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Art. 42-bis e condanna alla restituzione : i rapporti - TAR Cagliari, sent. n. 13 del 12.01.2016

Pubblico
Mercoledì, 13 Gennaio, 2016 - 01:00

 
Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, (Sezione Seconda), sentenza n. 13 del 12 gennaio 2016, sulla possibilità di adozione di provvedimento acquisitivo 42-bis anche in presenza di condanna alla restituzione 
 
 
N. 00013/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00651/2014 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
 
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 651 del 2014, proposto da: 
Ramada Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Delitala e Andrea Pubusa, con domicilio eletto in Cagliari presso lo studio del secondo, Via Tuveri n. 84; 
 
contro
 
Anas Spa Roma, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, domiciliata in Cagliari presso gli uffici della medesima, Via Dante n. 23; 
per l'annullamento
- dell'atto di acquisizione, prot. CCA-0028611-P del 23.6.2014, notificato il 01.07.2014, col quale il Capo Compartimento ANAS della Sardegna ha determinato l'acquisizione al Demanio dello Stato Ramo Strade, ai sensi dell'art. 42 bis del D.P.R. 327/2001, delle aree di proprietà della ricorrente distinte nel N.C.T. di Olbia al foglio 37, mappali 1624 e 1625, sotto condizione sospensiva del pagamento e/o deposito, quale indennizza onnicomprensivo, della somma di euro 3.162.348,90;
- dell'atto di avvio del procedimento ex art 7 legge n. 241/90;
- di ogni altro atto, anche con valore endoprocedimentale, quale la perizia od altro, presupposto e/o consequenziale, comunque connesso al predetto atto di acquisizione.
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Anas Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2015 il dott. Tito Aru e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
In data 10 luglio 1997 l’ANAS Spa ha occupato, tramite la mandataria Tor di Valle Costruzioni Spa, in forza di decreto di occupazione d’urgenza del Prefetto di Sassari n. 3350/1 dell’11 agosto 1995, un’area di proprietà della ricorrente (meglio descritta in epigrafe nei dati catastali) per la realizzazione delle strade di allacciamento del porto di Olbia alla viabilità esterna.
Non avendo l’ANAS né rispettato i termini previsti per l’ultimazione dei lavori (peraltro nelle more eseguiti), né ultimato la procedura espropriativa nel termine prefissato, la società RAMADA ha proposto ricorso a questo TAR per la tutela dei suoi diritti.
Al termine di una complessa vicenda processuale, con sentenza n. 1011 del 22.11.2012 il Tribunale accoglieva il ricorso e condannava l’ANAS “…a restituire alla ricorrente i terreni in epigrafe indicati, previa rimessione in pristino dello stato dei luoghi a propria cura e spese, nonché a corrispondere alla stessa ricorrente la somma a titolo di risarcimento del danno per mancato godimento dei propri terreni durante il periodo di occupazione determinata secondo i criteri indicati in motivazione, oltre agli interessi legali dalla data di liquidazione al saldo…”.
Detta sentenza non è stata appellata dall’ANAS ed è passata in giudicato l’8 aprile 2013.
In data 1° aprile 2014, mentre erano in corso trattative per addivenire ad una cessione bonaria dell’area, l’ANAS comunicava alla società RAMADA di aver dato avvio, con riferimento all’area in contestazione, al procedimento ablatorio previsto dall’art. 42 bis del DPR n. 327/2001.
Malgrado l’intervento procedimentale della ricorrente, che lamentava l’illegittimità del procedimento attivato in ragione del giudicato formatosi sull’ordine restitutorio, con l’impugnato provvedimento prot. CCA-0028611-P del 23.6.2014 l’ANAS disponeva l’acquisizione al Demanio stradale delle aree di proprietà della ricorrente oggetto della procedura espropriativa per cui è causa, sotto la condizione sospensiva del pagamento della somma onnicomprensiva di euro 3.162.348,90.
