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Cambio d'uso - Cons. Stato, sent. n. 4628 del 05.10.2015

Pubblico
Martedì, 6 Ottobre, 2015 - 02:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n, 4628 del 5 ottobre 2015, sul cambio destinazione d'uso 
 
N. 04628/2015REG.PROV.COLL.
 
N. 00899/2006 REG.RIC.
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 899 del 2006, proposto da: 
Chiaramonte Ennio e Chiaramonte Naldo, rappresentati e difesi dagli avv.ti Barbara Piccini e Nicola Grani, con domicilio eletto presso Barbara Piccini in Roma, Circonvallazione Clodia, 29; 
contro
Comune di Villafranca di Verona, rappresentato e difeso dagli avv.ti Luigi Manzi e Giovanni Sala, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, Via Federico Confalonieri, 5; Provincia di Verona; Casa di Riposo Morelli Bugna, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuliano Dalfini e Marco Prosperetti, con domicilio eletto presso Marco Prosperetti in Roma, Via Pierluigi Da Palestrina, 19; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 03721/2005, resa tra le parti, concernente concessione edilizia e cambio di destinazione d'uso.
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Villafranca di Verona;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2015 il Cons. Antonio Bianchi e uditi per le parti gli avvocati Piccini, Luca Mazzeo (su delega di Manzi) e Dalfini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
I signori Elio e Naldo Chiaramonte sono proprietari di due distinte porzioni abitative derivate dalla ristrutturazione di un precedente rustico con portico e sovrastante fienile, concessionata nel 1998 dal Comune di Villafranca di Verona.
Le unità immobiliari realizzate sono perfettamente aderenti alle pareti di un immobile di proprietà della Casa di Riposo Morelli Bugna, che si erge sopra il colmo del tetto di circa un paio di metri.
In ragione di tale circostanza, gli ambienti siti al primo piano dell'edificio dei ricorrenti prendono aria e luce, come previsto nel progetto approvato, da finestre di tipo “ velux” installate sul tetto.
In tale contesto edilizio, il Comune ha rilasciato nel 2005 alla anzidetta Casa di Riposo il permesso n. 18504/2003, per la trasformazione degli ex appartamenti delle suore e l'adeguamento dell'immobile di sua proprietà.
L'intervento assentito prevede, tra l'altro, la sopraelevazione dell'immobile che si riparte dal colmo del tetto dell'adiacente fabbricato dei signori Chiaramonte di circa 4-5 metri. , con l'effetto di ridurre la luce e l'aria agli ambienti situati al primo piano delle abitazioni di loro proprietà.
Ritenendo illegittimo l'anzidetto permesso di costruire, i signori Chiaramonte hanno quindi adito il Tar Veneto chiedendone l'annullamento.
In tale sede, con due distinti mezzi di censura, i ricorrenti hanno sostanzialmente dedotto l'illegittimità del titolo impugnato in quanto:
 
