Consenso all'uso dei cookie

Tu sei qui

Riqualificazione aree - accordi di programma - Cons. Stato, sez. IV, sent. n.6164 del 17.12.2014

Pubblico
Giovedì, 18 Dicembre, 2014 - 01:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n.6164 del 17 dicembre 2014, su accordi di programma e accordo integrativo finalizzato alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e riqualificazione urbanistica di area - ris.danni
 
N. 06164/2014REG.PROV.COLL.
 
N. 01289/2014 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 1289 del 2014, proposto da: 
Tr Estate Due S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Mangialardi, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, Via Principessa Clotilde N.2; 
contro
Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Antonella Forloni, Fabio Cintioli, Pio Dario Vivone, con domicilio eletto presso Fabio Cintioli in Roma, Via Vittoria Colonna 32; 
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissario Delegato ex Opcm N.3874/10, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati, costituitisi in giudizio; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – Sede di MILANO- SEZIONE II n. 02402/2013, resa tra le parti, concernente accordi di programma e accordo integrativo finalizzato alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e riqualificazione urbanistica di area - ris.danni
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lombardia e di Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Commissario Delegato ex Opcm N.3874/10;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Clarizia, Mangialardi, Vivone, Cintioli e l'Avvocato dello Stato Fedeli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – sede di Milano - ha soltanto parzialmente accolto il ricorso di primo grado proposto dall’ odierna parte appellante principale T.R. Estate Due S.R.L.
Quest’ultima aveva proposto un complesso petitum, volto ad ottenere l’annullamento degli atti e dei provvedimenti con i quali la Regione Lombardia si era determinata a non adempiere agli obblighi a suo carico rivenienti dall’Accordo di programma 21.12.2007 e dell’Accordo integrativo del 30.9.2009 (in particolare dell’art. 4, comma 4) stipulati fra le parti in epigrafe ed aventi ad oggetto la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e riqualificazione urbanistica dell’area ex SISAS nei Comuni di Pioltello e Rodano.
Accompagnavano detto petitum demolitorio una serie di domande accertative, finalizzate ad ottenere – in estrema sintesi- una pronuncia dichiarativa che desse atto che la stessa si era comportata correttamente; che le amministrazioni intimate non avevano onorato i detti accordi; che, conseguentemente, venisse liquidato alla odierna appellante il risarcimento dei danni cagionati, il controvalore dell’attività da essa svolta, oltre ad una serie di poste accessorie.
Il primo giudice con la sentenza non definitiva n. 594 del 5.3.2013, ha estromesso dal giudizio la Provincia di Milano ed i Comuni di Pioltello e Rodano, ed ha disposto incombenti istruttori a carico delle Amministrazioni statali resistenti (incombenti successivamente ottemperati).
Ha poi in parte definito la causa con la sentenza oggetto della odierna impugnazione.
Ivi ha anzitutto ricostruito, anche sotto il profilo cronologico, la seriazione fattuale che aveva dato luogo al contenzioso, facendo presente che nel territorio dei Comuni di Pioltello e Rodano, in provincia di Milano, si collocava un’area industriale dismessa di circa 305.000 mq, ove insisteva - un tempo - uno stabilimento chimico della società SISAS (Società Italiana Serie Acetica Sintetica) Spa.
Quest’ultima era dichiarata fallita con pronuncia del Tribunale di Milano del 2001, mentre l’area era qualificata come sito da bonificare di interesse nazionale (SIN), ai sensi della legge 388/2000.
In detta area erano presenti tre discariche, identificate con le lettere “A”, “B” e “C”.
Alcuni operatori privati manifestando interesse all’acquisizione ed alla successiva bonifica dell’area medesima, avevano dato vita ad una apposita società, denominata TR Estate Due Srl e fra quest’ultima e le Amministrazioni Pubbliche vene stipulato in data 21.12.2007 un accordo di programma ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. 267/2000 finalizzato all’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica del sito predetto, oltre che all’individuazione degli interventi di riqualificazione ambientale ed urbanistica dell’area stessa.
Il successivo 30.9.2009, le stesse parti sottoscrissero un atto integrativo dell’accordo di programma originario.
A seguito di tale atto integrativo era insorto un contenzioso fra la detta esponente e le altre parti dell’accordo di programma, di fronte alla difficoltà di completamento delle operazioni di integrale bonifica del suolo.
Venne proposto un ricorso davanti al TAR Lombardia per l’annullamento dell’accordo di programma; tale ricorso venne accolto con sentenza n. 1057 del 27.4.2011, integralmente riformata dal giudice amministrativo d’appello con sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2934/2012.
A seguito di detta sentenza d’appello venne (ri) attribuita piena efficacia all’AdP (accordo di programma).
Nel frattempo ed a fronte degli oggettivi rallentamenti delle operazioni di recupero dell’area “ex SISAS”, con ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3874 del 30.4.2010, adottata ai sensi dell’art. 5 della legge 225/1992, venne nominato un Commissario Delegato per la prosecuzione delle attività di bonifica, vista anche la procedura per violazione degli obblighi comunitari avviata nei confronti dello Stato Italiano dalle Autorità dell’Unione Europea, per omessa adozione delle misure necessarie alla salvaguardia ambientale nel sito.
Sostanzialmente l’ odierna appellante aveva chiesto l’ accertamento dell’inadempimento degli accordi (ed in particolare di quello integrativo del 2009),da parte delle Amministrazioni e la conseguente condanna al risarcimento dei danni subiti ed al rimborso delle spese effettuate per gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica del sito di cui sopra.
Il Tar ha quindi fatto precedere la disamina del petitum da un partito esame del contenuto dell’accordo di programma originario del 21.12.2007 e di quello integrativo del 30.9.2009 ed ha successivamente rilevato che, in punto di fatto, non v’era contrasto in ordine alla attività svolta dall’odierna appellante.
La stessa parte odierna appellante, infatti nel proprio atto introduttivo di primo grado (punti 26 e seguenti, pag. 13), aveva dato atto di avere provveduto alla rimozione dei rifiuti nella discarica “C” ma di avere soltanto avviato le operazioni di bonifica delle altre due discariche “A” e “B”.
Essa aveva anche sostenuto che dette operazioni non sarebbero state completate per cause ad essa non imputabili: e nella verifica di ciò, risiedeva il proprium della causa.
Sotto il profilo “storico”, comunque, ed impregiudicata la “causale” dei rallentamenti (in relazione ai quali la parti processuali prospettavano posizioni antitetiche ed inconciliabili), a fronte del mancato rispetto del cronoprogramma delle operazioni di bonifica ed al rischio di una pesante sanzione a carico dello Stato Italiano da parte delle Autorità dell’Unione Europea per inadempimento degli obblighi di bonifica del sito la Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCDM), con decreto del 16.4.2010, aveva dichiarato ai sensi della legge 225/1992 lo stato di emergenza per lo svolgimento dell’attività di bonifica delle discariche “A” e “B”.
Con successiva ordinanza n. 3874 del 30.4.2010 era stato poi nominato un Commissario Delegato per l’esecuzione delle attività di cui sopra.
Nei due provvedimenti della PDCM si era dato atto della circostanza che l’operatore privato TR Estate non era stato in grado di rispettare il programma dei lavori e i tempi per la conclusione di questi ultimi, necessari invece per evitare l’infrazione comunitaria (la predetta aveva impugnato i due atti sopra citati davanti al TAR Lazio, ric.RG 5588/2010 pendente).
Posto che la premessa di fondo della azione intrapresa dall’odierna appellante riposava nella circostanza che la medesima negava ogni propria responsabilità nel mancato completamento della bonifica del sito, sostenendo che lo stesso sarebbe derivato da causa ad essa non imputabile (ed invece ascrivibile nella violazione degli Accordi di Programma) da parte delle Amministrazioni, il Tar ha in primo luogo scrutinato detto argomento preliminare.
Di esso ha affermato la infondatezza.
Ritenuto applicabile alla fattispecie (ex art. 11 c.II della legge n. 241/1990) il combinato-disposto di cui agli artt. 1218, 1256, ed 1176 del codice civile, il Tar ha affermato il convincimento per cui lo sforzo di diligenza ascrivibile all’appellante doveva essere individuato ex art. 1176 c.II del c.c., trattandosi di un operatore professionale tenuto a specifici obblighi in forza degli Accordi in parola.
Era incontrovertibile che essa si era limitata semplicemente alla rimozione dei rifiuti della sola discarica “C”; e del pari incontestabile era l’emergenza processuale per cui mentre l’obbligo contrattualmente assunto (articoli 5, 6, 7 e 9 dell’AdP e l’art. 3 dell’atto integrativo), riguardava la <>, oltre alla <> (cfr. l’art. 5 dell’AdP del 2007).
A fronte del detto inadempimento, quindi, le giustificazioni addotte dalla appellante circa la presunta difficoltà a trovare la discarica per i rifiuti rimossi, non potevano assurgere ad impossibilità assoluta della prestazione ( tale da escludere la responsabilità del debitore).
Esse, invece, costituivano mere difficoltà di ordine tecnico ed economico ad eseguire la prestazione, non idonee come tali a liberare il debitore dal proprio obbligo.
Non poteva quindi utilmente invocarsi il concetto di sopravvenuta impossibilità della prestazione.
Ciò si evinceva, peraltro –ad avviso del Tar- dalla circostanza che con propria nota del 10.6.2010, il Commissario Delegato aveva notificato a TR Estate ed al Direttore dei Lavori una relazione, con l’invito ad aderire, recante l’individuazione dei siti di possibile conferimento dei rifiuti presenti nell’area e che a detta nota non era stata prestata alcuna adesione (le lettere della società rispettivamente in data 18 e 24 giugno 2010 si erano limitate al richiamo della lettera dell’art. 4, comma 4°, dell’accordo integrativo).
In sintesi, ad avviso del Tar risultava provata la circostanza per cui l’appellante, a fronte alle difficoltà di ordine tecnico ed economico legate all’adempimento dei propri obblighi, aveva tenuto una condotta tesa non all’esecuzione dei patti convenuti, ma piuttosto volta ad ottenere un’anticipata risoluzione consensuale, con contestuale rimborso dei costi sostenuti (il doc. 7 copia del verbale di consegna delle aree al Commissario Delegato, nel quale era dato atto dell’intendimento di TR Estate di cedere le aree alla Regione, oltre che dell’indisponibilità della società stessa al completamento della bonifica).
Ne discendeva che non poteva accogliersi la tesi per cui l’appellante non versava in una condizione di “inadempimento imputabile”.
Così risolta detta prima problematica, il primo giudice ha esaminato la connessa tematica relativa al supposto –e denunciato- inadempimento da parte della Regione e delle Amministrazioni statali agli obblighi sulle stesse discendenti dall’ art. 4 dell’atto integrativo.
Ha in proposito osservato che l’obbligo di cui all’art. 4, comma 2° dell’atto integrativo non potesse porsi in termini di piena reciprocità con il dovere di bonifica in capo alla società.
Ciò, ad avviso del Tar, per un duplice ordine di ragioni: l’art. 7.7 dell’AdP, subordinava il rilascio dei titoli all’integrale rimozione dei rifiuti nelle tre discariche; il rilascio di un’autorizzazione commerciale presupponeva, sotto il profilo logico, la previa bonifica integrale del suolo, non potendosi neppure ipotizzare l’esercizio di un’attività d’impresa in un sito inquinato.
In particolare, la prescrizione di cui all’art. 4 dell’atto integrativo conteneva una serie di pattuizioni resesi necessarie a seguito dell’acquisizione dell’area da parte di TR Estate prima della conclusione delle procedure volte alla bonifica ed alla riqualificazione dell’area stessa, (acquisizione avvenuta attraverso atto a rogito del notaio dr. De Vincenzo dell’11.6.2009); in particolare, il comma secondo di fronte all’anticipata disponibilità del sito prevedeva che – prima del suo recupero e quindi prima della possibilità di insediarvi concretamente nuove attività produttive, commerciali e residenziali – la Regione ed i Comuni interessati (art. 4 comma 2°) garantissero l’accoglimento di una istanza di autorizzazione commerciale per grande struttura di vendita, oppure la facoltà di rilocalizzare sull’intero territorio regionale la superficie autorizzata.
