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Contributo di costruzione

Privato
Venerdì, 24 Febbraio, 2023 - 08:30

Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. n. 1320 del 7/02/2023, sulla possibilità del comune di rideterminare l’importo del contributo di costruzione

MASSIMA

Gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio.

Pertanto, la Pubblica Amministrazione, nel corso di tale rapporto, può sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo di tale contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale, decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, con l’ovvia esclusione della possibilità di applicare retroattivamente coefficienti successivamente introdotti, non vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato.

Ciò è valido anche nel caso opposto, in cui la determinazione del contributo sia coeva al rilascio del permesso di costruire e conseguenziale alla qualificazione dell’intervento edilizio impressa direttamente dal permesso medesimo, provvedimento certamente autoritativo e come tale non disapplicabile.

SENTENZA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9266 del 2016, proposto dal comune di Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luca De Paoli, Gabriele Pafundi e Maria Paola Pessagno, con domicilio eletto presso lo studio Gabriele Pafundi in Roma, via Tagliamento n. 14;

contro

la società OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Cocchi e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone n.44;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sezione I, n. 383 del 20 aprile 2016, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della società OMISSIS;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2023 il consigliere Giuseppe Rotondo; nessuno presente per le parti; dato atto delle istanze di passaggio in decisione depositate dagli avvocati Maria Paola Pessagno, Luca De Paoli, Gabriele Pafundi, Giovanni Corbyons e Luigi Cocchi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è costituito:

a) dalla domanda di annullamento:

a1) della nota-comunicazione del comune di Genova prot. 171464, datata 27 maggio 2015, avente ad oggetto: “S.C.I.A. n. 9741/2014 in via Corsica civ. 6/1 Sc. D. - Richiesta di integrazioni”;

a2) della comunicazione del medesimo comune prot. 22190, datata 23 gennaio 2015, avente ad oggetto: “S.C.I.A. n. 9741/2014 in via Corsica civ. 6/1 Sc. D. - Richiesta di integrazioni”;

b) dalla domanda di accertamento della efficacia della S.C.I.A. presentata dalla società OMISSIS in data 22 dicembre 2014.

2. Questi gli snodi principali della vicenda:

a) l’edificio oggetto di scia è sito in Genova, nel quartiere di Carignano, contraddistinto dal civ. 6/2 scala D e 6/c di via Corsica, costruito tra la fine del 1800 ed i primi del 1900;

b) fino ai primi anni del 1990, esso ospitava gli uffici dell'OMISSIS;

c) nel 1993, fu oggetto di un intervento di frazionamento con variazione del classamento dell'immobile che dalla categoria D/8 (“Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni") è passato alla categoria B/4 ("Uffici pubblici");

d) nel 1997, i locali vennero acquistati dal Comune (atto di compravendita Rep. n. 62093 del 4 dicembre 1997) e destinati, conformemente al nuovo inquadramento catastale, ad "Uffici pubblici", in particolare ad ospitare uffici comunali;

e) nel 2009, una porzione dell’immobile veniva ceduta alla società OMISSIS: l’atto di compravendita attestava (v. ispezione ipotecaria rilasciata dall'ufficio del territorio) che la natura degli immobili trasferiti era quella di "Uffici Pubblici", categoria "B4";

f) in data 23 agosto 2012, l’odierna appellata presentava una d.i.a. per lavori qualificati come "restauro e risanamento", consistenti nella "diversa distribuzione degli spazi interni con demolizione di tramezze, chiusura di due finestre nei prospetti del cavedio e relative opere di finitura";

g) in data 24 dicembre 2014, essa presentava una s.c.i.a. relativamente ad un intervento qualificato come "manutenzione straordinaria", consistente in un frazionamento senza cambio di destinazione d'uso;

