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Prelazione beni pubblici

Privato
Sabato, 9 Marzo, 2024 - 12:30

Cons. Stato, Sez. VII, Sent., (data ud. 06/06/2023) 19/10/2023, n. 9102, sul diritto di prelazione benni pubblici

MASSIMA

Il diritto di prelazione di cui all'art. 4-bis della l. 3 maggio 1982, n. 203 - ai sensi del quale ove il locatore alla scadenza del contratto intenda concedere in affitto il fondo a terzi, deve comunicare le offerte ricevute al conduttore, che ha diritto di prelazione se entro quarantacinque giorni dal ricevimento di tale comunicazione offre condizioni uguali a quelle comunicategli dal conduttore - è stato esteso ai beni demaniali e del patrimonio indisponibile dall'art. 6 del d.lgs. n. 228/2001. (Riforma T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. II, 2 luglio 2021, n. 626.)

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1691 del 2022, proposto dalla sig.raA.R., rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Gritti e Daniele Manca Bitti e con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, via L. Luciani, n. 11;

contro

E.R. e alle Foreste della Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Raffaela Antonietta Maria Schiena e con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Mario Sanino, in Roma, v.le Parioli, n. 180;

nei confronti

Azienda Agricola P.D., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - sede di Brescia, Sezione Seconda, n. 626/2021 del 2 luglio 2021, resa tra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso R.G. n. 297/2019.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'E.R. e alle Foreste della Lombardia;

Visti i documenti dell'E.R., le memorie e le repliche delle parti;

Vista l'istanza dell'appellante di passaggio della causa in decisione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2023 il Cons. Pietro De Berardinis e udito per l'Ente appellato l'avv. Franco Viola su delega dell'avv. Schiena;

Viste le conclusioni della parte appellante come da verbale;

Svolgimento del processo

Con l'appello in epigrafe la sig.ra A.R. agisce per la riforma della sentenza del T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 626/2021 del 2 luglio 2021.

La sentenza avversata ha respinto il ricorso proposto dall'odierna appellante in riassunzione rispetto alla causa instaurata innanzi al G.O., per ottenere l'accertamento del tempestivo esercizio del diritto di prelazione ex art. 4-bis della L. n. 203 del 1982 e pertanto dell'esistenza di un contratto di concessione tra la stessa sig.ra R. (concessionaria uscente che ha inteso esercitare la prelazione) e l'E. (Ente Regionale per i Servizi all'Agricoltura e Foreste della Lombardia, d'ora in avanti anche solo "Ente") avente a oggetto i terreni, con annessi fabbricati, dell'Alpe regionale "Cigoleto-Stabil Solato-Poffe di Stabil Fiorito" in Comune di Bovegno (BS).

In fatto, la sig.ra R. stipulava il 7 maggio 2012 con l'E. un contratto di concessione avente ad oggetto i terreni in questione per svolgervi l'attività di pascolo e allevamento di animali; il contratto aveva durata di quattro anni e prevedeva un canone di € 6.000,00 annui.

Alla scadenza del rapporto contrattuale, l'E. ha chiesto il rilascio dei terreni per procedere alla concessione degli stessi mediante gara pubblica. A detta gara ha partecipato anche la ricorrente, che, tuttavia, ha ottenuto un punteggio inferiore a quello dell'aggiudicatario. A questo punto, però, la ricorrente ha inteso esercitare il diritto di prelazione ex art. 4-bis della L. n. 203 del 1982, offrendo le medesime condizioni dell'aggiudicatario (il quale aveva offerto un canone annuo di € 15.200,00), ma l'E. ha negato che nel caso di specie la prelazione potesse applicarsi.

La sig.ra R. adiva quindi il Tribunale di Brescia, Sez. Specializzata Agraria, che, però, dichiarava il difetto di giurisdizione con sentenza n. 1853/2018 del 20 giugno 2018.

