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Regolamento comunale per l'istituzione del canone concessorio patrimoniale non ricognitorio

Pubblico
Martedì, 24 Agosto, 2021 - 11:00

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda Bis), sentenza n. 9152 del 2 agosto 2021, sul regolamento comunale per l'istituzione del canone concessorio patrimoniale non ricognitorio

N. 09152/2021 REG.PROV.COLL.

N. 03038/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3038 del 2016, proposto da
Terna Rete Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Carbone, Francesca Covone, Filippo Di Stefano, Nicola Tassoni e Antonio Iacono, con domicilio eletto presso lo studio Claudio Tuveri in Roma, via Piemonte, 39;
Soc Terna Rete Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Carbone, Francesca Covone, Filippo Di Stefano, Nicola Tassoni e Giorgio Fraccastoro, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Piemonte, 39;

contro

Comune di Nettuno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonino Galletti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Piazzale Don Giovanni Minzoni, 9;

per l'annullamento

della deliberazione del Consiglio Comunale di Nettuno n. 21/2015 (adottata in realtà dal Commissario Straordinario Prefettizio) di approvazione del regolamento comunale per l'istituzione del canone concessorio patrimoniale non ricognitorio e le relative tariffe per l'anno 2016 e di tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Nettuno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2021 - svolta ai sensi degli artt. 25 d.l. n. 137/2020 e 4 d.l. n. 28/2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13/03/2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa - la dott.ssa Ofelia Fratamico;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Le ricorrenti hanno chiesto al Tribunale di annullare la deliberazione del Consiglio Comunale di Nettuno n. 21 del 24.11.2015 recante “Istituzione canone concessorio non ricognitorio – Approvazione Regolamento e tariffe per l’anno 2006” ed ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso.

Avverso gli atti impugnati, la parte ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: 1) violazione di legge, falsa applicazione degli artt. 25 e ss del d.lgs. n. 285/1992, travisamento dei presupposti in fatto e in diritto, mancata applicazione dell’art. 1 comma 26 l.n. 239/2004, mancata applicazione dell’art. 10 della l.n. 166/2002 e per l’effetto, dell’art. 63 del d.lgs. n. 446/1997, contraddittorietà, manifesta irragionevolezza ed arbitrarietà, sviamento di potere; 2) eccesso di potere, grave difetto di istruttoria e contraddittorietà della motivazione, violazione dell’art. 7 della l.n. 241/1990, mancata comunicazione di avvio del procedimento, manifesta irragionevolezza, violazione dei principi di partecipazione e buon andamento dell’azione amministrativa.

Si è costituito in giudizio il Comune di Nettuno, eccependo in via preliminare l’inammissibilità e l’improcedibilità del ricorso in ragione dell’avvenuta sospensione in autotutela (con DCC n. 27 del 15.05.2017) dell’efficacia della deliberazione impugnata e nel merito, in ogni caso, il rigetto delle domande avversarie.

All’udienza pubblica del 16.06.2021 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

DIRITTO

Le ricorrenti, proprietarie di porzioni della rete di trasmissione nazionale di energia e concessionarie del servizio di trasmissione e dispacciamento di energia elettrica, hanno rappresentato: a) di svolgere la loro attività in base ad un’autorizzazione unica rilasciata dal Ministero delle Attività Produttive, che per effetto dell’art. 1 comma 26 della l.n. 239/2004, “sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti, costituendo titolo a costruire e ad esercitare tali infrastrutture in conformità al progetto approvato”; b) di non poter stabilire liberamente la redditività di tale attività, dovendo applicare le tariffe uniche stabilite o aggiornate periodicamente dall’Autorità per l’Energia Elettrica; c) di avere la necessità di occupare suolo pubblico con i propri impianti “solo ed esclusivamente nell’interesse della collettività, per l’espletamento di attività di servizio pubblico essenziale, regolate da rigidi standard di servizio e tariffe determinate dall’Autorità pubblica”.