Non poteva però affermarsi, ad avviso del Tar, che la prosecuzione e completa definizione dell’attività di bonifica fosse “condizionata” dall’inverarsi dell’impegno che si erano assunte le Amministrazioni.
Così delineata l’architettura dell’accordo integrativo, il primo giudice ha poi fatto presente che il comma III del citato art. 44 imponeva invece a talune delle parti pubbliche - Regione Lombardia e Ministero dell’Ambiente – in caso di non applicazione del comma secondo, di definire, sulla base della certificazione di un soggetto terzo designato al Presidente del Tribunale di Milano, i costi e le spese sostenuti dalla società sul sito.
Detta pattuizione, quindi, integrava un obbligo volto ad assicurare a TR Estate l’economicità dell’intervento, posto che l’art. 4 dell’accordo integrativo del 2009 dettava le condizioni per assicurare alla società, dopo l’acquisto dell’intera area “ex SISAS” dal Fallimento, l’equilibrio economico e finanziario dell’operazione di recupero dell’area stessa.
Detta previsione integrava certamente un negozio a prestazioni corrispettive fra la parte privata e quelle pubbliche.
Nel capo 3 della sentenza il Tar ha poi preso in esame la domanda di rimborso dei costi sostenuti proposta da parte appellante ed ha vagliato la contrapposta eccezione di inadempimento proposta ex art. 1460 CC dall’Amministrazione centrale e da quella Regionale (peraltro la sola Presidenza del Consiglio dei Ministri, che attraverso il Commissario Delegato aveva proceduto alla bonifica in luogo di TR Estate, aveva eccepito altresì in compensazione il maggior credito derivante dai costi della bonifica stessa).
Il Tar ha in proposito manifestato il convincimento per cui –ferma l’ammissibilità della eccezione ex art. 1460 CC, in quanto pacificamente sollevabile anche, per la prima volta, in sede giudiziale- tale eccezione dovesse essere valutata alla stregua della previsione di cui al comma II del medesimo articolo (l’esecuzione non può rifiutarsi se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario a buona fede, il che implicava che detta eccezione di inadempimento dovesse valutarsi secondo criteri di equivalenza e proporzionalità).
E proprio alla stregua di tali parametri non poteva negarsi che TR Estate avesse provveduto allo smaltimento dei rifiuti nella discarica “C”, oltre ad avere sostenuto oneri finanziari al momento dell’acquisto dell’immobile, allorché aveva anche provveduto all’accollo delle ipoteche gravanti sul sito.
Tale attività di limitato recupero dell’area inquinata e quindi di parziale adempimento degli obblighi contrattuali non poteva essere totalmente disconosciuta dalle parti pubbliche contraenti (Regione Lombardia e Ministero dell’Ambiente), che si erano peraltro assunte l’obbligo contrattuale (artt. 4 e 8 dell’atto integrativo del 2009), di garantire l’equilibrio economico e finanziario della gestione.
Ne conseguiva che il rifiuto a corrispondere all’appellante alcunché non appariva, ad avviso del Tar, rispettoso dei canoni di buona fede negoziale: ciò tanto più che le Amministrazioni avevano riconosciuto la rilevanza e l’utilità delle operazioni di smaltimento poste in essere (anche se la discarica “C” non è stata bonificata), visto che la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, per lo meno all’atto della declaratoria dello stato di emergenza nel 2010 aveva limitato il proprio intervento alle discariche “A” e “B”;.
Ed anche le perizie tecniche relative ai costi sostenuti da TR Estate, al di là delle questioni attinenti alla corretta stima dei costi stessi, evidenziavano l’avvenuto svolgimento dell’attività di smaltimento nella discarica “C”, e né il Ministero dell’Ambiente né la Regione avevano , in via riconvenzionale, proposto alcuna domanda risarcitoria volta a contestare, ad esempio in compensazione, la pretesa avversaria.
In ordine ai soggetti tenuti a corrispondere all’appellante i costi sostenuti essi sono stati individuati dal Tar nella Regione Lombardia e nel Ministero dell’Ambiente.
E’ stata invece esclusa, in particolare, la responsabilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri (PDCM), oltre che del Commissario Delegato (che peraltro risultava avere cessato le proprie funzioni): ciò in quanto la Presidenza era rimasta estranea agli accordi contrattuali, (essendo intervenuta al fine di dichiarare lo stato di emergenza sull’area, per il completamento della bonifica della stessa, senza che sussistesse in capo alla predetta Amministrazione statale alcun obbligo di garanzia dell’economicità dell’intervento svolto dalla società).
Quanto alla quantificazione delle somme da riconoscersi alla appellante qual rimborso dei costi sostenuti, il primo giudice si è avvalso della previsione dell’art. 34, comma 4°, del D.Lgs. 104/2010 indicando a quali criteri si sarebbero dovute conformare le Amministrazioni nel predisporre l’offerta delle somme all’appellante.
Ed a tal proposito, il Tar (punto 4.2. della gravata decisione) ha escluso che la somma potesse essere pari alla certificazione dei costi come risultante dalla perizia redatta dal tecnico ing. Guido Albertalli, nominato dal Presidente del Tribunale di Milano a seguito di istanza congiunta della Regione Lombardia e di TR Estate del 10.3.2010.
Ciò in quanto la prescrizione di cui all’art. 4, comma 3°, dell’accordo integrativo (contemplante la possibilità che la definizione dei costi sostenuti dalla società fosse oggetto di una certificazione da parte di un terzo, designato dal Presidente del Tribunale di Milano) non poteva dirsi inverata, posto che la Regione, attraverso i propri legali, aveva tempestivamente avvisato l’ing. Albertalli della insussistenza ( a seguito dell’evoluzione contenziosa dei rapporti fra le parti) dei presupposti di cui all’art. 4, comma 3°, dell’accordo integrativo, sicché l’attività di certificazione era proseguita, da parte del tecnico incaricato e per sua stessa ammissione, pur in assenza della definizione delle questioni giuridiche sollevate dalle parti
Ciò aveva condotto l’ing. Albertalli medesimo ad attestare che non avrebbe proceduto alla certificazione (e la Regione aveva comunque contestato le risultanze della perizia dell’ing. Albertalli, trattandosi di un conteggio formale redatto sulla base di dati forniti dalla appellante, senza contraddittorio).
Ad avviso del Tar, ai fini della proposta ex art. 34 del c.p.a., avrebbe dovuto essere preso in esame il differente conteggio redatto dagli stessi Uffici Regionali e versato in giudizio dalla difesa regionale (perizia del dirigente ing. Elefanti del 12.7.2012).
Inoltre, ad avviso del Tar, si sarebbe dovuto tenere altresì conto degli eventuali costi direttamente ed immediatamente sostenuti dalla Regione e dal Ministero per la partecipazione eventuale alle operazioni di smaltimento e bonifica svolte da parte del Commissario Delegato in sostituzione di TR Estate, (costi che avrebbero dovuto compensare gli oneri riconosciuti a quest’ultima).
Il primo giudice ha poi fatto presente che sulla somma corrispondente ai costi effettivamente sostenuti e determinati secondo criteri di congruità e rispetto dell’andamento del mercato, avrebbe dovuto essere definita in contraddittorio una percentuale di abbattimento, tenuto conto dell’adempimento soltanto parziale di TR Estate che impediva un riconoscimento integrale dei costi stessi, dovendosi in ogni caso garantire un equilibrio contrattuale a fronte di prestazioni che la società non ha in gran parte eseguito.
Il Tar ha precisato che tale percentuale di abbattimento – sulla base di una valutazione di equità di cui all’art. 1226 del codice civile – non potesse essere inferiore al 50% (cinquanta per cento) dei costi stessi, fatta salva una misura maggiore alla luce della concreta rilevanza ed utilità tratta dalle Amministrazioni dall’attività di smaltimento svolta dalla società.
Sulla somma come sopra determinata, infine, avrebbero dovuto essere riconosciuti gli interessi legali dalla data della sentenza di primo grado al saldo.
La odierna parte appellante, già ricorrente rimasta parzialmente soccombente nel giudizio di prime cure, ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la parziale riforma dell’appellata decisione.
Ha ripercorso minutamente il contenzioso intercorso (pagg. 1-24 dell’appello, punti 1-43) ed il contenuto della decisione gravata (pagg. 24-29, punti 43- 47) ed ha fatto presente di volere gravare la detta decisione limitatamente alla parte in cui la stessa aveva ravvisato l’inadempimento dell’appellante all’asserito obbligo di completare la rimozione dei rifiuti e la bonifica (puti 2.1. e primo cpv del paragrafo 2.2.) e nella parte in cui aveva riconosciuto all’appellante una minore somma rispetto a quella richiesta.
Ha pertanto prospettato tre macrocensure.
Con il primo motivo di ricorso, ha ipotizzato che la sentenza gravata - fosse in parte qua – contraddittoria ed affetta da ultrapetizione.
Al paragrafo 3 della sentenza era stata infatti rigettata l’eccezione proposta ex art. 1460 CC dalle appellate amministrazione; al paragrafo 2.1., però, era stato contraddittoriamente sostenuto che l’appellante versasse in stato di inadempimento.
Tale contraddizione era “doppiata” da una extrapetizione perché, pur essendosi dato atto dell’assenza di domanda riconvenzionale era stato ugualmente ex officio affermato (paragrafo 2.1.) l’inadempimento dell’appellante; del pari ex officio era stata affermata la “eventuale” riduzione dei rimborsi per i costi sostenuti dall’appellante.
Più in dettaglio, ha sostenuto che il Tar non aveva colto né la esatta portata delle prescrizioni contenute nell’Accordo di programma “originario” e nell’Accordo integrativo né la portata dell’opera svolta dall’appellante.
Questa era intervenuta ed aveva apprestato la propria opera evitando all’Italia una rilevante condanna in sede europea.
Non v’era stato alcun inadempimento perché:
a)essa aveva completato la rimozione dei rifiuti dalla discarica C;
b)aveva acquistato le aree da bonificare ( e ciò aveva imposto la necessità di pervenire all’accordo integrativo, proprio per ricostituire l’equilibrio dell’operazione, circostanza, questa del tutto obliata dal Tar, nella sua portata genetica ed effettuale);
c)si doveva garantire, da parte delle Amministrazioni, appunto l’equilibrio finanziario dell’operazione;
d)le parti pubbliche si erano impegnate a far ciò attraverso l’attribuzione della destinazione commerciale all’area, anche traslabile in altre parti del territorio;
e)tale obbligo era rimasto del tutto inadempiuto, ma non era certo –come erroneamente ritenuto dal Tar “condizionato” al preventivo completamento delle operazioni di rimozione;
f)era, questo, un punto centrale non colto dal Tar: era ben vero che senza la totale rimozione ed il disinquinamento non si sarebbe potuta esercitare attività di impresa, ma l’onere assunto dalle Amministrazioni “mirava” a consentire all’appellante la negoziazione di tali diritti immobiliari, peraltro traslabili in altre aree del territorio;
g)detto compito/obbligo assuntosi dalle Amministrazioni in sede di accordo integrativo operava immediatamente, ed era per esso previsto un termine stringente, (16.10.2009) ben antecedente a quello previsto per il compimento dell’attività di bonifica (31-12-2010, pag 36 dell’appello) tanto è vero che l’istanza venne presentata dall’appellante già nel 2009 (16.7.2009) e che le parti pubbliche restarono inadempienti all’obbligo di esitarla favorevolmente entro 90 giorni;
h)ciò in quanto l’Accordo integrativo modificava –e in parte abrogava- quanto in origine contenuto nell’art. 7.7. dell’Accordo “madre”, inesattamente considerato vigente dal Tar;
i)l’appellante responsabilmente continuò a svolgere il proprio compito, nessuna inadempienza le fu mai contestata (neppure dal subentrante regime commissariale) e gli ostacoli incontrati erano tali da rendere impossibile il compito affidatole, e non per propria responsabilità (il Commissario portò a termine il programma a prezzo di gravi illegittimità).