La ricorrente ha riassunto il giudizio innanzi al T.A.R. Lombardia - Brescia, che, con la sentenza impugnata, dopo avere ravvisato la tempestività e l'ammissibilità della riassunzione (respingendo l'eccezione di inammissibilità sollevata al riguardo dall'E.R.S.A.F.), ha respinto il ricorso in quanto infondato nel merito, mentre ha parzialmente accolto la domanda riconvenzionale presentata dallo stesso Ente (il quale aveva chiesto il risarcimento dei danni per il mancato rilascio dei terreni nella stagione 2016 e il conseguente mancato introito dei canoni, nonché per l'asserito - ma ad avviso del T.A.R. indimostrato - danneggiamento dei beni).

Nel gravame l'appellante contesta il percorso argomentativo e le conclusioni della sentenza di prime cure, deducendo i seguenti motivi:

1) violazione, mancata e/o falsa ed erronea interpretazione e/o applicazione di norme di legge (artt. 1341, 1342, 1362, 1363 e 1370 c.c.), carenza di motivazione e/o intrinseca illogicità della motivazione ed erronea interpretazione della concessione-contratto, poiché, al contrario di quanto affermato dal T.A.R., la ricorrente non avrebbe sottoscritto alcuna clausola, contenuta nell'atto di concessione, di rinuncia all'esercizio del diritto di prelazione ex art. 4-bis della L. n. 203 del 1982. Del resto, l'eventuale pattuizione della rinuncia sarebbe nulla e/o annullabile ed in ogni caso inapplicabile, non potendosi ammettere una rinuncia preventiva a un diritto prima che questo sia sorto e se ne sia concretizzato il contenuto;

2) violazione, mancata e/o falsa ed erronea applicazione e/o interpretazione di norme di legge (art. 4-bis della L. n. 203 del 1982), carenza di motivazione e/o intrinseca illogicità della motivazione, poiché il primo giudice avrebbe altresì errato nel dichiarare l'inapplicabilità della disciplina invocata dalla ricorrente in relazione all'attività di pascolo e allevamento di animali, per essere la stessa riservata alla coltivazione vera e propria dei fondi: la giurisprudenza cui ha riguardo la sentenza sarebbe, infatti, relativa alla prelazione agraria e conseguente retratto di cui all'art. 8 della L. n. 590 del 1965 e non alla prelazione ex art. 4-bis della L. n. 203 del 1982. Comunque, il fondo condotto dall'appellante sarebbe a tutti gli effetti oggetto di coltivazione da parte dell'azienda agricola di cui ella è titolare, mediante la pratica del pascolamento.

La sig.ra R. ha concluso chiedendo, in riforma della sentenza avversata, l'accoglimento del ricorso di primo grado e, pertanto, la declaratoria che, con la ricezione della raccomandata da lei inviata in data 11 aprile 2016, ella avrebbe tempestivamente e regolarmente esercitato il diritto di prelazione di cui all'art. 4-bis L. 3 maggio 1982, n. 203 cit., con la conseguente conclusione con l'Ente di un contratto di concessione dei terreni per cui è causa per la durata di sei anni dal 15 aprile 2016 con canone annuo di € 15.200,00. Ha chiesto, inoltre, la condanna dell'E. alla consegna dei terreni, con restituzione immediata del godimento degli stessi in proprio favore, e la declaratoria del proprio diritto a occuparli a titolo di affitto fino alla scadenza del contratto di concessione. Da ultimo, ha chiesto - in riforma di altro capo della sentenza appellata - il rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta dall'E.R., non essendovi stata alcuna occupazione illegittima dei terreni da parte sua.

Si è costituito in giudizio l'E.R., depositando di seguito documentazione sui fatti di causa e una memoria, con cui ha eccepito: a) in rito, l'omessa impugnazione, da parte della ricorrente, degli esiti della gara per l'affidamento in concessione dei terreni e, in specie, dell'aggiudicazione di questi ad altro concorrente (l'Azienda Agricola P.D.), non avendo la sig.ra R. neppure formulato al G.O. domanda di disapplicazione di tali atti, con il corollario dell'inammissibilità del ricorso di primo grado; b) sempre in rito, l'inammissibilità del secondo motivo, avendo la parte affermato per la prima volta in appello di svolgere attività di coltivazione dei fondi, in violazione del divieto di nova ex art. 104 c.p.a.; c) nel merito, l'infondatezza del primo motivo, per avere le parti espressamente sottoscritto la clausola dei patti in deroga recante la deroga all'art. 4-bis della L. n. 203 del 1982, nonché, altresì, del secondo motivo, poiché i terreni della malga oggetto di concessione, per loro natura, consentirebbero solo l'attività di pascolo degli animali e non anche la coltivazione del terreno.

