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NO USUCAPIONE DALLA PA : CONS.STATO, SENT. N. 5414 DEL 30.11.2015

Pubblico
Lunedì, 7 Dicembre, 2015 - 01:00

 

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n.5414 del 30 novembre 2015, esclude usucapione PA
 
N. 05414/2015REG.PROV.COLL.
 
N. 01498/2014 REG.RIC.
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 1498 del 2014, proposto da: 
G., rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Lupo, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13; 
contro
Comune di Grottaglie, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Irene Vaglia, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della PUGLIA – Sezione Staccata di LECCE- SEZIONE III n. 02310/2013, resa tra le parti, concernente risarcimento danni derivanti da occupazione illegittima
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Grottaglie;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Antonio Lupo e Irene Vaglia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata, 02310/2013 il Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sede di Lecce - ha respinto il ricorso di primo grado (corredato da motivi aggiunti) proposto dalla odierna parte appellante R. volto ad ottenere la condanna del Comune di Grottaglie al risarcimento di tutti i danni patrimoniali subìti per effetto del fatto illecito permanente rappresentato dall’irreversibile trasformazione dell’area di mq. 3.867 effettuata dal Comune con la realizzazione del progetto di sistemazione di viale dello Sport (già via dello Stadio) e con il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria dal giorno dell’occupazione al soddisfo, nonché per la restituzione della predetta area, previa riduzione in pristino a spese del Comune di Grottaglie.
Parte appellante, proprietaria (all’epoca dei fatti di causa) di talune aree site nel centro urbano di Grottaglie, estese oltre tre ettari, distinte in catasto al foglio 55 particella 23 – con atto notificato al Comune di Grottaglie in data 30 Gennaio 2012, aveva riassunto dinanzi al Tar il giudizio intrapreso il 10 Maggio 2005 (n° 105/2005 R.G.) davanti al Tribunale Civile di Taranto (Sezione Distaccata di Grottaglie), definito con sentenza n° 184 del 9 Novembre 2011 (passata in giudicato il 20 Gennaio 2012), che aveva declinato la giurisdizione dell’A.G.O. in favore del Giudice Amministrativo (fissando il termine di giorni 90 per la riassunzione della causa davanti al T.A.R. di Lecce).
Aveva quindi richiesto la condanna del Comune di Grottaglie a risarcire tutti i danni subìti per effetto del fatto illecito permanente rappresentato dall’irreversibile trasformazione dell’area di mq. 3.867 (4.267 mq. occupati col decreto sindacale di occupazione d’urgenza del 14 Maggio 1981, meno 400 mq. ceduti con la convenzione urbanistica del 19 Giugno 1984) effettuata dal Comune di Grottaglie con la realizzazione del progetto di sistemazione di viale dello Sport -(danni da quantificarsi previa apposita C.T.U.) e con il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria dal giorno dell’occupazione al soddisfo.
Con motivi aggiunti aveva chiesto, altresì, la restituzione della predetta area, previa riduzione in pristino a spese del Comune di Grottaglie.
Il Tar, prescindendo dall’esame dell’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti, sollevata dalla difesa del Comune ha reputato il ricorso infondato nel merito e lo ha respinto.
In via preliminare, ha rilevato che il giudizio iniziato nel 2005 era stato tempestivamente e ritualmente riassunto dinanzi al T.A.R. (nel rispetto del termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza n° 184/2011 del Tribunale Civile di Taranto - Sezione Distaccata di Grottaglie che aveva declinato la giurisdizione), e che sussisteva nella controversia la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, ai sensi dell’art. 133 primo comma lettera g) del Codice del Processo Amministrativo.
Nel merito, ha rammentato in punto di fatto che l’odierno appellante aveva stipulato con il Comune di Grottaglie una convenzione urbanistica in data 19 Giugno 1984 (relativa al Piano di Lottizzazione approvato dal Consiglio Comunale di Grottaglie con deliberazione n° 116 dell’11 Maggio 1983) con cui aveva ceduto al demanio comunale un’area di mq. 1.934, comprensiva della superficie di mq. 400, facente parte dell’area di mq. 4.267 occupata in forza del decreto sindacale di occupazione d’urgenza del 14 Maggio 1981 (e trasformata per la realizzazione del progetto di sistemazione di viale dello Sport).
Inoltre era pacifico che il Comune non aveva mai perfezionato il procedimento ablatorio della predetta area di proprietà del ricorrente (di mq. 4.267 meno mq. 400 ceduti nel 1984) con l’emanazione del decreto finale di esproprio, nemmeno (successivamente) ai sensi degli artt. 42-bis e/o 43 del D.P.R. 8 Giugno 2001 n° 327.
