato in vigore successivamente alla data di presentazione dell'istanza di sanatoria non si applicherebbe al caso di specie e perché non scaturirebbero gli effetti previsti da quest'ultimo decreto legge, inutilmente decorso il termine assegnato per l'adeguamento degli ordinamenti regionali e locali ai principi in materia di concorrenza. In ogni caso, il principio della doppia conformità non preclude il diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità da quest'ultima, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale provvede sulla domanda di sanatoria. La direttiva Bolkestein relativa ai servizi nel mercato interno è stata, del resto, recepita nel nostro ordinamento dal d.lgs n. 59/2010 e ad essa sono ispirati i provvedimenti di liberalizzazione fra cui l'articolo 31 del d.l. n. 201/2011 convertito dalla legge n. 214/2011. In tal senso, l'istruttoria del Comune conclusasi il 1 febbraio 2012 avrebbe dovuto tenere conto dell'intervenuta nuova legislazione e, in particolare, del fatto che il citato d.lgs. n. 59/2010 di recepimento della direttiva europea era anteriore sia alla realizzazione delle opere, sia alla presentazione dell'istanza di sanatoria e che l'articolo 122 del Piano delle regole non poteva impedire l'applicazione della medesima direttiva, essendo stato abrogato dall'art. 34 del citato d.l. n. 201/2011. La stessa giurisprudenza ha peraltro sancito che l'inutile decorso del termine assegnato per l'adeguamento degli ordinamenti regionali e locali ai principi in materia di concorrenza determina la perdita di efficacia di ogni disposizione regionale e locale con essi incompatibile e comunque non è possibile incidere direttamente o indirettamente sull'equilibrio tra domanda e offerta e non eliminare i vincoli che possono incidere negativamente sull'assetto concorrenziale nel mercato della distribuzione commerciale, e vi è quindi l'obbligo di disapplicare ogni norma contrastante con i principi dettati dal legislatore statale in attuazione del principio di libera concorrenza di stampo comunitario;
c. circa l'eccepita assenza di interesse ad impugnare, con i motivi aggiunti, l'ordinanza n. 32/2012 di ripristino dello stato dei luoghi, l'appellato, insieme con la società' proprietaria dell'immobile, è stato destinatario della citata ordinanza quale conduttore dell'esercizio ed esecutore materiale delle opere;
d. circa le caratteristiche dell'intervento edilizio, non è stato realizzato alcun aumento di volumetria dell'immobile di proprietà della società Schiavi, l'intervento era stato preceduto dalla presentazione della SCIA in data 26 ottobre 2010, poi invero ritirata per un'incomprensione con il tecnico di fiducia e poi seguito dalla istanza di sanatoria per opere rientranti ai sensi dell'art. 27, comma 1, lettera b, della legge regionale, n. 12/2005, tra quelle di manutenzione straordinaria. Nè corrisponde al vero che la parte del capannone in cui sono state realizzate le opere contestate abbia una destinazione a deposito, poiché l'intero capannone, come si evince dalla convenzione, ha destinazione d'uso commerciale-terziario. Non è' stato poi realizzato un nuovo accesso nella facciata sud-ovest, poiché esso già esisteva, mentre è stata aggiunta una porta interna a vetri per proteggere l'interno dall'aria proveniente dalla apertura già esistente, per finalità di risparmio energetico analogamente a quanto ottenuto con la controsoffittatura. Non si tratta, quindi, di un organismo edilizio diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione, da quello oggetto del permesso di costruire o dell'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto, motivo per cui non è applicabile alla fattispecie l'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001;
e. il Comune ha autorizzato nell'edificio di proprietà della società Schiavi l'insediamento di una media struttura con due esercizi commerciali distinti, conformemente a quanto stabilito in sede di convenzione autorizzativa alla realizzazione dell'edificio, convenzione del 28 maggio 2007, in cui la società Schiavi ha convenuto di cedere al Comune un'ulteriore area di mq. 750, a fronte dell'impegno del Comune a rilasciare l'autorizzazione commerciale richiesta, nonché il titolo abilitativo per l'insediamento di un'altra media struttura di vendita fino al raggiungimento della superficie totale massima ammessa per l'insediamento di mq. 1500. Da ciò si evince che anche l'area concessa in locazione al signor Dong ha destinazione d'uso commerciale-terziario e può ospitare una media struttura di vendita di dimensioni sino a 1500 mq., visto che il progetto approvato, in data 29 gennaio 2004, dal Comune come variante al permesso di costruire e allegato all'atto unilaterale d'obbligo di cessione di area a titolo gratuito, qualifica la superficie dell'edificio attualmente in locazione al signor Dong quale superficie commerciale-terziaria. Le opere contestate sono all'interno della superficie coperta e, alla luce delle modifiche intervenute con l'art.13 bis del d.l. n. 83/2012 rientrano addirittura nell'attività edilizia libera alla pari delle modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa. Comunque, anche prima della predetta modifica legislativa, le citate opere rientravano tra quelle di manutenzione straordinaria ex art. 27 della legge regionale Lombardia n. 12/2005, come tali assoggettabili ad un diverso regime sanzionatorio;