Ancora, l'Ente eccepito la mancata impugnazione, ad opera dell'appellante, del capo della sentenza di prime cure recante la pronuncia sulla domanda riconvenzionale proposta dallo stesso E.R.S.AF., ciò che determinerebbe acquiescenza in parte qua alla sentenza, con conseguente inammissibilità di ogni deduzione avversaria sul punto. In subordine, ha rilevato che la somma riconosciuta dal giudice di prime cure sarebbe comunque dovuta per legge, proprio in virtù dell'uso ed occupazione del bene pubblico, di tal ché anche un eventuale (e denegato) accoglimento del gravame non farebbe venire meno le somme riconosciute all'Ente nella decisione avversata.

L'appellante ha depositato una memoria, con cui ha contestato l'ammissibilità delle nuove produzioni documentali di controparte, siccome contrastanti con il divieto ex art. 104 c.p.a., e in ogni caso ne ha lamentato l'inconferenza, insistendo, inoltre, per l'accoglimento del gravame.

Le parti hanno altresì depositato entrambe memoria di replica e l'appellante ha depositato istanza di passaggio della causa in decisione senza previa discussione orale.

All'udienza pubblica del 6 giugno 2023 è comparso il difensore dell'appellata. Di seguito, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Viene in decisione l'appello proposto dalla sig.ra A.R. contro la sentenza con cui il T.A.R. Lombardia, Brescia ha respinto il ricorso dalla stessa formulato in riassunzione rispetto a precedente giudizio instaurato innanzi al G.O., al fine dell'accertamento dell'esercizio tempestivo e corretto da parte sua del diritto di prelazione ex art. 4-bis della L. n. 203 del 1982 (introdotto dal D.Lgs. n. 228 del 2001) e, per conseguenza, della conclusione e dell'esistenza di un contratto di concessione tra la ricorrente e l'E. avente ad oggetto l'Alpe regionale "Cigoleto-Stabil Solato-Poffe di Stabil Fiorito" con annessi fabbricati, sita nel Comune di Bovegno (BS).

In sintesi, dopo aver qualificato il bene come appartenente al patrimonio indisponibile della Regione Lombardia (foresta) e aver ribadito, sulla falsariga di quanto già accertato dal G.O., che l'interessata ha ottenuto la disponibilità del bene stesso tramite una concessione, il T.A.R. ha osservato come nella concessione fosse stata esclusa l'applicabilità alla fattispecie del diritto di prelazione di cui all'art. 4-bis della L. n. 203 del 1982 e come la clausola recante detta esclusione fosse legittima ed efficace ai sensi dell'art. 23 della L. n. 11 del 1971. Quest'ultimo, infatti, ammette gli accordi in deroga alle norme in tema di contratti agrari se stipulati con l'assistenza delle associazioni di categoria, come verificatosi nella vicenda in esame.

A supporto dell'inapplicabilità del diritto di prelazione, il giudice di prime cure ha aggiunto l'ulteriore motivazione, in base alla quale la disciplina invocata dalla parte ricorrente non trova applicazione in relazione all'attività di pascolo ed allevamento di animali, essendo riservata alla coltivazione vera e propria dei fondi.

Così riassunte le motivazioni della sentenza appellata, in via preliminare va respinta, perché del tutto priva di fondamento, l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall'E. in ragione della mancata impugnazione, da parte della sig.ra R., degli atti della gara con cui, una volta scaduto il contratto di concessione, si è proceduto a un nuovo affidamento in concessione dei terreni per cui è causa e, in specie, del provvedimento di aggiudicazione degli stessi all'Azienda Agricola P.D..

L'infondatezza dell'eccezione emerge con palese evidenza ove si consideri che ciò di cui si duole la ricorrente (e odierna appellante) è che non le sia stato consentito l'esercizio del diritto di prelazione ex art. 4-bis della L. n. 203 del 1982: prelazione che ha quale necessario antecedente logico la circostanza che la concessione sia stata aggiudicata ad altro soggetto. Come già rilevato dal T.A.R, la ricorrente non contesta la legittimità degli atti, ma pretende di vanificare gli esiti della procedura di evidenza pubblica in virtù del suo diritto di esercitare la prelazione.