Ciò posto, ha disatteso l’eccezione, sollevata dalla difesa del Comune di Grottaglie, incentrata sull’affermazione secondo cui l’odierno appellante aveva già ceduto (con l’impegno “di lasciare le strade, così come riportate in allegata planimetria, senza nulla pretendere” contenuto nella richiesta di approvazione di un Piano di Lottizzazione presentata il 21 Marzo 1962) le aree in questione (mq. 4.267) sulle quali il Comune di Grottaglie aveva poi realizzato viale dello Sport (già via dello Stadio).
Ciò in quanto, dalla documentazione versata agli atti del processo, emergeva chiaramente che il predetto progetto di Piano di Lottizzazione era stato solo “autorizzato” dal Sindaco del Comune di Grottaglie (dapprima in data 12 Dicembre 1962, e successivamente in data 16 Novembre 1964 e 28 Gennaio 1965), ma non si era mai perfezionato, ai sensi dell’art. 28 della Legge 17 Agosto 1942 n° 1150 e ssmm., con l’approvazione del P.d.L. da parte del (competente) Consiglio Comunale di Grottaglie e con la stipula della relativa convenzione urbanistica.
L’art. 28 della Legge 17 Agosto 1942 n° 1150 e ssmm. (rubricato “Lottizzazione di aree”) disponeva (ai commi quinto e seguenti) che: “L’autorizzazione comunale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda: 1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate dall’articolo 4 della Legge 29 Settembre 1964 n° 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria………. La convenzione deve essere approvata con deliberazione consiliare nei modi e forme di legge. Il rilascio delle licenze edilizie nell’ambito dei singoli lotti è subordinato all’impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria relative ai lotti stessi. Sono fatte salve soltanto, ai fini del quinto comma, le autorizzazioni rilasciate sulla base di deliberazioni del Consiglio Comunale, approvate nei modi e forme di legge, aventi data anteriore al 2 Dicembre 1966….. Le autorizzazioni rilasciate dopo il 2 Dicembre 1966 e prima dell’entrata in vigore della presente legge e relative a lottizzazioni per le quali non siano stati stipulati atti di convenzione contenenti gli oneri e i vincoli precisati al quinto comma del presente articolo, restano sospese fino alla stipula di dette convenzioni”.
Di ciò, peraltro, era consapevole anche il Comune, posto che il Sindaco di Grottaglie, con l’esibita nota prot. n° 3789/62 del 23 Febbraio 1968, aveva esplicitamente invitato il Sig. Russo Giovanni “a ripresentare il Piano di Lottizzazione (presentato nel 1962 e autorizzato, ma non deliberato) del terreno di sua proprietà relativo alla parte non ancora attuata secondo le modalità fissate dall’art. 8 della Legge 6 Agosto 1967 n° 765”.
Per altro verso, con deliberazione consiliare n° 169 del 6 Ottobre 1980 (nell’approvare il progetto per la sistemazione di viale dello Sport), era stato approvato il piano particellare di esproprio (riportante tra le Ditte espropriande Russo Giovanni), seguito dal decreto sindacale del 14 Maggio 1981 di occupazione d’urgenza dell’area di mq. 4.267 di proprietà dell’originario ricorrente.
Il Tar ha quindi ritenuta corretta la conclusione cui era giunto il C.T.U. nominato dal Tribunale Civile di Taranto (Sezione Distaccata di Grottaglie), nella relazione tecnica d’ufficio a chiarimenti depositata il 18 Dicembre 2009, secondo cui: “tali aree non sono state mai traslate all’Ente Comune per il semplice “impegno” del Sig. Russo Giovanni…”, considerato che (ovviamente) non è giuridicamente possibile acquisire la proprietà di un’area unicamente in virtù di un semplice “impegno di lasciare al Comune la strada”.
Il Tar ha invece ritenuto fondata l’ulteriore eccezione del Comune fondata sulla tesi che la proprietà dell’area di sedime della strada in questione si era trasferita al demanio comunale in forza di usucapione ex art. 1158 c.c..
Ha in proposito sostenuto che non era precluso al Giudice Amministrativo esaminare tale eccezione (implicante l’accertamento dell’esistenza del diritto di proprietà della P.A. in conseguenza del mero possesso ultraventennale, e quindi estranea alla sfera della giurisdizione esclusiva in materia espropriativa) in via incidentale, ai sensi dell’art. 8 c.p.a. (trattandosi di una questione incidentale relativa a diritti la cui risoluzione è necessaria per pronunciare sulla questione principale).