f. non vi è stato mutamento di destinazione d'uso, in quanto l'ampliamento ha riguardato l'ambito della medesima destinazione urbanistica e la stessa autorizzazione del ricorrente prevede 300 mq. come superficie di vendita e mq. 1500 come superficie complessiva, senza alcuna altra specificazione. La modifica è semmai intervenuta nell'ambito della medesima categoria funzionale commerciale-terziario, modifica non vietata da alcuna norma del PGT del Comune;
g. circa la sollevata inammissibilità del ricorso della società Schiavi avverso l'ordinanza di ripristino per acquiescenza e per mancata tempestiva impugnazione degli atti presupposti vale quanto osservato alla precedente lettera a. . In merito poi alla sanzione dell'acquisizione di diritto e gratuità al patrimonio comunale dell'opera abusiva e della relativa area di sedime e di pertinenza, essa non è applicabile alla ipotesi in questione che non attiene alla fattispecie di cui all'art. 31 d.P.R. n. 380/2001, ma più specificamente ad opere realizzabili ai sensi dell'art. 22 del medesimo d.P.R. , mediante D.I.A., essendo di manutenzione straordinaria e il cui regime sanzionatorio è disciplinato dal successivo art. 37, che prevede la sola sanzione pecuniaria. Anche ove tali opere rientrassero tra quelle di “ristrutturazione edilizia” la sanzione applicabile sarebbe comunque quella pecuniaria di cui all'art. 33 dello stesso D.P.R. o della demolizione delle opere abusive, mai dell'acquisizione dell'area di sedime al patrimonio del Comune . Quest'ultimo acquisirebbe la proprietà di un capannone realizzato in virtù di regolare permesso di costruire, senza dire che la società Schiavi è estranea alla realizzazione delle asserite opere abusive che non ha mai autorizzato, come si evince da alcune raccomandate del 28 marzo 2011 e del 15 ottobre 2012, pur essendo a conoscenza della presentazione della SCIA da parte del proprio conduttore per la realizzazione delle predette opere. Solo in data 4 dicembre, poi, avendo il Signor Dong chiesto l'annullamento della pratica edilizia, la società Schiavi ne veniva a conoscenza con la notifica della comunicazione di avvio di procedimento sanzionatorio. Da qui la presentazione congiunta dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria, presentata il 6 aprile 2011, non intendendo la società' ostacolare la legittima attivita' commerciale del conduttore. L'accoglimento del ricorso in primo grado conferma che l'interesse legittimo di cui è portatore il Signor Dong è fondato come lo è quello della società, la quale è da ritenersi estranea alle accuse di inerzia nei confronti del conduttore e all'abuso contestato dal Comune con conseguente esclusione dell'applicabilità' della sanzione dell'acquisizione gratuita al patrimonio che può' essere disposta esclusivamente in danno del responsabile dell'abuso edilizio, ove egli sia anche proprietario del bene.
È' stato chiesto, infine, il risarcimento dei danni derivanti dall'eventuale esecuzione dei provvedimenti impugnati.
5. Con memoria del 10 aprile 2015 il Comune di Bellusco ha replicato alle osservazioni delle parti resistenti, evidenziando le opere eseguite eseguite sull'immobile in assenza di titolo e, in particolare, la trasformazione di un deposito di 900 mq. in locale commerciale con l'ampliamento della superficie di vendita del negozio a 1200 mq. contro i 300 mq. autorizzati. E' stato, altresì, specificato che l'intero edificio in cui si trova l'attività' commerciale è stato realizzato nell'ambito di un piano di lottizzazione -terziario avviato nel 1998 e che l'atto unilaterale d'obbligo stipulato tra Comune e Società Schiavi ha previsto che sull'immobile non possa essere esercitata una attività di vendita superiore a mq. 1500, diversamente da quanto ritenuto dalle parti appellate secondo cui i due esercizi di vendita insistenti nell'immobile possono ciascuno occupare una superficie sino a 1500 mq..
L'Amministrazione Comunale ha poi insistito:
a. sull'inammissibilità' del ricorso non dichiarata dal primo giudice, contenendo l'ordinanza n. 782/2011 l'avvertimento di procedere alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi ed essendo quindi evidente la sua natura di provvedimento sanzionatorio da impugnare entro i termini di legge. La citata ordinanza e lo stesso verbale n. 781/2011 sono del resto atti presupposti del diniego di accertamento di conformità e della successiva ordinanza di demolizione, da impugnare al momento del ricorso introduttivo, mentre il signor Dong ha impugnato esclusivamente il diniego di sanatoria del 1 febbraio 2012, come la Società Schiavi si è limitata ad impugnare l'ordinanza n. 32/2012;
b. sull'inammissibilità' del ricorso non dichiarata dal primo giudice, avendo le ricorrenti avuto la piena consapevolezza della concreta lesività dell'articolo 122 del Piano comunale delle Regole sin dal 2008 all'atto della sua approvazione e comunque dal momento in cui è stato accertato e sanzionato l'abuso commesso dal signor Dong, con i provvedimenti del 20 gennaio 2011 e del 21 gennaio 2011 ed essendo il ricorso del Dong stato notificato in data 26 marzo 2012, il ricorso è inammissibile, poiché tardivo.