In sintesi: se inadempienza v’era stata (e v’era stata) essa era ascrivibile alle Amministrazioni che non adempiendo alla previsione di cui all’art. 4 c.II dell’Accordo integrativo avevano di fatto impedito che l’appellante potesse completare l’opera, dovendo ridurre le proprie ambizioni avanzando alla Presidenza del Tribunale la domanda di cui all’art. 4 comma 3 dell’accordo integrativo.
In ogni caso, dal momento in cui le Amministrazioni non avevano adempiuto all’impegno ex art. 4 comma 2 dell’accordo integrativo l’appellante non era vincolata alla prosecuzione dell’attività di bonifica.
Né il decreto del 16.4.2010, che aveva dichiarato ai sensi della legge 225/1992 lo stato di emergenza per lo svolgimento dell’attività di bonifica delle discariche “A” e “B”, né la successiva ordinanza n. 3874 del 30.4.2010 avevano ipotizzato alcun inadempimento dell’appellante: quest’ultima aveva impugnato tali atti soltanto nella parte che disciplinava un eventuale inadempimento futuro della Ditta: e nel verbale di consegna al Commissario delle aree del 18.09.2010 quest’ultimo aveva riconosciuto che l’appellante aveva operato correttamente.
Alle pagg. 48 -53 dell’appello si è illustrata la tesi per cui oltre a non essere ipotizzabile alcun inadempimento dell’appellante, neppure poteva affermarsi che dal momento della presa in carico dell’area da bonificare da parte del Commissario le operazioni fossero proseguite senza intoppi e celermente (quasi a far ritenere che soltanto l’appellante avesse frapposto inesistenti ostacoli al completamento della bonifica a cagione di una propria malevola volontà).
Con il secondo motivo di appello è stata contestata la statuizione del Tar che aveva sostenuto la inutilizzabilità ex art. 34 comma 4 del cpa della perizia estimativa dell’Ing. Albertalli: detto elaborato era di natura tecnica; la circostanza che fosse sopravvenuta una fase patologica dei rapporti negoziali tra l’appellante e la Regione non inficiava la circostanza che quest’ultima avesse partecipato a tutte le operazioni iniziali e che la perizia si muovesse nel solco dell’art. 4 comma 3 dell’accordo integrativo: se anche la Presidenza del Tribunale aveva utilizzato una terminologia diversa, era evidente che il quesito formulato dalla Presidenza del Tribunale era perfettamente sovrapponibile all’art. 4.3 dell’Accordo.
Per altro verso, appariva ingiustificabile ( pag. 57) l’affermazione secondo cui avrebbe dovuto essere preso in esame il differente conteggio redatto dagli stessi Uffici Regionali (perizia del dirigente ing. Elefanti del 12.7.2012): tratta vasi di elaborato redatto da una parte processuale, ed in carenza di contraddittorio.
Detta perizia era, peraltro, errata.
La sentenza, poi, era resa in palese violazione dell’art. 112 cpc laddove aveva affermato che “si dovrà tenere altresì conto degli eventuali costi direttamente ed immediatamente sostenuti dalla Regione e dal Ministero per la partecipazione eventuale alle operazioni di smaltimento e bonifica svolte da parte del Commissario Delegato in sostituzione di TR Estate, costi che dovranno compensare gli oneri riconosciuti a quest’ultima”: ciò in quanto nessuna domanda riconvenzionale era stata avanzata nel corso del giudizio di primo grado.
Con la terza censura, l’appellante ha infine analiticamente ripercorso il conteggio delle attività da essa svolte, e le aspettative di guadagno rimaste frustrate a cagione dell’inadempimento delle amministrazioni appellate chiedendo la riforma della sentenza e la liquidazione delle somme richieste nel mezzo di primo grado.
La Regione Lombardia ha depositato una articolata memoria contenente riserva di proporre appello incidentale per le parti di sentenza che avevano comunque riconosciuto la fondatezza delle pretese dell’appellante.
Nel merito, ha chiesto la reiezione dell’appello perché infondato facendo presente che il Tar aveva colto che il rilascio dell’autorizzazione commerciale era logicamente successivo al completamento delle operazioni di bonifica; non costituiva condizione del completamento di quest’ultima.
La perizia dell’Ing. Albertalli era inutilizzabile in quanto nominato (su istanza congiunta della Regione Lombardia e dell’appellante) allorchè, unicamente, si controverteva (mentre l’accordo di programma era ancora in essere) su istanze di rivalutazione dei costi proposte dalla società.
Soltanto dopo la nomina del perito si erano create le condizioni (provvedimenti commissariali) per la presa in carico delle operazioni di bonifica da parte del regime Commissariale.
La perizia, svolta in un contesto ed una causale distonica da quella ex art. 4 comma 3 dell’Accordo era del tutto inutilizzabile.
La Regione aveva ritualmente sollevato eccezione di inadempimento; un inadempimento dell’appellante era stato accertato dal Tar; la ditta aveva soltanto rimosso i rifiuti dalla discarica C; soltanto con l’operato del Commissario l’area era stata bonificata; l’appellante era rimasta inadempiente all’obbligo, contenuto nell’Accordo integrativo del 2009, di rilasciare garanzia fideiussoria.
Con successivo appello incidentale essa ha gravato i capi di sentenza nell’ambito dei quali era stato riconosciuto un –sia pur parziale- adempimento della odierna appellante e si era alla stessa riconosciuto il diritto a ricevere una remunerazione da parte della Regione.
In particolare, ha sostenuto che stante la proposizione della eccezione di inadempimento ex art. 1460 CC da parte della Regione, il Tar non avrebbe potuto riconoscere a parte appellante la remunerazione per la modesta e parziale attività di rimozione dei rifiuti svolta, facendo presente peraltro che l’appellante principale era rimasta inadempiente all’obbligo, contenuto nell’Accordo integrativo del 2009, di rilasciare garanzia fideiussoria.
La difesa erariale dell’amministrazione centrale ha depositato appello incidentale volto a sostenere che a cagione del pieno inadempimento dell’appellante principale nessuna somma avrebbe potuto alla stessa essere riconosciuta
Ripercorse le principali tappe infraprocedimentali ha (primo motivo di censura) stigmatizzato che l’eccezione di compensazione del maggior credito derivante dai costi di bonifica sopportati dall’Amministrazione proposta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri non fosse stata ritenuta riferibile anche al Ministero dell’ Ambiente, stante la unitaria personalità dello Stato (doveva ritenersi che la Presidenza del Consiglio dei Ministri –Commissario Delegato avesse esercitato in via sostitutiva funzioni di competenza del Ministero dell’ Ambiente e, pertanto, l’eccezione fosse riferibile anche a quest’ultimo).
Con la seconda doglianza ha censurato la reiezione da parte del Tar della eccezione di inadempimento proposta dalle Amministrazioni Statali e dalla Regione Lombardia.
Tutte le parti processuali hanno depositato ulteriori scritti difensivi volti a ribadire e puntualizzare le rispettive affermazioni difensive.
All’adunanza camerale del 4 marzo 2014 fissata per la delibazione dell’istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione la controversia, su accordo delle parti, è stata differita alla odierna pubblica udienza di merito.
In vista della odierna udienza pubblica l’appellante principale e la Regione Lombardia hanno depositato articolate memorie tese a puntualizzare e ribadire le rispettive difese.
Alla odierna pubblica udienza del 4 novembre 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.L’appello principale è solo parzialmente fondato, e va soltanto parzialmente accolto,nei termini di cui alla motivazione che segue con riferimento alla censura di cui al secondo motivo di ricorso, e, in parte, in riferimento al terzo motivo di gravame.
Gli appelli incidentali sono infondati e vanno disattesi nei sensi di cui alla motivazione che segue.
2. Ai fini di una migliore comprensione dell’iter motivo della presente decisione - ed al fine di omettere superflue ripetizioni allorchè verranno vagliate le singole condotte poste in essere dalle parti processuali il cui partito esame è rilevante alla luce delle contrapposte pretese sottoposte a scrutinio - ritiene opportuno il Collegio far precedere la più partita analisi della controversia dalla esposizione dei principi cui ci si atterrà nella disamina che segue.
2.1. A tal proposito evidenzia il Collegio che, sotto il profilo della disciplina applicabile alla res controversa, la disamina svolta dal primo giudice (non soltanto nella decisione direttamente gravata ma, anche, nella sentenza parziale n. 00594/2013 rimasta inimpugnata, e che ne costituisce l’antecedente “storico”) appare, in larga parte, condivisibile.
2.2. Appare incontroverso, in particolare, che il rapporto giuridico intercorso tra la odierna appellante e le amministrazioni pubbliche trovi la sua disciplina sub art. 11 della legge n. 241/1990 (“1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo. (38)
1-bis. Al fine di favorire la conclusione degli accordi di cui al comma 1, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati. (39)
2. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Gli accordi di cui al presente articolo devono essere motivati ai sensi dell'articolo 3. (42)
3. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi.
4. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato.
4-bis. A garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma 1, la stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento. (40)”).
Il comma quinto della citata disposizione, poi, vigente al momento della stipulazione dell’accordo, prevedeva che “le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.”: detta disposizione, come è noto, è stata abrogata dall'art. 4, comma 1, n. 14) dell'Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, a decorrere dal 16 settembre 2010, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, comma 1 del medesimo D.Lgs. 104/2010.
In sostanziale continuità con detta disposizione, però, l’art. l’art. 133, comma 1°, lett. a), n. 2 del D.Lgs. 104/2010 (“Codice del processo amministrativo”), ha continuato a devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di .
Posto che si controverte in ordine alla “esecuzione” del detto rapporto pattizio, da un canto nessun dubbio può sussistere sulla spettanza della giurisdizione a questo plesso giurisdizionale amministrativo.
Per altro verso, la omnicomprensiva dizione contenuta nel comma 2 dell’art. 11 della legge generale sul procedimento amministrativo (“ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”)consente di affermare che i detti “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti applicabili in quanto compatibili” costituiscano il dato normativo cui il giudice fornito di giurisdizione deve rifarsi anche allorchè sia chiamato a delibare controversie (non soltanto interpretative, quale pure è quella oggetto dell’odierno esame ma, anche) incidenti sulla fase esecutiva.
La lata previsione dell’art. 11 (che ha in passato consentito alla giurisprudenza di ricomprendervi strumenti complessi quali, ad esempio, - Sez. VI, Sent. n. 4304 del 09-09-2008 - gli accordi di programma, cui fa espresso riferimento l'art. 11, comma quarto, del D.L. 5-10-1993 n. 398 inerenti al recupero urbano) ha indotto la Sezione, in un recente passato,ad affermare che “sebbene anche nell'ambito di rapporti inquadrabili tra gli accordi ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 siano presenti interessi di matrice pubblicistica, questo non esclude che l'esecuzione di detti accordi sia sottoposta alle comuni regole civilistiche in tema di adempimento, nonché di obblighi di buona fede delle parti del contratto (art. 1375 c.c.). Pur nell'ambito di un rapporto convenzionale, l'esistenza di un potere discrezionale del soggetto pubblico non vale di per sé a escludere che il giudice possa e debba fare applicazione diretta anche della disciplina dell'inadempimento del contratto, allorché una parte del rapporto contesti alla controparte un inadempimento degli obblighi di fare” (Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 2433 del 24-04-2012).