Ed ha dato atto della circostanza che la strada di che trattasi (viale dello Sport, già via dello Stadio) – come peraltro affermato dal C.T.U. nominato dal Tribunale Civile di Taranto (Sezione Distaccata di Grottaglie) nella relazione tecnica d’ufficio a chiarimenti depositata il 18 Dicembre 2009 – era stata effettivamente realizzata solo alla fine degli anni ’80 (avvalendosi del disposto dell’art. 11 sesto comma c.p.a.,: “Nel giudizio riproposto davanti al giudice amministrativo, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova”).
Ha poi rammentato che lo stesso T.A.R. aveva in passato chiarito che, in simili fattispecie, l’inizio della situazione giuridica utile per l’usucapione, ossia la trasformazione della (mera) detenzione in possesso, si verificava solo dopo la scadenza del termine massimo di occupazione legittima del terreno (Cfr. “ex plurimis”: T.A.R. Puglia Lecce, I Sezione, 2 Novembre 2011 n° 1913).
Ciò premesso, considerato che l’occupazione d’urgenza dell’area in questione, disposta dal Sindaco di Grottaglie con decreto emanato il 14 Maggio 1981, era divenuta illegittima in data 6 Ottobre 1986 (alla scadenza del termine di cinque anni per l’ultimazione dei lavori e delle espropriazioni fissato dal Comune con la deliberazione consiliare n° 169 del 6 Ottobre 1980, prorogato di un anno dall’art. 1 comma 5-bis del Decreto Legge 22 Dicembre 1984 n° 901, convertito dalla Legge 1° Marzo 1985 n° 42) e che l’atto di citazione introduttivo del giudizio (poi riassunto dinanzi al T.A.R.) era stato notificato il 10 Maggio 2005 ( quindi, prima del compimento dei venti anni necessari per la maturazione dell’usucapione dei beni immobili (ai sensi dell’art. 1158 Codice Civile – in linea di principio – doveva essere rigettata la predetta eccezione ( anche tenuto conto che, in forza dell’art. 11 secondo comma c.p.a., “sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda –originaria- se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato”).
Senonchè, con l’azione civile proposta in data 10 Maggio 2005 non era stata richiesta la restituzione del bene immobile de quo, sicchè la relativa domanda giudiziale (poi riassunta dinanzi al T.A.R.) non poteva essere considerata idonea, ai sensi dell’art. 1165 codice civile, ad interrompere il termine ventennale previsto dall’art. 1158 c.c. per il perfezionamento dell’acquisizione per usucapione del bene immobile.
Infatti, per giurisprudenza consolidata, in tema di usucapione, non poteva riconoscersi efficacia interruttiva se non ad atti che comportassero, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, ovvero ad atti giudiziali diretti ad ottenere “ope iudicis” la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente.
Ciò non era avvenuto nel caso di specie, laddove l’odierno appellante aveva chiesto la restituzione delle aree solo con i motivi aggiunti proposti il 15 Gennaio 2013.
A detta data – ormai – l’acquisto dei beni immobili per usucapione si era già perfezionato in capo al Comune di Grottaglie, con il decorso del termine ventennale (dal 6 Ottobre 1986 al 6 Ottobre 2006) previsto dall’art. 1158 codice civile.
Né – ad avviso del Tar- erano invocabili, nel caso di specie, le ulteriori reiterate proroghe (automatiche) dei termini di scadenza delle occupazioni d’urgenza normativamente stabilite (art. 1 Decreto Legge 28 Febbraio 1986 n° 48, art. 14 secondo comma Decreto Legge 29 Dicembre 1987 n° 534, art. 22 Legge 20 Maggio 1991 n° 158, art. 4 Legge 1° Agosto 2002 n° 166).
Ciò, in quanto –sottolineato che l’art. 1 del Decreto Legge 28 Febbraio 1986 n° 48 riguarda unicamente le occupazioni temporanee d’urgenza poste in essere nell’ambito della speciale legislazione post terremoto del 1980 (Cfr: Corte di Cassazione Civile, I Sezione, 22 Agosto 1997 n° 7860) –notoriamente, le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni d’urgenza disposte (in via generale) dall’art. 14 secondo comma del Decreto Legge 29 Dicembre 1987 n° 534 e dell’art. 22 Legge 20 Maggio 1991 n° 158 erano condizionate alla circostanza che al momento dell’intervento legislativo il termine eventualmente già prorogato, per provvedimento esplicito o automaticamente per legge, non sia ancora scaduto (“ex multis”: Corte di Cassazione Civile, 4 Settembre 2001 n° 11391).
