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TAR LAZIO accoglie ricorso su occupazioni illegittima proposto da Avv. Marco Morelli e conferma posizioni

Pubblico
Lunedì, 14 Maggio, 2018 - 18:23

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda), sentenza n. 5202 del 10 maggio 2018, sulla occupazione illegittima di aree.
N. 05202/2018 REG.PROV.COLL.
N. 04981/2013 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4981 del 2013, proposto da OMISSIS, rappresentati e difesi dall'avvocato Marco Morelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.Vitelleschi, 26; 
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Ciavarella, domiciliata in Roma, via Tempio di Giove, 21; 
per l'accertamento
del diritto dei ricorrenti alla restituzione delle aree oggetto di causa, previa rimessione in pristino, ovvero, al ristoro del danno patrimoniale, previa adozione di formale atto di acquisizione, limitatamente alle aree ancora oggetto di occupazione illegittima (lotto IA), fg. 658, part.lle 7, 15, 14, fg. 652, p.lle 28, 29, 30 e 100, Lotto I B), fg. 652, part.lle 78, 79 e 39,
e per la condanna
dell’Amministrazione resistente al risarcimento del danno per il periodo di illegittima occupazione, al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto in relazione alle aree di cui ai lotti I A), I B) e I C), ed al risarcimento del danno da perdita di valore delle aree contigue.
 
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2017 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
 
FATTO
I ricorrenti sono proprietari di alcune aree site in Roma, località Tor Cervara, oggetto di molteplici occupazioni d’urgenza tra il 1989 ed il 1992, in relazione alle quali rappresentano che:
a) con deliberazione del Commissario Straordinario n. 1597 del 19 settembre 1989 è stata disposta l’occupazione d’urgenza dei lotti denominati I A), fg. 658, particelle 7, 14 e 15 e fg. 652, particelle 28, 29, 30, 100 e dei lotti denominati I B), fg. 652, particelle 39, 78, 79, 81, 82 e 84 ai fini della realizzazione del P.P. 9/L-Tor Cervara, in relazione alla quale non si è mai conclusa, nei termini, la procedura espropriativa;
b) le aree di cui al Lotto I B), fg. 652, particelle 81 e 82 e particelle 78, 80, 84, scaduta l’occupazione originaria autorizzata per la predetta finalità, sono state espropriate per la realizzazione di altri interventi, sulla base di una nuova dichiarazione di pubblica utilità (cfr., rispettivamente, decreti di esproprio n. 15 del 29 marzo 2006 e n. 36 del 30 maggio 2008);
c) i lotti denominati I C), fg. 652, particelle 39 e 82, originariamente occupati nel 1992 per la realizzazione di un depuratore, sono stati espropriati per la realizzazione del piano di zona n. 167 (v. decreto di esproprio n. 15 del 29 marzo 2006);
Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall’Amministrazione, la parte ricorrente le ha impugnate dinanzi al TAR del Lazio, deducendo l’illegittimità del comportamento del Comune di Roma per l’omessa conclusione della procedura espropriativa e chiedendone la condanna alla restituzione e/o al risarcimento del danno.
Gli interessati agiscono per ottenere:
- in via principale, la restituzione delle aree ed, in subordine, il risarcimento del danno patrimoniale relativamente alle aree sopra evidenziate di cui al Lotto I A) ed al Lotto I B), fg. 652, particelle 79, 531, 561, ancora oggetto di occupazione illegittima;
- il ristoro dei danni non patrimoniali ed il risarcimento del danno da occupazione illegittima per i predetti lotti e per le aree di cui al Lotto I B), fg. 652, particelle 466, 498, 552, 558, 560, 632, nonché per le aree di cui al Lotto I C), fg. 652, particelle 553, 554, 555, 556 e 632, tutte espropriate con i decreti n. 15/2006 e n. 36/2008, relativamente alle quali avanzano, altresì, domanda di risarcimento del danno da mancato utilizzo;
- il ristoro del danno da perdita di valore delle aree contigue a quelle sopraindicate.
L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha prodotto in giudizio i decreti di esproprio, alcune delibere risalenti agli anni 1985-1991, relative all’attuazione delle opere di urbanizzazione primaria del P.P. 9/L Tor Cervara, approvato con delibera di G.M. n. 1725 del 5 marzo 1985, nonché i verbali relativi all’immissione in possesso e/o alla restituzione di alcune di tali aree.
Successivamente, con memoria del 03.06.2016, ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a favore del giudice ordinario, sostenendo che, nel caso di specie, si tratterebbe di un’azione di rivendicazione con richiesta di risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente.
Ha rilevato, poi, che, anche a volerla qualificare come un’azione possessoria ai sensi dell’art. 1170 c.c., le pretese risarcitorie e/o indennitarie di parte ricorrente sarebbero comunque prescritte in considerazione del lasso di tempo intercorso tra la presa in possesso delle aree in questione e l’introduzione del presente giudizio (anni 1989 – 2013). Inoltre, ha sollevato eccezione di prescrizione anche in riferimento alle domande di risarcimento del danno da mancato utilizzo delle porzioni immobiliari successivamente espropriate.
