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Occupazioni illegittime da non sanare con usucapione e specificazione ma con accordi e 42 bis TUE - Cons. Stato, sent. n. 329 del 28.01.2016

Pubblico
Venerdì, 29 Gennaio, 2016 - 01:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n. 329 del 29 gennaio 2016, sulle occupazioni illegittime da non sanare con usucapione e specificazione ma con accordi e 42 bis TUE
 
N. 00329/2016REG.PROV.COLL.
 
N. 09665/2011 REG.RIC.
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso in appello nr. 9665 del 2011, proposto dal COMUNE DI BRINDISI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Trane, con domicilio eletto presso l’avv. Nathalie Lusi in Roma, via Flaminia, 362,
contro
i signori Antonio VANTAGGIATO, Temistocle VANTAGGIATO, Gianluca VANTAGGIATO, Elisabeth BARRY MALCARNE e William MALCARNE, rappresentati e difesi dall’avv. Lorenzo Durano, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, 11,
per la riforma
della sentenza nr. 199/11 del 29 giugno 2011, notificata in data 18 ottobre 2011, con la quale il T.A.R. della Puglia, Sezione Prima di Lecce, pronunciando in via definitiva sul ricorso promosso dai signori Antonio Vantaggiato, Temistocle Vantaggiato e Gianluca Vantaggiato (quali eredi di Antonia Malcarne) e dai signori Elisabeth Barry Malcarne e William Malcarne (quali eredi di Angelo Malcarne) ha così provveduto: “Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, come da motivazione e, per l’effetto, ordina all’Amministrazione comunale di Brindisi di procedere all’offerta ai ricorrenti, entro il termine di giorni 90 (novanta) dalla comunicazione e notificazione della presente decisione, di una somma a titolo di indennizzo ex art. 940 c.c. per la trasformazione del bene in questione, calcolata sulla base del valore venale del bene al momento della trasformazione e maggiorata degli interessi legali dalla data di maturazione del diritto all’effettiva corresponsione della somma. Compensa le spese di giudizio tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa”.
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati in epigrafe indicati e l’appello incidentale da questi proposto;
Vista la memoria prodotta dagli appellati in data 16 dicembre 2015 a sostegno delle proprie difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2016, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Pasquale Trane, su delega dell’avv. Francesco Trane, per il Comune appellante e l’avv. Durano per gli appellati;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Il Comune di Brindisi ha impugnato la sentenza con la quale la Sezione di Lecce del T.A.R. della Puglia, accogliendo il ricorso proposto dagli eredi dei signori Antonia Malcarne e Angelo Malcarne (meglio indicati in epigrafe) in relazione all’occupazione d’urgenza di suoli di loro proprietà, divenuta illecita a seguito della scadenza del termine di efficacia senza il sopravvenire del decreto di espropriazione, ha accertato l’acquisizione delle aree al patrimonio comunale per specificazione ai sensi dell’art. 940 cod. civ. ed ha pertanto ordinato al Comune di corrispondere alle controparti una somma a titolo di indennizzo, dettando all’uopo i criteri di calcolo della stessa.
A sostegno dell’appello, l’Amministrazione comunale ha dedotto:
1) nullità e illegittimità della sentenza impugnata perché pronunciata ultra petita partium (avendo il primo giudice provveduto su domanda diversa da quella dei ricorrenti, i quali avevano chiesto il risarcimento dei danni subiti per la perdita del proprio bene, e non un indennizzo);
2) erroneo rigetto dell’eccezione di prescrizione del diritto sollevata dal Comune di Brindisi (essendo stata depositata in giudizio la nota del 10 luglio 2000, con la quale il Comune, in riscontro alla prima richiesta degli interessati, aveva eccepito l’intervenuta estinzione per prescrizione di ogni loro pretesa risarcitoria);
3) erroneità e difetto di motivazione (in relazione all’erronea riconduzione della fattispecie per cui è causa all’istituto civilistico della specificazione);
4) mancato accertamento dell’intervenuta usucapione del bene a favore del Comune di Brindisi (con riferimento al lasso di tempo decorso senza che gli interessati nulla eccepissero in ordine alla disponibilità del Comune);
5) mancata pronuncia da parte del primo giudice sulla inammissibilità, per tardività, del ricorso introduttivo (tenuto conto dei tempi dell’illegittima occupazione e della prolungata inerzia degli interessati);
6) erronea indicazione del criterio di calcolo dell’indennizzo ex art. 940 cod. civ. (avendo il primo giudice errato nel ritenere la natura edificabile dei suoli de quibus).
