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Piano regolatore portuale e concessione demaniale marittima - Cons. Stato, sez.VI, sent. n. 5063 del 06.11.2015

Pubblico
Lunedì, 9 Novembre, 2015 - 01:00

 

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), sentenza n. 5063 del 6 novembre 2015, su piano regolatore portuale e concessione demaniale marittima
 
N. 05063/2015REG.PROV.COLL.
 
N. 08903/2014 REG.RIC.
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 8903 del 2014, proposto dall’impresa individuale Pe, rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Tedeschini e Daniele Granara, con domicilio eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7 
contro
Autorità Portuale della Spezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gabriele Pafundi e Luigi Cocchi, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4
nei confronti di
La Spezia Container Terminal S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Sorrentino e Francesco Munari, con domicilio eletto presso Federico Sorrentino in Roma, Lungotevere delle Navi 30; 
Giovanni Lorenzo Forcieri
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Liguria, Sezione I, n. 1022/2014
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Portuale della Spezia e della La Spezia Container Terminal S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 settembre 2015 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Granara, Cocchi, Pafundi e Munari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
 
FATTO
Le vicende sottese alla presente vicenda contenziosa vengono descritte nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. della Liguria
Con ricorso proposto dinanzi a quel Tribunale amministrativo e recante il n. 1176/2013 l’impresa odierna appellante, titolare di concessione demaniale marittima nell’area della Marina del Canaletto nell’ambito del porto commerciale della Spezia, esponeva che, in vista della realizzazione di importanti lavori previsti dal piano regolatore portuale sull’area in concessione, i concessionari storici avevano stipulato con l’Autorità Portuale - in data 8 gennaio 2007 - un protocollo di intesa circa la loro ricollocazione (protocollo che, al fine di superare un vasto contenzioso circa le clausole di revoca anticipata appositamente inserite nelle pregresse concessioni demaniali marittime, avrebbe assicurato la corrispondenza funzionale e quantitativa dei nuovi spazi da realizzare, nonché un preavviso di sei mesi sulla comunicazione della data di disponibilità degli stessi).
Pertanto, con il richiamato ricorso, impugnava la nota con la quale il Commissario straordinario dell’Autorità portuale della Spezia (d’ora in poi: “l’Autorità appellata” o “l’APS”), preso atto dell’istruttoria partecipativa nell’ambito della quale sarebbe stato illustrato ai concessionari il progetto di ricollocazione nell’ambito del Molo Pagliari, li invitava a procedere entro trenta giorni alla sottoscrizione del verbale di accordo per la futura ricollocazione, riservandosi – in difetto – di ritenere inadempiuto il protocollo di intesa dell’8 gennaio 2007 e di considerare conseguentemente decaduta la pregressa concessione.
L’impugnazione si estendeva altresì al decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti 5.7.2013, n. 253, di nomina del Commissario straordinario dell’Autorità Portuale della Spezia.
Nel corso del primo grado dl presente giudizio si costituiva la società La Spezia Container Terminal s.p.a. (d’ora in poi: “la LSCT”), individuata quale concessionario per la realizzazione e la gestione di grandi opere di infrastrutturazione del porto della Spezia, la quale concludeva nel senso della reiezione del ricorso principale e articolava altresì un ricorso incidentale di carattere sostanzialmente escludente volto a determinare la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale.
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito respingeva il ricorso ritenendolo infondato.
Il T.A.R. osservava che non vi fosse ragione di esaminare in via prioritaria il ricorso incidentale proposto dalla LSCT, stante la palese infondatezza del ricorso principale.
La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla ricorrente in epigrafe individuata la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi.
1) Con il primo motivo l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza in epigrafe per avere i primi Giudici affermato che non vi fosse ragione per esaminare il ricorso incidentale proposto dalla LSCT, senza pronunziarsi sull’eccezione di tardività sollevata dall’odierna appellante proprio in relazione al contenuto di quel ricorso incidentale.
Ed infatti, il T.A.R. avrebbe avuto l’obbligo di esaminare la richiamata eccezione e di dichiarare l’irricevibilità del ricorso incidentale in quanto proposto avverso il protocollo d’intesa dell’8 gennaio 2007 ben oltre il decorso del termine di sessanta giorni dalla sua piena conoscenza da parte della società LSCT (e sarebbe pacifico in atti che la società LSCT fosse a conoscenza del contenuto del richiamato protocollo d’intesa almeno a far data dal 19 marzo 2012 e che l’accordo fosse già lesivo per LSCT in tale momento).
2) Con un secondo argomento, la parte appellante lamenta l’erroneità della sentenza in epigrafe anche per la parte in cui i primi Giudici, pur avendo affermato di non esaminare il ricorso incidentale proposto da LSCT in ragione della ritenuta manifesta infondatezza dell’impugnativa principale, avrebbero fondato la propria pronuncia sulle censure in esso contenute.
Inoltre, la parte appellante deduce l’erroneità del decisum del T.A.R. Ligure per essere i primi Giudici giunti a esiti discordanti in sede di positiva valutazione del fumus nella fase cautelare e in quella di merito, definitivamente pronunciando nel senso dell’infondatezza del gravame.