Ancora, ha eccepito il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, per non aver essi fornito un’adeguata prova in ordine al titolo di proprietà che consentirebbe loro di agire in giudizio.
Nel merito, infine, ha contestato la fondatezza delle domande avanzate nel presente giudizio, considerandole apodittiche e non provate.
Con ordinanza n. 8468/2016, questa Sezione ha disposto incombenti istruttori al fine di acquisire una dettagliata relazione di chiarimenti dell’Ufficio Espropri di Roma Capitale relativamente a ciascuna delle particelle oggetto di causa. Gli incombenti sono stati successivamente eseguiti.
Con ordinanza n. 1992/2017, questo Collegio ha assegnato all’Amministrazione capitolina il termine di novanta giorni per l’eventuale adozione del provvedimento di acquisizione delle aree di cui all’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, precisando che “in mancanza di tali determinazioni, questo Tribunale provvederà a definire le domande di restituzione e/o di risarcimento, per tutte le aree di cui si verte”.
All’udienza pubblica del 5 luglio 2017, parte ricorrente ha chiesto il rinvio della causa in ragione della sopravvenuta comunicazione, da parte di Roma Capitale, di avvio del procedimento ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001. Ma, non risulta che l’Amministrazione resistente abbia poi adottato il provvedimento conclusivo della procedura indicata.
Con successive memorie le parti hanno argomentato ulteriormente le rispettive posizioni.
All’udienza del 20 dicembre 2017 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio, considerando che non v’è contestazione in ordine alla ricostruzione dei fatti offerta dai ricorrenti, preliminarmente, ritiene opportuno descrivere il quadro fattuale di riferimento, come desunto dalla documentazione versata in giudizio.
Le aree di proprietà degli odierni ricorrenti risultano essere state soggette, nel corso degli anni, ai procedimenti espropriativi di seguito indicati:
a) aree destinate agli insediamenti produttivi site nel p.p. 9/L – Tor Cervara (cfr. delibera G.M. n. 2366 del 27.03.1984);
b) opere di urbanizzazione primaria inserite nel p.p. 9/L –Tor Cervara (cfr. delibera C.C. n. 1597 del 19.09.1989);
c) piano di zona C26 Via di Tor Cervara (cfr. decreti di esproprio n. 15 del 29.03.2006 e n. 36 del 30.05.2008).
1.3. Per quel che qui interessa, con deliberazione della Giunta Municipale n. 1725 del 5.03.1985 veniva approvato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 della l. n. 1/1978, il progetto relativo alla costruzione delle opere di urbanizzazione primaria del P.P. 9/L – Tor Cervara.
In esecuzione di quest’ultima, con deliberazione n. 1597 del 19.09.1989, il Commissario Straordinario autorizzava l’occupazione d’urgenza, per un periodo di 60 mesi a far data dall’immissione in possesso, delle superfici di proprietà dei ricorrenti contraddistinte al catasto al fg. 658, particelle 7, 14 e 15 e al fg. 652, particelle 28, 29, 30 e 100 (Lotto I A), nonché quelle di cui al fg. 652, particelle 84, 80, 82, 81, 78, 79, 39 (Lotto I B).
Pertanto, con verbale di consistenza e di immissione in possesso del 12 dicembre 1989, il Comune di Roma occupava le aree suindicate.
Detta occupazione, tuttavia, è divenuta illegittima a far data dal 1994, per mancata adozione del decreto d’esproprio a compimento della relativa procedura.
In seguito, sono stati approvati una prima perizia di variante per la realizzazione di un impianto di depurazione provvisorio ed un successivo intervento di ampliamento del medesimo (cfr., rispettivamente, delibera G.M. n. 3260 del 21.05.1990 e delibera del Commissario Straordinario n. 9563 del 23 dicembre 1991).
In esecuzione di quest’ultima, con verbale di consistenza e di immissione in possesso del 13 aprile 1992, venivano occupate le aree, sempre di proprietà dei ricorrenti, distinte al catasto al foglio 652, particelle 39 e 82 di mq. 651 e 3.451 (di cui, rispettivamente, mq. 9 e mq. 120 già occupati con la precedente deliberazione n. 1597 del 1989).
Successivamente, in esecuzione della sentenza del Tribunale civile di Roma n. 28484/2000, l’area contraddistinta al catasto al fg. 652, particella 15 (occupata con delibera n. 2366 del 1984 per mq. 14.500 e con delibera n. 1597 del 1989 per mq. 520) è stata restituita con verbale del 22.12.2000 e, pertanto, i relativi mq. 520 oggetto di causa sono stati acquisiti al patrimonio di Roma Capitale e liquidati con determinazione dirigenziale n. 376 del 26.03.2007.
L’Amministrazione capitolina, in seguito, con decreto d’esproprio n. 15 del 29 marzo 2006 ha acquisito al proprio patrimonio le aree distinte al fg. 652, particelle 503, 495, 446, 501, 494 e 499.
Con decreto n. 36 del 30 maggio 2008, poi, ha disposto l’espropriazione a proprio favore delle aree distinte al fg. 652, particelle 558, 500, 560, 466, 496, 498, 245 e 244.