Esattamente, dunque, il primo giudice ha richiamato ed applicato i principi di cui al combinato disposto degli artt. 1218, 1176, 1256 del codice civile (e l’art. 1460 commi 1 e 2 cc).
2.1. Tale passaggio motivazionale neppure contestato da alcuna parte processuale, per il vero, sotto il profilo generale, trova la piena condivisione del Collegio.
E parimenti questo Collegio condivide la necessità che alla giurisprudenza civilistica formatasi sub art. 1460 cc (“nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie [c.c. 1218, 1219, 1453, 1517] o non offre di adempiere contemporaneamente la propria [c.c. 1220], salvo che [c.c. 1528] termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto [c.c. 1481, 1482, 1565, 1901, 1924].Tuttavia non può rifiutarsi l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze [c.c. 1455], il rifiuto è contrario alla buona fede”) ci si debba rifare al fine di chiarire l’ambito applicativo della richiamata disposizione alla fattispecie per cui è causa.
Quanto a tale ultimo profilo, ed al fine di sgombrare immediatamente il campo da censure ed eccezioni manifestamente pretestuose od infondate, si rileva in particolare che:
a) sin da tempo risalente, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che le domande ex art. 1460 CC (anche quella di sospensione dell'esecuzione del contratto) “non contrastano con i principi di buona fede e correttezza anche se formulate per la prima volta in giudizio per contrastare la domanda di adempimento della controparte, e ancorché l'inadempimento di questa concerna un'obbligazione accessoria di quella principale, ma essenziale per l'equilibrio sinallagmatico del rapporto, e di tale gravità da menomare la fiducia sul corretto adempimento del contratto” (ex aliis Cass. Civ. Sez. II, sent. n. 2474 del 18-03-1999);
b) parimenti, costituisce jus receptum il principio per cui il concetto di “buona fede “ di cui al comma 2 del citato articolo vada valutato in termini oggettivi. Si è detto pertanto che, “con riguardo all'eccezione d'inadempimento, che venga proposta a norma dell'art. 1460 cod. civ. per contrastare, nel contratto a prestazioni corrispettive, la domanda d'adempimento o di risoluzione avanzata dalla controparte, il requisito della non contrarietà a buona fede del rifiuto della propria prestazione, a fronte dell'altrui mancata esecuzione od offerta di contemporanea esecuzione del contratto stesso, va riscontrato in termini oggettivi, a prescindere dall'"animus" dell'autore del rifiuto, nel senso che detto requisito sussiste quando il rifiuto medesimo, secondo un criterio di uso normale del diritto, si evidenzi come rimedio necessario a tutelare l'interesse essenziale perseguito con la conclusione del contratto. “ (Cass. Civ Sez. II, sent. n. 1308 del 21-02-1983). Il principio si salda alle più recenti acquisizioni della giurisprudenza, anche amministrativa (ex aliis Cons. Stato Sez. III, 17-05-2012, n. 2864) in punto di divieto, nel sistema, del c.d. “abuso del diritto” e su di esso si tornerà nel prosieguo della presente esposizione; la Corte di Cassazione, sul punto, ha altresì chiarito che “il requisito della buona fede, richiesto dal secondo comma dell'art. 1460 cod. civ. in chi intenda avvalersi dell'eccezione d'inadempimento, è identificabile in un comportamento che, oltre a non contrastare con i principi generali della correttezza e della lealtà, risulti ragionevole e logico in senso oggettivo e trovi, quindi, concreta giustificazione nel raffronto tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate, in relazione ai legami di corrispettività fra le medesime.”(Sez. II, sent. n. 1991 del 25-02-1987);
c) la delicata indagine sulla ricorrenza della fattispecie normata ex comma II della citata disposizione postula una valutazione del comportamento della parte contraente per stabilire quando il rifiuto di adempiere - in relazione alla disciplina delle obbligazioni e dei contratti (artt. 1175, 1366, 1376 cod. civ.) - sia strumento per la tutela del proprio diritto ovvero mezzo per mascherare la propria inadempienza. A tal fine, in questa indagine assume importanza non secondaria la circostanza che la giustificazione del rifiuto di adempiere sia reso noto alla controparte soltanto in occasione del giudizio, e non come la correttezza e la buona fede imporrebbero durante lo svolgimento dei tentativi per la spontanea esecuzione del contratto. (Cass. Civ. Sez. II, sent. n. 5459 del 08-09-1986);
d) si è ritenuto,infine, che la disposizione di cui al comma II citato non soltanto debba applicarsi anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni ma che in detta evenienza, “l'indagine sulla contrarietà o meno a buona fede di detto rifiuto, ai sensi ed agli effetti dell'art. 1460, secondo comma, cod. civ., tenendo conto del comportamento di tutti gli organi di essa” (ex aliis Sez. II, sent. n. 5459 del 08-09-1986).
3. Così esposti i principi cui ci si atterrà nel prosieguo della disamina, si staglia evidente, in primo luogo, la infondatezza della censura di natura “procedimental-giurisdizionale” formulata espressamente dall’appellante principale (che si duole della asserita contraddittorietà tra il capo 3 ed il capo 2.1. della sentenza) ed implicitamente e per speculari motivi, in veste di eccezione e di censura incidentale, dalla Regione Lombardia, e dalla difesa erariale (secondo la quale la sentenza sarebbe contraddittoria laddove, avendo affermato l’inadempimento dell’appellante ha poi riconosciuto la necessità che alla stessa fosse attribuito un compenso).
3.1. Premesso infatti che costituisce prospettazione non riscontrata l’affermazione dell’appellante principale secondo cui al capo III della gravata sentenza sarebbe stata del tutto disattesa l’eccezione ex art. 1460 CC e si sarebbe affermato invece che l’appellante aveva bene ed in toto adempiuto alla propria obbligazione, rileva il Collegio che nessuna contraddittorietà è ravvisabile nella sentenza, posto che il comma II del citato articolo contempla appunto l’evenienza in cui, sebbene un inadempimento sia ravvisabile, ugualmente appaia contraria alla bona fides la proposizione (e l’accoglimento integrale dell’eccezione).
Le speculari censure di contraddittorietà della sentenza impugnata vanno pertanto disattese, mentre della ulteriore eccezione preliminare formulata dall’appellante ex art. 112 cpc ci si occuperà nel prosieguo della esposizione unitamente agli argomenti di merito alla stessa direttamente afferenti.
3.2. Ed allora, proprio alla stregua di quanto si è finora fatto presente, esaminando gli appelli incidentali, deve affermarsi (salvo quanto appresso con più completezza si dirà) che:
a)la censura contenuta nel primo (ed unico) motivo incidentale della Regione e nel secondo motivo dell’appello incidentale della difesa erariale,appare certamente infondata nella parte in cui pretende di sostenere che l’avvenuta formulazione dell’eccezione di inadempimento, ed il riscontrato (non totale, però, come meglio si vedrà di seguito) inadempimento dell’appellante principale all’impegno di integrale bonifica assunto precludessero al primo Giudice di statuire positivamente in ordine al rimborso dei costi sostenuti da quest’ultima;ciò proprio perché il comma 2 dell’art. 1460 cc legittima l’approdo prescelto dal Tar (tutt’altra questione, ovviamente, che verrà valutata di seguito nel merito, riposa nella disamina sulla esattezza –o meno- di detta statuizione);
b),con riferimento alla prima censura contenuta nell’appello incidentale della difesa erariale (la cui refluenza pratica appare comunque modesta nell’economia generale della causa), essa si appalesa destituita di fondamento alla stregua del principio contenuto nella recente decisione della Sezione 05632/2013 laddove al capo 4. 5.4. sono stati affermati convincimenti del tutto contrastanti con la ricostruzione dell’appellante e fondati sulla interpretazione giurisprudenziale (ex aliis Cass. civ. Sez. III, 23-05-2006, n. 12117 Cass. civ. Sez. I, 22-05-2013, n. 12557Cass. civ. Sez. lavoro, 14-06-2006, n. 13724 Cons. Stato Sez. V, 30-06-2011, n. 3921 ) del R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, comma 1.
4. Può adesso passarsi all’esame delle censure di merito proposte nell’appello principale e delle contrapposte obiezioni sollevate dalle appellate. I versanti di critica che verranno esaminati saranno i seguenti. In primo luogo- apparendo l’argomento pregiudiziale alla luce delle censure articolate dall’appellante principale- ci si dovrà interrogare sulla sussistenza, o meno, di un inadempimento agli accordi “imputabile” alla parte originaria ricorrente in primo grado. In ipotesi di positivo riscontro di detta evenienza dovrà vagliarsi il conseguenziale argomento –articolato dalla Regione- concernente la supposta non applicabilità alla fattispecie per cui è causa del disposto di cui al comma II dell’art. 1460 cc.
4.1. Quanto al primo versante di indagine (sussistenza, o meno, di un inadempimento agli accordi “imputabile” alla parte originaria ricorrente in primo grado) la tesi dell’appellante principale, che contesta vibratamente l’approdo raggiunto dal Tar si struttura, a ben guardare, in due distinte argomentazioni, che necessitano di partito esame.
4.1.1. Essa infatti, da un canto – utilizzando una argomentazione di profilo assai ampio- muove dal testo dell’Accordo “ madre” e dell’Accordo integrativo, per pervenire all’affermazione che essa (non soltanto non versava in alcuno stato di inadempimento ma, semmai) fu vittima di uno speculare e contrario inadempimento perpetrato dalla parte pubblica.
Detto inadempimento della parte pubblica (in sostanza risalente al 2009) l’avrebbe già “liberata” dal vincolo negoziale, ed anzi, soltanto per senso di responsabilità essa avrebbe proseguito nella propria attività (rimozione dei rifiuti dalla discarica C) peraltro in concreto favorevolmente apprezzata dalle Amministrazioni.
4.1.2 A tale argomento di critica, integralmente fondato su considerazioni di ordine giuridico, se ne affianca un altro, distinto.
Ivi si sostiene che, in disparte la prima –e per ovvie ragioni assorbente- affermazione, in ogni caso essa non versava in alcuna situazione di inadempimento. Essa aveva fatto tutto il possibile per portare a termine il proprio compito: il regime commissariale sarebbe riuscito ad ultimare le operazioni soltanto a prezzo di gravi violazioni, talune delle quali di carattere penale (non “esigibili” ovviamente, dall’appellante).
4.2. Il Tar, come è stato esposto nella parte in fatto della presente decisione, ha disatteso entrambe le prospettazioni (ad avviso della appellata Regione Lombardia ben esattamente e motivatamente).
4.3. Per evidenti ragioni logiche il Collegio inizierà il proprio esame dalla prima sottocensura, il cui scrutinio postula un accurato esame del contenuto degli Accordi, e dei rapporti intercorsi tra i medesimi.
4.3.1. Si avverte immediatamente che, ad avviso del Collegio,se l’unico elemento valutabile riposasse nell’Accordo “madre” del 2007, la infondatezza della censura sarebbe palese.
Come esattamente rilevato dal primo giudice, infatti, l’obbligazione principale dedotta nell’Accordo “madre” che l’appellante principale si era impegnata a portare a termine, riposava nell’obbligo di (art.5.4 )<> (id est: di tutte le attività finalizzate al completamento della messa in sicurezza di emergenza e bonifica dell’area).
Sulla circostanza che esso sia rimasto parzialmente inottemperato, sotto il profilo oggettivo, non v’è contrasto: la stessa società appellante ha dato atto di avere provveduto alla rimozione dei rifiuti nella discarica “C” ma di avere soltanto avviato le operazioni di bonifica delle altre due discariche “A” e “B”.