3) Con il terzo motivo di ricorso, la parte appellante chiede che la sentenza in epigrafe venga altresì riformata per avere il T.A.R. ligure omesso di attribuire al protocollo per cui è causa natura transattiva. Nella prospettazione dell’appellante, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di prime cure, tale intesa sarebbe sussumibile sotto l'articolo 1965 cod. civ. quale accordo transattivo delle pregresse vicende contenziose insorte tra APS e i concessionari e sarebbe stato finalizzato ad attuare meglio il Piano Regolatore Portuale (P.R.P.) e gli interessi pubblici coinvolti. In sostanza, tramite il richiamato protocollo i concessionari si sarebbero impegnati a rinunciare ai ricorsi precedentemente proposti a fronte dei seguenti impegni assunti dall’Amministrazione portuale, la quale si impegnava ad assicurare l’equivalenza funzionale e quantitativa tra le aree destinate alla ricollocazione e quelle attualmente occupate; l’identità di strutture funzionali e funzionanti, volumetria, spazi e dimensioni, servizi ed utenze oggetto di concessione; la previsione di un termine non inferiore a sei mesi per l’eventuale approvazione della proposta di ricollocazione.
In quest’ottica, il protocollo non sarebbe sottoposto all’applicazione dei principi dell'ordinamento eurounitario a tutela della concorrenza.
Ed ancora, illegittima sarebbe l’imposizione di un termine breve (trenta giorni) assegnato per l’eventuale accettazione della proposta di ricollocazione formulata dall’amministrazione. In particolare, tale termine, previsto a pena del rigetto dell’istanza di rinnovo della concessione e pretesamente contrastante con l’obbligo di preavviso semestrale assunto dall’Autorità con il protocollo di intesa, risulterebbe inadeguato anche in ragione della circostanza che i concessionari, prima dell’emanazione delle proposte di ricollocazione e degli elaborati progettuali, non sarebbero stati informati in modo adeguato della nuova collocazione. Sotto altro profilo, l’amministrazione si sarebbe resa inadempiente nei confronti della parte appellante nel prevedere, in violazione degli impegni assunti, la ricollocazione dei concessionari storici sul molo Pagliari, invece che “ tra il Molo Pagliari e il Molo Enel”, come previsto nel P.R.P.
Con un’ulteriore censura, la parte appellante deduce, a sostegno del proprio gravame, la mancata valutazione, da parte dell’AP prima e del T.A.R. poi, dell'intervenuta proroga ex lege della concessione demaniale marittima -la quale sarebbe venuta in scadenza al 31 dicembre 2015, in applicazione del comma 18 dell’articolo 1 del decreto legge 30 dicembre 2009, n. 194- al 31 dicembre 2020 .
Del pari erroneamente i primi Giudici avrebbero richiamato l’art. 42 cod. nav., attinente al potere di revoca del titolo concessorio per sopravvenuti motivi di interesse pubblico. In proposito, la parte appellante osserva che, nel caso di specie, non emergerebbero adeguate ragioni di interesse pubblico tali da giustificare la revoca de qua.
5) La parte appellante reitera, poi, il motivo di ricorso con cui si era dedotta l’asserita vaghezza e indeterminatezza dell’oggetto del progetto di ricollocazione. In proposito deduce che il progetto sarebbe tecnicamente inattendibile, in ragione della mancata indicazione di quote di misura, aree e volumetrie e delle presunte sovrapposizioni tra gli spazi assegnati ai singoli concessionari. Inoltre, il progetto non sarebbe stato redatto sulla base del progetto definitivo di riconversione d’uso del Molo Pagliari oggetto dell’intesa Stato-Regioni.
Ancora, ad avviso della parte appellante, l’Autorità avrebbe dovuto conformarsi a una delle due proposte di ricollocazione avanzate dai concessionari, in grado di consentire la corrispondenza quantitativa e funzionale tra le aree oggetto della precedente concessione e quelle oggetto della nuova.
Sotto altro profilo, la parte appellante si duole della erroneità della gravata sentenza per la parte in cui ha omesso di considerare la presunta violazione dell’ordine di priorità delle opere, previsto dal P.R.P. in favore delle cc.dd. “Marine storiche”. Al riguardo, si sostiene che il parere della Regione Liguria sarebbe stato condizionato espressamente alla “esigenza imprescindibile che per il proseguimento delle opere previste dal P.R.P. venissero poste in atto le azioni preliminari previste dallo stesso P.R.P. e dagli accordi correlati, consistenti in particolare nel ricollocamento delle Marine storiche presenti al Canaletto, con le fasi e le modalità previste”.
Peraltro, l’incertezza sulla sussistenza di un progetto relativo al Molo Pagliari sarebbe testimoniata dalle posizioni contrastanti circa la sua natura, consistenza ed esistenza espresse dalle Autorità coinvolte nel corso del giudizio NRG 154/2014, proposto dai concessionari davanti al T.A.R. Liguria e avente ad oggetto l’intesa Stato-Regione sul tale progetto.
6) Con ulteriore motivo di doglianza, la parte appellante contesta l'argomentazione della sentenza gravata con cui è stato respinto il motivo di ricorso attinente all’assenza delle autorizzazioni prescritte dal Codice dei Beni Culturali agli articoli 21 e 146. In particolare, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare illegittima l’asserita inversione procedimentale posta in essere dall’Autorità nell’approvare il progetto definitivo prima del necessario rilascio delle autorizzazioni suddette.
7) Ancora, la parte appellante prospetta l'argomento già profuso in primo grado relativo al vizio di incompetenza del Commissario straordinario ad adottare gli atti impugnati. I primi Giudici erroneamente avrebbero reputato tale censura inammissibile in forza della mancata impugnazione del decreto ministeriale di nomina del Commissario Straordinario e conseguente mancata evocazione in giudizio del Ministero interessato. In proposito, il ricorrente lamenta che il T.A.R. erroneamente avrebbe disatteso la doglianza proposta, attinente esclusivamente alla corretta perimetrazione dei poteri a disposizione dell’Organo straordinario, non anche alla nomina in sé considerata. Ad avviso della parte appellante, dunque, il Commissario straordinario individuato dal D.M. n. 253 del 2013 non avrebbe potuto, ai sensi degli artt. 1, 3 e 5 del decreto-legge n. 293 del 1994, stipulare alcun atto di concessione né proposte e schemi di ricollocazione dei concessionari, non rientrando tali atti nella definizione di “ordinaria amministrazione”.