Nella vicenda de qua, al momento dell’entrata in vigore dell’art. 14 secondo comma del Decreto Legge 29 Dicembre 1987 n° 534 (“Per le occupazioni d’urgenza in corso, la scadenza del termine di cui al secondo comma dell’articolo 20 della Legge 22 Ottobre 1971 n° 865, già prorogato dall’articolo 1 comma 5-bis del Decreto Legge 22 Dicembre 1984 n° 901, convertito con modificazioni dalla Legge 1° Marzo 1985 n° 42, concernente proroga delle occupazioni d’urgenza, è ulteriormente prorogato di due anni”), l’occupazione d’urgenza disposta dal Comune di Grottaglie con decreto sindacale del 14 Maggio 1981 era già scaduta in data 6 Ottobre 1986 (allo spirare del termine di cinque anni per l’ultimazione dei lavori e delle espropriazioni fissato dal Comune con la deliberazione consiliare n° 169 del 6 Ottobre 1980, prorogato di un anno dall’art. 1 comma 5-bis del Decreto Legge 22 Dicembre 1984 n° 901, convertito dalla Legge 1° Marzo 1985 n° 42).
Il Tar, quindi, prescindendo da ogni altra questione di merito si è risolto a rilevare che la possibilità del privato proprietario del bene immobile occupato dalla P.A. (e sottoposto a procedimento ablatorio non perfezionato con l’emanazione del decreto finale di esproprio o con atto di cessione volontaria) di rivendicare il bene stesso e chiederne la restituzione incontrava, comunque, il limite dell’intervenuta usucapione eccepita dall’Amministrazione convenuta ( che non appariva preclusa dalla disciplina contenuta nel D.P.R. 8 Giugno 2001 n° 327, anche perché in tal caso la possibilità per la P.A. di un acquisto postumo del diritto di proprietà con un provvedimento amministrativo avente efficacia sanante ex art. 42-bis era logicamente incompatibile con il già intervenuto acquisto del bene immobile a titolo di usucapione (Corte di Cassazione Civile, I Sezione, 4 Luglio 2012 n° 11147).
L’’accertamento (in via incidentale) dell’eccepito acquisto per usucapione da parte del Comune di Grottaglie della proprietà dell’area in questione (perfezionatosi in data 6 Ottobre 2006) determinava quindi – ad avviso del Tar- l’estinzione dei diritti azionati dall’ originario ricorrente (l‘invocata tutela reale e obbligatoria) e faceva venir meno “ab origine” l’elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria, consistente nell’illiceità della condotta lesiva della situazione giuridica soggettiva dedotta.
Ciò non solo per il periodo successivo al decorso del termine ventennale, ma anche per quello anteriore, in virtù della retroattività degli effetti dell’acquisto a titolo originario per usucapione (Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, 19 Ottobre 2011 n° 21575; Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, 14 Gennaio 2013 n° 9).
Il mezzo, in conclusione, è stati integralmente respinto, con compensazione delle spese.
La odierna parte appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha ripercorso le principali tappe, anche infraprocedimentali, della vicenda per cui è causa, ed ha fatto presente che non ricorreva alcuna possibilità di ritenere maturata l’usucapione, sia perché egli si era tempestivamente attivato per contestare in sede giurisdizionale la occupazione illegittima dell’area, sia perché comunque non era decorso il ventennio dalla immissione in possesso. Ha all’uopo richiamata alcuni precedenti giurisprudenziali, sostenendo che la decisione gravata contraddiceva l’orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto.
Ha quindi sostenuto che il bene doveva essergli restituito, e che comunque non potesse negarsi la corresponsione del risarcimento per equivalente, quantificandone l’importo.
Con successiva memoria ha fatto presente che –anche a volere accedere alla ricostruzione giuridica contestata, resa dal primo giudice – ugualmente la tempistica della procedura espropriativa intrapresa (e certamente illegittima ) non era stata correttamente computata, per cui il periodo di occupazione legittima sarebbe scaduto il 31.7.1987 e l’usucapione non sarebbe maturata.
Il comune intimato ha depositato memoria di stile chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
Con memoria depositata il 18 settembre 2015 ha chiesto la reiezione dell’appello,ribadendo le proprie difese.
Con il primo motivo, ha richiamato la giurisprudenza amministrativa e civile (in ultimo, Sezioni Unite n. 735/2015) favorevole all’applicabilità dell’istituto della usucapione “pubblica”;
con la seconda eccezione ha fatto presente che nel 2005 l’appellante aveva optato per l’esercizio dell’azione risarcitoria per equivalente, non proponendo (come sarebbe stato possibile) il petitum reipersecutorio: le deduzioni (comunque nuove) di parte appellante dovevano pertanto essere disattese.
In ogni caso, ha sostenuto che la domanda dell’appellante era nuova, e concretava una inammissibile ipotesi di mutatio libelli.