2. Orbene, per quanto concerne la procedura espropriativa avviata con la deliberazione n. 1597 del 19.09.1989, deve innanzitutto rilevarsi che quest’ultima, scaduti i termini di occupazione legittima, non è mai stata conclusa dall’Amministrazione resistente con l’adozione di un formale decreto di esproprio.
Negli anni, i ricorrenti hanno periodicamente sollecitato la definizione della procedura ed il pagamento di quanto dovuto per legge, anche diffidando l’Amministrazione resistente al riconoscimento delle rispettive pretese (v. nota del 27.10.2010) ed avanzando richiesta di compensazione urbanistica delle somme loro dovute a titolo di indennizzo e di risarcimento del danno (rigettata dall’Amministrazione capitolina con nota del 26.07.2011).
Il Comune di Roma, tuttavia, non ha mai formalizzato alcuna proposta né ha dato seguito alle varie istanze degli interessati, pur essendosi mostrato disponibile a trovare possibili soluzioni per la definizione della procedura espropriativa (v., ad esempio, nota n. 9967 del 13.02.2008).
In definitiva deve rilevarsi che, nel caso di specie, per talune aree è stato avviato un procedimento espropriativo in base ad una valida dichiarazione di pubblica utilità dell’opera senza che sia mai stato adottato il relativo decreto definitivo di esproprio entro il termine massimo di compimento delle operazioni, mentre, per altre aree, pur essendo stato adottato il provvedimento conclusivo della procedura in base ad una diversa dichiarazione di pubblica utilità, non è mai stata corrisposta alcuna somma satisfattiva delle pretese dei ricorrenti.
In particolare:
- relativamente alle aree di cui al Lotto I A (fg. 658, p. 7, 14 e 15; fg. 652 p. 28, 29, 30 e 100) e di cui al Lotto I B (fg. 652, p. 561, 79, 631) non è mai stato formalizzato alcun atto di acquisizione al patrimonio pubblico delle porzioni di terreno oggetto di occupazione e, pertanto, le aree di proprietà degli odierni ricorrenti non sono mai entrate a far parte del patrimonio comunale, risultando occupate sine titulo e, almeno in parte, irreversibilmente trasformate;
- relativamente alle aree di cui al Lotto I B fg. 652, p. 39, 81, 82, 552 e 632 (espropriate nel 2006) e fg. 652, p. 78, 80, 84, 558, 498, 466 e 560 (espropriate nel 2008), l’occupazione illegittima si è protratta a far data dall’inutile decorso dei 60 mesi a partire dall’immissione in possesso del 12.12.1989 – e, dunque, dal 1994 – fino all’adozione del relativo decreto di esproprio.
- relativamente alle aree di cui al Lotto I C, fg. 652, particelle 553, 554, 555, 556 e 632, occupate nel 13.04.1992 per 60 mesi a partire dall’immissione in possesso, l’occupazione illegittima si è protratta dal 1997 fino all’adozione del relativo decreto di esproprio del 2008.
Come confermato dall’Amministrazione resistente, per tutte le predette aree espropriate non è mai stata liquidata né svincolata, a favore dei ricorrenti, alcuna somma a titolo di indennità (v. nota n. 159001 del 13.09.2016).
In ragione di ciò, con il presente giudizio, parte attrice ha proposto in via principale una domanda tesa ad ottenere il risarcimento dei danni in forma specifica, consistente nella restituzione del terreno, previa rimessione in pristino, ovvero il risarcimento del danno patrimoniale relativamente alle aree ancora oggetto di occupazione illegittima, nonché, in ogni caso, il risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima, il ristoro del danno non patrimoniale ed il risarcimento del danno da perdita di valore delle aree contigue.
3. Tanto premesso, occorre analizzare preliminarmente le eccezioni formulate dall’Amministrazione resistente.
3.1. Anzitutto, ad avviso del Collegio, non sussiste il dedotto difetto di giurisdizione, posto che la pretesa di cui trattasi, essendo connessa ad una classica ipotesi di occupazione illegittima, ha natura pacificamente risarcitoria.
Ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 104 del 2010 (recante il codice del processo amministrativo) sono espressamente attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A. «le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità».
In subiecta materia deve ritenersi che, in disparte le ipotesi in cui l’Amministrazione abbia agito nell’assoluto difetto di una potestà ablativa, rientrano nella giurisdizione esclusiva di cui al citato articolo 133 tutte le controversie nelle quali si faccia questione di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità o con essa congruenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo delle proprietà, come avvenuto nel caso di specie (cfr. Consiglio di Stato, IV, 12.03.2015, n. 131).
Sussiste, dunque, la giurisdizione del G.A. in ordine alle azioni finalizzate al risarcimento dei danni che si pretendono conseguiti ad una occupazione iniziata dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d’urgenza, e proseguita anche dopo la sopravvenuta inefficacia di tale dichiarazione, in quanto trattasi di ipotesi riconducibile in parte direttamente e in parte mediatamente ad un provvedimento amministrativo (cfr. Cassazione civile, Sez. Un., ordinanza 27.05.2015, n. 10879).
3.2. Per quanto concerne, poi, l’asserito difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, il Collegio osserva che l’eccezione formulata dall’Amministrazione comunale risulta eccessivamente generica.