Ne' e' accettabile la tesi avversaria secondo cui l'approvazione del citato Piano sia stata finalizzata ad impedire la realizzazione della seconda media struttura di vendita, poiché' l'atto unilaterale d'obbligo era precedente all'approvazione e gia' prevedeva le limitazioni indicate;
c. sulla non genericita' della censura circa l'errore commesso dal primo giudice sull'illegittimità del diniego di sanatoria, essendo documentale la mancanza del requisito della doppia conformità, visto che alla data del 13 gennaio 2011 di accertamento dell'abuso e del 6 aprile 2011 di presentazione dell'istanza ex art. 36 d.P.R. n.380/2011, le opere edilizie erano state eseguite in assenza di titolo , ed essendo l'articolo 31 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, stato introdotto nell'ordinamento in una data successiva a quella della citata presentazione della domanda di sanatoria. Ne' era ancora in vigore, a quella data, la successiva norma di cui all'art. 1 del d.l. n. 1/2012, sempre richiamata dal TAR Milano nella sentenza impugnata, secondo cui si devono considerare abrogate le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati, ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l'avvio di nuove attività economiche o l'ingresso di nuovi operatori economici.
La stessa giurisprudenza amministrativa richiede, infatti, la doppia conformità, ossia il rispetto della legge vigente al momento dell'esecuzione dell'abuso e al momento della presentazione della domandata sanatoria, ritenendo irrilevante il fatto che l'intervento diventi conforme in seguito all'entrata in vigore di una nuova normativa più favorevole, essendo devoluto al solo legislatore di prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria, risultando ragionevole il divieto di rilasciare una sanatoria, anche quando dopo la commissione dell'abuso, vi sia stata una modifica favorevole dello strumento urbanistico, onde evitare qualsiasi strumentalizzazione.
La doppia conformità non sussiste quindi, nel caso di specie, poiché comunque l'intervento ha violato l'articolo 122 del Piano comunale delle Regole del Comune di Bellusco, secondo cui il PDR 2008 consente l'insediamento di medie strutture commerciali con superficie di vendita non superiori a mq. 1500 e in ciascuna area specificamente perimetrata sul documento “P.d. R. 12.0 Quadro Territoriale” è possibile la realizzazione di una sola media struttura di vendita.
Il primo giudice non ha comunque valutato che il diniego di sanatoria non era rivolto ad impedire l'esercizio di un'attività commerciale, bensì a sanzionare il cambio di destinazione d'uso da deposito ad esercizio commerciale con la creazione di un nuovo spazio pari a 900 mq. con un intervento di ristrutturazione edilizia previsto dall'articolo 3 comma 1 lett. d., del d.P.R. n.380/2001 eseguito in assenza di qualsiasi titolo e in violazione, altresì, dall'articolo 64 (Disciplina dei mutamenti di destinazione d'uso) del Piano comunale delle Regole, secondo cui devono essere reperite ulteriori aree per servizi, visto che la trasformazione di un deposito in un'area di ben 900 mq. destinati alla vendita, ha evidenti ricadute sul rispetto degli standard urbanistici;
d. sulla contraddittorietà' in cui è incorso il primo giudice circa l'impugnazione dell'ordinanza n. 32/2012 da parte del signor Dong, in quanto, nella fase cautelare, lo stesso giudice aveva precisato l'assenza di legittimazione del medesimo nella sua qualità di conduttore ed esecutore materiale delle opere, poiché' il paventato danno derivante dall'acquisizione di diritto dell'area in caso di inottemperanza all'ordinanza impugnata con i motivi aggiunti, era a carico di un distinto soggetto giuridico proprietario dell'area in questione, valutazione del tutto assente nella successiva decisione di merito;
e. sulle caratteristiche dell'intervento edilizio e sulla legittimità dell'ordinanza di demolizione, in quanto l'intervento eseguito dal Signor. Dong non costituisce manutenzione straordinaria soggetta al regime della SCIA, bensì ristrutturazione edilizia, in cui rientrano, ai sensi dell'articolo 3, comma 1 lett. b) del D.P.R. 380/2001, vigente al momento dell'esecuzione dell'intervento edilizio, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, in assenza di alterazione di volumi, e superfici delle singole unità' immobiliari e di modifiche di destinazione d'uso. Nel caso di specie vi è stato un cambio di destinazione d'uso, da deposito ad esercizio commerciale con la creazione di un nuovo spazio pari a 900 mq. e quindi l'intervento ricade all'interno dell'ipotesi di ristrutturazione edilizia prevista dall'articolo 3, comma 1, lett. d., con la conseguenza della esigenza di recuperare nuove aree per servizi, in conformità alle previsioni del richiamato articolo 64 del Piano comunale delle Regole intervenendo peraltro tale cambio di destinazione tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee.