In altre parole, la pretesa vantata dalla ricorrente presuppone l'aggiudicazione del bene della vita (i terreni in concessione) ad un altro soggetto, la cui offerta la predetta ricorrente (prelazionaria) dovrà pareggiare onde poter esercitare la prelazione; tale pretesa è, invece, ontologicamente incompatibile con la contestazione, da parte della prelazionaria, della legittimità dell'aggiudicazione, attraverso la sua impugnazione in giudizio.

La differenza ha risvolti concreti, poiché con l'impugnazione dell'aggiudicazione la parte ricorrente mira a conseguire il bene della vita secondo le condizioni da essa formulate nella propria offerta e quindi, sotto il profilo economico, sulla base del canone da essa offerto (pari per la sig.ra R. ad € 5.800,00: cfr. verbale della gara pubblica del 2 marzo 2016). Con l'esercizio del diritto di prelazione, invece, la parte è costretta a pareggiare l'offerta dell'aggiudicatario e dunque, nel caso di specie, è tenuta ad accollarsi il più gravoso canone da questo offerto (€ 15.200,00).

Sempre in via preliminare, va poi dichiarata inammissibile per carenza di interesse l'eccezione della difesa dell'E. volta a contestare l'ammissibilità del secondo motivo di appello, nella parte in cui con esso l'appellante ha allegato di svolgere e di avere svolto attività di coltivazione dei fondi, in quanto si tratterebbe di argomento nuovo, che, come tale, contrasterebbero con il divieto ex art. 104 c.p.a.; ma sul punto va rilevato che quella dell'avere coltivato i fondi è solo una delle argomentazioni difensive addotte dall'appellante a sostegno del secondo motivo, per supportare il quale la sig.ra R. ha fatto ricorso anche all'ulteriore argomentazione secondo cui l'esclusione dell'attività di pascolo dalla sfera applicativa della prelazione ex art. 4-bis della L. n. 203 del 1982 è errata, in quanto discende dalla confusione tra quest'ultima e la distinta previsione dell'art. 8 della L. n. 590 del 1965: e tale ulteriore argomentazione è, come si dirà infra, corretta e da condividere, di tal ché nessun beneficio potrebbe trarre l'Ente appellato dall'eventuale accoglimento della sua eccezione, poiché il secondo motivo di gravame rimarrebbe comunque ammissibile.

Per ragioni analoghe, sono altresì infondate le considerazioni che l'E. pretende di desumere dalla partecipazione dell'appellante alla gara pubblica indetta dall'Ente per il nuovo affidamento in concessione dei terreni.

Tale partecipazione - si eccepisce - sarebbe sintomatica della consapevolezza e volontà dell'odierna appellante di accettare il "patto in deroga" all'art. 4-bis e di accettare la procedura scelta dalla P.A.: senonché, dalla partecipazione alla gara non è possibile evincere in alcun modo un comportamento della parte che abbia il significato di una rinuncia al diritto di prelazione (in disparte la validità di una tale rinuncia), potendosi semmai, in via di mera ipotesi, ricollegare a una simile condotta (così come alla "accettazione" della procedura) il significato di un'acquiescenza tacita al diniego di rinnovo della concessione, che però è qualcosa di ben diverso dalla prelazione.

Da ultimo, per quanto riguarda eventuali dubbi sulla possibilità di esperire in questa sede un'azione di accertamento, si osserva che tali dubbi non hanno ragion d'essere, vertendosi, come stabilito dal Tribunale di Brescia - Sez. Spec. Agraria con la sentenza n. 1853/2018 del 20 giugno 2018, in una materia devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a. (che elenca le controversie aventi a oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici con l'eccezione di quelle concernenti "indennità, canoni e altri corrispettivi") e avendo la posizione vantata natura di diritto soggettivo (il diritto potestativo di prelazione): ne consegue l'ammissibilità dell'azione di accertamento (C.d.S., Sez. IV, 6 giugno 2016, n. 2394; Sez. VI, 3 ottobre 2014, n. 4954; Sez. V, 5 marzo 2014, n. 1064).