A fronte di tale obbligo, si pone la pattuizione di cui all’art. 7.7. del predetto Accordo originario, secondo la quale dopo essersi definiti gli interventi per la riqualificazione ambientale ed urbanistica dell’area, ed avere posto in capo alla società l’impegno a presentare una proposta per l’acquisizione dell’area dal Fallimento (lettera a del punto 7.7. predetto) si era altresì stabilito che il rilascio dei titoli abilitativi all’intervento era “comunque” subordinato alla <>(lettera b del punto 7.7. predetto9.
Arrestandosi a tale dato normativo, appare evidente che la controprestazione delle Amministrazioni rimasta inadempiuta era, non soltanto cronologicamente successiva all’adempimento dell’obbligazione principale, ma anche a quest’ultima subordinata: rimasta inadempiuta la prima (e l’utilizzo del termine “integrale” pare al Collegio precluda qualsiasi possibile interpretazione estensiva per cui l’obbligo delle Amministrazioni potesse divenire attuale in ipotesi di adempimento soltanto parziale) non avrebbe luogo alcun interrogativo sull’inadempimento della seconda incombente sulle Amministrazioni.
Alla stregua delle previsioni contenute nell’Accordo principale la pretesa dell’appellante di ipotizzare un inadempimento delle Amministrazioni “condizionante” la sospensione della prestazione principale e poi la definitiva interruzione della stessa, non avrebbe nessuna possibilità di accoglimento.
4.3.2. Senonchè, l’appellante rappresenta che, a fronte della anticipata acquisizione delle aree della quale essa si fece carico, al fine di riequilibrare i termini dell’accordo ed assicurare alla predetta l’equilibrio finanziario dell’operazione, venne stipulato l’Accordo integrativo del 2009 versato in atti.
E che in seno a detto Accordo integrativo, la predetta pattuizione di cui all’art. 7.7 di quello “originario” (laddove sostanzialmente si posponeva e condizionava l’obbligo delle Amministrazioni alla avvenuta esatta e completa esecuzione della prestazione principale ad opera della Società) sarebbe stata stravolta, sostituita, ed abrogata.
In sostanza – ad avviso dell’appellante - l’obbligo delle Amministrazioni sarebbe stato immediatamente operativo: e posto che esso rimase inadempiuto, doveva affermarsi che il primo attore protagonista di un inadempimento era stata la parte pubblica, con conseguente non ravvisabilità di alcun inadempimento da parte della Società appellante principale.
4.3.3.Appare indispensabile al fine di saggiare la consistenza di detto argomento critico muovere da una esegesi delle disposizioni di interesse contenute nel predetto l’Accordo integrativo.
4.3.4. Rammenta in proposito il Collegio che, per costante giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. civ. Sez. II, 07-10-2010, n. 20817, ma anche Cass. civ. Sez. I, 16-07-2002, n. 10298) “in tema di interpretazione del contratto, qualora la medesima vicenda negoziale ed i relativi effetti abbiano formato oggetto di due o più atti scritti, il giudice è tenuto, giusta il disposto dell'art. 1363 cod. civ., ad esaminare tutte le convenzioni intercorse tra le parti sì come risultanti dai documenti all'uopo formati, stabilendo, altresì, il rapporto tra clausole e documenti, se di chiarimento, di integrazione, di modificazione, di trasformazione o di annullamento delle precedenti pattuizioni. “.
Detta complessiva analisi, poi, dovrà essere svolta –isolatamente considerata- secondo il tradizionale insegnamento del Giudice di legittimità civile, secondo cui “i canoni legali di ermeneutica contrattuale (art. 1362 - 1371 c.c.) sono governati da un principio di gerarchia - desumibile dal sistema delle stesse regole - in forza del quale - secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione (tutte, le sentenze n. 4680/2002, 9636/2001, 4671/2000, 13351, 8584/99, 4815, 4811, 1940/98, 5715/97, 5893, 2372/96, 4563/95, 3963/93) - i canoni strettamente interpretativi (art. 1362 - 1365 c.c.) prevalgono su quelli interpretativi - integrativi (art. 1366 - 1371 c.c.) - quale va considerato anche il principio dell'interpretazione secondo buona fede (art. 1366 c.c.), sebbene questo rappresenti un punto di sutura fra i due gruppi di canoni - e ne escludono la concreta operatività, quando l'applicazione degli stessi canoni strettamente interpretativi risulti, da sola, sufficiente per rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti.
Nell'ambito dei canoni strettamente interpretativi (art. 1362 - 1365 c.c., cit.), poi, risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole (di cui all'art. 1362, 1° comma c.c.), con la conseguenza che - quando quest'ultimo canone risulti sufficiente - l'operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente, quanto definitivamente, conclusa.
Solo all'esito della corretta applicazione dei canoni strettamente interpretativi (art. 1362 - 1365, cit.) - e di quello letterale, che ne risulta prioritario (di cui all'art. 1362, 1° comma, c.c.) - compete, poi, al giudice di merito ogni opzione ermeneutica, nonché l'accertamento circa la (eventuale) insufficienza degli stessi canoni - e la conseguente necessità di ricorrere, in via sussidiaria, agli altri (di cui agli art. 1362, 2° comma - 1365 e, gradatamente, 1366 - 1371 c.c., cit.) - per identificare, nel caso concreto, la comune intenzione delle parti.
Ciò che giova precisare, comunque, è che, nell’ipotesi di distinte pattuizioni susseguitesi nel tempo (ex aliis Trib. Torino, 29-01-2004 ) occorra in primo luogo accertare se l’ accordo, sotto il profilo interpretativo, non possa considerarsi quale mera integrazione volta a prolungare il precedente contratto, bensì come un nuovo contratto.
4.3.5. Orbene alla stregua della stessa dizione utilizzata dalla parti, non appare seriamente contestabile che l’Accordo integrativo del 2009 sia volto soltanto ad integrare l’Accordo originario e non a sostituirlo integralmente.
Ciò ovviamente non risolve il problema (riposante nella singoli esegesi di eventuali clausole incompatibili e rivestenti portata sostitutiva) ma consente di pervenire ad una affermazione: certamente, per tutto quanto non è espressamente disposto nel nuovo accordo trovano applicazione le pattuizioni contenute nell’accordo originario.
4.3.6. Ciò posto, si stabilisce nel detto Accordo integrativo del 30 settembre/5 ottobre 2009 quanto di seguito.
Innanzitutto (art. 2) vengono confermati “gli obiettivi generali e specifici, della iniziativa in oggetto, come definita dagli artt. 2 e 3 dell’Accordo di Programma, e (punto 3 dell’art. 2 predetto) si fa riferimento, confermandola, alla delimitazione dell’ambito di intervento sub art. 4 dell’Accordo di Programma.
Secondariamente (punto 1. dell’art. 3) “si confermano le pattuizioni e gli obblighi di cui agli artt. 5 e 6 dell’Accordo di Programma e si ribadisce l’impegno di TREstate Due Srl “a proseguire e completare l’attuazione del progetto di bonifica finalizzato, in considerazione delle garanzie di conseguimento dell’equilibrio-economico e finanziario dell’iniziativa di cui al successivo art. 4 e correlativamente all’osservanza di queste ultime da parte dei soggetti contraenti”.
 
In disparte il contenuto del successivo art. 4, che pure di seguito verrà immediatamente analizzato, è evidente che il nodo centrale in ordine alla portata dell’Accordo integrativo suddetto si incentra sulla portata da attribuire alle due espressioni “in considerazione” e “correlativamente all’osservanza” contenute nel citato art. 3.
Ad avviso dell’appellante l’obbligo di proseguire nella attività di bonifica, in quanto “correlato”alle garanzie di cui all’art. 4, veniva meno ove esse non fossero state prestate.
Il Tar ha patrocinato una interpretazione difforme.
Il Collegio, sia pure consapevole della non univocità semiologica dei termini utilizzati, non è persuaso della tesi appellatoria.
Invero va innanzitutto rilevato che le parti non hanno utilizzato termini univoci, quali “è subordinata alla… etc” come pure avrebbero potuto.
Secondariamente, il detto comma 4, nel prevedere (comma 2) quali fossero le “garanzie” da apprestarsi a cura delle Amministrazioni, stabilisce (al comma 3) una “sanzione” endemica all’omesso rispetto degli obblighi assunti dalle Amministrazioni, prevedendo una procedura di certificazione dei costi e di rimborso, ma giammai ha ivi stabilito che dall’omesso apprestamento delle dette “garanzie” discendesse l’esonero in capo all’appellante dall’obbligo di completare la bonifica, tanto che ivi si prevede, alla lettera b del predetto art. 4 comma 3 la eventualità di “intese, alternative a corresponsioni pecuniarie, che il soggetto attuatore riconosca siano tali da ripristinare l’equilibrio economico-finanziario rispetto ai costi di cui al punto a del comma, da definirsi in apposita convenzione”.
Ma v’è di più: anche l’ulteriore comma 4 del predetto art. 4 normava espressamente l’ipotesi di mancato perfezionamento delle condizioni di cui al comma 2, mentre il comma 8 prevedeva a propria volta che in ipotesi di mancato raggiungimento delle intese relative ai presumibili maggiori costi derivanti dalla variante al progetto di bonifica, restava confermato l’impegno esecutivo dell’appellante relativamente al progetto di bonifica, sia pure alle condizioni ivi espressamente stabilite.
4.4. Traendo le fila dalle suindicate emergenze processuali, risulta ad avviso del Collegio smentita la tesi secondo cui vi fosse una diretta sinallagmaticità tra bonifica da completare e garanzie prestate dalle Amministrazioni.
Depongono in contrario senso:
a)la natura integrativa dell’accordo del 2009 rispetto al pregresso accordo “madre” del 2007;
b)la conferma integrale, nel secondo, della pattuizione di cui all’art. 5 dell’accordo del 2007;
c)l’omessa indicazione, nell’accordo integrativo, di espressioni contrarie univoche che stabilissero una diretta sinallagmaticità;
d)le previsioni di cui all’art. 4 dell’Accordo Integrativo di una “sanzione interna” non riposante nella “liberatoria” dall’attività di bonifica, per la evenienza che le “correlative garanzie ” non fossero state apprestate e, alla lett. b del comma 3, la previsione della “individuazione…di intese..alternative a corresponsioni pecuniarie..atte a garantire il riequilibrio economico”.
Tali previsioni confermano che il mancato verificarsi delle dette condizioni di cui al comma 2 dell’art. 4 predetto non implicava, in tesi, causa di scioglimento immediato del vincolo e di estinzione dell’obbligazione principale.
Tutto questo neppure considerando il testo dell’accordo integrativo quale atto a se stante ed obliando il precetto di cui all’art. 5 e 7.7. dell’Accordo madre del 2007
Ciò, in disparte alla pur ovvia, logica, e condivisibile deduzione del Tar secondo cui il rilascio di un’autorizzazione commerciale presuppone ovviamente (secondo un’interpretazione dell’accordo rispettosa di criteri di logicità), la bonifica integrale del suolo, non potendosi neppure ipotizzare l’esercizio di un’attività d’impresa in un sito inquinato.
La prima prospettazione appellatoria va quindi disattesa.
5. Quanto sin qui esposto, tuttavia, non esaurisce il compito demandato al Collegio in riferimento alle complesse censure prospettate nel primo motivo di appello.
Ciò in quanto, come posto in luce nella parte in fatto della presente decisione, l’appellante principale contesta comunque che nella condotta da essa posta in essere potesse ravvisarsi inadempimento alcuno, come -, a suo dire inesattamente - ritenuto dal Tar (avanzando quindi una tesi logicamente subordinata a quella per cui nessun impegno a completare la bonifica residuasse a proprio carico,stante l’inadempimento delle Amministrazioni all’impegno di accogliere una istanza di autorizzazione commerciale per grande struttura di vendita, oppure di concedere la facoltà di rilocalizzare sull’intero territorio regionale la superficie autorizzata ) 5.1. La tesi dell’appellante è compendiata alle pagg. 39-53 del ricorso in appello ed è stata abilmente puntualizzata e reiterata nella memoria di replica in ultimo depositata .