L'articolo 6, comma 2 del d.P.R. 380/2001, così come modificato dal D.L. 83/2012, richiamato dalla difesa di controparte, non può, del resto, trovare applicazione nel caso di specie, in quanto norma sopravvenuta sia rispetto alla data dell'abuso edilizio che alla data di presentazione della domanda di accertamento. Risulta, quindi, legittimo il provvedimento emanato ex art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, configurandosi una trasformazione edilizia produttiva di vantaggi economici connessi all'utilizzazione di essa;
f. sulla responsabilità della Società Schiavi che, sin dal primo accertamento del 20 gennaio 2011, è stata, insieme con il signor Dong, destinataria di tutti i provvedimenti del Comune, fino all'adozione dell'ordinanza di ripristino n. 32 del 26 luglio 2012, e comunque, in questo intervallo temporale, non ha posto in essere alcun intervento idoneo ad indurre il signor Dong ad eliminare gli abusi edilizi commessi. Il fatto poi che sia il Dong che la predetta Società agiscano congiuntamente in appello denota la sussistenza di una comunanza di interessi che esclude la non conoscenza da parte della società' circa l'attività svolta dal Dong e conferma l'assenza di qualsiasi controllo sull'immobile di proprietà in cui è stata commesso l'abuso edilizio, ampliando la superficie di vendita e cambiando la destinazione d'uso.
6. Con ulteriore memoria di replica del 27 aprile 2015, il signor Dong e la Società Schiavi, ad integrazione di quanto già illustrato, eccepito e argomentato, hanno specificato che il contenzioso in questione ha origine proprio dall'illegittimo diniego del permesso di costruire in sanatoria la cui richiesta era collegata all'assenza di titolo edilizio delle opere, invero precedute dalla SCIA del 26 ottobre 2010, poi ritirata erroneamente il successivo dicembre, sebbene le opere fossero già ultimate e riguardassero una superficie di 500 mq. e non di 900 mq. come sostenuto dal Comune, non investendo comunque la parte dell'immobile già destinata a deposito.
Il Dong e la società Schiavi hanno ribadito, altresì, in merito all'atto unilaterale d'obbligo, che l'interpretazione fornita dal Comune in merito alla superficie di 1500 mq. riguardante entrambe le medie strutture di vendita e non ciascuna di esse, è' contrastante con la lettera della convenzione e con la reale volontà della società Schiavi, la quale non ha neppure realizzato tutta la superficie concessa dal piano di lottizzazione, pur assumendo oneri consistenti nei confronti del Comune. In merito alla mancata impugnazione dell'ordinanza n. 782/2011 e all'acquiescenza agli atti comunali seguiti all'istanza di sanatoria, è stato poi ulteriormente evidenziato che la citata ordinanza è una comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, come tale non impugnabile e altrettanto è' atto endoprocedimentale non impugnabile il verbale n. 781/2011.
Nell'evidenziare, quindi, che la mancata impugnazione dell'articolo 122 del Piano comunale delle Regole e' derivata dalla non conoscenza di tale previsione all'atto della sua approvazione, è stato messo in risalto che l'autorizzazione per la seconda struttura di vendita risale al 2010 sotto il vigore della norma di Piano e che, in ogni caso, è inammissibile la censura concernente la tesi di parte sulla non applicabilita', al caso di specie, dell'articolo 31 del d.l. n.201/2011 e, in particolare, degli effetti conseguenti all'inutile decorso del termine assegnato dal legislatore statale per l'adeguamento degli ordinamenti regionali e locali ai princìpi in materia di concorrenza.
Il Dong e la Società Schiavi hanno, infine, insistito sul fatto che, con le opere contestate, non è stato realizzato alcun aumento di volumetria dell'edificio esistente e che l'istanza di sanatoria è stata presentata per opere rientranti nella manutenzione straordinaria ai sensi dell'articolo 27, comma 1, lettera b. della legge regionale n. 12/2005 ed ancora che l'intero capannone ha destinazione d'uso commerciale-terziario, senza alcuna parte destinata ad uso deposito, come si evince dalla stessa planimetria allegata all'atto unilaterale di obbligo e dal certificato di destinazione urbanistico. L'intervento non ha, pertanto, comportato la creazione di alcun organismo edilizio integralmente diverso da quello oggetto dell'autorizzazione iniziale, ne' vi è stata alcuna modifica di destinazione d'uso tra categorie autonome dal punto di vista urbanistico.
DIRITTO
1. L'appello è fondato per le motivazioni di seguito esposte a cui giova premettere, riepilogandoli in breve sintesi, gli avvenimenti oggetto della questione sollevata, in ragione della complessità della vicenda, soprattutto sotto il profilo fattuale.
1.1. Con autorizzazione n. 242 del 29 ottobre 2010, il Comune di Bellusco, a seguito di sua specifica richiesta, autorizzava il signor Dong, in qualità di titolare della omonima impresa individuale, al sub ingresso al signor Chiang Dafu, nella media struttura commerciale sita in corso Alpi n. 23/2 dello stesso Comune per una superficie di vendita dell'esercizio (settore merceologico), di mq. 300 su una superficie complessiva dell'esercizio di mq. 1500, su cui già insisteva altra attività commerciale autorizzata per una superficie di mq. 1200.