Nell’assunto della ricorrente tale provvedimento sarebbe tuttavia illegittimo per i seguenti motivi:
Violazione di legge e del giudicato: in quanto il giudicato formatosi sulla sentenza n. 1011 del 22.11.2012 del TAR Sardegna, e il diritto di RAMADA alla sua esecuzione, non potrebbe essere superato dall’adozione del provvedimento acquisitivo adottato dall’Anas;
Omessa e/o insufficiente motivazione: per la mancata indicazione sia delle ragioni che hanno determinato l’illegittima condotta dell’espropriante e sia delle ragioni che hanno determinato il sacrificio dell’interesse privato privilegiando quello pubblico all’acquisizione dell’area;
Incostituzionalità dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001: in via subordinata, sia in relazione a quanto già dedotto dalla Corte di Cassazione con ord. .. 442/2014, sia in relazione all’ulteriore profilo della violazione del giudicato.
Concludeva quindi la ricorrente chiedendo l’annullamento dei provvedimenti impugnati, con vittoria delle spese.
Per resistere al ricorso si è costituito l’ANAS Spa che, con memorie scritte ne ha chiesto il rigetto, vinte le spese.
In vista dell’udienza di trattazione le parti, anche con riferimento a recenti pronunce giurisprudenziali, hanno insistito nelle rispettive conclusioni.
Alla pubblica udienza del 16 dicembre 2015, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
La questione sottoposta all’esame del Collegio attiene alla legittimità o meno di un provvedimento acquisitivo adottato dalla P.A. ai sensi dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001 in presenza di un giudicato recante un ordine restitutorio intervenuto prima dell’adozione di tale atto.
Sostiene infatti la ricorrente, con approfondite argomentazioni ricche di richiami dottrinari e giurisprudenziali, che nel nostro ordinamento giuridico il valore della cosa giudicata sarebbe intangibile, sicché l’amministrazione non potrebbe legittimamente esercitare il suo (eccezionale) potere acquisitivo dopo aver subito, in via definitiva, l’ordine di restituzione del bene illecitamente occupato.
Il Collegio ritiene che la questione in esame vada risolta attraverso un’attenta indagine sui confini del giudicato formatosi sulla pretesa azionata dalla società ricorrente e sfociata nella citata sentenza n. 1011 del 22.11.2012.
Tale operazione ermeneutica, naturalmente, prende necessariamente le mosse dal corpo motivazionale della decisione.
Orbene, con riguardo al caso di specie il Tribunale ha anzitutto stabilito che “…non vi è dubbio che l’occupazione e la trasformazione dei terreni in oggetto siano da considerare, allo stato attuale, sine titulo, in quanto la relativa procedura ablatoria non si è conclusa con la tempestiva adozione del decreto di esproprio; pertanto, l’occupazione e la trasformazione dei fondi comunque operata dall’amministrazione si sostanzia in un’attività illecita, insuscettibile di produrre effetti acquisitivi della proprietà e viceversa fonte dell’obbligo per la pubblica amministrazione di restituire il bene e risarcire il proprietario interessato per il danno sofferto…”.
Da subito peraltro il Tribunale precisava che “…l’unico potenziale ostacolo al pieno esplicarsi della tutela restitutoria è costituito dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione interessata, dello speciale “potere sanante” previsto dall’art. 42 bis del d.p.r. 8 giugno 2011, n. 2001 (introdotto dal decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 11), applicabile anche “a fatti anteriori” alla sua entrata in vigore in virtù dell’espressa previsione contenuta al comma 8 (cfr., al riguardo, Consiglio di Stato n. 5844/2011)…”.
Il Tribunale rilevava altresì che “…tuttavia, con specifico riferimento al caso ora all’attenzione del Collegio, l’Anas - pur essendosi opposta in giudizio all’accoglimento della domanda principale di restituzione dei terreni occupati - non ha ritenuto di esercitare il potere previsto dalla nuova norma dianzi richiamata”.
In conseguenza di tale comportamento omissivo dell’espropriante il Tribunale concludeva pertanto che “…l’occupazione dei terreni per cui è causa da parte dell’Anas non trova alcun fondamento giuridico e ciò comporta l’accoglimento della domanda di restituzione, previa rimessione in ripristino dello stato dei luoghi, a cura e spese della stessa Amministrazione resistente…”.