- la sopraelevazione assentita violerebbe il limite di distanza tra pareti di finestrate posto dall'art. 9 del D.M 1444/1968 ed il limite di distanza degli edifici dal confine fissato dall'art. 10 delle N.T.A. del Piano Regolatore Generale;
- nella specie sarebbero altresì stati violati i disposti della legge n. 241 del 1990 in materia di partecipazione procedimentale.
Con la sentenza n. 3721/2005 il Tribunale adito ha respinto il ricorso.
Avverso detta pronuncia i signori Chiaramonte hanno quindi interposto l'odierno appello, chiedendone l'integrale riforma.
Si è costituito in giudizio il Comune di Villafranca, chiedendo la reiezione del ricorso siccome infondato.
Si è altresì costituita in giudizio la Casa di Riposo Morelli Bugna intimata, chiedendo parimenti la reiezione del gravame in quanto privo di fondamento.
Alla pubblica udienza del 19 maggio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo mezzo di gravame gli appellanti deducono l'erroneità della sentenza impugnata, laddove ha ritenuto che “l’invocato articolo nove del D.M. n. 1444/1968 vincola le amministrazioni locali solo in sede di predisposizione della normativa urbanistica e comunque lo stesso non potrebbe trovare applicazione in quanto nella specie non vengono in evidenza distanze tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, e ciò perché non può considerarsi parete finestrata il tetto dell'abitazione del ricorrente solo perché caratterizzato da sette finestre di tipo velux” .
Per un verso, infatti, assumono che le norme sulle distanze tra edifici sono inderogabili e tale inderogabilità atterrerebbe “ai rapporti tra privati, ai quali è precluso di disporre convenzionalmente una distanza inferiore rispetto quella prevista dall'art. 9 del D. M. 02/04/1968 o dai regolamenti urbanistici locali”.
Per altro verso, sostengono poi gli appellanti che avuto riguardo alla ratio della norma in questione, la stessa dovrebbe ritenersi applicabile anche nel caso in cui la parete antistante sia in realtà un tetto dotato di aperture lucifere.
2. La doglianza non può essere condivisa.
3. Ed invero, a prescindere dall'ambito di operatività dell’invocato art. 9 del D. M. n. 1444 del 1968, non v'è dubbio come lo stesso non possa comunque trovare applicazione nel caso di specie.
La norma, infatti, fissa la distanza minima che deve intercorrere tra “pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” .
Sul piano formale, quindi, la stessa fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate, per tali dovendosi intendere, secondo l'univoco e costante insegnamento della giurisprudenza anche di questa Sezione, unicamente “ le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono semplici luci” ( cfr. Cass. Civ. Sez. II 6.11.2012 n. 19092; 30.04.2012 n. 6604 ; Cons. Stato Sez. IV 04.09.2013 ; 12.02.2013 n. 844 ) .
Nel caso di specie, viceversa, la parete finestrata da cui a dire degli appellanti dovrebbe calcolarsi la distanza fissata dalla richiamata normativa, è il tetto dell'edificio di loro proprietà da cui prendono luce ed aria, mediante lucernari di tipo velux, gli ambienti situati al primo piano.
Sennonché i velux in questione non possono di certo considerarsi “vedute” alla stregua dell'articolo 900 codice civile - non consentendo né di affacciarsi sul fondo del vicino (prospectio) né di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente (inspectio) -, ma semplici luci in quanto consentono il solo passaggio dell'aria e della luce.
Pertanto, correttamente il primo giudice ha osservato al riguardo, come già sopra segnalato, che l'invocato art. 9 del D. M. n. 1444 del 1968 non può comunque “trovare applicazione in quanto nella specie non vengono in evidenza le distanze tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, e ciò perché non può considerarsi parete finestrata il tetto dell'abitazione del ricorrente solo perché caratterizzato da sette finestre di tipo velux” .
Ne, al riguardo, possono assumere rilievo le invocate disposizioni di cui all'art. 1 della legge regionale n. 12 del 1999, che mirano a promuovere il recupero dei sottotetti a fini abitativi, imponendo fra l'altro un particolare rapporto aeroilluminante.
Si tratta, infatti, di disposizioni preordinate a garantire luce ed aria ai sottotetti resi abitabili e non ad introdurre normativamente nuove tipologie di vedute in aggiunta a quella codicistica e, come tali, del tutto irrilevanti ai fini odiernamente considerati.
Inammissibile si appalesa poi l'ulteriore profilo di censura, sviluppato nell'ambito del motivo in esame, con cui gli appellanti assumono che la sentenza avrebbe omesso di considerare che l'edificio che verrà ad essere costruito dalla Casa di Riposo avrà un'altezza, per il fronte prospiciente la loro proprietà, di metri 15,29 e che conseguentemente ai sensi dell'articolo nove del D. M. n. 1444/1968, nel caso in cui il tetto in questione non fosse qualificato come parete finestrata, si dovrebbe applicare la distanza pari all'altezza del fronte dell'edificio più alto.
Infatti, non avendo costituito motivo di impugnazione nel ricorso di primo grado, la doglianza non può essere proposta per la prima volta nell'odierna sede di appello.
A ciò aggiungasi che si tratta comunque di censura priva di fondamento, in quanto la maggiorazione della distanza fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza del fabbricato più alto prevista dal terzo comma dell’art. 9 , si applica evidentemente negli stessi casi in cui sono prescritti i limiti di distanza indicati dal primo comma del medesimo articolo e, nel caso delle zone C, solo a pareti finestrate di edifici antistanti.
Il richiamato terzo comma, infatti, non prevede una ulteriore ipotesi distinta da quelle indicate dai commi precedenti, ma semplicemente una maggiorazione delle distanze “come sopra computate”, vale a dire nelle stesse ipotesi in cui i commi precedenti prevedono il rispetto di una determinata distanza tra fabbricati .
4. Il secondo motivo di ricorso, con il quale gli appellanti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l'ipotizzabilità di una violazione delle distanze dai confini, è parimenti privo di fondamento.
L'articolo 10 delle N.T.A. del Piano Regolatore del Comune di Villafranca, infatti, ammette in alternativa al rispetto della distanza di 5 mt. dal confine, la costruzione in contiguità con il confine medesimo.
Orbene, nel caso di specie la sopraelevazione riguarda un edificio costruito in aderenza all'edificio di proprietà degli appellanti ed è situata, giust’appunto, sul confine con il fondo degli appellanti stessi.
La normativa richiamata, pertanto, consente detta sopraelevazione in contiguità con il confine, indipendentemente dal fatto che l'edificio sia costruito in aderenza rispetto ad un preesistente edificio di proprietà di altro soggetto.
Anche in questo caso, pertanto, correttamente il primo giudice ha osservato al riguardo che “neppure può ipotizzarsi la violazione delle distanze dai confini, posto che l'edificio in questione è realizzato a confine” .
5. Per quanto sopra esposto l'appello si appalesa infondato e, come tale, va respinto.
6. Attesa la peculiarità della controversia, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,lo respinge .
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico,Presidente
Raffaele Greco,Consigliere
Diego Sabatino,Consigliere
Antonio Bianchi,Consigliere, Estensore
Giulio Veltri,Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/10/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

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