1.2 Qualche giorno prima, in data 25 ottobre 2010, il Signor Dong aveva presentato una SCIA in qualità di proprietario, (in effetti, era locatario risalendo la proprietà dell'immobile alla Società Schiavi S.p.A. - impresa di Costruzioni) per segnalare l'inizio dei lavori sulla unità immobiliare sita al richiamato civico di Via Alpi n. 23, lavori consistenti in opere dichiarate di manutenzione straordinaria ai sensi dell'articolo 27, comma 1, lettera b) della legge regionale n. 12/2005.
La citata segnalazione veniva annullata dallo stesso signor Dong con esplicita richiesta del 2 dicembre 2010, con cui veniva sollevato contestualmente, dagli incarichi di progettista e direttore dei lavori, l'architetto Vincenzo Invernizzi.
1.3 Con rapporto n. 781 del successivo 20 gennaio 2011, funzionari del settore tecnico comunale e della polizia locale, a seguito di sopralluogo presso il citato immobile per verificare l'effettiva mancata realizzazione delle opere inizialmente segnalate e poi annullate, constatavano, invece, la realizzazione di una porta di collegamento tra lo spazio commerciale esistente e la porzione di capannone a sud, la realizzazione di una bussola di ingresso nella facciata lato sud-ovest, con ripostiglio laterale, la realizzazione di un muro di separazione in corrispondenza dei pilastri portanti lungo il lato nord-est, la realizzazione di un controsoffitto su tutte la superficie del locale per un'altezza netta interna di metri tre ed, infine, l'utilizzazione di tutta la superficie del locale per una dimensione complessiva di mq. 500 circa, a scopo commerciale per vendita di abbigliamento.
Nella circostanza, gli accertatori verificavano così che erano state realizzate alcune delle opere edilizie segnalate con la SCIA, ma per le quali era stato dichiarato l'annullamento. Gli stessi accertatori evidenziavano che l'immobile ricadeva in zona urbanistica, secondo il Piano generale del Territorio vigente AMF2 – medie strutture di vendita, il cui articolo 122 del Piano comunale delle Regole 2008 consente l'insediamento di medie strutture commerciali con superficie di vendita non superiore a mq. 1500, ai sensi del d.lgs. n. 114/98 e della legge regionale n. 14/99 nelle aree specificatamente individuate sul documento P.d.R. 12.0 e che, in ciascuna di queste ultime aree, è possibile la realizzazione di una sola media struttura di vendita.
L'accertamento non ometteva di rilevare che, con l'atto unilaterale d'obbligo stipulato il 29 maggio 2007 tra la citata impresa Schiavi e lo stesso Comune di Bellusco, si era pattuito che l'insediamento di una media struttura di vendita era consentito sino al raggiungimento della superficie totale massima ammessa per l'insediamento in quell'immobile e cioè mq. 1500, occupati prima del sopralluogo oggetto del verbale, da un'attività commerciale della superficie di mq. 1200 circa e da un'altra attività commerciale, quella del signor Dong, della superficie di mq. 300.
Il sopralluogo accertava, quindi, che con le opere realizzate la superficie commerciale era stata incrementata di mq. 900 circa. Al verbale risultava allegata documentazione grafica e fotografica comprovante l'esito degli accertamenti.
1.4 A questi ultimi seguiva la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/90, (così del resto era indicato espressamente nell'oggetto della nota n. 782 del 21 gennaio 2011) in cui si avvertiva contestualmente che, qualora il responsabile dell'abuso non avesse provveduto alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di 90 giorni dall'ingiunzione emessa dal Comune, il bene e l'area di sedime sarebbero stati acquisiti gratuitamente al patrimonio comunale.
1.5 Il successivo 11 marzo 2011 con ordinanza n. 6, il Sindaco, sospendeva per venti giorni l'attività commerciale del Dong nell'area non inclusa nell'autorizzazione del 29 ottobre 2010, sulla base del citato rapporto n. 781/2011 e del verbale n. 18 del 22 febbraio 2011 con cui la polizia locale accertava la violazione da parte del signor Dong delle disposizioni di cui all'articolo 8 del d.lgs. 114/98 sul superamento dei limiti di superfici commerciale per medie strutture di vendita.
1.6 In data 4 aprile 2011, poi, il signor Dong, unitamente con la Società Schiavi, richiedeva il permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell'articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001 per le effettuate opere di manutenzione straordinaria ex articolo 27, comma 1, lettera b) della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12, attestando a pag. 3/8 del documento di richiesta che l'immobile oggetto dell'intervento ricadeva in zona AMF2 dello strumento urbanistico vigente con destinazione mono funzionale per media struttura di vendita, come normato dall'articolo 122 del Piano delle Regole dello strumento urbanistico vigente.
1.7 Con nota del 24 giugno 2011, l'ufficio edilizia privata del Comune esaminava la predetta richiesta di permesso in sanatoria per le opere rilevate con l'atto n. 781 del 20 gennaio 2011 e di cui alla successiva ordinanza n. 2/2011 riepilogando quanto previsto dal citato art. 122 del Piano delle Regole e dall'atto unilaterale di obbligo pur esso citato in precedenza, nonché richiamando l'esito del verbale di accertamento e di contestazione dell'incremento della superficie commerciale, concludendo per la violazione commessa nei riguardi del Piano delle Regole e dell'atto unilaterale d'obbligo e con la conseguente non sanabilità delle opere medesime.