h) con nota prot. n. 22190, del 23 gennaio 2015, indirizzata al geom. OMISSIS, il comune di Genova (settore sportello unico dell'edilizia) qualificava diversamente l’intervento, configurandolo “quale ristrutturazione edilizia, come definita dell'art. 10 comma 1 lettera b) della L.R. 18/2008 (..) in quanto il frazionamento determina, altresì, il cambio d'uso dell'immobile da servizi pubblici e/o ad uso pubblico (art. 43 comma 4.1 della N.d.A. del P.U.C. vigente) ad uffici privati (art. 43 comma 4.8 della N.d.A. del P.U.C. vigente) con conseguente aumento del carico urbanistico, come definito dall'articolo 38, comma 1, lettera b) della L.R. 18/2008”, pertanto richiedeva alla società “la corresponsione di oneri maggiori rispetto a quelli dovuti per la destinazione in atto”;

i) in data 29 aprile 2015, la società OMISSIS, per il tramite del proprio tecnico, riscontrava la richiesta di integrazione (nota a firma del geom. OMISSIS) e contestava la qualificazione dell’intervento configurata dal Comune (ristrutturazione edilizia) assumendo che “l'intervento non costituisce un cambio di destinazione d'uso poiché gli uffici esistono dal 1999 in avanti, non è stato compiuto alcun cambio di destinazione d'uso”;

l) con nota prot. 171464, datata 27 maggio 2015, il comune di Genova non ravvisava “elementi per procedere all'annullamento della richiesta dei contributi di costruzione pari all'importo complessivo di €. 62.353,91, di cui alla nota prot. n. 22190 inviata (…) in data 23.01.2015” e contestualmente ribadiva “l’adeguamento della classificazione dell'intervento”.

3. La società OMISSIS impugnava gli atti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Liguria (ricorso allibrato al n.r.g. 718 del 2015), affidando il gravame a due motivi (estesi da pagina 3 a pagina 7), così compendiati:

a) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3, d.p.r. n. 380/2001, come sostituito dall'art. 17, d.l. n. 133/2014 - violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 16 l.r. n. 25/1995 - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 23-ter d.P.R. n. 380/2001, come introdotto dall'art. 17 d.l. 133/2014 - eccesso di potere per falsità dei presupposti e/o travisamento. Difetto di presupposti. Difetto di istruttoria e/o di motivazione;

b) violazione delle medesime norme e relativi principi ed eccesso di potere per gli stessi principi sotto altri aspetti;

c) sospetta incostituzionalità dell'art. 13, comma 1, l.r. n. 16/2008, così come modificato dalla l.r. n. 9/2015, per violazione dell’art. 117 Cost., ove interpretata in senso non conforme alla legislazione nazionale (art. 23-bis, d.P.R. n. 380/2001).

3.1. Si costituiva il comune di Genova, eccependo l’irricevibilità del ricorso per tardività.

3.2. Il T.a.r per la Liguria, con sentenza 20 aprile 2016, n. 383:

a) respingeva l’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado, avendo concesso il beneficio dell’errore scusabile;

b) in relazione al primo motivo del ricorso:

b1) dichiarava inammissibile la censura - per mancata impugnazione dell’art. 43 delle norme di attuazione dello strumento urbanistico generale del Comune di Genova, recante l’elenco di categorie funzionali in cui la destinazione “servizi” è distinta da quella “uffici” – (capo non impugnato);

b2) respingeva, comunque, nel merito la tesi della ditta OMISSIS, ritenendo insussistente il presupposto sulla base del quale il Comune aveva qualificato l’intervento come ristrutturazione edilizia, ossia il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile;

c) accoglieva il secondo motivo - in quanto “non risultando mutata la precedente destinazione ad uffici, non sussiste il presupposto - passaggio tra diverse categorie funzionali - sulla base del quale l’amministrazione resistente ha operato la contestata qualificazione dell’intervento edilizio” - e conseguentemente annullava i provvedimenti impugnati;

d) compensava fra le parti le spese di lite.

4. Il comune di Genova ha interposto appello (allibrato al n.r.g. 9266/2016) affidato a 2 autonomi mezzi di gravame (estesi da pagina 7 a pagina 16).

4.1. In data 19 gennaio 2017, si è costituita la ditta OMISSIS per resistere all’impugnazione comunale e proporre a sua volta appello incidentale.