Si sono costituiti gli appellati in epigrafe indicati, i quali, oltre a controdedurre analiticamente a sostegno dell’infondatezza del gravame ed a eccepire l’inammissibilità delle produzioni documentali di controparte per violazione dell’art. 104, comma 2, cod. proc. amm., hanno altresì proposto appello incidentale ai sensi dell’art. 334 cod. proc. civ., censurando nel merito le statuizioni del primo giudice e riproponendo l’originaria domanda di risarcimento (così come integrata e modificata con i motivi aggiunti di primo grado).
All’udienza del 19 gennaio 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il presente giudizio trae origine dall’occupazione d’urgenza, disposta dal Comune di Brindisi nel 1979, di suoli in proprietà dei signori Antonia Malcarne e Angelo Malcarne (danti causa degli odierni appellati) per realizzarvi una strada a completamento della viabilità esistente, come da progetto approvato con valore di dichiarazione della pubblica utilità dell’opera.
Tuttavia, dopo l’esecuzione dell’occupazione, avvenuta in data 26 maggio 1979, e malgrado in seguito venisse effettivamente realizzata l’opera in questione, non risulta mai essere stata attivata una regolare procedura espropriativa, né alcun indennizzo è stato mai corrisposto ai proprietari dei suoli.
Per questo, nel giugno del 2000 gli eredi degli originari proprietari si sono attivati per chiedere il risarcimento del danno subito, dapprima in via stragiudiziale e quindi con la proposizione di ricorso giurisdizionale sia dinanzi al Tribunale di Brindisi (poi dichiaratosi sfornito di giurisdizione) che presso la Sezione di Lecce del T.A.R. della Puglia.
Il giudice adìto, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, accertata l’irreversibile trasformazione dell’immobile per effetto della realizzazione della strada de qua:
- ha preso atto della sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327 (cfr. Corte cost., sent. 8 ottobre 2010, nr. 293);
- ha ritenuto acquisiti i suoli al patrimonio comunale per effetto della loro irreversibile trasformazione, in applicazione analogica dell’istituto della specificazione ex art. 940 cod. civ.;
- conseguentemente, ha accertato il diritto dei ricorrenti alla corresponsione di un indennizzo per la perdita della proprietà, dettando all’uopo i criteri e ordinando al Comune di formulare un’offerta, ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm.
2. Tutto ciò premesso, la Sezione reputa l’appello principale infondato ed invece fondato quello incidentale, per le ragioni e con gli effetti di seguito precisati.
3. In ordine logico, va innanzi tutto scrutinato il primo motivo dell’appello del Comune di Brindisi, col quale si denuncia il vizio di ultrapetizione nella sentenza di primo grado, per avere il T.A.R. provveduto, nel condannare l’Amministrazione alla corresponsione di un indennizzo a fronte della ritenuta acquisizione dei suoli, su un petitum diverso rispetto a quello risarcitorio formulato dai ricorrenti.
Il motivo va respinto, emergendo dal fascicolo di primo grado di giudizio che, se è vero che gli istanti inizialmente si limitarono a chiedere il risarcimento del danno causato dalla perdita della proprietà, ciò fecero nella convinzione che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica sui suoli avesse già determinato l’acquisizione degli stessi al patrimonio comunale; successivamente, alla luce delle sopravvenute novità normative e giurisprudenziali, e in particolare del superamento dell’istituto di creazione giurisprudenziale della c.d. “accessione invertita”, essi in data 22 aprile 2011 depositarono motivi aggiunti con i quali modificarono e integrarono la domanda originaria, chiedendo adottarsi anche ogni provvedimento idoneo a far cessare l’occupazione sine titulo dei suoli (a questo punto ritenuta ancora in corso).
Pertanto, poiché è del tutto ammissibile nel vigente quadro normativo che lo strumento dei motivi aggiunti possa essere utilizzato per introdurre nel giudizio domande “nuove”, purché connesse a quella originaria (art. 43 cod. proc. amm.), ciò consente al ricorrente anche di provvedere, in una situazione quale quella descritta, a formulare domande modificative, e persino alternative, rispetto a quella inizialmente avanzata.