E nuova era altresì la domanda risarcitoria volta al ristoro del periodo di occupazione illegittima, mentre comunque la quantificazione proposta dall’appellante sia in riferimento al valore venale, che con riguardo al 5% annuo di tale importo per il periodo di occupazione, era abnorme ed esagerata
Alla odierna pubblica udienza del 20 ottobre 2015 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. L’appello è fondato e va accolto, nei termini di cui alla motivazione che segue: in riforma della sentenza di primo grado, quindi, il ricorso di primo grado va accolto, nei termini precisati nella parte motiva della presente decisione.
1.1. Va premesso che il Comune non ha gravato il capo di sentenza che ha disatteso la tesi da esso patrocinata secondo cui vi sarebbe stata in passato una cessione del compendio immobiliare in favore dell’Amministrazione predetta: essa non è quindi riesaminabile in quanto regiudicata;e va premesso che le eccezioni volte a sostenere che l’appellante ha avanzato domande “nuove” sono palesemente infondate, non potendo il petitum risarcitorio non ricomprendere il periodo di occupazione illegittima del suolo (anzi, ciò rappresenta il nucleo centrale della domanda dell’appellante).
2. L’articolata decisione del Tar gravata, ha nella sostanza deciso tutte le questioni prospettate dalle parte, dando atto:
a) della mancata conclusione della procedura espropriativa;
b)della mancata emissione di alcun provvedimento acquisitivo, anche ex art. 43 o 42 bis del TU Espropriazione;
c)della non condivisione della tesi dell’Amministrazione secondo cui vi sarebbe stata in passato una cessione del compendio immobiliare in favore dell’Amministrazione predetta (il punto, non essendovi appello incidentale da parte del Comune, è coperto dal giudicato, come rilevato appena prima).
Come esposto nella parte in fatto, il Tar ha respinto il petitum risarcitorio (restitutorio e/o per equivalente) unicamente sul presupposto della maturata usucapione.
2.1. Il Collegio non condivide l’approdo del Tar.
2.2. Nel richiamare integralmente in questa sede la motivazione contenuta in alcune recenti sentenze della Sezione (Consiglio di Stato, Sezione IV sentenza n.4096/2015 assunta in decisione il 16.6.2015 e depositata il 1.9.2015 su ricorso n. 10128/2014; Consiglio di Stato Sezione IV sentenza n. 03346/2014, resa nell’ambito del ricorso 02584/2014; Consiglio di Stato Sezione IV sentenza n. 3988/2015) ritiene il Collegio di potere serenamente affermare che nel caso di specie neppure può porsi la problematica della maturata usucapione dell’area da parte del Comune, alla stregua di alcune considerazioni.
Esse assumono portata troncante ed assorbente, per cui quanto di qui a poco si affermerà esime il Collegio dal prendere in esame analiticamente, sotto il profilo cronologico, il dipanarsi della procedura espropriativa.
2.3. Nelle decisioni prima richiamate, la Sezione ha esposto il proprio punto di vista sulla delicata questione della predicabilità sistematica di una “usucapione pubblica” che si innesti su un procedimento espropriativo avviato con l’occupazione d’urgenza.
Richiamati integralmente i principi ivi esposti, si osserva che nelle menzionate decisioni è stato chiarito che comunque – a tutto concedere – in astratto una problematica di vaglio in ordine alla usucapibilità di beni appresi mercè l’occupazione dell’area innervata su un procedimento espropriativo non regolarmente conclusosi (ad esempio, come nel caso di specie, per omessa emissione di un tempestivo decreto di esproprio) e/o dichiarato illegittimo potrebbe porsi laddove l’Amministrazione abbia posseduto ininterrottamente detto compendio immobiliare per il torno di tempo prescritto dal codice civile individuandosi quale dies a quo quello dell'entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il cui art. 43 ha sancito il superamento normativo dell'istituto dell'occupazione acquisitiva che costituiva una vera e propria fattispecie ablatoria seppur atipica.
2.3.1. Invero sino alla data di entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327–come è noto – costituiva approdo consolidato in giurisprudenza quello per cui la trasformazione dell’area implicasse acquisto automatico della proprietà (appunto per accessione invertita, ex art. 938 CC) in capo all’Amministrazione del suolo sul quale l’opera pubblica era sorta.
Il privato spossessato, quindi, non avrebbe potuto validamente esercitare alcuna opzione reintegratoria specifica, e non avrebbe potuto conseguire la restituzione dell’area, in quanto già passata in proprietà dell’Amministrazione.