4.2. Nel corso del giudizio:

a) il comune di Genova ha dichiarato in più occasioni, anche ai fini di cui all’art. 82 c.p.a., di avere interesse alla definizione del giudizio;

b) entrambe le parti hanno depositato memorie difensive (rispettivamente: il comune in data 27 dicembre e la ditta OMISSIS in data 19 dicembre 2022).

5. All’udienza del 19 gennaio 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.

6. Sia l’appello principale che quello incidentale devono essere disattesi e l’impugnata sentenza confermata con diversa motivazione.

7. L’appello incidentale è inammissibile ab origine in quanto la ditta OMISSIS, nel riproporre il primo motivo del ricorso instaurativo del giudizio, ha omesso di gravare il capo della sentenza che tale primo motivo ha dichiarato inammissibile per la mancata impugnazione dell’art. 43 n.t.a. - pag. 7, righi da 1 a 13 (cfr. sul principio di diritto, Cons. Stato, sez. IV, n. 941 del 2021, sez. V, n. 2763 del 2009).

8. L’appello principale è, parimenti, infondato per le seguenti ragioni.

9. L’oggetto del giudizio è rappresentato dall’accertamento della debenza o meno del contributo di costruzione.

10. Il petitum è stato in questi termini qualificato e assodato dal T.a.r., con statuizione non impugnata (v. pagina 5, righi da 3 a 5 della sentenza avversata), e ribadito espressamente dal comune di Genova (v. pagina 10 dell’appello principale, in cui si afferma che “il Giudice di prime cure ha constatato che l'oggetto del contendere è rappresentato "dall'assoggettamento o meno dell'intervento al contributo concessorio" ed, in effetti, solo questa è la sostanza delle note gravate, non essendo mai stata enunciata la necessità di un titolo abilitativo espresso”).

11. Orbene, dovendosi tenere per ferma tale qualificazione, in tali casi l’azione del privato che contesta la debenza del contributo di costruzione è proponibile nel termine di prescrizione.

11.1. Sul punto, l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 30 agosto 2018, n. 12, ha affermato i seguenti principi di diritto:

i) “Gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio;

ii) la pubblica amministrazione, nel corso di tale rapporto, può pertanto sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo di tale contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, con l’ovvia esclusione della possibilità di applicare retroattivamente coefficienti successivamente introdotti, non vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato.

11.2. Tale conclusione è coerente con quanto affermato dalla sezione nel caso opposto, in cui la determinazione del contributo sia coeva al rilascio del permesso di costruire e conseguenziale alla qualificazione dell’intervento edilizio impressa direttamente dal permesso medesimo, provvedimento certamente autoritativo e come tale non disapplicabile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 659 del 19 gennaio 2023 cui si rinvia a mente dell’art. 88, comma 2, lett. d) c.p.a.).

12. Così correttamente qualificata l’azione, diviene irrilevante la contestazione (di cui al primo motivo di appello) in ordine alla concessione del beneficio dell’errore scusabile da parte del T.a.r.

13. Scendendo al merito della controversia, occorre esaminare il secondo motivo dell’appello principale - incentrato sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 l.r. Liguria n. 16/2008, sul travisamento dei fatti operato dal T.a.r. e sulla motivazione incongrua posta a sostegno del dispositivo - col quale il comune di Genova ha censurato il capo di sentenza che ha accolto il secondo motivo di ricorso originario circa l’assenza, nella fattispecie, del cambio di destinazione d'uso.

14. Il motivo di appello è infondato.

14.1. Tutti i titoli, edilizi e notarili (classamento dell'immobile 1993, atti di compravendita del 1997 e del 2009, d.i.a. del 2012, nonché l’uso effettivo e concreto dell’immobile (occupato dall’OMISSIS per i propri uffici fino agli inizi degli anni novanta del secolo scorso; poi utilizzato dal comune, prima della parziale cessione, per accogliere anch’esso i propri uffici), hanno sempre affermato e costantemente ribadita la medesima destinazione a “uffici”.

14.2. In particolare, la d.i.a del 2012 (in cui si assevera la destinazione a “uffici” dell’immobile) non è mai stata contestata dal comune in sede inibitoria o di autotutela; essa, pertanto, costituisce titolo edilizio a tutti gli effetti, idoneo a regolare, in parte qua, il rapporto tra le parti.

