Consenso all'uso dei cookie

Tu sei qui

Costruzioni: distanze dalle strade

Privato
Lunedì, 13 Novembre, 2023 - 07:45

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), sentenza n. 5948 del 16 giugno 2023, sulla distanza dalle strade delle costruzioni

MASSIMA

La normativa sulle distanze dalla sede stradale si applica a tutte le strade qualificabili come tali ai sensi del codice della strada (art. 2 del D.Lgs. n. 285 del 1992) e, quindi, anche alle strade private se destinate ad uso pubblico (cfr. Consiglio di Stato, sez. I, 09/05/2012, n.1799: "Ai sensi dell'art. 2, comma primo, del codice della strada, per la definizione di strada assume rilievo la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà"; negli stessi termini, Cass. Civ., Sez. VI, 21/12/2012, n. 23733: "Ai fini dell'applicabilità della disciplina stradale non rileva tanto la proprietà della strada, bensì la destinazione di essa ad uso pubblico"; Cass. Pen., Sez. IV, 17/12/2010, n. 2582: "La nozione di "strada" ex art. 2 c. strad. attiene a una superficie destinata ad uso pubblico, a nulla rilevando la titolarità pubblica o privata della proprietà, poiché è soltanto l'uso pubblico a giustificare, per ragioni di ordine pubblico e sicurezza collettiva, la soggezione di un'area alla normativa del codice della strada").

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 437 del 2019, proposto da I.I. S.r.l. in Amministrazione Giudiziaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Parisi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;

contro

Comune di Marano di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Raffaele Manfrellotti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Marzia Rositani in Roma, via F. Cesi, n. 72;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 3659/2018.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Marano di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2023 il Cons. Giordano Lamberti;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1 - L'appellante, in qualità di concessionaria del comune di Marano di Napoli per la realizzazione e gestione delle opere produttive ed infrastrutturali ricomprese nell'area PIP, ha impugnato avanti il TAR per la Campania l'ordinanza di demolizione n. 29 del 1.7.2016, con la quale il comune di Marano ha rilevato difformità nella costruzione di un capannone industriale localizzato sul lotto CCA-C3 dell'area PIP.

1.1 - A tal fine ha allegato che: - in data 6.10.2009 aveva presentato richiesta di permesso di costruire per un fabbricato ai fini commerciali di mq. 730, con indice di fabbricabilità pari a 0,60 mq/mq, insistente sul lotto CCA-C3, catastalmente individuato al foglio (...) p.lla (...), posizionato ad una distanza di 3,4 metri dal confine del retrostante lotto CC-L03 e, in data 10.11.2009, veniva rilasciato il relativo permesso di costruire (n. P0223 del 10.11.2009); - in corso d'opera, operava, per motivi tecnici, una traslazione del manufatto sul lotto CCA-C3 di circa 1.5 metri rispetto a quanto asserito dal P.d.C; - in data 23.5.2016, il Comune effettuava un sopralluogo presso l'area PIP (verbale di sopralluogo n. 160/2016) a cui seguiva la relazione prot. n. (...), integrata dalle relazioni prot. (...) del 22.6.2016 e prot. (...) del 1.7.2016, in cui si affermava che nonostante la superficie coperta rientrava nella massima metratura consentita dal PRG - che prescrive, per la zona industriale D/1 ove insiste il capannone, un indice di fabbricabilità pari a 0.50 mq/mq che avrebbe ammesso, dunque, copertura fino a mq 743 - la localizzazione del capannone de quo ad una distanza di m. 3,4 dal retrostante lotto CC.L03 risultava adottata in violazione delle norme del PRG in materia di distanza dai confini, pertanto, il titolo abilitativo non poteva essere rilasciato e se ne asseriva l'illegittimità; per tale ragione, si assumeva la sussistenza di una variazione essenziale del titolo abilitativo, siccome il manufatto era traslato di circa 1,5 metri rispetto al posizionamento autorizzato dal P.d.C.

1.2 - A sostegno del ricorso ha dedotto: - che la traslazione non poteva esser qualificata come "variazione essenziale", come da lettura coordinata degli articoli 31 e 32 del D.P.R. n. 380 del 2001, bensì sarebbe stata da ricondurre alla fattispecie di cui all'art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001; - che, in ogni caso, sarebbe stata da preferire la sanzione pecuniaria a quella demolitoria; - che la variazione non essenziale avrebbe potuto essere realizzata anche con DIA (nella versione vigente ratione temporis); - la violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990, in quanto i provvedimenti comunali erano affetti da difetto di motivazione; - che l'ordinanza era stata adottata da un organo incompetente; - la violazione degli articoli 24 e 97 della Costituzione.