Precisava tuttavia – ancora una volta – che restava “…comunque, impregiudicato il potere di quest’ultima, per tutta la durata del presente giudizio e fino al passaggio in giudicato della conclusiva sentenza, di adottare il provvedimento di cui all’art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, finalizzato all’adozione di un provvedimento motivato di acquisizione dei terreni in oggetto alla mano pubblica; in questa ipotesi l’Amministrazione dovrà riconoscere ai ricorrenti, oltre al danno da mancato possesso del bene, anche il danno da perdita definitiva della proprietà…”.
Come si ricava chiaramente dal tenore della succitata decisione, dunque, il decisum della sentenza si connota per la contestuale statuizione dell’ordine restitutorio in mancanza dell’adozione da parte dell’amministrazione di un provvedimento acquisitivo.
Del resto, la possibilità di porre rimedio alla situazione di illiceità determinata dall’occupazione sine titulo di un’area privata mediante l’acquisizione – sussistendone i presupposti - della sua proprietà al patrimonio pubblico trova il suo fondamento non tanto nella decisione del Tribunale quanto, piuttosto, direttamente, nell’art. 42 bis citato, la cui legittimità costituzionale è stata più volte, e sotto diversi profili, affermata dalla Corte costituzionale.
E’ vero il rilievo di parte ricorrente che la sentenza n. 1011/2012 indicava, come spazio temporale utile ai fini dell’esercizio del potere acquisitivo “…tutta la durata del presente giudizio e fino al passaggio in giudicato della conclusiva sentenza…”, ma avuto riguardo, oltre che al silenzio della disposizione sul punto, non essendo previsto un termine finale per l’esercizio del potere, alla natura del tutto eccezionale e alle finalità “riparatorie” del potere acquisitivo riconosciuto all’amministrazione, l’indicazione di detto termine, lungi dal potersi qualificare come perentorio, deve senz’altro intendersi – ed è stato inteso dal Tribunale – in termini di mera sollecitazione all’autorità espropriante al fine di una tempestiva definizione della fase contenziosa.
Sotto questo profilo, dunque, ancorché intervenuto dopo il passaggio in giudicato della sentenza il provvedimento oggi impugnato non è per ciò solo illegittimo, trovando del resto la parte privata adeguato ristoro del tempo trascorso nel maggior risarcimento per occupazione illecita oggetto di specifico risarcimento.
Non è sul punto superfluo precisare, inoltre, quanto evidenziato dall’ANAS (e rimasto incontestato) nell’atto di avvio del procedimento n. 12208 del 25 marzo 2014 in ordine al mancato rispetto del “termine” assegnato dal Tribunale con la citata sentenza n. 1011/2012.
Si afferma infatti, nell’anzidetto periodo di tempo, l’impossibilità dell’adozione del provvedimento acquisitivo in quanto l’art. 12 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, come modificato dalla legge di stabilità del 24.12.2012 n. 228, stabiliva al primo comma quater l’assoluto divieto per le amministrazioni pubbliche di acquistare immobili a titolo oneroso, ivi includendo gli acquisti per pubblica utilità effettuati in ambito espropriativo, e che solo successivamente, con legge 6 giugno 2013 n. 64 è stato introdotto l’art. 10 bis, rubricato “Norma di interpretazione autentica dell’art. 12, comma 1, quater”, il quale a modifica delle disposizione di cui al punto precedente ha stabilito che “il divieto di acquisto immobili a titolo oneroso(…) non si applica alle procedure relative all’acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della repubblica 8 giugno 2001 n. 327”.
Nelle more del giudizio è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 71/2015 ampiamente valorizzata dalla ricorrente a sostegno della propria tesi laddove essa, tra le argomentazioni che rendono l’art. 42 bis conforme alla Carta costituzionale, evidenzia che tale disposizione “…dispone espressamente che l’acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc, solo al momento dell’emanazione dell’atto di acquisizione (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato)…”.
Più precisamente la Consulta ha sottolineato che “…Le differenze rispetto al precedente meccanismo acquisitivo consistono nel carattere non retroattivo dell’acquisto (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato), nella necessaria rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione e, infine, nello stringente obbligo motivazionale che circonda l’adozione del provvedimento”.