Alla luce di tali circostanze, le ricorrenti hanno lamentato l’illegittimità della pretesa dell’Amministrazione Comunale di assoggettarle al pagamento del predetto canone non ricognitorio in applicazione del regolamento approvato, andando tale pretesa a confliggere, in primo luogo, con l’autorizzazione unica ad esse rilasciata per l’esercizio della sua attività e dovendo la normativa sulle reti di trasmissione nazionale e la disciplina della concessione inevitabilmente prevalere sulla normativa del Codice della strada per il principio di specialità, oltre che per ragioni logico-sistematiche.

La parte ricorrente ha, poi, aggiunto che, anche nell’eventualità che il canone non ricognitorio avesse dovuto essere corrisposto dai titolari dell’autorizzazione unica, la misura di esso sarebbe dipesa dalla disciplina propria di ciascun rapporto concessorio ed il titolo avrebbe dovuto determinare la somma dovuta, “in coerenza con i criteri di quantificazione che devono rapportarsi alle peculiarità di ciascun rapporto”.

Da qui l’illegittimità e la palese erroneità della scelta operata dal Comune circa “l’introduzione direttamente ed unilateralmente, con atto autoritativo generale ed astratto, del canone non ricognitorio”, in quanto l’art. 27 del Codice della strada non avrebbe consentito l’applicazione del canone stesso, se non attraverso la modificazione del singolo titolo concessorio.

L’Amministrazione Comunale non avrebbe, altresì tenuto in debito conto l’art. 63 del d.lgs. n. 446/1997 ed il principio della “determinazione forfetaria della TOSAP”, che rappresenterebbe l’importo massimo dovuto dai gestori di servizi pubblici a rete per qualsiasi titolo di occupazione di suolo pubblico, secondo una disciplina privilegiata motivata dal fatto che a trarre effettivo vantaggio dalla singola occupazione del suolo pubblico, nel caso di concessionari di reti e servizi pubblici, è l’intera collettività .

I provvedimenti impugnati sarebbero stati, infine, viziati anche da una grave carenza istruttoria e motivazionale, derivante dall’omissione delle garanzie procedimentali di partecipazione in contraddittorio della ricorrente alla determinazione di quanto dovuto.

Il ricorso - che non può essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse come eccepito dal Comune di Nettuno, avendo la DCC n. 27 del 15.05.2017 meramente sospeso e non annullato il regolamento - è in parte fondato e per il resto non appartenente alla giurisdizione del Giudice Amministrativo.

Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.

Il ricorso ha come oggetto principale il regolamento comunale per l'applicazione del canone concessorio non ricognitorio; viene, inoltre, almeno formalmente impugnata la nota prot. 0048551 del 24.12.2015 con cui il Comune di Nettuno ha comunicato “ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 e ss della legge n. 241/1990 … (l’intenzione di) procedere alla riscossione di quanto dovuto con la deliberazione … n. 21 del 24 novembre 2015…”, sollecitando “l’invio della documentazione richiesta” e richiedendo “nelle more della presentazione della documentazione… a titolo di anticipo, la somma autodeterminata in base ai dati in …possesso con le tariffe di cui alla deliberazione di C.C. n. 21 del 24.11.2015”.

Come già affermato dalla giurisprudenza condivisa dalla Sezione su precedenti casi analoghi, la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste solo in relazione alla contestazione del regolamento, mentre l'impugnazione degli avvisi di pagamento (o degli ulteriori atti come quello de quo, ove ritenuti immediatamente lesivi) è compresa nella giurisdizione del giudice ordinario (ex multis, C.d.S., Sez. V, n. 2919/2016 e n. 2920/2016).

Invero, il regolamento ha natura formalmente amministrativa, ma sostanzialmente normativa, perché costituisce una fonte secondaria del diritto ed è stato emanato in base all'art. 27 del d.lgs. n. 285/1992, essendo diretto a disciplinare l'uso e l'occupazione dei beni pubblici, in relazione allo svolgimento su di essi di attività di rilevanza economica, compresa l'erogazione di servizi pubblici.

Non è dubitabile, pertanto, che, rispetto al regolamento, la giurisdizione sia radicata in capo al giudice amministrativo, atteso che il regime formale dei regolamenti è quello proprio dei provvedimenti amministrativi, giacché si correla a posizioni di interesse legittimo.