Si è costituita in giudizio la società La Spezia Container Terminal s.p.a. la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
La medesima società ha, altresì riproposto, ai sensi del comma 2 dell’articolo 101 del cod. proc. amm., i tre motivi del ricorso incidentale già articolati in primo grado e che il T.A.R. non ha esaminato per avere ritenuto dirimente la palese infondatezza del ricorso principale.
Si è altresì costituita in giudizio l’Autorità portuale della Spezia, la quale ha a propria volta concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Alla pubblica udienza del 22 settembre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso proposto dall’impresa individuale titolare di una concessione demaniale marittima presso la Marina del Canaletto del Porto della Spezia avverso la sentenza del T.A.R. della Liguria con cui è stato respinto il ricorso avverso l’atto con cui il Commissario straordinario della locale Autorità portuale li ha invitati a sottoscrivere il verbale di accordo per la futura rilocalizzazione della concessione nell’ambito del Molo Pagliari (con avvertenza che, in caso di mancata adesione entro il termine di trenta giorni, sarebbe stata respinta l’istanza volta al rinnovo della concessione in essere).
2. Come si è anticipato in narrativa, il primo motivo del ricorso principale mira a contestare la scelta dei primi Giudici di non esaminare il ricorso incidentale proposto in primo grado dalla LSCT, stante la ritenuta infondatezza del ricorso principale.
Il secondo motivo, poi, mira a contestare la contraddittorietà intrinseca che vizierebbe la sentenza in epigrafe in quanto il T.A.R. avrebbe per un verso affermato che non avrebbe esaminato il ricorso incidentale della LSCT, salvo poi – per altro verso – respingere il ricorso principale proprio per ragioni desumibili dall’articolazione del ricorso incidentale.
2.1. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
2.1.1. Si osserva in primo luogo al riguardo che, pur non trovando nel caso di specie diretta e immediata applicazione i principi affermati dalla sentenza dell’Ad. Plen. 25 febbraio 2014, n. 9 (la quale ha esaminato le questioni connesse all’ordine di esame fra il ricorso principale ed incidentale nel contenzioso in tema di appalti pubblici ex art. 120 del cod. proc. amm.), si ritiene nondimeno che i principi desumibili da quella pronuncia possano trovare applicazione (mutatis mutandis) anche nella presente vicenda contenziosa.
Si è in particolare osservato che, pur dovendosi in linea di massima procedere all’esame prioritario del ricorso incidentale di carattere escludente (i.e.: finalizzato ad ottenere la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale per carenza di legittimazione o di interesse), nondimeno è possibile – per ragioni di economia processuale – procedere all’esame prioritario del ricorso principale, laddove ne emerga l’infondatezza.
Si tratta, per le ragioni che di seguito si esporranno, di un principio certamente applicabile al caso in esame.
2.1.2 In secondo luogo si osserva che non può essere condivisa la tesi secondo cui l’ordinanza cautelare di questo Consiglio n. 495/2014 avrebbe fornito argomenti a supporto della tesi dell’appellante.
Al riguardo ci si limita ad osservare come la richiamata ordinanza si limitasse a sottolineare la complessità delle questioni sottese alla validità del protocollo d’intesa in data 8 gennaio 2007 e che tali questioni dovessero essere più adeguatamente esaminate in sede di merito.
Il che, come è evidente, non depone certo nel senso (auspicato dall’appellante) di affermare tout-court la piena validità ed efficacia del richiamato protocollo d’intesa.
Ai limitati fini che qui rilevano, poi (e rinviando al prosieguo ogni approfondimento sul punto), si osserva che il T.A.R. ha comunque esaminato nel merito i contenuti del Protocollo d’intesa dell’8 gennaio 2007 (non accedendo alla tesi della sua radicale invalidità sollevata dalla LSCT), ma pervenendo a conclusioni diverse rispetto a quelle invocate dall’odierna parte appellante.
2.1.3. In terzo luogo si osserva che l’esame della sentenza in epigrafe non palesa i profili di contraddittorietà lamentati dalla parte appellante in quanto i primi Giudici (secondo i quali non vi era luogo ad esaminare il ricorso incidentale, stante l’infondatezza del ricorso principale) non hanno in effetti esaminato i motivi con i quali si era chiesto di annullare il protocollo d’intesa dell’8 gennaio 2007, ma si sono limitati a rilevare i profili di infondatezza del ricorso principale.
Ma il punto è che la pronuncia relativa all’infondatezza del ricorso principale non postulava l’ampliamento del thema decidendum propria del ricorso incidentale, ben potendo emergere in modo autoevidente dal solo esame in sede giudiziale dei motivi articolati.
2.1.4. I due motivi in questione devono quindi essere respinti.
3. Come si è anticipato in narrativa, l’appellante ha contestato con il terzo motivo di appello il passaggio della sentenza in epigrafe con cui si è affermata l’insostenibilità (alla luce di principi di ordine costituzionale, eurounitario e di ermeneutica degli atti giuridici) della pretesa alla piena equivalenza (e alla sostanziale identità) fra gli spazi già a suo tempo detenuti e quelli oggetto della nuova collocazione.