1.8 Con nota, prot. n. 9262 del 14 luglio 2011, il Comune di Bellusco procedeva quindi a comunicare, ai sensi dell'articolo 10 bis della legge n. 241/90, l'avviso di rigetto dell'istanza di sanatoria, motivandola con la violazione di quanto previsto dal citato atto unilaterale di obbligo del 29 maggio 2007 in termini di superamento del limite alla superficie totale massima commerciale, ammesso per l'insediamento della media struttura di vendita.
Con successivo atto, prot. n. 1266 del 1 febbraio 2012, impugnato dal signor Dong, il Comune viste le osservazioni pervenute il 21 luglio 2011, accertate le violazioni dell'articolo 122 del Piano delle Regole e dell'Atto unilaterale d'obbligo, considerata la superficie commerciale autorizzata per i due esercizi di vendita insistenti nell'immobile in questione, pari a 1500 mq. e l'incremento di tale superficie commerciale di 900 mq. con conseguente cambio di destinazione dello spazio destinato alla vendita, provvedeva a respingere l'istanza di permesso in sanatoria ai sensi del d.P.R. n. 380/2001. Con ordinanza n. 32 del 26 luglio 2012, veniva così ingiunto al signor Dong, quale conduttore ed esecutore materiale e alla Società Schiavi, quale proprietaria dell'immobile, richiamando il diniego di sanatoria, l'articolo 31 del D.P.R. n. 380/01 e l'ordinanza n. 2/2011 con cui si diffidava la parte a ripristinare lo stato dei luoghi, con l’avvertenza che la inottemperanza avrebbe comportato l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive e della relativa area di sedime.
L'ordinanza n. 32/2012 veniva così impugnata dinanzi al TAR sia dal Signor Dong che dalla Società Schiavi.
2. Riepilogati i fatti, preliminarmente vanno respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dal Comune di Bellusco. Diversamente da quanto ritenuto da quest'ultimo, e come invero sostenuto dagli appellati, l'atto comunale prot. n. 782 del 21 gennaio 2011, non è un'ordinanza di demolizione, ma una comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio di cui all'articolo 31 del d.P.R. n. 380/2001, senza alcun effetto sanzionatorio, ma che, come esplicitamente richiamato nell'atto, sollecita gli interessati signor Dong e Società Schiavi a partecipare al procedimento medesimo mediante l'invio di memorie scritte e documenti.
Essendo sia l'atto n. 782/2011 che il precedente atto n. 781 di accertamento delle violazioni da considerare come atti presupposti del procedimento, essi non erano da impugnare poichè atti endoprocedimentali rispetto all'eventuale successiva ordinanza di demolizione.
Analogamente, va respinta l'eccezione di irricevibilità del ricorso per tardiva impugnazione del diniego di sanatoria, in base alla circostanza che le parti ricorrenti in primo grado non avevano impugnato l’articolo 122 del Piano comunale delle Regole, nonostante avessero avuto contezza della sua lesività concreta, sin dal 2008 anno di approvazione del Piano e comunque dal momento dell'accertamento e della comunicazione di avvio del procedimento. Il contenzioso su cui si è pronunciato il primo giudice riguarda, infatti, il ritenuto illegittimo diniego del permesso di costruire in sanatoria collegato all'assenza di titolo edilizio delle opere realizzate, opere per le quali era stata in un primo tempo presentata la SCIA, poi ritirata a distanza di pochi giorni e per le quali opere, una volta realizzate e consumato l'abuso edilizio, era stata presentata apposita istanza di sanatoria dal conduttore ed esecutore materiale delle opere signor Dong e dalla Società Schiavi proprietaria dell'immobile. In tal senso, il provvedimento di diniego è del 1 febbraio 2012 e il ricorso è stato notificato, nei termini, il 26 marzo 2012.
Nè, invero, produce alcun effetto sull'ammissibilità del ricorso, la mancata impugnazione da parte del signor Dong dell'ordinanza di sospensione n. 6 dell'11 marzo 2011 dell'attività commerciale del Dong, dal momento che l'ordinanza riguarda un altro procedimento sanzionatorio connesso alla violazione dell'articolo 8 del d.lgs. n. 114/98 ed è comunque precedente alla istanza presentata dal signor Dong per sanare l'abuso delle opere realizzate senza alcun titolo. Neppure, in tal senso, vi è quindi acquiescenza alle decisioni comunali successive.
2.1 Ciò posto l'appello è fondato, essendo il citato diniego di sanatoria adottato legittimamente, essendo stata accertata la violazione dell'articolo 122 del più volte citato Piano delle Regole e dell'atto unilaterale di obbligo stipulato tra il Comune medesimo e la Società Schiavi proprietaria dell'immobile.