2.3.2. Le vigorose affermazioni delle sentenze Cedu,( ex multis Corte europea dir. uomo, 30 maggio 2000 seconda Sezione, Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia, n. 31524/96; terza Sezione, 12 gennaio 2006, Sciarrotta c. Italia, n. 14793/02) le critiche della dottrina, ed i dubbi in ordine alla praticabilità di tale costruzione giuridica, hanno spinto il Legislatore ad intervenire, ed in virtù del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, (art. 43 ivi contenuto) è stato sancito il superamento normativo dell'istituto dell'occupazione acquisitiva.
2.3.2.1. Da tale ricostruzione (condivisa anche da parte della giurisprudenza di primo grado: ex aliis, di recente T.A.R. Latina –Lazio- sez. I 08/06/2015 n.455) il Collegio non ha intenzione di discostarsi.
2.3.3. Ciò implica una conseguenza rilevante, che vale per tutte le occupazioni avviate in epoca risalente, e comunque antecedente alla entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 : il tempo durante il quale l’Amministrazione ha esercitato un potere materiale sul bene occupato (e medio tempore trasformato, eventualmente) antecedentemente alla entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 è inutiliter datum, in chiave di computo del medesimo ai fini di dedurre la usucapione dell’area.
Ciò per una troncante ragione: se è vero – come appare incontestato in dottrina e giurisprudenza che la usucapio risponde ad una esigenza di certezza giuridica; “premia” il possesso in ininterrotto dell’area; e “sanziona” l’inerzia del proprietario dell’area medesima che non ha esercitato le condotte materiali e/o le iniziative giuridiche che dimostrano il suo interesse a mantenerne la titolarità- è evidente che tale sanzione può operare soltanto laddove il privato potesse esercitare i diritti posti a presidio della propria posizione.
E’ questo, un principio logico, oltre che di civiltà giuridica, che nel sistema giuridico italiano trova espresso conforto normativo sub art. 2935 CC “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.
Posto che, antecedentemente alla entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 il privato proprietario non avrebbe potuto fare valere il proprio diritto alla restituzione, è del tutto logico che il tempo decorso (durante il quale l’Amministrazione ha, anche ininterrottamente ed alla luce del sole detenuto il bene) prima di tale data non si computi ai fini della maturata usucapione.
2.4. Tanto basta, con portata dirimente, ad accogliere l’appello.
2.4.1. Invero il Tar - che ben si è reso conto che neppure può porsi nel caso di specie una ipotesi di usucapione abbreviata decennale, in quanto, all’evidenza, lo status detentionis dell’Amministrazione non era assistito da buona fede – ha:
a)condivisibilmente stabilito, in via di principio, che il tempo necessario ad usucapire il bene era pari a vent’anni;
b)ha fatto presente che trattavasi di una procedura espropriativa “assistita” da una perdurante dichiarazione di pubblica utilità (tanto che ha ritenuto pacificamente sussistere la propria giurisdizione sul punto) e quindi ascrivibile (secondo la risalente distinzione, destinata a perdere di attualità e rilievo alla luce della introduzione nel sistema dapprima dell’art. 43 e poi dell’art. 42 bis del TU Espropriazione, ma allo stato tornata prepotentemente di attualità proprio nelle cause in cui l’Amministrazione eccepisce la maturata usucapione del bene) nel novero delle c.d. “occupazioni acquisitive”;
c) ha ritenuto che detto termine fosse maturato, computando (ai fini del raggiungimento di tale arco temporale ventennale) il torno di tempo antecedente al 2001 (l’occupazione era divenuta illegittima in data 6 Ottobre 1986).
2.4.2. Ciò per le già chiarite ragioni, non è certamente condivisibile: il “diritto vivente” antecedente alla entrata in vigore nel sistema del dPR n. 43/2001, non consentiva l’esperimento dell’azione restitutoria/reintegratoria del suolo;
parte appellante non avrebbe quindi potuto proporre la relativa domanda;
opera il principio scolpito sub art. 2935 cc (contra non valentem agere non currit praescriptio);
il torno di tempo antecedente alla entrata in vigore nel sistema del dPR n. 43/2001 non è quindi computabile per far ritenere prescritta l’azione di rivendica e, quindi, per ritenere maturata l’usucapione ascrivibile al permanente possesso dell’area in capo all’Amministrazione.
Il Collegio (che pure non condivide altri passaggi della sentenza di primo grado, in particolare con riguardo alla omessa valutazione qual atto interruttivo della domanda incardinata dall’odierno appellante nel 2005, come brevemente si chiarirà immediatamente di seguito) ritiene che ciò sia sufficiente ad accogliere l’appello.
2.5. Ad abundantiam può aggiungersi che ad avviso del Collegio neppure assumerebbe rilievo, nel caso di specie, la distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa.