L'atto in questione, inoltre, riguarda il regime di utilizzazione dei beni pubblici, anche in vista dell'erogazione di servizi pubblici di varia natura, sicché, rispetto al regolamento, la giurisdizione del giudice amministrativo si configura come esclusiva, ai sensi dell'art. 133, lett. b), c.p.a., trattandosi di una controversia incidente su rapporti pubblicistici relativi all'utilizzazione di beni pubblici.

Viceversa, non rileva, ai fini della giurisdizione, il riferimento al servizio pubblico cui può tendere l'attività dell'utilizzatore del bene, in quanto il regolamento non ha ad oggetto la disciplina di un particolare servizio pubblico, né quella del particolare rapporto pubblicistico sotteso alla sua erogazione, ma solo l'utilizzazione del bene pubblico, sicché la controversia non rientra tra le ipotesi comprese nell'art. 133, lett. c), c.p.a.

Una volta ricondotta la materia del contendere tra le ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di beni pubblici, è consequenziale escludere da essa la contestazione delle ulteriori note eventualmente adottate dall’Amministrazione che appaiono integrare peraltro atti almeno in parte interlocutori, di comunicazione di avvio del procedimento, di invito alla produzione di documentazione ed a una prima autodeterminazione del debito o comunque assunte in via paritetica e non autoritativa dall'Amministrazione, sulla base di criteri predeterminati in modo vincolante.

Per quest'ultimo profilo, la controversia risulta coinvolgere solo questioni meramente patrimoniali concernenti la quantificazione del debito, mentre non attiene all'an della pretesa debitoria, che è contestata attraverso l'impugnazione del regolamento, fonte del debito affermato dall'Amministrazione.

Deve essere, pertanto, ribadito che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo solo rispetto all'impugnazione del regolamento comunale per l'applicazione del canone concessorio non ricognitorio, mentre le contestazioni relative alle note contenenti richieste di pagamento o simili appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, con conseguente inammissibilità in parte qua dell'impugnazione proposta.

Venendo al regolamento, la parte ricorrente formula più censure, che possono essere trattate congiuntamente perché strettamente connesse sul piano logico e giuridico, dirette a contestare, tra l'altro, la violazione dell'art. 27 del d.lgs. n. 285/1992.

Le censure sono fondate nei termini che seguono.

Il regolamento impugnato introduce il canone concessorio non ricognitorio in espressa applicazione dell'art. 27 del d.lgs. n. 285/1992, sicché l'esame delle censure proposte postula la ricognizione del quadro normativo rilevante.

Dal coordinamento tra l'art. 25 e l'art. 27 del d.lgs. n. 285/1992 emerge che devono essere oggetto di autorizzazione o concessione amministrativa le attività di attraversamento ed uso della sede stradale e relative pertinenze con corsi d'acqua, condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, sia aeree che in cavo sotterraneo, sottopassi e soprappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere che possono comunque interessare la proprietà stradale.

Le opere di cui sopra devono, per quanto possibile, essere realizzate in modo tale che il loro uso e la loro manutenzione non intralci la circolazione dei veicoli sulle strade, garantendo l'accessibilità delle fasce di pertinenza della strada.

Tali provvedimenti di concessione ed autorizzazione, che sono rinnovabili alla loro scadenza, indicano le condizioni e le prescrizioni di carattere tecnico o amministrativo alle quali esse sono assoggettate, la somma dovuta per l'occupazione o per l'uso concesso, nonché la durata, che non potrà comunque eccedere gli anni ventinove.

L'autorità competente può revocarli o modificarli in qualsiasi momento per sopravvenuti motivi di pubblico interesse o di tutela della sicurezza stradale, senza essere tenuta a corrispondere alcun indennizzo.

Si è evidenziato che i provvedimenti in questione sono onerosi, perché stabiliscono il corrispettivo per l'uso particolare del bene pubblico, e l'art. 27 precisa che la somma dovuta, determinata dall'ente proprietario della strada, deve essere individuata nei provvedimenti medesimi e si può stabilirne il pagamento in più annualità ovvero in unica soluzione.