Circa l'articolo 122 su cui si ritornerà in prosieguo relativamente alla sua applicabilità, questo Collegio osserva che la sua vigenza è richiamata nell'istanza di permesso di costruire in sanatoria del 4 aprile 2011, laddove sia il signor Dong che la società Schiavi attestano che l'immobile oggetto dell'intervento ricade in zona AM F2 dello strumento urbanistico vigente con destinazione funzionale per media struttura di vendita “come normato dall'articolo 122 del Piano Comunale delle Regole” dello strumento urbanistico vigente.
Alla data, quindi, del 4 aprile 2011 alle citate parti era chiara la portata e la vigenza della richiamata norma.
 
2.2 Circa il predetto atto unilaterale di obbligo, dal contenuto del medesimo si evince, secondo i canoni della logicità e della ragionevolezza, che il Comune si impegna a rilasciare un'autorizzazione per l'insediamento di una media struttura commerciale di mq. 1200 e un'altra autorizzazione sino al raggiungimento della superficie totale massima ammessa per l'insediamento di una media struttura di vendita per mq. 1500 – (pagine 2, 3 e 5 dell'atto medesimo stilato davanti al Notaio di Bergamo in data 29 maggio 2007).
Nel rispetto di tale obbligazione, quest'ultima autorizzazione riguardava, infatti, una superficie di vendita di mq. 300 rilasciata al signor Dong con il già citato atto n. 242 del 29 ottobre 2010.
E' quindi priva di fondamento la tesi sostenuta secondo cui l'atto unilaterale di vendita consente a ciascuna delle attività commerciali, inserite nella media struttura di vendita, di raggiungere i mq. 1500, che devono invece intendersi come la superficie totale ammessa per l'insediamento di una media struttura commerciale di vendita che in un immobile non può superare complessivamente i mq. 1500.
L'accertato ampliamento di tale superficie di vendita è quindi illegittimo, perché contrastante con le obbligazioni assunte dalle parti in causa, in coerenza con la funzione di cui al più volte richiamato articolo 122 del Piano delle Regole.
La questione dell'ampliamento dell'attività commerciale accertata anche tramite la destinazione ad altro uso di un'area in precedenza adibita a deposito si intreccia, nella specie, con le opere realizzate abusivamente dal signor Dong per rendere possibile il citato ampliamento, opere abusive perché eseguite senza titolo.
Invero, posto che i lavori connessi a tali opere dichiarate di manutenzione straordinaria ai sensi dell'articolo 27, comma 1, lettera d) della legge regionale n. 12/2005 erano continuati, nonostante fosse venuta meno la SCIA in quanto annullata dalla specifica richiesta dello stesso signor Dong in data 2 dicembre 2010, non vi è dubbio che le opere realizzate fossero, in ogni caso, abusive all'atto dell'istanza di sanatoria e ciò a prescindere dalla stessa natura delle opere medesime di cui si dirà successivamente.
Del resto, la legittimità, ai fini della sanatoria degli interventi realizzati, doveva essere valutata dal Comune ai sensi dell'articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001, verificando la doppia conformità riferita al momento dell'accertamento dell'abuso e al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria, rispettivamente coincidenti con il 13 gennaio 2011, data del sopralluogo da parte del Comune sull'immobile e con il 4 aprile 2011 data di presentazione della citata istanza di sanatoria.
In tal senso, correttamente il Comune ha rilevato l'irregolarità urbanistica edilizia delle opere medesime nei due citati momenti, in ragione della vigenza del Piano delle Regole e dell'attività dell'atto unilaterale d'obbligo, fermo restando che legittimamente le opere contestate non possono rientrare in quelle di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. n. 380/2001, per le quali è sufficiente la SCIA, ma invece configurano interventi di ristrutturazione edilizia di cui allo stesso articolo 3, comma 1, lettera d) del citato D.P.R. in quanto volti a trasformare il precedente organismo edilizio per adattarlo al cambio di destinazione di uso. Il che è avvenuto nella specie poiché è stata accertato la creazione di una nuova area di vendita su una parte del preesistente capannone, in precedenza adibito a deposito, con conseguente alterazione del carico urbanistico dell'area. Peraltro, con riguardo a quanto previsto dall'atto unilaterale di obbligo, vi è stata una variazione rispetto all'originario permesso di costruire rilasciato dal Comune alla società Schiavi, relativo ad un edificio commerciale-terziario della superficie di circa 3552,80 mq., con due autorizzazioni all'insediamento di una media struttura di vendita per complessivi mq. 1500.
2.3. Questo Collegio ritiene legittima anche l'ordinanza n. 32 del 26 luglio 2012, proprio in ragione di quanto motivato in precedenza a proposito di opere costituenti interventi di ristrutturazione edilizia volti a trasformare il precedente organismo edilizio per adattarlo ad una utilizzazione diversa da quella dell'originario permesso di costruire, ciò con l'ampliamento degli spazi destinati alla vendita.
2.4 Non si è trattato quindi, diversamente da quanto ritenuto dal signor Dong e dalla società Schiavi, di opere di semplice ripartizione interna degli spazi finalizzata ad utilizzare completamente la superficie ammessa alla vendita sino a 1500 mq., pur in presenza di una autorizzazione per soli 300 mq., opere in ogni caso realizzate senza alcun titolo.