3.1. Il motivo nel suo complesso è infondato.
In via generale il Collegio ritiene che la sentenza in epigrafe sia meritevole di conferma per la parte in cui ha rilevato l’insostenibilità di una pretesa (quale quella che rinverrebbe dalle previsioni del Protocollo d’intesa dell’8 gennaio 2007) al riconoscimento di un vincolo, il cui contenuto – laddove condiviso – risulterebbe in contrasto: i) con gli stessi limiti della competenza dell’organo stipulante (il Presidente pro tempore dell’APSP); ii) con i limiti in tema di rilascio e rinnovo delle concessioni demaniali imposti dall’ordinamento eurounitario; iii) con la stessa giuridica impossibilità di ipotizzare che l’oggetto ultimo dell’accordo possa consistere nell’obbligo di assicurare ai pregressi concessionari uno spazio e dotazioni infrastrutturali di fatto identici rispetto a quelli che avevano caratterizzato le pregresse concessioni.
3.1.1. Quanto al profilo sub i) si osserva che, effettivamente, la pretesa al riconoscimento di una sorta di incondizionato diritto di insistenza (peraltro, traslato su una diversa area) collide con i limiti di quanto legittimamente assentibile dal Presidente (al quale non è autonomamente consentito il rilascio di concessioni di durata eccedente i quattro anni).
3.1.2. Quanto al profilo sub ii) si osserva che risulta effettivamente in contrasto con principi giurisprudenziali più che consolidati la pretesa al rilascio di una nuova concessione di contenuto sostanzialmente identico a quello proprio della pregressa concessione e in assenza di qualunque procedura comparativa fra i soggetti potenzialmente interessati all’assegnazione.
Al riguardo è qui appena il caso di richiamare il più che consolidato orientamento secondo cui anche le concessioni di beni pubblici (al tempo dei fatti di causa non interessate da disposizioni di armonizzazione o di ravvicinamento delle legislazioni al livello UE) devono restare assoggettate all’applicabilità dei principi desumibili dal diritto europeo primario e, segnatamente, ai generali principi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità - principi, questi, che rinvengono nell’obbligo di indizione di procedure trasparenti e competitive il loro primo corollario – (in tal senso –ex multis -: Cons. Stato, VI, 30 gennaio 2007, n. 362; id., VI, 25 gennaio 2005, n. 168: id., VI, 30 dicembre 2005, n. 7616).
Per quanto riguarda, in particolare, l’attribuzione in concessione di aree del demanio marittimo si è osservato che l’indifferenza manifestata dall’ordinamento eurounitario rispetto al nomen della fattispecie, e quindi alla sua riqualificazione interna in termini pubblicistici o privatistici, fa sì che la sottoposizione ai principi di evidenza trovi il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale marittima si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato; così da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione (in tal senso, Cons. Stato, VI, sent. 362 del 2007, cit., pt. 5.2.).
Né si può ritenere che la tradizionale idea della concessione senza gara possa trovare giustificazione nell'art. 45 del Trattato, secondo cui sono escluse dall'applicazione delle disposizioni del presente capo le attività che nello Stato nazionale partecipino, sia pure occasionalmente, all'esercizio dei pubblici poteri. La norma va interpretata in senso restrittivo, dovendo trattarsi di un trasferimento di potere pubblicistico autoritativo non ravvisabile con riferimento all'istituto della concessione che, ai fini comunitari, si distingue dall'appalto essenzialmente con riguardo alle modalità di remunerazione dell'opera del concessionario (ivi).
Ebbene, riconducendo i principi appena espressi alle peculiarità della vicenda di causa, si osserva che il Protocollo di intesa del gennaio 2007 non può essere interpretato nel senso di aver validamente fondato in capo ai concessionari (e in assenza di qualunque procedura di evidenza pubblica) un diritto così ampio quale quello - che qui viene nuovamente invocato -: i) di non vedersi revocati i titoli demaniali per un tempo di fatto indeterminato; ii) di essere ricollocati in aree di fatto identiche a quelle di cui alle vecchie concessioni; iii) di vedersi garantita una sorta di incondizionata corrispondenza funzionale e qualitativa fra le vecchie e le nuove aree; iv) di ottenere, nelle nuove aree, dotazioni strutturali e infrastrutturali assolutamente identiche a quelle che avevano caratterizzato le pregresse concessioni.
Né a conclusioni diverse da quelle appena individuate può giungersi in relazione alla circostanza (sottolineata dall’appellante) secondo cui i concessionari delle cc.dd. “marine storiche” svolgerebbero attività non commerciali, bensì sportive, di porto containers, artigianali, del tempo libero e turistiche.
A tacere d’altro si osserva che l’obbligo di affidare le concessioni in questione all’esito di procedure ad evidenza pubblica non dipende dal carattere stricto sensu commerciale dell’iniziativa, bensì dal suo carattere intrinsecamente economico e dall’astratta contendibilità delle utilità ritraibili attraverso il suo esercizio.
3.1.3. Per quanto riguarda, infine, il profilo richiamato sub iii) il Collegio osserva che l’interpretazione qui riproposta dall’appellante in relazione al contenuto del Protocollo di intesa dell’8 gennaio 2007 risulta in contrasto con generali canoni di ermeneutica degli atti e dei negozi giuridici.
Va premesso al riguardo che, secondo un consolidato – e qui condiviso – orientamento, il canone dell’interpretazione secondo buona fede (arg. ex 1366 cod. civ.) presiede anche all’interpretazione degli atti amministrativi (sul punto –ex multis -: Cons. Stato, III, 1 aprile 2015, n. 1712).