Al riguardo, è noto che la parte resistente non può limitarsi ad eccepire la mancata prova, da parte del ricorrente, della dimostrazione del proprio diritto di proprietà, posto che il difetto di titolarità attiva del rapporto, attenendo al merito della controversia, è una questione soggetta alla ordinaria disciplina dell’onere probatorio e, pertanto, deve essere adeguatamente provato da chi lo eccepisce.
Sul punto, poi, occorre richiamare il consolidato orientamento secondo cui, in relazione alla domanda di risarcimento del danno per illegittima occupazione, il proprietario può agire indipendentemente da una prova rigorosa della propria “legittimazione”, giacché oggetto del giudizio non è direttamente l’accertamento della proprietà del fondo, ma detto diritto va dimostrato al solo fine di individuare, nell’effettivo titolare del bene, l’avente diritto al risarcimento del danno, ed il giudice «può formare il proprio convincimento circa la proprietà del bene in capo a chi agisce sulla base di qualsiasi elemento, documentale e presuntivo (scilicet con riferimento al possesso), sufficiente ad escludere una erronea destinazione del pagamento dovuto» (così, Cassazione civile, I, 24.11.2015, n. 23972; cfr., altresì, Consiglio di Stato, IV, 28.11.2012, n. 6012).
Ciò posto, deve rilevarsi, per un verso, che l’Amministrazione ha sollevato per la prima volta, nel presente giudizio, dubbi in ordine ai titoli di proprietà dei ricorrenti, senza aver mai chiesto ad essi chiarimenti nel corso delle varie comunicazioni intervenute in vista della definizione del procedimento; per altro verso, va dato atto che dalla documentazione versata in giudizio non emergono dubbi in ordine alla titolarità del diritto di proprietà in capo ai medesimi (cfr., in particolare, i certificati di proprietà depositati da parte ricorrente il 24.05.2016).
3.3. Per quanto concerne, poi, l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Amministrazione comunale, va considerato che in materia di occupazione sine titulo, per giurisprudenza ormai pacifica, l’istituto (giurisprudenziale) della cd. occupazione appropriativa non può più ritenersi conforme al nostro ordinamento; in particolare, a seguito delle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a partire dall’anno 2000, si è consolidato un orientamento giurisprudenziale secondo cui, in mancanza di una legittima procedura conclusa con un atto adottato nelle forme di legge, non si verifica l’acquisizione dell’area da parte della Pubblica Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 28.07.2016, n. 3415; C.E.D.U., 8.01.2009, Sotira; 2.10.2005, Scordino).
Pertanto, deve ritenersi che, laddove la procedura non si sia conclusa con un decreto di esproprio o con un altro atto di trasferimento capace di estinguere il diritto dominicale (come nel caso di specie, relativamente alla aree di cui al Lotto I A ed al Lotto I B non oggetto di successiva espropriazione), permane la proprietà del bene in capo ai legittimi proprietari e, fintantoché perdura l’illegittima occupazione, la P.A. ha l’obbligo di farla cessare e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Pl., 09.02.2016, n. 2).
L'occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell'Amministrazione, infatti, si configurano come un illecito ex art. 2043 c.c., che determina non il trasferimento della proprietà in capo all'Amministrazione, ma la responsabilità di questa per i danni e la cui cessazione può aversi anche per effetto del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001, applicabile, ai sensi del comma 8 dello stesso art. 42 bis, ad ogni occupazione illecita, anche se anteriore all’entrata in vigore del T.U. n. 327 del 2001.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la nota pronuncia n. 735 del 19.01.2015, hanno affermato che «con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell'occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell'illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, se ne deve affermare la natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell'occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia [di carattere abdicativo e non già traslativo] del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente».
In particolare, il principio di diritto espresso nella citata sentenza è il seguente: “l'illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un'opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all'acquisto dell'area da parte dell'Amministrazione ed il privato ha diritto a chiederne la restituzione salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno. Il privato, inoltre, ha diritto al risarcimento dei danni per il periodo, non coperto dall'eventuale occupazione legittima, durante il quale ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal terreno e ciò sino al momento della restituzione ovvero sino al momento in cui ha chiesto il risarcimento del danno per equivalente, abdicando alla proprietà del terreno. Ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente”.
Alla luce delle suesposte considerazioni, allora, il Collegio ritiene che l’eccezione di intervenuta prescrizione formulata dall’Amministrazione resistente debba in parte essere disattesa per le ragioni di seguito esposte.
Relativamente alle aree a tutt’oggi occupate senza che sia mai stata conclusa la procedura d’esproprio, ci si trova di fronte ad una ipotesi di occupazione sine titulo di un bene del privato da parte dell’Amministrazione, illegittima perché mantenuta sulla base di un decreto di occupazione d’urgenza scaduto nella sua efficacia e non seguito nei termini da un valido provvedimento di esproprio.
Secondo quanto precisato in merito alla natura di illecito permanente ex art. 2043 c.c. dell’occupazione illegittima, onde il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria ex art. 2947 c.c. decorre solo dalla data di cessazione dell’illecito – nella specie non intervenuta –, l’eccezione va disattesa con riferimento alla richiesta di restituzione dei beni e di indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, mentre deve essere parzialmente accolta con esclusivo riferimento alla richiesta di risarcimento per il periodo di occupazione sine titulo.