Nè gli ingenti oneri assunti dalla Società Schiavi e previsti dall'atto unilaterale di obbligo in cambio delle autorizzazioni rilasciate dal Comune, possono giustificare una differente e irragionevole interpretazione circa il limite massimo della superficie di vendita, sino a consentire al signor Dong e alla stessa Società di modificare unilateralmente la portata dei contenuti delle obbligazioni assunte e, in particolare, le autorizzazioni rilasciate dal Comune.
Neppure è possibile ritenere, come pretenderebbe il signor Dong,, che il motivo di appello concernente la mancanza della doppia conformità sia inammissibile perché formulato genericamente, dal momento che esso è invece puntuale e ben articolato e nemmeno che al caso di specie si sarebbe dovuto applicare l'articolo 31 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, essendo entrato in vigore successivamente alla data di presentazione dell'istanza di sanatoria.
Anche comunque a voler superare il principio della doppia conformità cui dianzi si è fatto riferimento e che, ad avviso di questo Collegio, non è superabile, il termine assegnato (30 settembre 2012 per l'adeguamento degli ordinamenti regionali e locali ai principi in materia di concorrenza, stabilito a livello europeo e in linea con il reclutamento della direttiva comunitaria 2006/123 (cosiddetta Bolkestein) operata dal d.lgs. n. 59/2010), non era ancora decorso alla data del provvedimento di rigetto dell'istanza di sanatoria che è del 1 febbraio 2012. Lo stesso termine del 30 settembre 2012 non era neanche decorso alla data del provvedimento comunale del 26 luglio 2012 di ripristino dello stato dei luoghi.
Il Piano delle Regole il cui articolo 122 è stato più volte richiamato era quindi ancora in vigore e il Comune legittimamente lo ha rispettato. Né peraltro, posta l’eccezione della doppia conformità, la portata di tale norma può essere comunque considerata restrizione, tra quelle abrogate dall'articolo 34, comma 3, lettere da a) a g) .
Ed, infine, neppure può essere chiamato in causa l'articolo 6, comma 2 del d.P.R. n. 380/2001, come modificato dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 che ha introdotto la lettera e) bis al citato articolo 6, comma 2, secondo cui sono attività di edilizia libera non richiedenti alcun titolo abitativo le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio di impresa, sempre che non riguardino le parti strutturali, ovvero le modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa. Ciò in quanto la norma è sopravvenuta sia rispetto alla data dell'accertamento dell'abuso edilizio (13 gennaio 2011) che alla data della presentazione dell'istanza di sanatoria (4 aprile 2011) e pure alla data del provvedimento di rigetto della sanatoria medesima (1 febbraio 2012).
2.5 Circa, infine, la responsabilità della Società Schiavi proprietaria dell'immobile, lo svolgersi dei fatti dimostra il pieno sconvolgimento di essa, visto che è stata destinataria di tutti i provvedimenti comunali sin dalla comunicazione di avvio del procedimento di cui all'atto prot. n. 782 del 21 gennaio 2011 e fino alla citata ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi del 26 luglio 2012. Ciò inequivocabilmente è significativo, oltre che della conoscenza di quanto nel tempo stava accadendo, anche dell'inerzia rispetto ai comportamenti illegittimi del signor Dong che, anzi, risultano completamente condivisi nel momento in cui i medesimi hanno proposto appello avverso la richiamata ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi con separati ricorsi, poi riuniti per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva dal giudice di primo grado che ha accolto con la sentenza impugnata il ricorso preposto dal signor Dong e dichiarato improcedibile il ricorso proposto dalla Società Schiavi.
2.6 La sopravvenienza della normativa in precedenza citata, con riguardo sia al d.l. 201/2011 convertito dalla legge 12 dicembre 2011, n. 214 , che al d.l. n. 83/2012 convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, consentono al Comune di Bellusco, nell'ambito della sua discrezionalità ,di riesaminare l'intera vicenda, qualora venga formulata apposita nuova istanza di sanatoria dalle parti interessate, anche alla luce degli adeguamenti degli ordinamenti regionali e locali intervenuti nel frattempo, in coerenza con quanto previsto dal più volte citato articolo 31 del d.l. n. 201/2011 convertito dalla legge n. 214/2011.
3. In conclusione, vanno respinte tutte le eccezioni di inammissibilità formulate dalla parte appellante, ma vanno accolti tutti i motivi di appello e di conseguenza, in riforma della sentenza impugnata, vanno respinti i ricorsi presentati in primo grado dal signor Dong e dalla Società Schiavi.
Per la complessità della vicenda sotto i profili fattuali e soprattutto giuridico, questo Collegio ritiene di compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 9234 del 2014) lo accoglie nei sensi suesposti e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge i ricorsi preposti in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 19 maggio 2015, con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini,Presidente
Maurizio Meschino,Consigliere
Carlo Mosca,Consigliere, Estensore
Vincenzo Lopilato,Consigliere
Marco Buricelli,Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/09/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

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