Venendo al merito dell'appello, osserva il Collegio che i motivi con lo stesso dedotti sono ambedue fondati.

È necessario far precedere la disamina dei suddetti motivi da una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

L'art. 4-bis della L. 3 maggio 1982, n. 203, aggiunto nel corpo di detta legge dall'art. 5 del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, stabilisce che, ove il locatore alla scadenza del contratto intenda concedere in affitto il fondo a terzi, deve comunicare le offerte ricevute al conduttore: costui ha diritto di prelazione se entro quarantacinque giorni dal ricevimento di tale comunicazione offre condizioni uguali a quelle comunicategli dal conduttore.

Tale diritto di prelazione è stato esteso ai beni demaniali e del patrimonio indisponibile dall'art. 6 del menzionato del D.Lgs. n. 228 del 2001. In particolare, il suddetto art. 6 D.Lgs. n. 228 del 2001 (rubricato "Utilizzazione agricola dei terreni demaniali e patrimoniali indisponibili"), al comma 1, così recita: "Le disposizioni recate dalla legge ….., dalla legge …., dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, e successive modificazioni, si applicano anche ai terreni demaniali o soggetti al regime dei beni demaniali di qualsiasi natura o del patrimonio indisponibile appartenenti ad enti pubblici, territoriali o non territoriali, ivi compresi i terreni golenali, che siano oggetto di affitto o di concessione amministrativa". Il successivo comma 4-bis del citato art. 6 D.Lgs. n. 228 del 2001 - nella versione introdotta dal D.L. 17 maggio 2022, n. 50 (conv. con L. 15 luglio 2022, n. 91) -, a sua volta, nell'istituire un regime di preferenza, in caso di scadenza del contratto di affitto o della concessione amministrativa, per i giovani imprenditori agricoli (di età tra 18 e 40 anni) i quali abbiano manifestato interesse all'affitto o alla concessione, fa salvo "il diritto di prelazione di cui all'art. 4-bis della L. 3 maggio 1982, n. 203": vero è che quest'ultima disposizione è posteriore alla fattispecie per cui è causa, nondimeno essa conferma l'applicabilità del diritto di prelazione ex art. 4-bis L. 3 maggio 1982, n. 203 cit. alle concessioni amministrative di beni demaniali o di beni del patrimonio indisponibile (com'è quella qui in esame, atteso l'accertamento operato sul punto dalla sentenza del Tribunale di Brescia - Sez. Spec. Agraria, n. 1853/2018 del 20 giugno 2018).

L'applicabilità del diritto di prelazione di cui al citato art. 4-bis L. 3 maggio 1982, n. 203 alle concessioni di beni pubblici che, come nel caso de quo, fanno parte del patrimonio indisponibile della Regione (v. ancora sul punto la sentenza del Tribunale di Brescia - Sez. Spec. Agraria n. 1853/2018, cit.) non è esclusa dal fatto che su tali terreni siano svolte le attività di pascolo ed allevamento (v. C.d.S., Sez. III, 23 novembre 2021, n. 7842, che ha confermato T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I-bis, 6 maggio 2021, n. 5298). Anticipando la trattazione del secondo motivo di appello, la contraria opinione espressa dalla sentenza appellata non può essere condivisa, in quanto si basa sul richiamo alla giurisprudenza che si è occupata del diritto di prelazione previsto dall'art. 8 della L. n. 590 del 1965 a favore dell'affittuario del fondo (v. Cass. civ., Sez. III, 2 marzo 2007, n. 4958; id. 20 dicembre 2005, n. 28237; cfr., altresì, Cass. civ., Sez. III, 13 marzo 1995, n. 2906, che dà conto dell'univoco orientamento giurisprudenziale sul punto), ma, come si vedrà meglio infra, quest'ultimo è un istituto diverso e autonomo rispetto al diritto di prelazione ex art. 4-bis della L. n. 203 del 1982.