Sul punto, occorre avere riguardo agli interruttivi della prescrizione intervenuti nel corso degli anni e, per quel che qui interessa, al riconoscimento del debito operato dall’Amministrazione comunale con nota n. 9967 del 13.02.2008, alla richiesta di liquidazione dell’indennità formulata dai ricorrenti con nota del 18.12.2008, alle note di diffida da essi inviate in data 25.10.2010 e 07.03.2011, nonché alla proposizione del ricorso introduttivo del presente giudizio, notificato il 17.05.2013.
In particolare, il diritto ad ottenere il risarcimento di quanto dovuto a titolo di indennità per l’occupazione illegittima deve ritenersi prescritto con riferimento al periodo antecedente il quinquennio decorrente dal riconoscimento del debito operato da parte resistente (cfr. la predetta nota n. 9967 del 13.02.2008). Pertanto, la data iniziale da cui far decorrere il periodo utile al risarcimento per illegittima occupazione, in ragione della presenza agli atti della citata nota del 13.02.2008, deve essere individuata nel 13.02.2003.
3.4. L’Amministrazione resistente, poi, eccepisce la prescrizione con specifico riferimento alle “domande di risarcimento danni da mancato utilizzo delle porzioni immobiliari che l’Amministrazione avrebbe poi acquisito in proprietà con successivo provvedimento d’esproprio (si vedano le voci C), D) ed E) delle conclusioni del ricorso di controparte)” (v. p. 3 della memoria del 03.06.2016).
Al riguardo, occorre determinare il momento da cui decorre l’illegittima occupazione dei terreni di cui si tratta.
Parte ricorrente afferma – e l’Amministrazione resistente non contesta – che le aree di cui al Lotto I B), fg. 652, particelle 552 e 632 e particelle 558, 498, 466 e 560 (lettere C) e D) delle conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo del giudizio), tutte occupate in data 12.12.1989 per un termine di 60 mesi ai fini della attuazione del P.P. 9/L, sono state espropriate, rispettivamente, con decreto n. 15 del 29.03.2006 e con decreto n. 36 del 30.05.2008 sulla base di una nuova dichiarazione di pubblica utilità.
L’occupazione, pertanto, è divenuta illegittima a partire dal 12.12.1994 e si è protratta fino all’adozione dei rispettivi decreti d’esproprio.
Ugualmente, per quanto concerne le aree di cui al Lotto I C), fg. 652, particelle 553, 554, 555, 556 e 632 (lettera E) delle predette conclusioni), queste ultime – sempre secondo la prospettazione di parte ricorrente – sono state occupate nel 13.04.1992 e successivamente espropriate con il citato decreto n. 36 del 2008 per la realizzazione di altri interventi.
Relativamente ad esse, dunque, deve ritenersi che l’illegittimità dell’occupazione si è protratta a far data dal 13.04.1997 fino all’adozione del decreto d’esproprio.
Ciò posto, l’eccezione di prescrizione va disattesa con riferimento alle aree espropriate con decreto n. 36 del 30.05.2008 (lettera D) ed E) delle conclusioni), relativamente alle quali la prescrizione risulta esser stata interrotta dalla notifica del ricorso introduttivo, avvenuta il 17.05.2013.
Per quanto concerne, invece, le aree interessate dal decreto n. 15 del 29.03.2006, va considerato che, riguardo ad esse, non risultano versati in giudizio atti interruttivi della prescrizione, posto che le comunicazioni intervenute tra gli odierni ricorrenti e l’Amministrazione comunale hanno ad oggetto esclusivamente il complesso di aree occupate nel 1989 e non ancora oggetto di esproprio.
Pertanto, deve ritenersi che, con riferimento alle aree di cui alla lettera C) delle conclusioni rassegnate dai ricorrenti, il risarcimento del danno da mancato utilizzo risulta prescritto per il periodo antecedente il quinquennio decorrente dalla proposizione del ricorso notificato il 17.05.2013.
4. Non può essere accolta, invece, la domanda risarcitoria avanzata da parte ricorrente in ordine al danno da perdita di valore delle aree contigue a quelle occupate, per assoluto difetto di specifica allegazione e di prova in ordine all’effettivo danno subito.
5. Chiarito quanto sopra, nel merito il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere accolto, per i motivi di seguito indicati.
Nel caso di specie, è stato avviato un procedimento espropriativo in base ad una valida dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, ma non è stato adottato il decreto di esproprio delle aree interessate alla realizzazione dell’opera entro il termine massimo di compimento delle espropriazioni.
Malgrado il lungo tempo trascorso, non risulta che l’Amministrazione comunale abbia adottato il provvedimento di acquisizione sanante delle aree oggetto di contestazione e, pertanto, deve ritenersi perdurante la situazione di illegittima occupazione delle medesime.
Il caso di specie costituisce un’ipotesi di procedura espropriativa divenuta illegittima per mancata conclusione, nei termini di legge, del procedimento ablativo, atteso che il bene è stato irreversibilmente trasformato e che, come già precisato, in data 12 maggio 1985 sono scaduti i termini per l’occupazione d’urgenza delle aree senza che sia stato tempestivamente emanato il relativo decreto di esproprio.