Si osserva inoltre che, se le regole generali in tema di interpretazione dei contratti (Libro IV, Titolo II, Capo IV del codice civile – art. 1362 e seguenti) trovano applicazione – nei limiti della compatibilità – in relazione agli atti amministrativi in senso proprio, a tanto maggior ragione le medesime regole generali sono destinate a trovare applicazione in relazione a una tipologia di atti sostanzialmente atipici (quale il protocollo d’intesa all’origine della presente vicenda) che risultino comunque volti a una regolazione sostanzialmente pattizia di alcuni aspetti di attività lato sensu amministrative.
3.1.4. Impostati in tal modo i termini della questione, risultano certamente applicabili nella presente vicenda (e presiedono all’interpretazione del più volte richiamato Protocollo di intesa):
-l’art. 1362 cod. civ. (rubricato ‘Intenzione dei contraenti’), secondo cui “nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.
Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”;
-l’art. 1363 (rubricato ‘Interpretazione complessiva delle clausole’), secondo cui “le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto”;
-l’art. 1367 (rubricato ‘Conservazione del contratto’), secondo cui “nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”.
3.1.5. Ebbene, se questo è (e siccome questo è) il corretto abito interpretativo entro il quale inquadrare le previsioni del più volte richiamato Protocollo, ne consegue:
-che il Protocollo di intesa non può essere interpretato nel senso di aver riconosciuto all’odierno appellante i) un incondizionato diritto di non vedersi revocati i titoli demaniali per un tempo di fatto indeterminato; ii) un diritto parimenti incondizionato ad ottenere la ricollocazione in aree di fatto identiche a quelle di cui alle vecchie concessioni; iii) un diritto a vedersi garantita una sorta di incondizionata corrispondenza funzionale e qualitativa fra le vecchie e le nuove aree e ad ottenere, nell’ambito delle nuove aree, dotazioni strutturali e infrastrutturali assolutamente identiche a quelle che avevano caratterizzato le pregresse concessioni;
-che il Protocollo del gennaio 2007 era finalizzato (nell’ottica del più adeguato soddisfacimento dell’interesse pubblico con contestuale minore possibile compressione degli interessi dei privati interessati – principio di adeguatezza e proporzionalità -) a consentire la più sollecita attuazione delle previsioni di nuovo Piano Regolatore Portuale, garantendo al contempo ai concessionari “storici” soluzioni di ricollocazione ragionevoli, praticabili e compatibili con il prevalenti interessi pubblici sottesi alla nuova pianificazione;
-che, in particolare, l’aspettativa dei concessionari “storici” a vedersi riconoscere una nuova e adeguata collocazione doveva comunque essere modulata in relazione ai limiti intrinseci derivanti dalle oggettive condizioni delle nuove strutture di Mirabello e della Darsena Pagliari. Si tratta di un obiettivo che l’amministrazione appellata ha perseguito offrendo ai concessionari “storici” aree caratterizzate da una minore estensione a terra e (almeno tendenzialmente) una più ampia estensione a mare. E’ evidente che la soluzione in questione non possa risultare ottimale per tutti gli interessati, ma si ritiene che il suo impianto di fondo risponda in modo adeguato al richiamato criterio di corrispondenza in senso solo funzionale;
-che, nell’ambito dei richiamati limiti di ragionevolezza, buona fede e compatibilità oggettiva, il contenuto del vincolo assunto dall’Autorità Portuale non poteva essere inteso come eccedente quanto necessario a consentire: i) i mantenimento della situazione pregressa nelle more della realizzazione e messa a disposizione delle nuove collocazioni; ii) l’offerta di nuove soluzioni allocative caratterizzate (nei limiti dell’oggettiva possibilità) da corrispondenza funzionale e quantitativa degli spazi e delle dotazioni;
-che, in definitiva (e alla luce dei più volte richiamati canoni ermeneutici) il richiamo alla nozione di “corrispondenza funzionale e quantitativa” doveva necessariamente essere inteso alla luce di un’ontologica quanto essenziale clausola condizionalistica, sì da riconoscere l’aspettativa all’ottenimento di spazi e strutture “corrispondenti” (non in senso assoluto, bensì) nei limiti di quanto oggettivamente possibile;
-che, laddove si accedesse all’opposta soluzione interpretativa (qui invocata dall’appellante). si perverrebbe alla conclusione della nullità in parte qua del Protocollo di intesa vuoi per sostanziale impossibilità dell’oggetto ex artt. 1346 e 1418, cpv. cod. civ. (non essendo possibile in rerum natura traslare in modo assolutamente identico in altra porzione del variegato territorio ligure la struttura di alcune aree portuali), vuoi per contrasto con norme imperative ex art. 1418 cod. civ. (non essendo in alcun modo ammissibile che la pur comprensibile esigenza di tutelare le aspettative dei concessionari “storici” impedisca di fatto sine die l’esercizio della programmazione spettante agli Enti pubblici competenti e, in via mediata, il perseguimento di generali obiettivi di interesse generale quali quelli sottesi a una più adeguata pianificazione in ambito portuale);
-che gli argomenti svolti dall’appellante al fine di contestare le caratteristiche oggettive della proposta riallocazione (ove depurati dal riferimento all’inammissibile parametro dell’assoluta identità) non palesano il carattere abnorme o irragionevole della proposta formulata, ma confermano – al contrario – che la proposta in parola rappresenti la risultante di un processo di contestualizzazione condotto in base ai più volte richiamati principi di modulazione e conformazione.
3.2. Né a conclusioni diverse rispetto a quelle sin qui divisate può giungersi in considerazione del’argomento secondo cui al Protocollo d’intesa dell’8 gennaio 2007 sarebbe da riconoscere valenza transattiva (i.e.: di accordo con il quale, a fronte della rinunzia da parte dei concessionari uscenti all’ulteriore coltivazione dei numerosi ricorsi proposti contro l’amministrazione ed aventi ad oggetto l’inserzione di clausole di estinzione anticipata, quest’ultima si sarebbe impegnata a riconoscere in loro favore alcune utilità la cui considerazione esulerebbe da un ordinario vaglio di legittimità).