Tanto premesso in linea generale e passando alla disamina dei motivi di appello, con il primo motivo l'appellante lamenta, innanzitutto, di non avere mai rinunciato al diritto di prelazione, contestando l'interpretazione che il T.A.R. ha dato della clausola del contratto di concessione ("patti in deroga") che conterrebbe tale rinuncia. Invoca, in proposito, anche l'art. 1370 c.c., allegando e documentando la prassi dell'E. di inserire nei contratti di concessione delle aree pubbliche clausole di tenore identico a quella in esame. Deduce, infine, che tale clausola, pur se intesa nel senso che essa preveda la rinuncia alla prelazione, sarebbe comunque invalida, non essendo consentita la rinuncia preventiva a un diritto prima che questo sia sorto e se ne sia concretizzato il contenuto.

Osserva al riguardo il Collegio che, per vero, il contratto di concessione stipulato tra le parti in data 7 maggio 2012 reca in calce, tra le clausole specificamente sottoscritte dalle parti, quella denominata "Patti in deroga", in base alla quale il concessionario "approva espressamente" "la deroga all'art. 4 bis della L. n. 203 del 1982 introdotto dal D.Lgs. n. 228 del 2001, relativo al diritto di prelazione". Per l'effetto, si potrebbe ritenere, come ha fatto il T.A.R., che la clausola con la rinuncia al diritto di prelazione ci sia e che sia stata specificamente sottoscritta dalla concessionaria. Tuttavia, la formulazione della stessa è tutt'altro che perspicua, non essendo chiarito - come sarebbe stato necessario - in che modo operi la deroga, se ad es. essa riguardi l'an del diritto (quindi la sua esistenza), ovvero il quando (e cioè il termine per esercitarlo) o il quomodo (e così la forma per il suo esercizio).

Va aggiunto, in chiave di interpretazione letterale, che ove le parti avessero inteso con detta clausola prevedere in maniera inequivoca la non spettanza alla concessionaria di alcun diritto di prelazione, avrebbero dovuto parlare esplicitamente di "rinuncia" della stessa a tale diritto, anziché di "deroga", non meglio specificata, all'art. 4-bis (salva la validità di una tale "rinuncia": ed è forse proprio per questo che si è preferita la formula più equivoca della "deroga").

Orbene, in presenza di una clausola di tenore tutt'altro che chiaro, non può che richiamarsi il principio civilistico ("interpretatio contra stipulatorem") secondo cui le clausole contrattuali inserite in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro (art. 1370 c.c.): principio che è applicabile al caso di specie, avendo l'E.R., per sua stessa ammissione, predisposto il testo del contratto con l'inserimento di una formula che, ad onta della sua equivocità, si presta all'utilizzo da parte dall'Ente in casi analoghi (cfr. Cass. Civ., sez. III, 29 settembre 2005, n. 19140; id., 27 maggio 2003, n. 8411; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 5 gennaio 2017, n. 23) e che comporta l'obbligo per questo giudice di interpretare la clausola de qua in senso contrario all'Ente concedente (predisponente) e favorevole al privato concessionario: nel senso, cioè, che essa non ha inciso sull'an del diritto di prelazione, disponendone la soppressione.

Del resto, ove non si accedesse a tale opzione ermeneutica, si dovrebbe concludere per la nullità della clausola in discorso, rilevabile ex officio, per indeterminatezza del suo oggetto, non essendo possibile comprendere quale sia l'oggetto della menzionata "deroga" (se l'esistenza del diritto di prelazione, la tempistica del suo esercizio, le modalità, o altro).

Il significato tutt'altro che univoco della clausola sui "patti in deroga" impedisce, poi, di attribuire rilevanza alla presenza del rappresentante dell'organizzazione professionale agricola (che ha del pari sottoscritto il contratto di concessione) onde riconoscere validità alla "rinuncia", ai sensi e per gli effetti dell'art. 45 della L. n. 203 del 1982. Questo, infatti, ha sostituito l'ultimo comma dell'art. 23 della L. 11 febbraio 1971, n. 11 ("nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici"), il quale attualmente così recita: "Sono validi tra le parti, anche in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari, gli accordi, anche non aventi natura transattiva, stipulati tra le parti stesse in materia di contratti agrari con l'assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro organizzazioni provinciali, e le transazioni stipulate davanti al giudice competente. ….". La previsione deroga al primo comma dell'art. 23 L. n. 11 del 1971 cit., che invece sancisce l'invalidità delle rinunce o transazioni aventi a oggetto diritti dell'affittuario derivanti sia dalla stessa L. n. 11 del 1971, sia da "ogni altra legge, nazionale o regionale".