Circostanza, questa, che non è contestata dall’Amministrazione comunale, la quale, al contrario, nei propri scritti difensivi conferma quanto rilevato dagli odierni ricorrenti (v., ad esempio, p. 3 della memoria del 7.10.2014, laddove afferma che “in data 24 aprile 1984 venivano conclusi i lavori, relativi all’opera pubblica de qua, con irreversibile trasformazione delle aree illegittimamente occupate, senza, tuttavia, addivenire all’adozione di un regolare provvedimento di esproprio”).
Ciò posto, occorre muovere dalla considerazione che, in materia di occupazione sine titulo, l’irreversibile trasformazione degli immobili non determina il passaggio della proprietà del bene all’Amministrazione, posto che l’istituto (giurisprudenziale) della cd. occupazione appropriativa non può più ritenersi conforme al nostro ordinamento; in particolare, a seguito delle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a partire dall’anno 2000, si è consolidato un orientamento giurisprudenziale secondo cui, in mancanza di una legittima procedura conclusa con un atto adottato nelle forme di legge, non si verifica l’acquisizione dell’area da parte della Pubblica Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 28.07.2016, n. 3415; C.E.D.U., 8.01.2009, Sotira; 02.10.2005, Scordino).
L’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato, infatti, costituisce in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto del bene e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà in capo alla P.A., per cui “solo il formale atto di acquisizione di cui all’art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001 (cd. acquisizione sanante) può essere in grado di limitare il diritto del privato alla restituzione del bene, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni sia del privato che dell’Amministrazione” (cfr. Consiglio di Stato, IV, 29.08.2012, n. 4650).
Dunque, ove la procedura – come nel caso di specie – non si sia conclusa con un decreto di esproprio o con un altro atto di trasferimento capace di estinguere il diritto dominicale, permane la proprietà del bene in capo ai legittimi proprietari e, fintantoché perdura l’illegittima occupazione, la P.A. ha l’obbligo di farla cessare e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, mediante o l’emanazione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 oppure la restituzione ai proprietari dei beni illecitamente occupati nel loro stato originario (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Pl., 09.02.2016, n. 2).
Trattandosi di illecito permanente, poi, “il privato può agire in via restitutoria, essendo imprescrittibile il diritto di proprietà giammai espropriato ed essendo irrilevante il decorso del termine prescrizionale del diritto al risarcimento dei danni, che è meramente sussidiario rispetto all’azione principale” (cfr., TAR Campania-Napoli, 17.01.2018, n. 78).
6. Tanto premesso, e passando alla trattazione del merito, ad avviso del Collegio il ricorso merita accoglimento in ragione del perdurante obbligo dell’Amministrazione comunale di restituire i terreni illegittimamente appresi, vantando, parte ricorrente, il pieno diritto derivante dalla propria titolarità dominicale.
La domanda giudiziale va accolta in quanto l’occupazione posta in essere dall’Amministrazione costituisce un illecito permanente che si perpetua de die in diem, dinanzi al quale, in ragione della domanda reipersecutoria azionata dal legittimo proprietario, l’alternativa che si pone all’amministrazione è obbligata:
- in via principale, alla restituzione del bene illegittimamente occupato (previo rispristino dei luoghi e risarcimento del danno da occupazione temporanea illegittima);
- in alternativa, all’acquisizione del bene mediante l’emanazione del provvedimento previsto dall’art. 42 bis TU Espropri, con il connesso pagamento degli importi previsti dalla citata disposizione.
Il Collegio ritiene di non condividere la soluzione secondo cui il ricorrente proprietario sarebbe facoltizzato a formulare una domanda di mero risarcimento del danno per equivalente (a fronte dell’irreversibile trasformazione del fondo) e così contestualmente ed implicitamente rinunciare alla proprietà del bene (abdicando al diritto) e alla sua restituzione ovvero secondo cui potrebbe ipotizzarsi una rinuncia “traslativa” contro il pagamento del risarcimento, per mezzo di pronuncia costitutiva emessa dal TAR.
Quanto alla prima ipotesi, la tesi urta contro un ostacolo giuridico evidente, laddove si riconnette il risarcimento del danno da perdita della proprietà all’esito di un comportamento volontario posto in essere discrezionalmente dal proprietario medesimo.
La rinuncia è infatti negozio unilaterale il cui solo effetto è quello dismissivo del diritto di proprietà, mentre l’effetto acquisitivo da parte dello Stato è solo effetto di secondo grado.
Né può evidentemente configurarsi un illecito aquiliano dell’Amministrazione, se non nel limitato senso di ipotizzare un diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima temporanea (e cioè dall’inizio dell’occupazione illegittima con trasformazione del bene irreversibile sino alla rinuncia) ovvero di altri ulteriori pregiudizi da provarsi a cura della parte istante.
E’ invece palese che non può essere ricollegato al comportamento illecito dell’Amministrazione il danno da perdita della proprietà legato ad un atto meramente dismissivo, posto che difetta il necessario nesso di consequenzialità diretta imposto dall’art. 1223 c.c.