Ad avviso del Collegio tali argomentazioni non conducono alle conclusioni pretese dalla ricorrente per il risolutivo rilievo che, come sopra evidenziato, la sentenza nel TAR Sardegna n. 1011/2011 non conteneva un ordine restitutorio tout court ma, piuttosto, condizionava espressamente la restituzione dell’area al mancato esercizio del potere acquisitivo.
Con la conseguenza che si tratta di fattispecie connotata da ben precise peculiarità, nella quale il provvedimento di acquisizione sanante disposto dall’ANAS non si pone in contrasto con il giudicato risultante dalla sentenza n. 1011 del 2012 del T.A.R. Sardegna, ma, anzi, ne costituisca un atto esecutivo, come tale non inciso dalla pronuncia (interpretativa di rigetto) adottata dalla Corte costituzionale e invocata dalla ricorrente.
Non è peraltro superfluo rilevare che la questione dei riflessi della sentenza n. 71/2015 della Corte costituzionale sugli atti di acquisizione sanante adottati ex art. 42 bis cit. è stata recentemente affrontata dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con decisione n. 4403 del 21 settembre 2015 recante argomentazioni che il Collegio condivide e che, per semplicità espositiva, si riportano integralmente:
“…L’istituto dell’acquisizione sanante ha formato, di recente, l’oggetto della sentenza n. 71 del 30 aprile 2015 della Corte Costituzionale: con essa, la Consulta ha verificato la compatibilità dell’istituto con gli artt. 3, 24, 42, 97, 111, 113 e 117 Cost. concludendo per la infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
La Corte Costituzionale, al fine di delineare le caratteristiche principali dell’istituto descritto dal’art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001, lo confronta con quelle risultanti dall’art. 43 d.p.r. n. 327 del 2001: in particolare, nel dichiarare incostituzionale tale ultima disposizione, la Consulta ha rilevato che l’intervento della pubblica amministrazione sulle procedure ablatorie, “eccedeva gli istituti della occupazione appropriativa ed usurpativa, così come delineati dalla giurisprudenza di legittimità, prevedendo un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che aveva commesso l’illecito, addirittura a dispetto di un giudicato che avesse disposto il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato”.
In effetti, uno dei rilievi critici caratterizzanti il vecchio istituto concerneva precipuamente la sottoposizione del diritto di proprietà alla costante possibilità di compressione causata dalle scelte discrezionali dell’Amministrazione: ciò avveniva in contrasto sia della certezza e stabilità dei rapporti giuridici, sia dei principi delineati dalla Convenzione CEDU.
La Consulta, dunque, nella citata sentenza n. 71, prende atto delle differenze fra il precedente meccanismo acquisitivo ed il nuovo istituto dell’acquisizione sanante che viene caratterizzato dalla necessaria rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione, dallo stringente obbligo motivazionale che circonda l’adozione del provvedimento e, per i fini che interessano in questa sede, “dal carattere non retroattivo dell’acquisto (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato)”.
Le statuizioni inerenti alla rilevanza di un giudicato di restituzione, che si inserisce in una procedura ablatoria, offerti dalla pronuncia della Consulta, tuttavia, secondo il Collegio, non rilevano ai fini della definizione della controversia in esame: in effetti, viene ivi in rilievo un provvedimento di acquisizione sanante adottato con l’intento di eseguire il giudicato derivante dalla sentenza n. 11145 del 2010….
Secondo il Collegio, non vi è dubbio che dal giudicato sia disceso l’obbligo dell’amministrazione di restituire l’area occupata sine titulo al ricorrente, ma è altrettanto indubbio che con il provvedimento di acquisizione ex art. 42 bis, l’Amministrazione ha inteso sanare tale situazione di fatto illecita, acquisendo il relativo titolo di legittimazione.