Peraltro, la giurisprudenza ha osservato come le rinunce preventive a un diritto futuro e non ancora entrato nel patrimonio del rinunciante sono nulle quando urtino contro principi di ordine pubblico, o contro la causa stessa del contratto, ovvero siano vietate da norme inderogabili (Cass. civ., Sez. III, 31 maggio 2012, n. 8729, intervenuta proprio in materia di contratti agrari e che ha sancito la validità della rinuncia preventiva all'indennità per i miglioramenti fondiari ex art. 17 della L. n. 203 del 1982, se effettuata nell'ambito di accordi stipulati a norma dell'art. 45 della stessa L. n. 203 del 1982, con l'assistenza delle rispettive organizzazioni professionali). Di tal ché, anche a voler superare i dubbi sull'interpretazione della clausola in esame che si sono sopra visti, residuano grosse perplessità che la stessa sia in ogni caso nulla, per la ratio che è a fondamento del diritto di prelazione ex art. 4-bis della L. n. 203 del 1982, che è quella di tutelare l'affittuario - parte più debole del rapporto - garantendo la continuità della sua impresa mediante la prosecuzione del rapporto di affitto di un determinato fondo rustico oltre la scadenza, anche se alle nuove condizioni statuite dal locatore. Sotto questo punto di vista, allora, la fattispecie è accostabile alla rinuncia preventiva del conduttore all'indennità di avviamento, di cui la giurisprudenza ha sancito la nullità (Cass. civ., Sez. III, 26 febbraio 2020, n. 5127; id., 30 settembre 2019, n. 24221), poiché in ambedue le ipotesi il carattere preventivo della rinuncia fa adombrare una posizione di debolezza della parte, a cui la legge reagisce con la sanzione della nullità (di tal ché, ad es., la rinuncia successiva è invece sempre possibile).

In conclusione, pertanto, per tutte le ragioni fin qui esposte il primo motivo dell'appello è fondato e deve essere condiviso.

Va del pari condiviso il secondo motivo, poiché, come già accennato, il primo giudice ha fondato la declaratoria di inapplicabilità alla fattispecie del diritto di prelazione sull'assunto che tale diritto non si estenderebbe alle attività di pascolo e di allevamento di animali, ma sarebbe riservato alla vera e propria coltivazione dei fondi (attività - si osserva incidentalmente - alla quale l'odierna appellante risulta del tutto estranea): senonché, tale riserva viene motivata con il richiamo alla giurisprudenza espressasi sul diverso istituto del diritto di prelazione previsto dall'art. 8 della L. n. 590 del 1965, che non va confuso con il diritto di prelazione per cui è causa, regolato, come detto, dall'art. 4-bis della L. n. 203 del 1982.

Sul punto vanno integralmente condivise le considerazioni svolte dall'appellante, la quale ha messo in evidenza come si tratti di istituti diversi e con finalità diverse.

Il diritto di prelazione di cui all'art. 8 della L. n. 590 del 1965 cit. si applica solo in caso di compravendita del fondo condotto in affitto e comporta una preferenza per il conduttore che sia coltivatore diretto, allo scopo di favorire l'acquisto dei terreni agricoli da parte di chi effettivamente li coltiva e riunire nella stessa persona la qualità di proprietario e coltivatore diretto del fondo, così da favorire la costituzione di imprese autonome: di conseguenza, il diritto di prelazione (e riscatto) è riconosciuto a condizione che il soggetto coltivi il fondo (Cass. civ., Sez. III, n. 28237/2005, cit.).