Va infatti osservato che nella sequenza eziologica, costituita dal comportamento illecito dell’amministrazione e dalla derivazione del relativo pregiudizio, si inserisce un negozio unilaterale e discrezionale del proprietario medesimo, il quale non può che interrompere il nesso causale (non può evidentemente dirsi che la realizzazione dell’opera causi la rinuncia).
Né può ovviarsi all’aporia, ipotizzando una fattispecie complessa costituita dalla rinuncia abdicativa sottoposta alla condizione risolutiva del pagamento del danno da illecito (il cui provvedimento di liquidazione costituirebbe il mancato inveramento della condizione risolutiva, trascrivibile ex artt. 2643, primo comma, n. 5 e 2645 cod. civ.).
E’ agevole osservare, infatti, che mediante tale ricostruzione:
- si eleva ad evento condizionante un fatto privo del carattere dell’incertezza;
- si inverte cronologicamente e logicamente la vicenda, posto che la liquidazione del danno presuppone il compimento di un illecito da parte della p.a., che però non può verificarsi prima della rinuncia, connotandosi così la condizione del carattere dell’impossibilità (tranne a voler ritenere che il danno sia quello conseguente alla distruzione del bene, che non è, o all’impossibilità della sua restituzione in natura, che pure non è).
Sembra opportuno ribadire che la rinuncia (la cui sola natura è abdicativa) è negozio unilaterale, con effetto dismissivo automatico, che non può far sorgere un illecito in capo al terzo acquirente a titolo originario (Stato ex art. 827 c.c.), né tanto meno a carico dell’ente espropriante, il cui acquisto avviene semmai in base ad un autonomo titolo provvedimentale (art. 42 bis T.U. Espropri).
L’impossibilità logico-giuridica di ritenere che la mera domanda di risarcimento per equivalente comporti la rinuncia abdicativa implicita al bene subordinata al pagamento del risarcimento da parte dell’amministrazione è stata anche recentemente confermata da una pregevole sentenza emessa dal TAR Piemonte – Torino (n. 368/2018), nella quale sono stati evidenziate le criticità che tale ricostruzione implica, anche sotto il profilo della trascrizione dell’atto.
Circa poi l’ipotesi di una rinuncia “traslativa” è sufficiente rilevare, in primis, che non vi è incontro di volontà espresso tra le parti; ed inoltre che si darebbe luogo ad una forma di circolazione del bene non prevista, in palese contrasto con le formalità tipiche che connotano i negozi traslativi della proprietà e con il principio di tipicità vigente in tema di pronunce costitutive dal parte del Giudice (v. art. 2908 c.c.).
Alla luce delle superiori considerazioni, deve ribadirsi che, nel vigore dell’attuale quadro normativo (rimosse soluzioni, pur pregevoli ed autorevolmente sostenute, che potevano in passato supplire alla mancanza di un rimedio formale oggi invero rinvenibile nel procedimento ex art. 42 bis TU Espropri), dall'illegittima ablazione di un immobile per effetto di un procedimento espropriativo non conclusosi con un regolare e tempestivo decreto di esproprio sorge, dunque, - al di là delle ipotesi alternative rappresentate dalla possibilità di un contratto traslativo ovvero di un accordo transattivo -, unicamente, l’obbligo per l’Amministrazione di sanare la situazione di illecito venutasi a creare, restituendo il terreno al proprietario previo ripristino dei luoghi e con la corresponsione del dovuto risarcimento per il periodo di illegittima occupazione temporanea ovvero, in via subordinata, adottando il decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis del DPR n. 327/01 e versando il relativo indennizzo/risarcimento secondo i parametri ivi disciplinati.
7. Ne consegue che Roma Capitale deve essere condannata a restituire i terreni occupati liberi da persone e/o cose nella piena disponibilità del legittimo proprietario, previo ripristino dei luoghi nello stato di fatto originario, vale a dire prima dell’intervento costruttivo.
8. In via subordinata, laddove l’amministrazione resistente, nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, voglia evitare la restituzione con contestuale ripristino dei luoghi, essa potrà optare per la regolarizzazione postuma della vicenda ablatoria de qua e pertanto perseguire la via della cd. “nuova” acquisizione sanante ex art. 42 bis T.U. Espropri, avendo cura di porre in essere tutti gli adempimenti previsti dal succitato articolo.
In sostanza, in linea con quanto previsto dal diritto comune con riguardo alle obbligazioni cd. “con facoltà alternativa”, è consentito all’amministrazione comunale di adempiere all’obbligo restitutorio, oggetto della condanna principale recata dalla presente sentenza, mediante una diversa modalità satisfattiva rappresentata dal meccanismo di cui all’art. 42 bis DPR 327/2001.
In tal caso, qualora il Comune deliberi di salvaguardare l’opera realizzata e le finanze pubbliche e di provvedere nel senso di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto mediante l’esercizio del potere previsto dall'art. 42 bis del d.P.R. 327 del 2001, l’indennizzo dovuto dovrà essere liquidato secondo gli indicatori fissati dalla predetta disposizione, sia a titolo di pregiudizio patrimoniale che di pregiudizio non patrimoniale.