4. Sempre in ordine logico, va poi scrutinato il quinto mezzo, col quale si denuncia la tardività del ricorso di primo grado: tale motivo è infondato sotto tutti i punti di vista nei quali risulta formulato dall’Amministrazione appellante.
4.1. Innanzi tutto, inconferente è il rilievo della mancata impugnazione dell’iniziale atto dichiarativo della pubblica utilità e del decreto di occupazione d’urgenza in esecuzione del quale ebbe inizio l’occupazione dei suoli appartenenti ai danti causa degli odierni appellati: infatti, l’azione proposta in prime cure era manifestamente intesa a far valere non già l’illegittimità di tali atti amministrativi, bensì l’illiceità dell’occupazione per il periodo successivo alla scadenza dei termini fissati negli atti medesimi.
Ciò risulta per tabulas dalla lettura degli atti del primo grado di giudizio, emergendo da essi che gli istanti – ancorché, come detto, nell’erroneo presupposto che si fosse verificata la “accessione invertita” - proposero un’azione di accertamento e condanna del Comune al risarcimento dei danni; azione che, può aggiungersi, avuto riguardo all’epoca di instaurazione del giudizio, non poteva essere soggetta al termine decadenziale oggi previsto dall’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., soggiacendo unicamente al termine di prescrizione (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 6 luglio 2015, nr. 6).
4.2. Nemmeno può trovare condivisione, sotto il profilo qui in discorso, il richiamo ai noti principi enunciati dall’Adunanza plenaria nella sentenza nr. 3 del 23 marzo 2011, quanto all’applicazione dell’art. 30, comma 3, ultimo periodo, cod. proc. amm. nei casi di prolungata inerzia dello stesso danneggiato.
Ed invero, i suddetti principi possono rilevare non certo sub specie di una pretesa inammissibilità della domanda risarcitoria, ma esclusivamente in sede di apprezzamento del nesso causale fra attività illegittima della p.a. e lesione della sfera giuridica del privato, potendo l’eventuale condotta inerte di quest’ultimo portare il giudice a ridurre congruamente, o addirittura escludere, il danno risarcibile (ciò a cui può procedersi anche d’ufficio).
Sul punto, pertanto, si tornerà appresso, allorché saranno approfonditi gli aspetti relativi all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile nella specie.
5. Inammissibile è poi il secondo motivo d’appello, col quale il Comune assume la intervenuta prescrizione del credito risarcitorio azionato dai ricorrenti in primo grado: al riguardo, deve convenirsi con le parti appellate, le quali evidenziano come l’eccezione di prescrizione non fosse stata ritualmente sollevata dal Comune in prime cure, e pertanto non sia proponibile per la prima volta in grado di appello (in tal senso, cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 4 settembre 2013, nr. 4408; id., 7 marzo 2013, nr. 1387; id., 8 agosto 2012, nr. 4535; id., sez. IV, 17 maggio 2012, nr. 2843).
Ed invero, a tal fine non può farsi riferimento alla nota datata 10 luglio 2000, resa dal Comune per replicare alla prima richiesta di risarcimento ricevuta dai ricorrenti e poi depositata agli atti del giudizio di primo grado, e neanche alla deliberazione di Giunta Comunale nr. 208 del 29 marzo 2001 (anch’essa prodotta in giudizio), in cui, nel decidere di opporsi all’iniziativa giudiziale intrapresa dagli istanti, si dava atto del lungo lasso di tempo decorso senza che essi avessero mai formulato alcuna richiesta risarcitoria: infatti, il primo di tali atti ha natura stragiudiziale e non può tener luogo di una formale eccezione (che è atto processuale, da compiersi all’interno del giudizio), mentre quanto affermato nel secondo si risolve nella semplice generica e ambigua allegazione di un fatto storico, che a sua volta non può essere assimilato a una rituale eccezione.
Al riguardo, giova richiamare il costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui, perché l’eccezione di prescrizione sia validamente formulata, pur non essendo necessarie espressioni sacramentali, occorre pur sempre una manifestazione non equivoca della volontà di contrastare la pretesa di controparte (cfr. Cass. civ., sez. II, 3 settembre 2013, nr. 20147; id., sez. I, 12 novembre 1998, nr. 11412).