Come si è avvertito prima, la affermazione del Tar relativa alla circostanza che un inadempimento vi fosse stato, muove da due concordanti affermazioni.
Una di esse, che attiene al parametro valutativo della diligenza impiegata, e che non è stata contestata da parte appellante, riposa nell’affermazione per cui la diligenza di TR Estate, dovesse essere valutata alla stregua del secondo comma dell’art. 1176 citato in quanto operatore professionale tenuto a specifici obblighi in forza dell’Accordo di cui è causa.
L’appellante non ha specificamente contestato detta premessa - e d’altro canto, posto che TR Estate, è un operatore costituito ad hoc per l’effettuazione delle operazioni di complessivo recupero dell’area “ex-SISAS”- sarebbe stato ben difficile contestare detto architrave motivazionale.
La seconda affermazione muove, in realtà da una constatazione che, in punto di fatto, non è revocata in dubbio nella sua veridicità “storica” dall’appellante medesima.
Il Tar ha infatti osservato (sul presupposto, già riscontrato esatto da questo Collegio in precedenza della vigenza dell’art. 7.7. dell’accordo di Programma 2007) che la appellante si era limitata semplicemente alla rimozione dei rifiuti della sola discarica “C”, mentre l’obbligo contrattualmente assunto (articoli 5, 6, 7 e 9 dell’AdP e l’art. 3 dell’atto integrativo), riguardava la <>, oltre alla <> (cfr. l’art. 5 dell’AdP del 2007).
L’appellante contesta anche tale approdo, e muove dal contenuto del già citato art. 3 punto 2 del’accordo integrativo, laddove (lett. a e b) si “subordina” l’attuazione dell’accordo di bonifica in variante di cui al cronoprogramma ad una pluralità di condizioni, tra le quali la individuazione di siti idonei a ricevere i rifiuti (evenienza cui era collegata la emissione dell’OPCM n. 3874 di nomina di un commissario delegato).
Si sostiene quindi che, non essendosi verificate dette condizioni, essa non avrebbe potuto integralmente adempiere all’obbligo assuntosi e che quindi, per tal via, nessun inadempimento alla stessa imputabile, potesse essere ravvisabile.
Ad avviso della stessa appellante, le emergenze processuali valorizzate dal Tar e volte a corroborare l’affermazione centrale secondo la quale “le giustificazioni circa la presunta difficoltà a trovare la discarica per i rifiuti rimossi, non poteva assurgere ad impossibilità assoluta della prestazione, tale da escludere la responsabilità del debitore, ma semmai a mere difficoltà di ordine tecnico ed economico ad eseguire la prestazione, non idonee come tali a liberare il debitore dal proprio obbligo” erano in realtà del tutto distoniche da quanto il Tar aveva preteso di riscontrarvi.
5.2. Anche con riferimento a tale aspetto non pare al Collegio che la tesi appellatoria possa essere favorevolmente scrutinata.
Come è noto, secondo la costante giurisprudenza civile “l' impossibilità sopravvenuta della prestazione , idonea a liberare dall'obbligazione o ad esonerare da responsabilità per il ritardo, deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto ed alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà ma in un impedimento obiettivo ed assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, addirittura, neppure il factum principis basta di per sé solo, a giustificare l'inadempimento e a liberare l'obbligato inadempiente da ogni responsabilità, (...) il che vuol dire che di fronte all'intervento dell'autorità, il debitore non deve restare inerte né porsi in condizione di soggiacervi senza rimedio, ma deve, nei limiti segnati dal criterio dell'ordinaria diligenza, sperimentare ed esaurire tutte le possibilità che gli si offrono per vincere e rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità (così Cass. 818/70 e di recente Cass. 6594/2012).
Analoghi approdi –si riferisce per completezza, ancorchè la questione non sia stata sollevata nell’odierno giudizio – sono stati raggiunti in chiave di declaratoria di nullità delle clausole negoziali, per impossibilità delle medesime (ex aliis Cass. civ. Sez. I, 01-09-2011, n. 18002 “a nullità del contratto o della singola clausola contrattuale, per l' impossibilità della cosa o del comportamento che ne forma oggetto, richiede che tale impossibilità , oltre che oggettiva e presente fin dal momento della stipulazione, sia anche assoluta e definitiva, rimanendo ininfluenti a tal fine le difficoltà, più o meno gravi, di carattere materiale o giuridico, che ostacolino in maniera non irrimediabile il risultato a cui la prestazione è diretta. Ne consegue che tale impossibilità nel contratto di appalto di opera pubblica non sussiste, qualora vi sia un mero impedimento tecnico, riconducibile al comportamento non collaborativo di una delle parti del rapporto che ometta quanto necessario per rendere possibile la prestazione ostacolando in maniera non oggettivamente irrimediabile il risultato cui essa è diretta; pertanto, qualora la stazione appaltante non provveda ad eliminare dette carenze, gli effetti non sono regolati dagli artt. 1346 e 1418 cod. civ., ma dall'art. 1207 cod. civ., vertendosi in un ipotesi di "mora credendi").
5.3. Avuto riguardo alle critiche appellatorie, non pare al Collegio che la tesi del Tar possa essere criticata.
Sostiene in proposito l’appellante che – come si evincerebbe dal già citato art. 3 punto 2 del’accordo integrativo,. a e b) - la individuazione di siti idonei a ricevere i rifiuti e l’allineamento delle condizioni economiche praticate da detti siti ai prezzi riportati nel progetto costituissero “condizioni” negative:ed il mancato verificarsi delle stesse rendeva impossibile la prestazione.
L’attività del commissario delegato (che comunque, asseritamente, non aveva portato alla integrale bonifica dell’area) si era svolta in spregio a norme di legge, smaltendo i rifiuti in siti inidonei, e trasportandoli con modalità non consentite e penalmente rilevanti.
5.3.1. Osserva in proposito il Collegio che l’appellante “forza” la lettura dell’incartamento processuale ma non fornisce riscontro alle proprie affermazioni (e, si osserva per incidens, ben si guarda dal prospettare la tesi logicamente conseguente alle proprie prospettazioni, ove fondate, secondo cui si sarebbe dovuta riscontrare una nullità del negozio per impossibilità originaria delle prestazioni ivi dedotte, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 cod. civ., posto che in tale caso essa non potrebbe conseguire che la ripetizione corrispondente alla prestazione effettivamente svolta).
E’ ben vero, infatti, che non può considerarsi esigibile una prestazione laddove il debitore non possa adempiervi se non incorrendo in illeciti penali e/o civili (praticamente, a tali condizioni, la prestazione effettivamente deve considerarsi impossibile).
Senonchè, da un canto la stessa formulazione delle citate prescrizioni non considerava tali elementi indissolubilmente legati alla esecuzione della prestazione (bonifica) che la appellante si era in passato impegnata a compiere, collegandoli invece ad un elemento “minor”, rappresentato nel rispetto del cronoprogramma (e non già all’an dell’adempimento della detta prestazione).
Secondariamente, neppure è condivisibile la “lettura” anche cronologica, resa da parte appellante, laddove si consideri che:
a)l’OPCM n. 3874 gravata dall’appellante dell’ambito di altro procedimento pendente in primo grado, viene emessa il 30 aprile 2010 ed ivi (pag. 3, primo Considerato) si da atto del (già avvenuto)rallentamento dell’attività di bonifica delle aree A e B rispetto al cronoprogramma in variante del 14 settembre 2009.
Da ciò si trae che, al momento della emissione dell’Ordinanza, l’appellante versava già in uno stato di parziale inadempimento;
b)immediatamente inizia un serrato carteggio tra l’ appellante ed il Commissario: il commissario indirizza alcune note alla appellante che il 20 luglio 2010 risponde manifestando la disponibilità “condizionata”a proseguire medio tempore l’attività, ed alla riconsegna delle aree;
c)il 22 luglio 2010il Commissario riscontra detta nota,
d)il 26 luglio 2010 l’appellante comunica che a partire dal 28 luglio 2010 avrebbe sospeso le operazioni di rimozione dalla discariche A e B;
d)il 27 luglio 2010 il Commissario riscontra detta nota ed invita la Società a proseguire nell’opera impegnandosi a riconoscere i costi sopportati dopo il primo luglio 2010 e sino al subentro del nuovo operatore, e comunque sino alla prima decade di settembre 2010 prospettando in caso contrario, la possibilità di adire l’AG.
Dopo avere gravato la predetta Ordinanza Commissariale, nel 2011 l’appellante ha proposto il ricorso di primo grado oggetto dell’odierna impugnazione.
5.3.2.Dalla sequenza come sinora riportata, e dalle complessive risultanze processuali, pare al Collegio possa evincersi che:
a)accordo di programma ed accordo integrativo, risalgono, rispettivamente, al 2007 e 2009;
b)sino al 2010 l’appellante non provvede alla bonifica delle aree A e B;
c)la causale di tale omissione non può certo attribuirsi all’operato della gestione commissariale che interviene nel 2010;
d)nel 2010 l’appellante aveva già fatto presente il proprio intendimento di risolvere il contratto/accordo, e ciò viene sempre imputato alla omessa ottemperanza delle prescrizioni dell’accordo integrativo del 2009 sulle quali ci si è prima soffermati;
Nel breve torno di tempo che va dall’insediamento del Commissario alla riconsegna delle aree, non v’è traccia delle circostanze che, oggi, l’appellante prospetta qual ostative all’adempimento dell’obbligazione.
E, di converso, nella propria nota del novembre 2011 il Commissario ebbe a stigmatizzare l’omesso adempimento da parte dell’appellante di opere che la stessa si era impegnata invece a realizzare nel luglio/agosto 2011 ( come esattamente rilevato dall’appellata Regione a pag. 19 della memoria datata 28.2.2014).
Ma anche soffermando l’indagine più in dettaglio sul periodo precedente, emerge quanto segue.
Dette circostanze (art. 3Accordo integrativo, lett. a e b) erano state già prospettate qual incidenti sul rispetto del cronoprogramma, e non quali dirimenti con riguardo alla possibilità di eseguire la prestazione.
E se anche si volesse superare detto ultimo profilo, affermando che il rispetto della tempistica era a propria volta condizione essenziale (e di qui, a cascata, “legare” l’impossibile rispetto del cronoprogramma alla impossibilità assoluta della prestazione), l’appellante non ha provato che detti eventi si siano in realtà verificati.
Essa infatti sostiene che prova indiretta di ciò si ritrarrebbe dalla pendenza di una indagine penale e dagli esiti di una Commissione parlamentare d’inchiesta, dalle quali risulta il sospetto di illeciti commessi dalla ditta “subentrante” nella attività di rimozione dei rifiuti (si resero necessari ben quattro appalti per completare le operazioni).
Ma in disparte che non è noto quale sia stato l’esito dell’avviato procedimento penale, anche a dare per provata (il che per le già chiarite ragioni, non è)la circostanza che la ditta “subentrante” nella attività di rimozione dei rifiuti abbia svolto la propria attività “a prezzo” della commissione di illeciti, ciò non prova affatto che fosse impossibile porre in essere la detta attività regolarmente, e quindi che a condizioni esigibili la prestazione fosse divenuta impossibile, (e semmai, lo si ripete, lo sarebbe stata ab origine, il che non recherebbe alcun giovamento alla posizione dell’appellante principale ove si consideri che il Tar comunque dispose la “restituzione” in suo favore).
Non può quindi desumersi, dai fatti di causa, che l’appellante per tali ragioni sia considerata non inadempiente in quanto la prestazione era, nei termini delineati, impossibile.
5.4. Ritiene conclusivamente il Collegio che anche tale caposaldo della censura debba essere disatteso.
5.4.1. Ma in aggiunta a quanto sinora si è detto, può ulteriormente formularsi una osservazione, sinora semplicemente accennata, che in realtà avrebbe potuto spiegare effetto pregiudiziale troncante.