3.2.1. L’argomento non può essere condiviso in quanto, al di là della maggiore o minore perspicuità delle formulazioni utilizzate dalle parti al fine di qualificare il più volte richiamato Protocollo d’intesa del gennaio 2007, osta in radice alla sua qualificabilità come transazione ai sensi dell’articolo 1965 del cod. civ. il carattere semplicemente indisponibile delle situazioni giuridiche che – nella tesi della parte appellante – avrebbero costituito oggetto di concessioni da parte dell’APSP.
In definitiva, all’amministrazione appellata non spettava in radice il potere di disporre (sia pure in via transattiva) di un contenuto degli atti di concessione il quale esulasse quanto validamente assentibile ai sensi del diritto interno ed eurounitario.
Del resto, laddove si accedesse alla diversa interpretazione proposta dall’odierno appellante, l’istituto della transazione potrebbe agevolmente prestarsi a rappresentare un escamotage volto a riconoscere (in modo tanto agevole quanto antigiuridico) utilità sostanziali non altrimenti accordabili ai sensi dell’ordinamento giuridico.
4. Deve a questo punto essere esaminato il motivo con cui si è lamentata l’eccessiva esiguità del termine di trenta giorni riconosciuto al ricorrente – e a pena di decadenza - per accettare la proposta di accordo (in tal senso la nota in data 2 ottobre 2013 impugnata in primo grado): secondo l’appellante la fissazione di tale termine si porrebbe in contrasto con la previsione del punto 3 del Protocollo di intesa dell’8 gennaio 2007 (secondo cui l’Autorità portuale avrebbe dovuto comunicare con sei mesi di anticipo la disponibilità degli spazi e/o delle strutture e/o degli impianti di cui alla nuova collocazione).
4.1. Il motivo è infondato.
Al riguardo il Collegio ritiene di condividere l’opinamento dei primi Giudici, secondo cui occorre tenere distinti:
-(da un lato) il termine di trenta giorni di cui alla nota in data 2 ottobre 2013, fissato per l’adesione al progetto di ricollocazione in quanto tale e
-(dall’altro) il più lungo termine di preavviso pari a sei mesi riconosciuto ai concessionari “storici” al fine di rendere nota l’effettiva disponibilità delle nuove aree.
Al riguardo è piuttosto evidente (e scevra da profili di irragionevolezza) la diversa ratio sottesa alla fissazione dei due differenti termini:
-nel primo caso il (più breve) termine di trenta giorni risulta nel complesso adeguato al fine di consentire all’interessato di operare una scelta di carattere (per così dire) “binario” fra l’accettazione in quanto tale o il rifiuto;
-nel secondo caso il (più lungo) termine di sei mesi risponde all’evidente (e diversa) finalità di consentire all’interessato di organizzare con il dovuto anticipo i necessari interventi finalizzati alla complessiva ricollocazione della propria attività. Lo stesso appellante riconosce al riguardo che l’effettiva ricollocazione non è intervenuta nei sei mesi decorrenti dall’invito.
Si tratta di una ricostruzione che risulta condivisibile e la cui fondatezza palesa il carattere non irragionevole di entrambi i richiamati termini, anche a prescindere dalla maggiore o minore compatibilità di tale ricostruzione con la linea difensiva tenuta in giudizio dalla LSCT.
5. Ed ancora il Collegio osserva che non può trovare accoglimento il motivo di appello basato sul carattere asseritamente indeterminato, generico e impreciso della prevista ricollocazione (con particolare riguardo a “quote di misura, aree e volumetrie”, nonché alla previsione di opere volte a evitare l’impatto delle correnti marine).
5.1. Va premesso al riguardo che – per le ragioni dinanzi esposte – non gravava sull’amministrazione un obbligo di assicurare una piena e incondizionata equivalenza fra le aree di provenienza e quelle di destinazione.
Del pari – e per le ragioni dinanzi esposte – non gravava sul’amministrazione l’obbligo di esplicitare già con l’atto in data 2 ottobre 2013 (e in modo del tutto puntuale e dettagliato) le caratteristiche puntuale dell’area di destinazione.
Ed infatti, l’atto in questione risultava finalizzato unicamente ad acquisire l’assenso alla ricollocazione in quanto tale e nel suo ambito dovevano essere fornite solo indicazioni di massima in ordine all’area di destinazione al fine di supportare un generale giudizio di equivalenza funzionale nei sensi – ed entro i limiti – dinanzi richiamati.
5.2. Ai limitati fini che qui rilevano (e secondo quanto persuasivamente obiettato dall’Autorità) si osserva comunque che, nel formulare le proprie doglianze in ordine alla radicale diversità fra le aree già possedute e quelle offerte, l’appellante non ha tenuto conto di alcune circostanze certamente rilevanti, fra cui: a) la previsione nell’ambito del Piano di costruzioni multilivello (che l’appellante ha valutato solo in relazione all’area di sedime); b) il fatto che il livello di dettaglio del Piano (definitivo e non esecutivo) non avrebbe consentito, allo stato, di indicare con maggiore dettaglio le dotazioni impiantistiche al servizio di ciascuna area.
L’appellante non nega il minore livello di dettaglio che tipicamente caratterizza la progettazione definitiva rispetto a quella esecutiva, ma osserva che – allora – l’Autorità non avrebbe potuto formulare la proposta di ricollocazione (peraltro, sanzionata – per il caso di mancata accettazione - con la decadenza dal titolo).