Resta ferma la giurisdizione del giudice civile sulle controversie riguardanti in concreto la determinazione dei relativi importi (cfr. SS.UU. 15283/2016).
9. Il Collegio dispone che gli adempimenti (restitutori ovvero ex art. 42-bis più volte citato) siano posti in essere dall’Amministrazione comunale nel termine di giorni 90 (novanta) dalla comunicazione della presente sentenza o, se anteriore, dalla notificazione della stessa.
Ritiene, altresì, di fare applicazione dell’art. 34 comma 1 lett. e) C.p.a., disponendo, già in sede di cognizione, la nomina di un commissario ad acta, con effetto dalla scadenza del termine assegnato all’Amministrazione per l’ottemperanza.
A tal fine, il Collegio sin da ora nomina, nella qualità di commissario, il Prefetto di Roma (con facoltà di delega a personale dell’Ufficio Territoriale del Governo di Roma dal medesimo designato) e dispone che, a cura della segreteria del Tribunale, copia della presente sentenza sia trasmessa al predetto Ufficio Territoriale del Governo, affinché il nominato organo commissariale, qualora l’amministrazione non adempia nel suddetto termine, si sostituisca ad essa provvedendo alla restituzione del bene ovvero all’adozione del provvedimento ex art. 42-bis T.u. espropri nei successivi 120 giorni.
La condanna dell’Amministrazione alla restituzione delle aree comporta anche la condanna della stessa al risarcimento del danno da occupazione illegittima, salvo che – come detto – la stessa Amministrazione non si avvalga della facoltà di provvedere all’acquisizione delle aree e di determinare le somme dovute ai proprietari ai sensi del più volte citato art. 42-bis.
Ciò premesso, il Collegio ritiene di dover fare applicazione dell’art. 34 comma 4 cod. proc. amm., condannando l’Amministrazione a proporre alla parte ricorrente, entro i medesimi termini stabiliti per la restituzione delle aree, il pagamento del risarcimento del danno da occupazione illegittima, determinato secondo i criteri di seguito indicati.
Il danno derivante dall’occupazione temporanea illegittima del bene spetta in misura corrispondente agli interessi legali calcolati sul valore del bene al momento in cui l’occupazione è divenuta illegittima e sino all’effettivo rilascio nella disponibilità della parte proprietaria.
In tal caso, tale danno può essere infatti quantificato nella somma risultante dall’applicazione degli interessi legali compensativi (in applicazione analogica dell’art. 1499 c.c.) sul valore del bene calcolato al momento dello spossessamento, valore da aggiornarsi annualmente secondo gli indici periodici ISTAT.
Più precisamente, in mancanza di prova specifica da parte del danneggiato, deve ritenersi che il risarcimento del danno per il mancato godimento di un immobile debba calcolarsi assumendo a valore - base quello di mercato del bene e calcolando sullo stesso gli interessi legali, da ritenersi quale presumibile e normale indice di redditività dell'immobile.
In particolare, il valore base del suolo deve essere attualizzato anno per anno, con utilizzo dell'indice ISTAT e solo sul relativo risultato deve essere computato il danno per la perdita della possibilità di utilizzo del bene, calcolato attraverso il tasso di interesse legale, che rappresenta la commisurazione equitativa dei c.d. frutti civili, in mancanza di una più puntuale dimostrazione dei frutti e di altra utilità perduti.
A tali importi devono aggiungersi poi gli interessi legali per il ritardo nell'erogazione delle somme, da computarsi anno per anno, partendo dal primo anno di scadenza dell'occupazione sino al soddisfo. (T.A.R. Liguria Genova 1° dicembre 2010 n. 10721; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 17 agosto 2010 n. 3403).
La somma così risultante dovrà essere maggiorata degli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza sino alla restituzione effettiva.
Il tutto nei limiti della rilevata (dalla precedente sentenza 26 gennaio 2017 n. 1350) prescrizione.
Da tale importo dovrà essere detratta la somma eventualmente già corrisposta ai proprietari in acconto.
Nel caso in cui la restituzione delle aree venga disposta dal Commissario ad acta, il medesimo Commissario dovrà provvedere, entro il termine a lui assegnato per la restituzione, a proporre ai ricorrenti anche il pagamento del risarcimento del danno da occupazione illegittima secondo i criteri sopra indicati.
10. In conclusione, il ricorso va accolto nei sensi anzidetti.
Il Collegio ritiene altresì necessario dispone, sin d’ora, la trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti, per quanto di eventuale sua competenza.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.
Condanna Roma Capitale a rifondere le spese di lite in favore dei ricorrenti (da suddividersi fra loro in parti uguali), che si liquidano in complessivi euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori di legge e al rimborso del contributo unificato, laddove versato.
Dispone, a cura della Segreteria, la trasmissione della presente sentenza alla Prefettura di Roma – Ufficio Territoriale del Governo e la trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti, per quanto di sua eventuale competenza.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio, Presidente
Roberto Proietti, Consigliere, Estensore
Floriana Venera Di Mauro, Referendario
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberto Proietti Antonino Savo Amodio
 
 
 
 
 
IL SEGRETARIO
 

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