2.5.1. Anche a non volere convenire con la tesi prima esposta secondo cui il barrage “possibile” per ravvisare l’usucapione è quello della entrata in vigore del dPr n. 327/2001invero ( sempre a volere muovere dal presupposto che la usucapione “pubblica” abbia diritto di cittadinanza nel sistema e non sia invece impedita da superiori principii di coerenza ordinamentale) perché maturi la usucapione è necessario –tra l’altro–che ricorra il presupposto della inerzia del privato proprietario.
Non ricorre tale presupposto laddove il privato abbia richiesto “semplicemente” la tutela risarcitoria.
Per considerare rilevante tale “opzione” si dovrebbe affermare che:
a)il privato conoscesse la distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa;
b)conoscesse quindi -e fosse consapevole del fatto che- laddove fosse stata integrata la fattispecie della occupazione appropriativa, egli avrebbe potuto soltanto –come detto – validamente proporre domanda risarcitoria; laddove fosse stata configurabile una occupazione c.d. “usurpativa” avrebbe potuto proporre domanda risarcitoria ma anche domanda restitutoria;
c)fosse certo che nel caso di specie era maturata una occupazione usurpativa, con trasformazione dell’area quando già era scaduto il termine di occupazione legittima senza che fosse stato tempestivamente emesso il decreto di espropriazione.
Di tutto ciò non v’è traccia nell’odierno processo.
2.5.2. Ma anche a volere considerati inverati i detti presupposti (e quindi obliando la contraddizione riposante nel “premiare” quello che è un illecito permanente dell’Amministrazione) una tale costruzione reggerebbe, soltanto laddove si predicasse la permanente attualità del principio per cui la avvenuta proposizione dell’azione risarcitoria implicasse opzione abdicativa della domanda restitutoria (e, quindi, l’Amministrazione potesse divenire, in forza di ciò titolare del bene).
Ma così, come è noto, non è (o quantomeno - se si fosse al cospetto di dati normativi e non di costruzioni giurisprudenziali, -dovrebbe affermarsi che così non è più).
L’amministrazione come è noto, può divenire proprietaria soltanto in forza di un provvedimento formale di esproprio, di un atto negoziale acquisitivo privatistico, di un provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazione.
2.5.3. In tale mutato sistema, sostenere che la (mera) azione risarcitoria intrapresa (nel 2005, e quindi teoricamente in tempo, anche secondo il primo giudice, per interrompere il possesso ventennale ad usucapionem) non costituisse ex se atto validamente interruttivo della prescrizione, in quanto idoneo a dimostrare la volontà del privato di opporsi validamente a che altri detenga il proprio bene appare una non condivisibile forzatura tanto più che (questo è incontroverso) la retroattività dell’acquisto per usucapione implicherebbe che il privato si vedrebbe privato (non solo della tutela reipersecutoria ma, anche) della tutela risarcitoria.
In sintesi, quindi, si ipotizzerebbe che il privato abbia scientemente proposto una domanda senza alcuna pratica possibilità ci accoglimento.
2.6. Il vero è che:
a) l’occupazione illegittima integra un illecito permanente, che si rinnova quindi di momento in momento;
b)che in un sistema “ordinato” l’Amministrazione che si vedesse destinataria di una azione risarcitoria, e che si rendesse conto di avere commesso un illecito, dovrebbe sponte sua restituire immediatamente il bene al cittadino proprietario che lo reclama (e pagare i danni sino a quel momento cagionati);
c)che, in disparte la circostanza che di tali comportamenti “ virtuosi” (ma che dovrebbero essere “ordinari”) non v’è traccia, comunque il cittadino ha interesse a confidare che essi siano osservati;
d)che quindi, anche la “semplice” proposizione dell’azione risarcitoria implica atto interruttivo del possessio ad usucapionem (ammesso, lo si ripete, che esso sia praticabile nel sistema, il che è questione dogmatica che non rileva nella presente causa).
3. L’appello va quindi accolto: e per concludere sul punto, la vibrata eccezione dell’amministrazione comunale (ribadita durante il corso della discussione pubblica) secondo cui la domanda proposta dall’appellante nel 2005 non era idonea ad interrompere la prescrizione è, ad avviso del Collegio:
a)infondata in punto di fatto;
b) non condivisibile –per quanto si è prima chiarito– giuridicamente;
c) soprattutto, ininfluente: il “possesso” ante 2001 non si può computare a fini di usucapione e, quindi, parte appellante sarebbe in termini per interrompere la prescrizione anche laddove avesse avanzato domanda di restituzione, per la prima volta, in data odierna.