2 - Nelle more del giudizio, in data 4.11.2016, con l'istanza prot. n. (...), I.I. ha richiesto l'accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 al fine di ottenere la sanatoria dell'intervento realizzato in variazione al P.d.C.

Con il preavviso di rigetto ai sensi dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990, il Comune ha evidenziato gli elementi ostativi all'accoglimento dell'istanza, così riassumibili: i) contrasto con le norme di attuazione del piano regolatore generale (PRG) per la zona industriale di insediamento: il capannone non rispetta la distanza minima di 6 metri dalle strade di lottizzazione dell'area PIP; ii) violazione delle suddette norme di attuazione: il manufatto è collocato ad una distanza inferiore a 6 metri dai confini; iii) consistenza catastale del lotto difforme rispetto alla situazione reale dei luoghi; iv) le misure parziali indicate nel progetto di sanatoria risultano incongruenti rispetto a quelle effettivamente riscontrate sul posto; v) la superficie totale coperta dei grafici di progetto verificata secondo le dimensioni di ingombro in questi riportate (50,90 x 14,50), risulta eccedente con quanto indicato nella relazione di accompagnamento. Ne consegue che anche il volume indicato nella relazione risulta erroneamente computato.

2.1 - Avverso il silenzio formatosi su tale istanza la società ricorrente ha proposto motivi aggiunti.

3 - Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR adito ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti.

4 - Avverso tale pronuncia ha proposto appello l'originaria ricorrente per i motivi di seguiti esaminati.

4.1 - Con il primo motivo, parte appellante contesta la sentenza di primo grado per non aver considerato che la traslazione dell'area di sedime del capannone, rispetto a quella prevista nel permesso di costruire, è di soli 1,5 metri, e che tale variazione avrebbe potuto essere sanata tramite accertamento di conformità, stante l'assenza di alcuna violazione delle norme tecniche di attuazione del P.I.P.

Ad avviso dell'appellante, la modifica della localizzazione dell'edificio costituisce una variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, sanzionabile con la misura ripristinatoria, solo nel caso di spostamento del manufatto su un'area totalmente diversa da quella approvata in sede di rilascio del titolo abilitativo, non anche nell'ipotesi di traslazione di modesta entità sulla medesima area, come avvenuto nel caso di specie.

L'appellante rileva inoltre che, secondo quanto approvato nel permesso di costruire 223/2009, il manufatto, anche a prescindere dalla traslazione in fase esecutiva, sarebbe stato comunque edificato in violazione delle distanze dal confine, con conseguente illegittimità a monte del titolo abilitativo. Sotto tale profilo, parte appellante prospetta che le norme tecniche di attuazione del P.R.G., applicabili per effetto del rinvio contenuto nelle disposizioni di attuazione del P.I.P., prescrivono che la distanza dai confini (DC) misuri alternativamente mt 6, ovvero la metà dell'altezza del singolo manufatto (H/2). Non è dunque esatto dire che la distanza minima dal confine viene inderogabilmente fissata in mt 6, in quanto è consentito posizionare il capannone ad una distanza dal confine pari alla metà dell'altezza del fabbricato stesso; nel caso di specie, la distanza tra il capannone insistente sul lotto CCA-C3 ed il capannone insistente sul lotto CC-L03 è di mt 10,9, ben oltre la distanza minima prescritta dal PRG di 9,40 pari alla metà dell'altezza dei due capannoni sommata tra loro.

4.2 - Con il secondo motivo, parte appellante contesta il capo di sentenza che esclude la riconducibilità della modesta traslazione dell'immobile alla parziale difformità di cui all'art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001 e, dunque, all'assoggettabilità al diverso regime sanzionatorio ivi contemplato con l'applicazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.

Secondo l'appellante, costituiscono variazioni essenziali solamente le dilatazioni strutturali, funzionali e spaziali del manufatto originario, che comportano la realizzazione di un ampliamento che, pur senza creare un organismo edilizio del tutto nuovo ed incompatibile col progetto assentito, ne alterano la struttura e le dimensioni, eventualità non ricorrenti nel caso di specie.