Il comma 8 dell'art. 27 specifica che nel determinare la misura della somma si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione costituisce l'oggetto principale dell'impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l'utente ne ricava.

È evidente che le norme esaminate consentono alle amministrazioni locali, in coerenza con la riserva relativa di legge posta dall'art. 23 Cost., di imporre una prestazione patrimoniale in dipendenza dell'uso particolare che taluno faccia di specifici beni pubblici, prestazione che costituisce proprio il corrispettivo dell'uso particolare del bene.

La norma delimita il potere impositivo degli enti locali, perché sul piano oggettivo lo riferisce solo alle attività di attraversamento ed uso "della sede stradale e relative pertinenze"; inoltre fissa i parametri generali di commisurazione del canone, correlandoli alle caratteristiche precipue del singolo rapporto concessorio, assegnando rilevanza alle specifiche soggezioni che derivano alla strada o autostrada, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l'utente ne ricava.

La norma è chiara nello stabilire che la somma dovuta deve essere indicata nel provvedimento autorizzativo, in coerenza con la prevista valorizzazione dello specifico rapporto di concessione o di autorizzazione e quindi dei suoi peculiari caratteri.

Si tratta di criteri ribaditi dall'art. 67 del d.P.R. n. 495/1992 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della Strada), ove si prevede che i provvedimenti di autorizzazione e concessione devono indicare la somma dovuta per l'uso o l'occupazione delle sedi stradali, prevista dall'art. 27 del Codice della Strada.

In particolare, l'art. 67 stabilisce che gli enti concessionari dei servizi pubblici possono stipulare con l'ente proprietario della strada convenzioni generali per la regolamentazione degli attraversamenti e per l'uso e l'occupazione delle sedi stradali, provvedendo contestualmente ad un deposito cauzionale. Dette convenzioni generali tengono luogo, ad ogni effetto di legge, per gli attraversamenti e le occupazioni delle sedi stradali realizzati in conformità alle loro previsioni, delle singole convenzioni di cui alla disposizione in questione. Per gli stessi enti concessionari la somma dovuta per l'uso e l'occupazione delle sedi stradali è determinata, per quanto di competenza, con decreto del Ministro dei lavori pubblici, ovvero stabilita dall'ente proprietario della strada entro il limite massimo della somma fissata con il suddetto decreto ministeriale.

In relazione a quest'ultimo profilo vale precisare che il d.m. menzionato dalla norma citata non è mai stato adottato, ma ciò non vale ad escludere l'attivabilità del canone non ricognitorio, trattandosi di una previsione regolamentare che non trova corrispondenza nella disciplina legislativa di riferimento.

Invero, l'art. 27 del Codice della Strada, da un lato, non subordina il potere degli enti locali di applicare il canone ad una previa determinazione tariffaria del Ministro dei lavori pubblici, dall'altro, reca in sé i criteri generali di determinazione della tariffa, sufficienti a delimitare la discrezionalità degli enti locali.

È di immediata percezione la stretta correlazione tra il canone di cui si tratta e il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), disciplinato dall'art. 63 del d.lgs. n. 446/1997, ovvero la c.d. tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP).

Invero, l'art. 63 del d.lgs. n. 446/1997, dopo avere chiarito che comuni e province possono, con regolamento adottato a norma dell'articolo 52, escludere l'applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, assegna agli enti locali il potere di prevedere, con apposito regolamento, che l'occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa.

La norma precisa, da un lato, che il pagamento del canone può essere anche previsto per l'occupazione di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge, dall'altro, che agli effetti della disposizione in parola si comprendono nelle aree comunali i tratti di strada situati all'interno di centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuabili a norma dell'articolo 2, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

L'art. 63 impone, al comma 2, lett. c), la indicazione analitica della tariffa determinata sulla base della natura del bene interessato, dell'entità dell'occupazione, espressa in metri quadrati o lineari, del valore economico della disponibilità dell'area, nonché del sacrificio imposto alla collettività, con previsione di coefficienti moltiplicatori per specifiche attività esercitate dai titolari delle concessioni anche in relazione alle modalità dell'occupazione.