Per comodità espositiva, ed anche a volere accedere in toto alla tesi dell’appellante, non potrebbe non osservarsi che la medesima - operatore commerciale esperto del settore e specificamente costituito per compiere le attività per cui è causa, ben sapeva (o, il che è lo stesso avrebbe dovuto conoscere, con la ordinaria diligenza) che l’attività che si era assunto l’onere di compiere sarebbe andata incontro alle difficoltà rappresentate nell’appello (e poi “superate”, secondo la tesi appellatoria, dal regime commissariale e dalla Daneco “a prezzo” della commissione di gravi illeciti”).
Tali difficoltà, infatti (individuazione siti idonei, catalogazione rifiuti, etc) preesistevano certamente al regime commissariale e sussistevano al momento della stipula dell’accordo “madre” e di quello integrativo.
Essa stessa, però nonostante ciò, si assunse i detti obblighi.
Per il vero neppure l’appellante si spinge a sostenere che ricorra una ipotesi di impossibilità dell'oggetto che, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 cod. civ., rende nullo il contratto.
Essa, per costante giurisprudenza, ricorre qualora la prestazione non possa essere obiettivamente eseguita per la sussistenza di impedimenti originari di carattere materiale o giuridico, che ostacolano in modo assoluto il risultato a cui essa è diretta, rimanendo, invece, ininfluenti a tal fine le difficoltà più o meno gravi che ostacolino in maniera non irrimediabile il risultato a cui la prestazione è diretta.
Epperò, ove fosse risultato che la prestazione pattuita tra le parti (rectius: l’ oggetto del contratto) sin dal momento della conclusione dell'accordo contrattuale era "impossibile", il contratto concluso tra le parti avrebbe dovuto necessariamente dichiararsi nullo ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 e 1346 c.c., essendo il suo oggetto "impossibile" in via originaria e non sopravvenuta (e va osservato, in via del tutto ultronea, come la nullità del contratto possa essere rilevata d'ufficio dal Giudice -art. 1421 c.c.) e ciò non sarebbe stato in nulla giovevole alla posizione dell’appellante principale.
Traslando i detti principi alla fattispecie per cui è causa, escluso che ricorra la fattispecie suindicata (che il Collegio non ravvisa ex officio e che, per quel che rileva, neppure l’appellante principale prospetta), non rimane che constatare che non trovandosi al cospetto di alcuna forma di radicale impossibilità della prestazione (né originaria, né sopravvenuta) viene anche per tal via confermata la correttezza dell’approdo del Tar.
5.5 Da ciò consegue che la sentenza in parte qua deve essere integralmente confermata, dovendosi affermare l’inadempimento seppur non integrale dell’appellante alla prestazione dedotta nell’accordo. Per completezza va in proposito ribadito (si fa riferimento nuovamente alle censure contenute negli appelli incidentali -ed anticipate dall’appellata Regione alle pagg. 15-20 della memoria di costituzione - avverso il capo di sentenza che ha ritenuto che l’inadempimento parziale dell’odierna appellante comunque non impedisse che alla stessa venissero rimborsati i costi sostenuti) che l’applicazione dell’ultimo comma dell’art. 1460 CC (“tuttavia non può rifiutarsi l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze [c.c. 1455], il rifiuto è contrario alla buona fede” ) espressivo del precetto di buona fede che permea di sé tutta la materia delle obbligazioni appare esatta e priva di mende.
In una situazione comunque complessa l’appellante ebbe a svolgere un’attività contemplata nell’Accordo ( seppur in misura non completa e parziale) e non sussistono ragioni- sulla base del principio di buona fede- per disconoscerne la effettuazione, come non sussistevano ragioni per ritenere che l’eccezione ex art. 1460 CC potesse spiegare una portata paralizzante assoluta.
6.Possono adesso essere esaminati congiuntamente il secondo ed il terzo motivo di appello (nel quale in parte si reiterano, anche se in chiave prospettica a volte differente, argomenti già scrutinati).
6.1. Premesso che non è stata articolata alcuna censura attingente il ricorso da parte del Tar al disposto di cui all’art. 34, comma 4°, del d.Lgs. 104/2010, il Collegio intende immediatamente ribadire che la sentenza di primo grado non appare né contraddittoria né viziata ex art. 1460 CC.
La Regione ebbe a formulare l’eccezione ex art. 1460 CC in primo grado (Cass. civ. Sez. II, 04-11-2009, n. 23345 “la parte evocata in giudizio per il pagamento di una prestazione rivelatasi inadeguata può non solo formulare le domande ad essa consentite dall'ordinamento in relazione al particolare contratto stipulato, ma anche limitarsi ad eccepire - nel legittimo esercizio del potere di autotutela che l'art. 1460 cod. civ. espressamente attribuisce al fine di paralizzare la pretesa avversaria chiedendone il rigetto - l' inadempimento o l'imperfetto adempimento dell'obbligazione assunta da controparte, in qualunque delle configurazioni che questo può assumere, in esse compreso, quindi, il fatto che il bene consegnato in esecuzione del contratto risulti affetto da vizi o mancante di qualità essenziali”.); detta eccezione poteva essere formulata in corso di giudizio (l’unico limite, infatti, è dato dalla proposizione per la prima volta in appello dell'eccezione d'inadempimento, che rientra fra quelle non rilevabili d'ufficio :Cass. 13746/02; 11728/02; 10764/99);
l’eccezione venne parzialmente accolta, per cui nella liquidazione del petitum accordato alla odierna appellante il Tar ben poteva adottare le statuizioni determinative censurate dall’appellante senza che fosse necessario aver proposto domanda riconvenzionale.
6.2. Ciò premesso, mercè le dette due doglianze ci si duole dell’omesso “riconoscimento” integrale, ai fini della determinazione e liquidazione dei costi sostenuti, della quantificazione/certificazione operata dall’Ing. Albertalli; della circostanza che sia stata invece utilizzata una perizia redatta da Uffici della Regione (parte in causa); della circostanza che si sia stabilito di tenere conto dei costi per lo smaltimento sostenuti dal Commissario Delegato, da dedursi in compensazione, ad avviso del Tar.
Con la terza censura,poi, riepilogativa delle “voci” di danno illustrate nell’atto di appello, oltre a quantificarsi le spese sostenute ante gestione commissariale, si è sostenuto che la sentenza aveva errato a non riconoscere all’appellante la totalità di dette spese, il risarcimento per l’omesso conseguimento della riqualificazione dell’area, ed il rimborso dei costi sostenuti successivamente all’insediamento del Commissario (costi che, espressamente, il Commissario si era impegnato a corrispondere una volta che l’appellante avesse proseguito nella gestione, come da missiva della Gestione Commissariale del 27.7.2010).
6.3. Quanto alla prima articolazione della censura, ad avviso del Collegio ben poco v’è da aggiungere alla ricostruzione del Tar.
Il Collegio ha già esaminato il testo dell’art. 4, comma III , dell’Accordo integrativo.
Ivi era stato altresì stabilito che la definizione dei costi sostenuti di cui ai punti a) e b) del predetto comma avrebbe dovuto formare oggetto di certificazione ad opera di un soggetto terzo designato dal Presidente del Tribunale.
Come è noto, e come anticipato nella parte in fatto della presente decisione, a seguito di istanza congiunta della Regione Lombardia e di TR Estate del 10.3.2010 il Presidente del Tribunale di Milano nominò un tecnico (l’ Ing. Guido Albertalli) affinchè procedesse alla certificazione dei costi.
Ma l’effetto di tale certificazione presupponeva la permanente operatività del rapporto oggetto dell’Accordo del 2007 integrato nel 2009, e, come si è prima chiarito, avrebbe dovuto costituire la base di una regolamentazione dei rapporti mirata a consentire alla appellante la prosecuzione dell’attività e, insieme, il soddisfacimento delle istanze di riequilibrio economico, non soddisfatte (art. 4 comma 3) né attraverso le attribuzioni di utilità “urbanistiche” di cui al comma 2 dell’art. 4, né attraverso il raggiungimento di intese alternative alla corresponsione di utilità economiche, e diverse da quelle di cui al comma 2, siccome stabilito ex art. 4 comma 3 lett. b del predetto Accordo integrativo.
Immediatamente dopo la presentazione della detta istanza, come è noto, venne invece emessa l’OPCM n. 3874/10; la prosecuzione degli impegni di cui all’Accordo del 2007 fu immediatamente esclusa e, quindi, il quadro sotteso alla operatività della prescrizione di cui all’art. 4 comma 3 lett. a ultima parte era del tutto superato.
Di ciò la Regione rese edotto l’ing. Albertalli.
Quest’ultimo proseguì nella propria attività non .
In disparte le critiche avanzate dalla Regione alla certificazione redatta dal predetto tecnico (sulle quali ci si soffermerà immediatamente di seguito) appare evidente che non si possa alla stessa attribuire la valenza pretesa dall’appellante.
Non si tratta, nel caso di specie (pagg. 54-57) di “arbitrariamente mutare” l’Accordo sottoscritto, come a torto sostenuto dall’appellante.
E’ proprio l’ Accordo (integrativo) sottoscritto - nel quale parimenti trova fonte e legittimazione il procedimento sviluppatosi e sfociato nella richiesta congiunta della nomina di un certificatore diretta al Presidente del Tribunale di Milano- ad avere collocato il detto procedimento in un quadro di permanenza del rapporto negoziale tra l’appellante e l’Amministrazione.
Venuto meno quest’ultimo, non trova (più) applicazione la clausola di cui al comma 3 dell’art. 4, e men che meno con gli effetti pretesi dall’appellante.
Quest’ultima, infatti, vorrebbe interpretare detta clausola in termini non dissimili da una clausola compromissoria (come se si fosse affidato, in sostanza, al certificatore, il compito di definire le pendenze tra le parti in ipotesi di risoluzione del rapporto).
Ma così certamente non è e non può essere, il che esclude –salvo quanto si dirà di seguito- la fondatezza delle censure di parte appellante.
6.3.1. Al contempo però – ed in parte qua l’appello merita invece accoglimento, seppure parziale - il Collegio non condivide la radicale scelta del Tar di escludere del tutto (sulla scorta delle eccezioni articolate dalla difesa della Regione, secondo cui trattavasi “di un conteggio formale redatto sulla base di dati forniti dalla originaria ricorrente, senza contraddittorio”) detta perizia dal perimetro della documentazione valutabile ai fini determinativi di cui all’art. 34 comma 4 del Cpa.
E parimenti il Collegio non condivide la connessa opzione privilegiata dal Tar di imporre che, ai fini della proposta ex art. 34 del c.p.a., venga unicamente preso in esame il differente conteggio redatto dagli stessi Uffici Regionali (perizia del dirigente ing. Elefanti del 12.7.2012).
Premesso che le critiche “nel merito” rivolte dall’appellante alla detta perizia regionale, oltre a non dimostrare l’inattendibilità della stessa appaiono in larga parte premature, in quanto anticipatrici di contestazioni che, semmai, andranno eventualmente rivolte alla determinazione finale della cifra offerta dalla Regione, pare al Collegio maggiormente corretto, -anche al fine di tentare di disinnescare in anticipo una ulteriore fase contenziosa - disporre in termini diversi.
6.3.2. Si badi: l’appellante non può essere certamente seguito laddove si duole della circostanza che il Tar ha stabilito che la fase ex art. 34 comma 4 del cpa si fondi su un documento peritale reso da una delle parti in causa (la Regione, appunto, che non potrebbe certo considerarsi soggetto “terzo”), in quanto trascura di considerare che l’Ente predetto è quello che ha intrapreso l’azione amministrativa contestata, e quindi è perfettamente comprensibile che ci si rifaccia ai conteggi dallo stesso elaborati.