Di conseguenza, restando il tema della prescrizione del diritto al risarcimento estraneo all’ambito devoluto al presente giudizio d’appello, il Collegio è esonerato dall’approfondimento delle questioni, sottese alle deduzioni delle parti, circa l’esatta individuazione del dies a quo del termine prescrizionale.
6. Del pari inammissibile è il quarto mezzo, col quale si critica il primo giudice per non aver rilevato l’usucapione dei suoli asseritamente verificatasi in favore dell’Amministrazione comunale.
Al riguardo, giova richiamare il granitico insegnamento per cui l’usucapione non può essere rilevata d’ufficio, dovendo essere fatta valere in via d’eccezione; tale eccezione ha carattere sostanziale, e pertanto, ove non proposta in primo grado (come certamente è nel caso che qui occupa), non può essere sollevata per la prima volta in appello (cfr. Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2002, nr. 10685; C.g.a.r.s., 30 aprile 2013, nr. 432).
In ogni caso, questa Sezione ha già avuto modo di affermare che l’occupazione di un fondo sinetitulo da parte della p.a. (e conseguente trasformazione da parte della stessa di un bene privato), integrando un illecito permanente, non è utile ai fini dell’usucapione, atteso che diversamente si rischierebbe di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, tenendo anche presente che l’apprensione materiale del bene da parte della p.a. al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante non può essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini de quibus (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 agosto 2015, nr. 3988; id., 3 luglio 2014, nr. 3346).
7. Resta da esaminare il quinto mezzo, col quale vengono censurate nel merito le conclusioni del primo giudice, nella parte in cui ha qualificato come riconducibili alla figura della specificazione, ex art. 940 cod. civ., gli effetti dell’irreversibile trasformazione degli immobili per cui è causa, pertanto ritenendo a tale data realizzatasi l’acquisizione della proprietà da parte del Comune ed affermando la spettanza ai ricorrenti di un indennizzo (con le consequenziali statuizioni in termini di condanna dell’Amministrazione e fissazione dei criteri di computo).
La Sezione condivide le critiche articolate dal Comune avverso tale parte della sentenza in epigrafe, ma, ciò premesso, ritiene di dover farsi carico anche delle convergenti censure sul punto svolte nell’appello incidentale, che sono a loro volta fondate ma conducono a esiti tutt’affatto diversi da quelli auspicati dalla parte appellante principale.
7.1. Innanzi tutto, non è privo di significato quanto concordemente evidenziato dalle parti, e cioè che la costruzione della vicenda in termini di specificazione, rinvenibile anche in altre pronunce della Sezione leccese del T.A.R. della Puglia (oltre che in quella qui appellata), è rimasta sostanzialmente isolata nella giurisprudenza successiva alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001, ed è stata in seguito sconfessata dal legislatore con l’introduzione nell’ordinamento dell’art. 42-bis dello stesso decreto, il quale, reintroducendo nel sistema un meccanismo di acquisizione “sanante” rimesso all’iniziativa dell’Ente occupante, ha nuovamente escluso in via generale che la p.a. possa mai acquisire la proprietà di suoli privati sulla base di un’occupazione sine titulo.
7.2. Al di là di tali rilievi di carattere storico-sistematico, la costruzione del primo giudice suscita forti perplessità sia sul piano formale che su quello sostanziale.
Sul piano formale, l’applicazione dell’art. 940 cod. civ. rappresenta un’evidente forzatura, essendo l’istituto dell’acquisizione della proprietà per specificazione circoscritto alle sole cose mobili, e non potendo darsi – anche in considerazione del principio di tassatività dei modi di acquisto del diritto dominicale – alcuna analogia con riguardo all’ipotesi di costruzione di immobili su suolo altrui.
Sul piano sostanziale, l’impostazione del T.A.R. leccese si risolve nella surrettizia reintroduzione nel sistema di una forma di espropriazione indiretta, nella quale il transito del bene nella sfera proprietaria della p.a. è pur sempre ricondotto causalmente a un accadimento di mero fatto, indipendente da ogni considerazione della volontà degli interessati: ciò che è certamente incompatibile con i principi europei in subiecta materia e con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla cui base, come è noto, si è determinato il superamento dell’istituto della “accessione invertita”.