La successiva lettera f) del medesimo comma 2 sancisce la previsione per le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto, da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi, di un canone determinato forfetariamente come segue: "1) per le occupazioni del territorio comunale il canone è commisurato al numero complessivo delle relative utenze per la misura unitaria di tariffa riferita alle sottoindicate classi di comuni: I) fino a 20.000 abitanti, lire 1.500 per utenza; II) oltre 20.000 abitanti, lire 1.250 per utenza; 2) per le occupazioni del territorio provinciale, il canone è determinato nella misura del 20 per cento dell'importo risultante dall'applicazione della misura unitaria di tariffa di cui al numero 1), per il numero complessivo delle utenze presenti nei comuni compresi nel medesimo ambito territoriale; 3) in ogni caso l'ammontare complessivo dei canoni dovuti a ciascun comune o provincia non può essere inferiore a lire 1.000.000. La medesima misura di canone annuo è dovuta complessivamente per le occupazioni permanenti di cui alla presente lettera effettuate dalle aziende esercenti attività strumentali ai pubblici servizi".

Qualora si tratti di occupazioni abusive, la lett. g) dell'art. 63 dispone l'applicazione di un'indennità pari al canone maggiorato fino al 50 per cento, considerando permanenti le occupazioni abusive realizzate con impianti o manufatti di carattere stabile, mentre le occupazioni abusive temporanee si presumono effettuate dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto da competente pubblico ufficiale.

Sempre in punto di quantificazione del canone, la norma precisa che "dalla misura complessiva del canone ovvero della tassa prevista al comma 1 va detratto l'importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal comune e dalla provincia per la medesima occupazione, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi".

Del resto, già con riferimento alla TOSAP, l'art. 17, comma 63, della legge n. 127/1997 stabiliva che "il consiglio comunale può determinare le agevolazioni, sino alla completa esenzione dal pagamento della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, per le superfici e gli spazi gravati da canoni concessori non ricognitori".

Il coordinamento tra le norme citate consente di evidenziare il rapporto tra il canone non ricognitorio e il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, fermo restando che si tratta di considerazioni estendibili al rapporto con la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, configurata come alternativa al canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche.

In particolare: 1) il canone non ricognitorio e il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, così come la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, si basano sullo stesso presupposto di fatto, costituito dall'uso particolare di beni pubblici stradali, fermo restando che l'ambito di riferimento oggettivo dei secondi è più ampio e comprende quello del primo; 2) la disciplina del COSAP, successiva all'entrata in vigore del d.lgs. n. 285/1992, definisce la misura massima del prelievo effettuabile in dipendenza della concessione o dell'autorizzazione all'uso particolare del demanio stradale, giacché impone la sottrazione dal COSAP dell'importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal comune e dalla provincia per la medesima occupazione; 3) ne deriva che è escluso il cumulo di una pluralità di canoni legati all'occupazione del medesimo bene e che la misura del COSAP definisce il limite massimo di prelievo realizzabile in dipendenza della medesima occupazione di suolo stradale; 4) l'effettiva attivazione del COSAP e del canone previsto dall'art. 27 del Codice della Strada, pur trovando base legislativa nella disciplina di riferimento, dipende dalle scelte discrezionali dell'ente locale; 5) la misura del canone non ricognitorio dipende dalla disciplina propria di ciascun rapporto concessorio, giacché è il titolo del rapporto che deve determinare la somma dovuta, in coerenza con i criteri di quantificazione che sono rapportati alle caratteristiche di ciascun rapporto; viceversa, la quantificazione del COSAP, specie se applicato per occupazioni correlate all'erogazione di servizi pubblici (come nel caso in esame), segue specifici parametri tariffari legati al numero di abitanti e di utenze attivate sul territorio dell'ente locale.

Il regolamento impugnato non è coerente con il quadro normativo complessivo appena esaminato.

In primo luogo, va osservato che, seppure è ipotizzabile l'introduzione del canone concessorio non ricognitorio attraverso una disciplina generale ed astratta di natura regolamentare, nondimeno, in coerenza con le previsioni dell'art. 27 del Codice della Strada, la sua riferibilità ad una particolare occupazione di beni pubblici stradali postula la necessaria modificazione del titolo concessorio o convenzionale ad essa sotteso.