Detti conteggi e dette valutazioni, però, dovranno essere “riscontrati” e vagliati in contraddittorio tra le parti, ed anche posti in rapporto ai dati, eventualmente difformi, contenuti nella perizia certificativa redatta dall’Ing. Albertalli, che in tal senso appare perfettamente utilizzabile.
Ed in sede di determinazione della somma da corrispondere all’appellante la Regione avrà cura di predisporre una relazione specificativa chiarendo perché, in ipotesi di difformità tra i due documenti utilizzati, abbia privilegiato il dato contenuto in uno piuttosto che nell’altro (o eventualmente, perché li abbia disattesi entrambi) tenendo conto delle obiezioni di parte appellante, cui detta relazione integrativa andrà previamente sottoposta, e chiarendo altresì per quali ragioni esse siano state ritenute non accoglibili.
In parte qua, la censura afferente la statuizione di assoluta inutilizzabilità della perizia certificativa redatta dall’Ing. Albertalli deve essere accolta, e la sentenza deve essere corretta.
6.3.3. E’ invece certamente infondata l’ultima sottocensura rubricata alla lett. C della seconda doglianza, laddove si sostiene che la sentenza di primo grado avrebbe errato nell’affermare che si sarebbe dovuto tenere conto dei costi immediatamente sostenuti dalla Regione e dal Ministero per partecipare alle operazioni di smaltimento e bonifica svolte dal Commissario in sostituzione di TR Estate Due SRL.
Essa non coglie nel segno (salvo quanto di seguito si dirà) né sotto il profilo delle doglianze processuali (laddove si ritiene la sentenza viziata ex art. 112 cpc per avere provveduto in tal senso pur in carenza di domanda riconvenzionale) né sotto il profilo sostanziale.
A fronte di un proprio inadempimento parziale, l’appellante non può pretendere le sia riconosciuto l’intero importo dei costi sostenuti.
Così come apparirebbe contrario a buona fede (in parte qua, come si è visto, il Collegio ha confermato il decisum del Tar) che l’Amministrazione nulla versasse per le opere effettivamente eseguite (che comunque costituiscono un minus rispetto a quanto l’appellante si era impegnata a porre in essere), specularmente l’appellante non può pretendere il ristoro dell’ intero esborso sostenuto in quanto sarebbe contrario a buona fede non decurtarlo dell’importo che Regione e Ministero dovettero versare per la partecipazione alle opere di bonifica commissariali in quanto causalmente ricollegabile proprio a tale parziale inadempimento dall’appellante principale.
Le considerazione dell’appellante a sostegno di tale tesi sono le stesse già confutate dal Collegio in precedenza( pag. 62 dell’appello: non v’era obbligo di completare l’attività, le prestazioni non erano omogenee, etc) e, senza volere indulgere in superflue ripetizioni, risultano smentite per tabulas sol che si ponga mente locale a quale era stato il contenuto dell’impegno originariamente assunto dall’appellante nel 2007 e ribadito nel 2009 (id est: integrale rimozione e bonifica).
Né v’era necessità di articolare eccezioni di compensazioni e/o domande riconvenzionali: valutandosi le reciproche prestazioni poste in essere, alla stregua dell’art. 1460 cc ed in ossequio al canone di buona fede ivi imposto, la riduzione segue necessariamente il “precetto primario” riposante nel rimborso dei costi sostenuti (ex aliis cfr: Cass. civ. Sez. II, 13-03-2007, n. 5869 -rv. 596269- “nell'ambito di un contratto di appalto, l'eccezione di inadempimento , formulata in considerazione di alcuni vizi ed incompletezze dei lavori, opera nei limiti del corrispondente importo, sicchè non esclude che per il residuo il committente, una volta effettuata la parziale compensazione tra i reciproci crediti delle parti, sia tenuto a corrispondere il corrispettivo dovuto per i lavori esenti da vizi, ed i relativi interessi di mora.”).
L’appellante abilmente prospetta che in tal modo, si sia addivenuti ad una determinazione dei costi sostenuti dalla TR Estate Due, ex art. 1226 CC in violazione alle prescrizioni di legge (pag 61 dell’appello): senonchè, è la percentuale di abbattimento che è stata effettuata ex art. 1226 CC, e non già l’ammontare dei costi sostenuti dall’appellante che dovranno esserle rimborsati (detratta, appunto, la detta percentuale).
In tale ottica, la sentenza appare immune da mende, mentre la determinazione della percentuale resa dal Tar appare in effetti (come segnalato dall’appellante principale)contraddittoria e va corretta: la percentuale di abbattimento non potrà infatti essere superiore al 50% dei costi sostenuti da TR Estate, ma – contrariamente a quanto disposto in primo grado- l’abbattimento potrà essere inferiore, in relazione alla concreta rilevanza ed utilità tratta dalle Amministrazioni dall’attività di smaltimento svolta dalla società.
6.4.Quanto alle censure (terzo motivo di appello ed in parte secondo motivo) attingenti la individuazione delle “voci” concorrenti alla determinazione delle somme spettanti all’appellante, rileva il Collegio quanto segue.
All’appellante vanno innanzitutto riconosciuti (nei termini scolpiti dalla decisione del Tar, in parte qua immune da mende, e mediante il procedimento determinativo indicato nel superiore capo della presente sentenza) i costi sostenuti per l’avvenuto svolgimento dell’attività di smaltimento nella discarica “C” (ed il Collegio ribadisce in proposito che non appare accoglibile, sul punto, l’eccezione di parte appellata secondo cui, pur a fronte del parziale adempimento dell’appellante, nessuna somma possa esserle riconosciuta);
6.4.1.Quanto a tale compendio,si ripete, non appaiono accoglibili le censure di parte appellante volte a criticare la statuizione del Tar secondo la quale “si dovrà tenere altresì conto degli eventuali costi direttamente ed immediatamente sostenuti dalla Regione e dal Ministero per la partecipazione eventuale alle operazioni di smaltimento e bonifica svolte da parte del Commissario Delegato in sostituzione di TR Estate, costi che dovranno compensare gli oneri riconosciuti a quest’ultima.”.
Si è già evidenziato prima:la statuizione del Tar è corretta e prescinde dalla proposizione di una domanda riconvenzionale od eccezione di compensazione essendo precipitato del comma 2 dell’art. 1460 cc.
Posto che l’impegno assunto era quello della integrale rimozione dei rifiuti e bonifica dell’area (anche con riferimento al sito C e non soltanto in relazione ai siti A e B, per le quali nessuna attività è stata dall’appellante intrapresa) e posto che anche per quanto concerne l’area C l’adempimento è stato parziale, appare del tutto logico che la somma complessiva venga decurtata dei costi in realtà sostenuti dalla gestione commissariale.
6.4.2.Va parimenti disattesa la doglianza intesa ad ottenere a titolo di risarcimento danni la refusione del mancato guadagno ritraibile ove fosse stata perfezionata la riqualificazione delle aree: a fronte dell’omesso integrale adempimento da parte dell’appellante, tale riconoscimento integrerebbe una ingiusta locupletazione, certamente non spettante (e si è già chiarito che la detta omissione non possa essere posta in sinallagmatico legame con l’obbligo primario di bonifica).
6.4.3.Va invece accolta l’ultima parte del terzo motivo, e deve essere quantificato, in contraddittorio con la Regione ed il Ministero, il costo sostenuto dall’appellante per lo svolgimento della eventuale attività successiva all’insediamento del Commissario ed a quest’ultima espressamente richiesta (lo stesso Ufficio del Commissario si era impegnato a rifondere dette spese, delle quali non è tuttavia noto l’importo né, per il vero, se le stesse siano state effettivamente sostenute, ed in che misura).
Per tale ragione, pertanto, la procedura ex art. 34 comma 4 del cpa dovrà essere estesa a tali somme eventualmente dovute: detta attività, infatti, si pone in continuità logica con quella di cui all’Accordo del 2007 integrato nel 2009; è stata espressamente richiesta all’appellante; non si vede perché debba restare a carico di quest’ultima, laddove si accerti, in contraddittorio tra le parti, che la stessa è stata effettivamente svolta.
6.4.4 Quanto alla percentuale di abbattimento individuata dal Tar, (e limitata al compendio relativo alle opere intraprese ante gestione commissariale, mentre gli eventuali costi sostenuti dall’appellante successivamente non possono risentire di detto abbattimento), le censure articolate dall’appellante non sono condivisibili.
Si ribadisce quanto esposto sub 6.3.3.: la operatività dell’art. 1226 CC (“se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”) non era (e non è) affatto preclusa, nel caso di specie, dalla possibilità di provare con precisione i costi sostenuti dall’appellante.
Ciò che quest’ultima non coglie, riposa nella circostanza che la determinazione equitativa si rende necessaria non già per quantificare i costi dall’appellante sostenuti, ma per individuare il danno arrecato a parte appellata dall’adempimento solo parziale posto in essere dall’appellante.
In tali termini, la percentuale di abbattimento indicata dal Tar in misura del 50% (cinquanta per cento) appare non arbitraria né abnorme, in considerazione della delicata attività di supplenza “emergenziale” che si rese necessaria a cagione dell’inadempimento (seppur non integrale)dell’appellata ,
Mentre, in ordine alla necessaria riforma dell’affermazione del Tar secondo cui dovrebbe essere “fatta salva una misura maggiore alla luce della concreta rilevanza ed utilità tratta dalle Amministrazioni dall’attività di smaltimento svolta dalla società”, si è già chiarito come il Collegio la ritenga in realtà inesatta e contraddittoria, forse frutto di un refuso, e vada corretta nei termini di cui sopra.
7. Conclusivamente, l’appello principale va accolto soltanto parzialmente, nei termini di cui alla motivazione che precede, mentre gli appelli incidentali devono essere integralmente disattesi e tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Per l’effetto, in parziale riforma della gravata decisione, ed a parziale integrazione e correzione della motivazione si dispone che: ex art. 34 comma IV del cpa vada valutata, unitamente alla Relazione della regione, la “perizia” redatta dall’Ing Albertalli ai fini, e con gli effetti, chiariti in motivazione;
ai fini della determinazione dei costi e delle spese sostenute dall’appellante principale vadano accertate –ove effettivamente svolte- quelle sostenute dall’appellante per lo svolgimento della eventuale attività successiva all’insediamento del Commissario ed a quest’ultima espressamente richiesta dal Commissario medesimo: anche con riguardo a tale voce la determinazione dovrà avvenire in contraddittorio, nei termini delineati dalla sentenza di primo grado e confermati dal Collegio;
la percentuale di abbattimento dei costi imposta dal Tar – e, come prima rilevato, ritenuta condivisibile dal Collegio -non potrà essere superiore al 50% dei costi sostenuti da TR Estate, ma l’abbattimento potrà essere inferiore, in relazione alla concreta rilevanza ed utilità tratta dalle Amministrazioni dall’attività di smaltimento svolta dalla società.
8. Le spese processuali vanno, all’evidenza, integralmente compensate tra le parti, in considerazione della complessità della vicenda processuale e della parziale soccombenza verificatasi nel doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie solo parzialmente, nei termini di cui alla motivazione che precede, e per l’effetto corregge ed integra la sentenza di primo grado nei termini descritti al capo 7 della motivazione.
Respinge gli appelli incidentali.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi,Presidente
Sandro Aureli,Consigliere
Fabio Taormina,Consigliere, Estensore
Diego Sabatino,Consigliere
Giuseppe Castiglia,Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

Registrati

Registrati per accedere Gratuitamente ai contenuti riservati del portale (Massime e Commenti) e ricevere, via email, le novità in tema di Diritto delle Pubbliche Amministrazioni.

Contenuto bloccato! Poiché non avete dato il consenso alla cookie policy (nel banner a fondo pagina), questo contenuto è stato bloccato. Potete visualizzare i contenuti bloccati solo dando il consenso all'utilizzo di cookie di terze parti nel suddetto banner.