Il motivo non può trovare accoglimento per la ragione (già in precedenza richiamata) che l’atto in data 2 ottobre 2003 risultava finalizzato unicamente ad acquisire l’assenso alla ricollocazione in quanto tale, ragione per cui nell’ambito di tale atto l’amministrazione era tenuta a fornire solo indicazioni di massima in ordine all’area di destinazione al fine di supportare un giudizio di generale equivalenza funzionale nei sensi di quanto dinanzi esposto.
6. Per ragioni in tutto analoghe a quelle appena esposte neppure può trovare accoglimento il motivo con cui si è lamentata sotto diverso profilo la sostanziale indeterminatezza del progetto di ricollocazione per cui è causa anche in relazione all’intesa Stato-Regione sul progetto di riconversione del Molo Pagliari.
L’appellante lamenta, in particolare, che tale indeterminatezza sarebbe stata ammessa dall’Autorità Portuale e dai Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti e dei Beni e delle Attività Culturali nell’ambito del giudizio pendente dinanzi al T.A.R. della Liguria con il n. 154/2014.
Più in particolare:
-mentre l’Autorità Portuale avrebbe affermato la sostanziale identità fra il progetto su cui è intervenuta l’intesa e quello di cui alla proposta di ricollocazione impugnata in primo grado;
-al contrario, i predetti Ministeri avrebbero affermato l’esistenza di due distinti progetti: a) l’uno (richiamato dalla proposta data 2 ottobre 2013 impugnata in primo grado) avente semplicemente ad oggetto la ricollocazione sulle aree; b) l’altro (avente ad oggetto la riconversione d’uso del Molo Pagliari) sul quale è intervenuta l’intesa in data 29 novembre 2013.
6.1. Al riguardo il Collegio si limita ad osservare che dall’esame degli atti (accordo in data 8 gennaio 2007, PRP e progetto del nuovo Molo Pagliari) non emerge la richiamata, radicale difformità.
A tacere d’altro, si osserva che (al di là delle riferite incongruenze fra quanto rappresentato dalle amministrazioni competenti nell’ambito di distinti procedimenti) l’appellante non ha indicato in modo puntuale in quali aspetti specifici si tradurrebbero le richiamate incongruenze.
6.2. Il motivo non può, quindi, trovare accoglimento.
7. E ancora, non può essere condiviso il motivo con cui si è lamentato che la prevista area di destinazione finale (limitata al solo molo Pagliari) risultasse ingiustificatamente ridotta rispetto alla (più vasta) area richiamata dal Piano Regolatore Portuale (il quale menzionava un’area compresa “tra il Molo Pagliari e il Molo ENEL”).
Al riguardo la società appellata ha condivisibilmente osservato che, anche a voler tacere del carattere solo programmatico (e non immediatamente prescrittivo) della richiamata previsione, il punto è che la richiamata menzione era volta unicamente ad individuare una più complessiva area all’interno della quale l’amministrazione avrebbe poi operato le proprie concrete scelte allocative (senza che tali scelte dovessero necessariamente ricomprendere l’intera area inizialmente richiamata).
La limitazione delle scelte finali alla sola area del Molo Pagliari rappresenta quindi un’opzione pianificatoria forse opinabile, ma in sé non irragionevole (a meno di voler ritenere che il parametro di legittimità e di ragionevolezza delle scelte in questione fosse rappresentato dall’assoluta identità delle aree – il che, per le ragioni dinanzi esposte, non è -).
7.1. Per le medesime ragioni non può in alcun modo ritenersi che il parametro di legittimità e di ragionevolezza delle richiamate scelte pianificatorie potesse essere rappresentato dalle due proposte di ricollocazione presentate dagli interessati (si tratta del “Progetto di massima relativo alla ricollocazione delle marine storiche del Canaletto e di Fossamastra e delle attività della mitilicoltura” e della “Ipotesi progettuale ricollocazione Marine del Canaletto e Fossamastra in località Pagliari di La Spezia”).
Al riguardo ci si limita ad osservare:
-che l’esame delle due proposte in questione non palesa ex se profili di abnormità e irragionevolezza in relazione alle scelte infine operate dall’amministrazione (confermando piuttosto – e laddove fosse necessario – che la risistemazione dell’area portuale cittadina si prestava a diverse opzioni parimenti legittime e parimenti opinabili in relazione al complesso degli aspetti di vantaggio e svantaggio sottesi a ciascuna di esse);
-che resterebbe comunque precluso a questo Giudice di legittimità esprimere una sostanziale opzione di carattere valoriale circa la preferibilità di un’opzione allocativa rispetto a un’altra.
8. Deve a questo punto essere esaminato il motivo di appello con cui si torna a sostenere che l’appellante avrebbe fruito della proroga sino al 2020 delle concessioni demaniali marittime disposta dal comma 18 dell’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (nel testo modificato dal comma 1 dell’articolo 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n, 179 e, successivamente, dal comma 547 dell’articolo 1 della l. 24 dicembre 2012, n. 228).
8.1. L’argomento non può essere condiviso in base al dirimente rilievo per cui la disposizione da ultimo richiamata fa espressamente salve le previsioni di cui al comma 4-bis dell’articolo 03 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (secondo cui “le disposizioni del presente comma non si applicano alle concessioni rilasciate nell'ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84”).
In definitiva, la proroga invocata dall’appellante non è destinata a trovare applicazione negli ambiti geografici che (al pari di quello per cui è causa) risultano demandati alle competenze delle singole Autorità Portuali.
8.2. Ma laddove, pure, la richiamata disposizione di proroga fosse ritenuta applicabile al caso in esame (denegata ipotesi), essa risulterebbe affetta da rilevanti profili di illegittimità de iure communitario.