L'art. 27 del Codice della Strada impone di parametrare l'an e il quantum del canone alle caratteristiche specifiche del singolo rapporto pubblicistico di utilizzazione del bene pubblico, tanto che rende necessario prevedere nel titolo concessorio la debenza e la misura del canone.

Tale principio non è rispettato dal regolamento impugnato, che come sottolineato dalla difesa della ricorrente, pretende di realizzare una generalizzata applicazione del canone, senza modificare il titolo concessorio costitutivo del particolare rapporto.

Si tratta di un profilo evidente rispetto alla posizione della società ricorrente.

A fronte dell'autorizzazione all'occupazione, già di per sé onerosa, dei beni pubblici stradali, è palesemente illegittima l'introduzione diretta e unilaterale, con atto autoritativo regolamentare generale ed astratto, di questo ulteriore canone non ricognitorio, in quanto l'art. 27 non consente l'applicazione del canone se non attraverso la modificazione del singolo titolo concessorio.

Non si tratta di un problema formale, ma di garantire, in coerenza con le puntuali previsioni dell'art. 27, che tanto l'applicazione del canone, quanto il suo ammontare, siano aderenti al contenuto dello specifico rapporto di concessione, sulla base degli oneri complessivi che esso comporta, tenendo conto delle soggezioni che derivano alla strada o all'autostrada, del valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e del vantaggio che l'utente ne ricava, secondo l'espressa previsione dell'art. 27, comma 8, del Codice della Strada.

È evidente poi che, qualora il titolo che consente l'occupazione del suolo abbia matrice convenzionale, come nel caso di specie, l'applicazione del canone allo specifico rapporto deve avvenire modificando il titolo sulla base di un nuovo accordo delle parti, che tenga conto, come accaduto in sede di stipulazione dell'accordo, del complesso sia dei doveri e dei diritti, sia dei vantaggi e dei costi che gravano sulle parti.

Il regolamento impugnato, quindi, è illegittimo perché pretende di applicare il canone in modo generalizzato, incidendo in modo uniforme su una pluralità indeterminata di rapporti, senza tenere conto delle peculiarità giuridiche ed economiche di ciascun rapporto concessorio, nonché della natura convenzionale o unilaterale del titolo da cui promana.

Anche i criteri di quantificazione del canone non rispecchiano i parametri posti dal citato art. 27 del Codice della Strada.

Il regolamento impugnato si limita a stabilire delle tariffe da applicare senza chiarire i parametri utilizzati per la loro determinazione e correlandole ad unità di misura di volta in volta individuate a seconda del tipo di occupazione; in altre parole, il canone è quantificato applicando tariffe unitarie moltiplicate per l'estensione delle aree occupate.

È evidente che si tratta di parametri del tutto diversi da quelli individuati dall'art. 27 del Codice della Strada, perché sono legati ad un profilo solo quantitativo e muovono da valori tabellari predeterminati apoditticamente dall'Amministrazione, senza alcuna correlazione con le caratteristiche e il valore di ciascun rapporto concessorio.

Va, pertanto, ribadita la fondatezza delle censure proposte, potendo restare assorbita ogni altra censura.

In definitiva, il ricorso deve essere in parte accolto, in relazione all’impugnazione del Regolamento e dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del G.A. in favore del G.O. con riguardo agli altri atti impugnati, ove reputati assistiti da efficacia vincolante e non meramente interlocutori.

Le spese della lite possono essere infine compensate tra le parti, in considerazione della natura e dell’esito complessivo della vicenda.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis),

definitivamente pronunciando,

- accoglie in parte il ricorso e, per l'effetto, annulla il regolamento comunale per l'applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio;

- dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella parte relativa all'impugnazione della nota del Comune del 24.12.2015, individuando ai sensi dell'art. 11 c.p.a., nel giudice ordinario l'autorità giurisdizionale dotato di giurisdizione al riguardo;

- spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2021 tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza secondo quanto disposto dall’art. 25 comma 2 d. l. n. 137/2020 con l'intervento dei magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente

Silvio Lomazzi, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Ofelia Fratamico

Elena Stanizzi

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

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