7.3. Tuttavia, come sopra accennato, la non condivisibilità delle conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, pur imponendo la modifica delle relative statuizioni, non determina affatto la reiezione della domanda attorea di primo grado, ma piuttosto, per effetto dell’impugnazione incidentale, la reviviscenza dell’originaria domanda come integrata e modificata nei motivi aggiunti, la quale risulta fondata e meritevole di accoglimento.
In particolare, una volta assodato che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non ha determinato il trasferimento della proprietà nel patrimonio del Comune, deve concludersi, in conformità con l’ormai consolidato indirizzo della Sezione in materia, che l’occupazione illegittima dei suoli de quibus è tuttora in essere; ne discende, conformemente a quanto chiesto dagli originari istanti, che la prima statuizione da adottare deve avere a oggetto l’obbligo dell’Amministrazione di far cessare l’illecito in itinere.
7.3.1. Più specificamente, evidenziato che le parti sono concordi nell’assumere l’ormai irreversibile trasformazione dell’immobile, al punto che gli istanti in primo grado non ne hanno richiesto la restituzione (ed escluso, alla stregua della giurisprudenza della Sezione, che una siffatta modalità di formulazione della domanda giudiziale possa avere il valore di una rinuncia implicita al diritto di proprietà: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 agosto 2011, nr. 4833; id., 28 gennaio 2011, nr. 676), il Comune potrà, alternativamente, o addivenire con gli interessati ad un accordo traslativo della proprietà, previo pagamento del corrispettivo che sarà concordato in via negoziale, oppure valutare l’opportunità di esercitare il potere di acquisizione di cui al citato art. 42-bis del d.P.R. nr. 327/2001, previo avvio del relativo procedimento e con il pagamento dell’indennità da detta norma prevista.
7.3.2. Oltre a quanto statuito al punto che precede, l’Amministrazione va poi condannata, in accoglimento dell’ulteriore domanda di parte attrice, al risarcimento del danno derivante dal mancato godimento della proprietà per tutto il periodo di occupazione sine titulo, corrispondente al tempo intercorso dal 24 giugno 1984 (data di scadenza dell’originaria dichiarazione di pubblica utilità) fino alla data di cessazione dell’illecito.
Quanto ai criteri di quantificazione del risarcimento, tenuto conto della mancanza di specifica prova da parte degli istanti, e tenendo conto ex art. 30, comma 3, cod. proc. amm. del lungo tempo decorso prima dell’iniziativa assunta dagli eredi degli originari espropriati, appare equo individuare – ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm. – quale criterio di calcolo, in applicazione analogica di quello dettato dal precitato art. 42-bis, il 5% del valore venale dei suoli de quibus individuato per ciascun anno di occupazione.
7.3.3. Per l’adempimento dei predetti obblighi, ivi compresa la formulazione agli appellati di un’offerta risarcitoria sulla base dei criteri sopra indicati, va fissato, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lettera e), cod. proc. amm., il termine di novanta giorni dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
8. Alla luce delle statuizioni che precedono, il Collegio è altresì esonerato dall’esame del sesto ed ultimo motivo dell’appello del Comune, incentrato sulla contestazione dei criteri dettati dal primo giudice per la liquidazione dell’indennizzo da corrispondere (e, in particolare, sulla questione della natura edificabile o meno dei suoli per cui è causa).
Infatti, solo in ipotesi di mancato perfezionamento di un accordo sull’entità del risarcimento in applicazione dei criteri dettati al punto precedente, in sede di ottemperanza e su richiesta della parte interessata, potranno essere affrontate e risolte le eventuali problematiche sul punto,
9. In conclusione, dovendo accogliersi l’appello incidentale e respingersi quello principale, per le ragioni che si sono esposte, la sentenza di primo grado va riformata nei sensi precisati quanto alle statuizioni favorevoli agli originari ricorrenti.
10. In considerazione della peculiarità della vicenda esaminata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
- respinge l’appello principale;
- accoglie l’appello incidentale;
- per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi e con gli effetti di cui in motivazione.
Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro,Presidente
Nicola Russo,Consigliere
Raffaele Greco,Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi,Consigliere
Giuseppe Castiglia,Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 
 

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