L’ordine giudiziale di restituzione, in buona sostanza, non ha inciso sulla struttura dell’istituto che presuppone l’assodata lesione del diritto di proprietà altrui; la restituzione, infatti, è la conseguenza dell’accertamento del possesso del bene e non implica effetti costitutivi; il giudice che la dispone non modifica la situazione giuridica precedente l’abusiva detenzione del bene ma semplicemente la accerta; il suo ordine, pertanto, non è idoneo a paralizzare un atto di autorità che, consapevolmente, viola il diritto di proprietà senza contestarne la titolarità secondo uno schema reso possibile dall’art. 42, co. 3 Cost. (in termini cfr. Cons. Stato. Sez. V, 11 maggio 2009, n. 2877).
La natura del provvedimento di acquisizione va dunque configurato come strumentale alla positiva conclusione del procedimento di restituzione… non ponendosi in contrasto con il giudicato intervenuto...
Da quanto sin qui esposto, dunque, il Collegio ritiene di condividere le conclusioni cui è giunto il giudice di prime cure circa la permanenza del potere dell’Amministrazione…di disporre l’acquisizione sanante. In effetti, come noto, si ritiene che la riedizione del potere amministrativo, in seguito ad un giudicato di annullamento di un provvedimento illegittimo, possa essere considerato adottato in violazione o elusione del giudicato quando da quest’ultimo derivi un obbligo assolutamente puntuale e vincolato, così che il suo contenuto sia integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza (Cons. Stato, Sez. VI, 3 maggio 2011, n. 2602; sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 70; id. 4 ottobre 2007, n. 5188).
Nel caso di specie, a ben vedere, la sentenza n. 958 del 2012 attribuiva all’Amministrazione un margine di discrezionalità tale da consentirle di individuare le modalità di esecuzione del dictum giudiziale maggiormente idonee: queste ultime avrebbero dovuto individuarsi dopo aver effettuato un contemperamento fra gli interessi pubblici e privati coinvolti nella fattispecie. In effetti, se, per un verso, il T.A.R. aveva imposto al Comune di Eboli “di dare esecuzione al giudicato formatosi sulla sentenza di questa Sezione n. 11145/2010 mediante restituzione dell’area in questione al ricorrente, previa bonifica della stessa”, per altro verso, non aveva impedito all’Amministrazione, al fine di ottemperare al decisum, di utilizzare strumenti idonei a far fronte alla momentanea carenza di fondi…”.
Di qui, pertanto, la reiezione del primo motivo.
Con le ulteriori censure la ricorrente contesta il merito del provvedimento impugnato, lamentando il difetto di motivazione sia in ordine alle circostanze che hanno condotto all’indebita utilizzazione dell’area sia con riguardo alla mancata valutazione comparativa tra i contrapposti interessi pubblici e privati.
Neanche tali argomenti meritano accoglimento.
L’area oggetto di causa è stata acquisita dall’ANAS per realizzare imponenti lavori di completamento dell’allacciamento del porto di Olbia alla viabilità esterna.
Nelle more della procedura espropriativa, seppur malamente condotta dall’autorità espropriante, tali lavori sono stati quasi interamente realizzati, con radicale trasformazione dell’area e irreversibile sua destinazione all’uso pubblico.
Orbene alla pag. 4 dell’atto impugnato si legge testualmente:
“…che sono stati valutati gli interessi delle parti, e cioè l’interesse della ditta proprietaria a ritornare nel pieno godimento del bene da un lato, e l’interesse della collettività a conservare e a completare la fruizione del parcheggio sotterraneo nei termini sopra descritti dall’altro…
che la ditta proprietaria, causa la situazione sopra descritta e la modifica degli strumenti legislativi e urbanistici non potrà svolgere nei fondi interessati dai lavori di cui all’oggetto l’attività precedente…che sono stati valutati i costi pubblici diretti e indiretti derivanti dalla restituzione del bene…sommati ai costi sociali ricadenti sulla collettività…che non esistono quindi ragionevoli alternative all’emanazione/adozione del presente atto…”.
Non può dunque fondatamente sostenersi che – in sede di decisione circa l’adozione del provvedimento acquisitivo- non sia stata tenuta in conto, sebbene per affermare conclusivamente la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione dell’area, la posizione della società proprietaria.
Neppure può fondatamente ritenersi che sia mancata l’indicazione dell’interesse pubblico sotteso all’adozione dell’atto ex art. 42 bis citato.