L'appellante insiste inoltre sul fatto che la modesta traslazione in corso d'opera del manufatto produttivo, lasciando inalterata la superficie ed i volumi, non giustifica l'irrogazione della sanzione demolitoria nemmeno alla luce del disposto di cui all'art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto il diverso posizionamento del capannone sull'area di sedime del fabbricato in fase esecutiva non costituisce una modifica sostanziale della "localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza".

4.3 - Con il terzo motivo, parte appellante contesta il capo di sentenza che respinge per genericità la doglianza secondo cui l'intervento rientrerebbe nel regime autorizzatorio della D.I.A. ai sensi dell'art. 22, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001, sicché le difformità dal permesso di costruire n. 223/2009 in alcun modo sarebbero sanzionabili con la demolizione e la successiva acquisizione al patrimonio comunale.

A tal fine, l'appellante rileva che l'intervento edilizio assentito è attuazione del piano per gli insediamenti produttivi approvato ai sensi della L. n. 865 del 1971 con deliberazione consiliare n. 9 del 04.03.1999, poi integrata con la Delib. n. 3 del 20 gennaio 2000. Per tale ragione, prospetta che le modifiche apportate in corso d'opera erano assentibili con D.I.A., perché trattasi di interventi, in linea con la rubricata disposizione, "disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive": in particolare, le norme di attuazione del piano (tav. 9 del febbraio 1999) indicherebbero i parametri e gli indici (art. 6), rinviando espressamente alle norme tecniche di attuazione del P.R.G. ed alla relativa tabella.

4.4 - Con il quarto motivo, parte appellante contesta il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto gli interventi non sanabili per violazione delle norme del PRG che impongono una distanza minima di mt 6 dalla strada. In particolare, sarebbero errate le considerazioni del TAR secondo le quali le distanze in questione devono essere rispettate anche in relazione alle strade private, in considerazione della loro destinazione a uso pubblico.

Al riguardo, l'appellante ribadisce che le norme tecniche di attuazione del P.R.G. - cui le disposizioni di attuazione del P.I.P. rinviano - indicano la distanza dai confini alternativamente in mt 6, ovvero nella metà dell'altezza del singolo manufatto; dall'istruttoria tecnica svolta dal Comune emergerebbe che la distanza tra il capannone insistente sul lotto CCA-C3 ed il capannone insistente sul lotto CC-L03 è di mt 10,9, dunque superiore alla distanza minima prescritta dal P.R.G di mt 9,40 pari alla metà dell'altezza dei due capannoni smmata tra loro.

Sotto altro profilo, si evidenzia come, nel caso di specie, il capannone confini con una strada pertinenziale non accessibile al pubblico, in quanto posta al servizio esclusivo dell'insediamento produttivo, non qualificabile come strada ai fini del rispetto delle norme sulle distanze.

5 - L'appello è infondato.

È pacifico che il fabbricato è stato traslato rispetto al posizionamento previsto ed autorizzato nel permesso di costruire indipendentemente dalla legittimità di questo, tanto è vero che la stessa appellante ne ha chiesto la sanatoria.

Seppure di lieve entità, tale spostamento comporta la violazione della disciplina delle distanze sia rispetto ai confini, sia rispetto al nastro stradale.

In riferimento a quest'ultimo aspetto giova precisare che, come correttamente rilevato dal TAR, è irrilevante la natura della strada in questione, dal momento che la normativa sulle distanze dalla sede stradale si applica a tutte le strade qualificabili come tali ai sensi del codice della strada (art. 2 del D.Lgs. n. 285 del 1992) e, quindi, anche alle strade private se destinate ad uso pubblico (cfr. Consiglio di Stato, sez. I, 09/05/2012, n.1799: "Ai sensi dell'art. 2, comma primo, del codice della strada, per la definizione di strada assume rilievo la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà"; negli stessi termini, Cass. Civ., Sez. VI, 21/12/2012, n. 23733: "Ai fini dell'applicabilità della disciplina stradale non rileva tanto la proprietà della strada, bensì la destinazione di essa ad uso pubblico"; Cass. Pen., Sez. IV, 17/12/2010, n. 2582: "La nozione di "strada" ex art. 2 c. strad. attiene a una superficie destinata ad uso pubblico, a nulla rilevando la titolarità pubblica o privata della proprietà, poiché è soltanto l'uso pubblico a giustificare, per ragioni di ordine pubblico e sicurezza collettiva, la soggezione di un'area alla normativa del codice della strada").