4.L’appello va quindi accolto, e la sentenza va riformata in parte qua.
5. Passando ad esaminare le conseguenze dell’accoglimento dell’appello, e posto che l’amministrazione né ha restituito il bene, né lo ha acquistato, né ha emesso provvedimento ex art. 42 bis TUEspropriazione mentre è rimasta accertata la illegittimità della procedura espropriativa, ne deve di necessità discendere che:
a) il risarcimento deve aver luogo in relazione all’illegittima occupazione del bene, e deve coprire le voci di danno per il mancato godimento del bene, dal momento del perfezionamento della fattispecie illecita sino al giorno della sua giuridica regolarizzazione (ossia sino all’effettiva restituzione del bene);
b)resta salva la possibilità per l’amministrazione di perfezionare valido contratto di acquisto del bene (con il consenso di parte originaria ricorrente), ovvero di avvalersi in via postuma dello strumento acquisitivo della proprietà di cui all’art. 42 bis d.p.r. n. 327/01, nei termini di recente delineati dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha riconosciuto la compatibilità costituzionale dell’istituto, corrispondendone il valore venale;
c)in ipotesi del mancato verificarsi della evenienza di cui alla lett.b l’Amministrazione dovrà restituire l’area, previa remissione in pristino della stessa a propria cura e spese, corrispondendo “soltanto” le somme per l’illegittima occupazione (in quanto il fondo verrebbe restituito al privato).
5.1. Entro gg. 60 decorrenti dalla data di pubblicazione/notificazione della presente sentenza, l’Amministrazione dovrà avviare il procedimento ai sensi della superiore lett. b ovvero della lettera c.
La giuridica regolarizzazione della fattispecie mediante l’immediata restituzione dei beni ( previa integrale riduzione in pristino) ovvero attivandosi per il legittimo acquisto della proprietà dell'area assume carattere prioritario, onde evitare il maturarsi di un ulteriore danno risarcibile in favore della parte attuale proprietaria.
5.2. Ritiene il Collegio - quanto alla quantificazione del danno- di disporre ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a.: ciò, in quanto la esposizione di parte appellante non risulta, allo stato confortata da indicazioni documentali tali da potere pervenire alla statuizione quantificatoria da parte del Collegio: parte appellata dovrà pertanto formulare una proposta entro gg. 60 decorrenti dalla data di pubblicazione/notificazione della sentenza, tenendo presente che il risarcimento dovrà corrispondere all’attuale valore venale del bene, e sarà parametrato al periodo di illegittima occupazione del bene (ove l’amministrazione decida di rimuovere l’opera e restituire il fondo, previa remissione in pristino a sua cura e spese) ovvero anche al valore della proprietà acquisita (laddove essa acceda alla opzione b suindicata) e dovrà esporre le eventuali ragioni per cui non ritenga di aderire alla prospettazione quantificatoria contenuta nell’odierno appello, chiarendo in quale parte, e per quale ragione, essa vada disattesa.
In ipotesi di contrasto, parte appellante, a propria volta, dovrà analiticamente chiarire a parte appellata le eventuali residue contestazioni alla somma da questa offerta.
5.3. Resta ovviamente attribuita a questo Giudice d’appello, in sede di ottemperanza, il possibile vaglio sull’esatto adempimento della presente statuizione.
Ed ove la tempestiva emissione di un eventuale provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazione (nell’eventualità che a tale soluzione l’amministrazione comunale intimata ritenesse di accedere) dovesse essere ritardata a cagione di contestazioni sul quantum debeatur, la Sezione si riserva-valutatane la fondatezza - di determinarne la incidenza nella quantificazione delle somme dovute per il periodo di occupazione successivo alla formulazione della “offerta” da parte del Comune. .
6. Conclusivamente pronunciando, quindi, in accoglimento dell’appello la sentenza resa in primo grado va annullata, ed il mezzo di primo grado, va accolto nei termini di cui alla motivazione che precede.
8. Alla soccombenza consegue la condanna della appellata amministrazione al pagamento delle spese processuali del doppio grado, in favore di parte appellante, spese che appare equo quantificare, a cagione della particolarità e complessità della controversia in Euro millecinquecento complessivi (€ 1500/00) oltre oneri accessori, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza gravata ed accoglie il ricorso di primo grado nei termini e con le statuizioni dispositive di cui alla parte motiva della presente decisione.
Condanna la appellata amministrazione al pagamento delle spese processuali del doppio grado, in favore di parte appellante, nella misura di Euro millecinquecento complessivi (€ 1500/00) oltre oneri accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio,Presidente
Nicola Russo,Consigliere
Fabio Taormina,Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo,Consigliere
Oberdan Forlenza,Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/11/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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