Si legge sempre a pag. 4 di tale provvedimento:
“…che la restituzione al proprietario dei beni occupati si ripercuoterebbe in modo strutturalmente complesso sull’opera in questione in quanto comporterebbe la demolizione di un parcheggio interrato con evidenti disservizi per l’area portuale;
che l’ipotesi di demolizione dell’opera in questione per consentire la restituzione dell’area alla ditta comporta:
un pregiudizio al pubblico erario pari ai costi di demolizione dell’opera pubblica e rimessione in pristino stato dei beni, sommati ai costi progettuali, amministrativi e realizzativi di quanto precedentemente esistente;
la cessazione dell’uso pubblico dell’opera in via definitiva, ove non sia possibili adattamenti infrastrutturali, con conseguente compromissione dell’interesse pubblico rispetto al quale l’intera opera è preordinata;
che la ricostruzione dei fabbricati demoliti ai fini della realizzazione dell’opera pubblica implicherebbe la necessità di ottenere le autorizzazioni previste per legge da parte degli organi competenti in un quadro normativo e urbanistico radicalmente mutato rispetto a quello preesistente, circostanza di fatto difficilmente realizzabile…”.
Il Collegio, al riguardo, ritiene che le anzidette motivazioni possano validamente costituire un adeguato supporto motivazionale alla delibera n. 223 del 2014, potendosi dunque concludere che l’Amministrazione abbia agito “valutati gli interessi in conflitto” e motivando specificatamente sulle “attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione”.
Nella fattispecie de qua, in definitiva, si può affermare che siano stati compiutamente assolti tali obblighi motivazionali in conformità alla giurisprudenza amministrativa formatasi in materia (cfr. in particolare, con riferimento all’occupazione acquisitiva, Ad. Plen. n. 2 del 2005).
L’ultimo profilo sul quale insiste parte ricorrente concerne la mancata indicazione, nel provvedimento impugnato, delle circostanze che hanno condotto all’indebita utilizzazione dell’area.
Ad avviso del Collegio, tuttavia, nel solco di una consolidata giurisprudenza fortemente orientata nel senso di un progressivo depotenziamento della forza caducante dei vizi formali degli atti amministrativi, l’inciso contenuto nel 4° comma dell’art. 42bis non vale a sanzionare d’invalidità il provvedimento impugnato tenuto anche conto che dagli atti della procedura espropriativa è ben possibile ricavare le ragioni che hanno indotto l’amministrazione ad attivare la procedura espropriativa per cui è causa restando, al più, prive di puntuali indicazione le ragioni che hanno impedito la tempestiva conclusione del procedimento espropriativo, circostanze che, tuttavia, lungi dal determinare per ciò solo l’illegittimità del provvedimento impugnato, potranno essere oggetto di indagine da parte della Procura regionale della Corte dei conti alla quale la presente sentenza viene trasmessa per le eventuali iniziative di competenza.
La decisione della Corte costituzionale n. 71/2015, intervenuta nelle more del giudizio, rende superflua la trattazione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001 con richiamo alle questioni già prospettate al giudice delle leggi dalla Corte di Cassazione con ord. n. 442/2014, mentre per quanto sopra detto si rivela manifestamente infondata in relazione alla ritenuta violazione del principio dell’intangibilità del giudicato.
Resta fermo che ogni eventuale contestazione in ordine al quantum della somma liquidata dall’ANAS, ove non ritenuta congrua dalla ricorrente, potrà formare oggetto di separato giudizio nanti il giudice competente (in proposito, recentemente, CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI – ordinanza 29 ottobre 2015 n. 22096 , per la quale rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non già in quella del giudice amministrativo una controversia concernente l’ammontare dell’indennizzo dovuto dalla P.A. in sede di emissione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, avendo detto indennizzo natura non già risarcitoria, bensì indennitaria).
La complessità e la novità della questione trattata giustifica l’integrale compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Manda alla Segreteria per la trasmissione della presente sentenza alla Procura regionale della Corte dei conti per le valutazioni di competenza.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Scano, Presidente
Tito Aru, Consigliere, Estensore
Antonio Plaisant, Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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