14.3. Sul punto, rileva la lettera dell’art. 13, l.r. 6 giugno 2008, n. 16 dal contenuto univoco: “1. Si definiscono mutamenti di destinazione d'uso funzionale gli interventi volti a trasformare, senza esecuzione di opere edilizie, la destinazione d'uso in atto di una unità immobiliare o di un edificio comportanti il passaggio a diverse categorie di funzioni come definite dalla legge regionale 7 aprile 1995, n. 25 (disposizioni in materia di determinazione del contributo di concessione edilizia) e successive modifiche e integrazioni. 2. Per destinazione d'uso in atto si intende quella risultante dal pertinente titolo abilitativo ovvero, in mancanza di esso, da diverso provvedimento amministrativo rilasciato ai sensi di legge ovvero, in difetto o in caso di indeterminatezza di tali atti, quella in essere alla data di approvazione dello strumento urbanistico generale vigente o, in subordine, quella attribuita in sede di primo accatastamento, quella risultante da altri documenti probanti ovvero quella desumibile dalle caratteristiche strutturali e tipologiche dell'immobile esistente”.

14.4. La norma regionale, nella parte in cui chiarisce che “Per destinazione d'uso in atto si intende quella risultante dal pertinente titolo abilitativo …”, è conforme ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale in forza del quale, salvo che una specifica norma non disponga diversamente, la destinazione d’uso di un immobile deve risultare formalmente dal titolo edilizio di riferimento (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 4810 del 2020).

14.5. In particolare, la giurisprudenza ha affermato (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1712 del 2013) che “La destinazione d'uso giuridicamente rilevante di un immobile è unicamente quella prevista da atti amministrativi pubblici, di carattere urbanistico o catastale, dovendosi del tutto escludere il rilievo di un uso di fatto che in concreto si assume sia stato praticato sull'immobile, risultante da circostanza di mero fatto. Tale uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a modificare ex sé la qualificazione giuridica dell’immobile”.

14.6. La stessa giurisprudenza ha anche chiarito che “le categorie catastali rilevano ai fini dell’individuazione delle destinazioni delle unità immobiliari ivi censite per cui, in difetto di indicazione nei titoli abilitativi, la precisa ed inequivocabile destinazione catastale costituisce un elemento che non può essere pretermesso o ignorato né dalla P.A. e neppure dai relativi proprietari”.

15. Questo basta per poter concludere che, essendoci stata una variazione del classamento dell'immobile che dalla categoria D/8 (“Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni") è passato alla categoria B/4 ("Uffici pubblici"), ed essendo tale classamento ribadito e confermato nei titoli edilizi succedutisi fino al 2014, riconosciuti sempre validi ed efficaci dall’amministrazione civica, il Comune non doveva, anzi non poteva, affatto prescindere dalle predette risultanze .

16. Acclarata la destinazione e l’uso funzionale dell’immobile ad “uffici”, non ha alcun fondamento fattuale (anzi, è sconfessata) la tesi del comune secondo la quale l’edifico in questione avrebbe destinazione a “sevizio pubblico”, con conseguente modifica della destinazione d’uso a seguito del divisato intervento.

17. Neppure ha pregio la tesi secondo cui l’immutazione funzionale dipenderebbe dal passaggio da “uffici pubblici” a “uffici privati”.

17.1. Entrambe queste destinazioni appartengono alla medesima classe direzionale (id est, macrocategoria: v. art. 23-ter d.p.r. n. 380 del 2001) e costituiscono, all’’interno di questa, soltanto una ulteriore distinzione delle sottoclassi: direzionale pubblico, direzionale privato.

18. In conclusione, per quanto sin qui argomentato, sia l’appello principale che quello incidentale devono essere respinti.

19. La reciproca soccombenza consente al collegio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., di compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge entrambi gli appelli, principale e incidentale e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza con diversa motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore

Luca Monteferrante, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Giuseppe Rotondo Vito Poli

 

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

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