Il diritto di prelazione di cui al riferito art. 4-bis si applica in caso di stipula di un nuovo contratto di affitto con un soggetto diverso e accorda una preferenza al precedente affittuario ove il proprietario intenda continuare ad affittare il terreno agricolo, al fine, come già indicato, di garantire la continuità dell'impresa agricola. A questo fine è richiesta dal Legislatore solo l'esistenza di un valido contratto di affitto agrario (o, ai sensi dell'art. 6 della L. n. 228 del 2001, di una concessione amministrativa), non richiedendosi il requisito soggettivo della qualità di coltivatore diretto, inteso come colui che coltiva personalmente la terra. Ciò spiega perché la mancanza di tale requisito soggettivo in capo a colui che esercita l'attività di pascolo ed allevamento di animali, se impedisce che costui possa beneficiare del diritto di prelazione di cui alla L. n. 590 del 1965, non gli preclude invece l'esercizio della prelazione di cui all'art. 4-bis della L. n. 203 del 1982.

Da ultimo, non hanno ragione di sussistere i dubbi sulla compatibilità della disciplina ora in esame con il diritto unionale, tenuto conto, da un lato, della difficoltà di configurare posizioni giuridiche di interesse eurounitario nel caso di specie, dall'altro, del recente orientamento della Sezione favorevole a riconoscere la compatibilità del diritto di prelazione con le procedure competitive indette dalla P.A. per la concessione di beni pubblici (C.d.S., Sez. VII, 4 aprile 2023, n. 3486).

A questo punto mette conto precisare che nel caso di specie la tempestività dell'esercizio, da parte dell'appellante, del diritto di prelazione è pacifica e si desume dalla documentazione in atti, nonché dalla stessa ricostruzione operata dall'Ente appellato nelle sue difese: dall'una e dall'altra si ricava, infatti, che l'E. ha dato comunicazione alla concessionaria uscente dell'esito della gara con nota del 16 marzo 2016, a fronte della quale è pervenuta all'Ente il 14 aprile 2016 una missiva (datata 11 aprile 2016) con cui il legale della sig.ra R., scrivendo "in nome e per conto" della sua assistita, ha comunicato la volontà di costei di esercitare il diritto di prelazione; questo, perciò, è stato esercitato nel rispetto del termine di n. 45 giorni di cui al comma 3 del citato art. 4-bis L. 3 maggio 1982, n. 203.

Va pure precisato che gli impegni assunti dall'odierna appellante con l'esercizio della prelazione non si limitano alla parificazione all'offerta dell'Azienda aggiudicataria sotto il profilo economico, ma si estendono agli aspetti gestionali, com'è del resto palesato dalla missiva datata 11 aprile 2016, in cui la predetta appellante "offre condizioni uguali sotto qualsiasi aspetto e profilo sia a quelle comunicate espressamente dall'ente locatore, sia a quelle non indicate in maniera espressa, ma necessarie ai fini della sottoscrizione del contratto di affitto" e, dunque, non limitate al solo profilo del canone annuo di € 15.200,00 (con tutte le ricadute sul piano degli adempimenti).

In conclusione, l'appello è fondato e da accogliere, attesa la fondatezza di ambedue i motivi con esso dedotti.

Per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado deve essere accolto, con conseguente accoglimento delle domande proposte dalla ricorrente (ove del caso, nei termini di uno spostamento in avanti del rapporto concessorio, sul piano temporale, a far data dalla comunicazione della presente decisione).

Inoltre, in accoglimento di espressa domanda formulata nell'atto di appello, va respinta la domanda riconvenzionale proposta in primo grado dall'E.R., dovendo procedersi anche per questo capo della sentenza appellata (che tale domanda aveva parzialmente accolto) alla riforma della sentenza stessa. Ciò, salve le compensazioni tra partite di credito (spettante alla parte privata per le somme già corrisposte in esecuzione della sentenza) e di debito (per le somme che la parte privata dovrà versare a titolo di futuri canoni), a cui le parti decidano eventualmente di addivenire, anche per ragioni di semplificazione.

Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese del doppio grado del giudizio, attese la novità e complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Settima (VII), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado, respingendo la domanda riconvenzionale formulata dalla resistente Amministrazione, nei termini di cui in motivazione.

Compensa le spese del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2023, con l'intervento dei magistrati:

Claudio Contessa, Presidente

Raffaello Sestini, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore

Marco Valentini, Consigliere

 

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

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