E’ qui appena il caso di richiamare la recente ordinanza della Sezione n. 3936/2015 con cui (proprio in relazione alla sostanziale proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime in scadenza al 31 dicembre 2015), si è sollevata questione per rinvio pregiudiziale sulla base del seguente quesito: “se i principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56, e 106 del TFUE, nonché il canone di ragionevolezza in essi racchiuso, ostano ad una normativa nazionale che, per effetto di successivi interventi legislativi, determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale di rilevanza economica, la cui durata viene incrementata per legge per almeno undici anni, così conservando in via esclusiva il diritto allo sfruttamento a fini economici del bene in capo al medesimo concessionario, nonostante l’intervenuta scadenza del termine di efficacia previsto dalla concessione già rilasciatagli, con conseguente preclusione per gli operatori economici interessati di ogni possibilità di ottenere l’assegnazione del bene all’esito di procedure ad evidenza pubblica”.
8.3. Pertanto, il motivo nella presente sede (ri-)proposto non deve essere dichiarato inammissibile (come ritenuto dai primi Giudici), bensì infondato.
9. E ancora, non può trovare accoglimento il motivo con cui si è contestato il contenuto della sentenza in epigrafe in relazione alla mancata espressione, in relazione alle proposte di ricollocazione impugnate in primo grado, dell’autorizzazione di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 42 del 2004, nonché dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004.
9.1. Va premesso al riguardo che la stessa parte appellante di dice consapevole del fatto che le autorizzazioni in questione debbano intervenire in relazione a progetti esecutivi (e non definitivi), ragione per cui non può essere ravvisata alcuna illegittimità nel fatto in sé che esse fossero carenti in un atto (quale la proposta di ricollocazione impugnata in primo grado) che era stato elaborato al livello di progettazione – solo – definitiva.
Pertanto, le censure qui riproposte dall’appellante si attestano su un dato probabilistico e contestano lo stato di fatto che si verrebbe a determinare nell’ipotesi (solo possibile) che la Soprintendenza non rendesse parere favorevole in ordine al progetto esecutivo.
Si tratta tuttavia – come è evidente – di una deduzione di per sé inidonea a fondare sul punto l’invocata revisio prioris instantiae.
9.2. Si osserva inoltre che l’articolazione del motivo in questione risulta affetta da una sorta di aporia interna in quanto:
-(per un verso) postula che il progetto di ricollocazione non sarebbe caratterizzato da un adeguato grado di prescrittività mentre
-(per altro verso) osserva che il progetto in questione avrebbe dovuto essere preceduto dall’espressione delle autorizzazioni di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004 (le quali, tuttavia, devono riferirsi a un grado di progettazione particolarmente dettagliato, quale quello proprio della progettazione esecutiva).
10. Da ultimo deve essere esaminato il motivo con cui si è chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno dichiarato inammissibili (prima ancora che infondati) gli argomenti con cui si era contestata l’incompetenza del Commissario straordinario ad adottare le proposte di ricollocazione impugnate in primo grado (si tratterebbe, infatti, di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, in quanto tali sottratti alla competenza dell’Organo commissariale).
10.1. Al di là dei profili connessi alla sua stessa ammissibilità, il motivo in questione non può trovare accoglimento in quanto – come condivisibilmente rilevato dall’Autorità portuale – gli atti di disposizione relativi alla pregresse concessioni demaniali (quali quelle di cui al Protocollo di intesa in data 8 gennaio 2007) sono qualificabili come di ordinaria amministrazione e, quindi, certamente rientranti nell’ambito della competenza commissariale (e ciò, quand’anche si ritenesse che tale competenza sia – appunto – limitata al solo ambito dell’ordinaria amministrazione).
Si osserva, del resto, che le proposte di ricollocazione in data 2 ottobre 2013 non sembrano ex se prodromiche al rilascio di concessioni di durata superiore a quattro anni (si tratta della durata che, ai sensi del comma 3 dell’articolo 8 della l. 84 del 1994, sembra rappresentare il discrimen normativo dell’ordinaria amministrazione in tema di gestione delle concessioni demaniali).
10.2 Anche il motivo in questione, quindi, deve essere respinto.
11. Dalla rilevata infondatezza del ricorso principale deriva altresì l’infondatezza della domanda risarcitoria nella presente sede riproposta.
Al riguardo il Collegio si limita ad osservare che, per le ragioni sin qui esposte, difettano nel caso in esame gli elementi costitutivi della fattispecie oggettiva dell’illecito risarcibile.
12. L’infondatezza dell’appello principale esime il Collegio dall’esame dei motivi di ricorso incidentale proposti in primo grado dalla società LSCT e qui riproposti ai sensi del comma 2 dell’articolo 101 del cod. proc. amm..
13. Va comunque chiarito che la reiezione del presente appello non può produrre gli effetti immediatamente caducanti preannunziati nell’ambito della nota in data 2 ottobre 2013 impugnata in primo grado, non potendosi ammettere che il decorso (nelle more del giudizio) del termine di trenta giorni fissato dall’Autorità possa operare in danno di soggetti i quali abbiano agito in giudizio per tutelare le proprie (ritenute) ragioni.
Pertanto, sussistendone le condizioni, sarà cura dell’Amministrazione appellata fissare nei confronti di concessionari appellanti un nuovo termine per la sottoscrizione dell’accordo di ricollocazione.
14. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti anche in considerazione della peculiarità e parziale novità delle questioni sottese alla presente vicenda.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi,Presidente
Claudio Contessa,Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg,Consigliere
Carlo Mosca,Consigliere
Marco Buricelli,Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/11/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

 

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

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