Nel caso in esame, le strade di lottizzazione dell'area PIP, avendo la funzione di creare collegamenti fra i vari insediamenti produttivi/artigianali, sono evidentemente destinate ad un utilizzo pubblico e, quindi, assoggettate alla normativa in tema di distanze.

Tale pacifica violazione rende processualmente irrilevante la questione circa la misura stabilita per la distanza dal confine, che secondo parte appellante sarebbe invece rispettata.

L'accertata violazione della distanza dalla strada giustifica inoltre la qualificazione dell'abuso come "variazione essenziale", dovendosi aderire alla giurisprudenza, citata anche dal TAR, secondo cui rientra nel concetto di "modifica sostanziale della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza" - e quindi di variazione essenziale assoggettabile a sanzione demolitoria in virtù del combinato disposto degli artt. 31 e 32, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001 - non solo lo spostamento del manufatto su un'area totalmente o pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista, ma anche ogni significativa traslazione dell'edificio in relazione alla localizzazione contenuta nelle tavole progettuali, capace di incidere sul rispetto delle prescrizioni normative in tema di distanze minime dalle strade o dai confini nonché sulla destinazione urbanistica dei suoli (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 07/01/2020, n.104; Consiglio di Stato, sez. IV, 18/12/2013, n. 6069).

Il mancato rispetto della disciplina delle distanze comporta anche l'oggettiva impossibilità di sanare l'abuso, indipendentemente da ogni ulteriore rilievo.

Non può essere condivisa neppure la tesi dell'assentibilità del capannone con DIA ai sensi dell'art. 22, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 (nella versione vigente ratione temporis), a fronte dell'intervenuta pianificazione attuativa mediante PIP, non sussistendo in atti la prova delle condizioni previste dalla citata disposizione, quali, ad esempio, la sussistenza di "precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive" contenute nella stessa pianificazione attuativa (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 24/05/2010, n. 3263: "La scelta dell'interessato di realizzare gli interventi di cui all'art. 1, comma 6, lett. c), L. n. 443 del 2001 anche in base a semplice denuncia di inizio attività è limitata a quei determinati interventi specificamente disciplinati da piani attuativi. Invero, il limite dell'esistenza di pianificazione urbanistica di dettaglio è l'unico a giustificare detta estensione della d.i.a. nell'ambito dei principi generali, che regolano detto istituto in via normale "ex lege" n. 241 del 1990 e successive modificazioni, consentendo di ritenere largamente ristretta la discrezionalità amministrativa o quella tecnica solo in presenza di interventi edilizi specificamente disciplinati da piani attuativi con precise disposizioni plano - volumetriche, tipologiche, formali e costruttive o da strumenti urbanistici recanti analoghe previsioni di dettaglio. In questa linea, del resto, si colloca anche la L. n. 241 del 1990, art. 19, che prevede la sostituzione, per l'appunto con una dichiarazione dell'interessato, e salve le eccezioni stabilite nella norma stessa, di ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale").

Il rigetto dell'appello, permette di assorbire l'eccezione di inammissibilità dell'appello per carenza di interesse sollevata dal Comune, in ragione del fatto che all'appellante è stata revocata la concessione, sia per il venir meno di presupposti soggettivi, che in ragione dell'impossibilità di portare a compimento in tempi ragionevoli i lavori.

6 - Per le ragioni esposte l'appello deve essere respinto.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l'appello e condanna parte appellante alla refusione delle spese di lite in favore del procuratore di parte appellata, dichiaratosi antistatario, che si liquidano in complessivi €2.000, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Conclusione

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore

Stefano Toschei, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Pubblicato in: Edilizia » Giurisprudenza

Registrati

Registrati per accedere Gratuitamente ai contenuti riservati del portale (Massime e Commenti) e ricevere, via email, le novità in tema di Diritto delle Pubbliche Amministrazioni.

Contenuto bloccato! Poiché non avete dato il consenso alla cookie policy (nel banner a fondo pagina), questo contenuto è stato bloccato. Potete visualizzare i contenuti bloccati solo dando il consenso all'utilizzo di cookie di terze parti nel suddetto banner.