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I vincoli espropriativi svuotano le facoltà dominicali - TAR Abruzzo, Pescara, sent. n. 501 del 09.12.2014

Pubblico
Lunedì, 15 Dicembre, 2014 - 01:00

Un pronunciamento “ricognitivo” di principi, da tempo affermati, in materia di previsioni vincolistiche – TAR Abruzzo, Pescara, sentenza n. 501 del 09.12.2014
 
Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo, sezione staccata di Pescara (Sezione Prima), sentenza n. 501 del 9 dicembre 2014, sui vincoli conformativi ed espropriativi 
 
Per vincoli conformativi si intendono i vincoli che impongono una destinazione, anche di contenuto specifico, realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, tale da non richiedere necessariamente l’espropriazione dell’area e l’intervento ad esclusiva iniziativa pubblica; tali vincoli, di conseguenza, restano al di fuori della schema ablatorio-espropriativo, non comportano indennizzo, non decadono al quinquennio e non fanno sorgere un dovere di ritipizzazione. 
 
Il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione (Cons. St., sez. IV, 22 novembre 2013 n. 5553).
 
La reiterazione di un vincolo espropriativo decaduto è legittima e possibile, specie quando vengano incisi dei beni ben determinati, solo se corredata da una rinnovata e specifica motivazione, che asseveri l’attualità e la rispondenza al pubblico interesse della previsione reiterata. Inoltre, tale rinnovazione può avvenire solo “rinnovando” il procedimento seguito per imporre tale vincolo.
 
 
N. 00501/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00501/2013 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 501 del 2013, proposto da: 
Giuseppe Bussolo e Maria Agata Sapienza, rappresentati e difesi dall'avv. Giacomo Nicolucci, con domicilio eletto presso Manuel De Monte in Pescara, Via delle Caserme, 85; 
contro
Comune di Mozzagrogna, rappresentato e difeso dall'avv. Diego De Carolis, con domicilio eletto presso Diego De Carolis in Pescara, Via Napoli, 60; 
nei confronti di
Gabriella Schips, non costituita in giudizio; 
per l'annullamento
dell’ordinanza 9 agosto 2013, n. 11, con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Mozzagrogna ha annullato d’ufficio i permessi di costruire 10 febbraio 2006, n. 10, e 16 aprile 2012, n. 23, assentiti ai ricorrenti, limitatamente alla parte relativa alla costruzione di una piscina perché posta a distanza inferiore a 5 metri da una strada di piano; nonchè degli atti presupposti e connessi, tra cui la deliberazione del Consiglio Comunale 2 marzo 2010, n. 4, di reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio.
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Mozzagrogna;
Viste le memorie difensive;
Viste l’ordinanza collegiale istruttoria 19 giugno 2014, n. 305, e la documentazione esibita in adempimento della medesima;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2014 il dott. Michele Eliantonio e uditi l'avv. Manuel De Monte, su delega dell'avv. Giacomo Nicolucci, per la parte ricorrente e l'avv. Diego De Carolis per il Comune resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
 
Gli attuali ricorrenti riferiscono che con permessi di costruire 10 febbraio 2006, n. 10, e 16 aprile 2012, n. 23, erano stati autorizzati dal Comune di Mozzagrogna ad eseguire lavori di ristrutturazione ed ampliamento di un fabbricato residenziale in località Castelli, sito nella zona B1 di completamento, disciplinata dall’art. 14 delle N.T.A. del P.R.E. vigente nel Comune.
Con il ricorso in esame hanno impugnato l’ordinanza 9 agosto 2013, n. 11, con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Mozzagrogna ha annullato d’ufficio tali permessi di costruire, limitatamente alla parte relativa alla costruzione della piscina, perché posta a distanza inferiore a 5 metri da una strada di piano, che, peraltro, non era stata indicata negli atti progettuali, i quali non indicavano neanche la quota finita della piscina rispetto a tale strada.
Hanno dedotto le seguenti censure:
1) che l’atto impugnato era privo di istruttoria e di motivazione adeguati, né si era considerato l’affidamento ingenerato nei privato;
2) che non si era tutelato un interesse pubblico, ma l’interesse dei privati a costruire nella zona di espansione;
3) che non era rilevante la distanza di m. 2,65 della piscina dalla strada, dato che questa ha un’altezza inferiore a due metri dal piano di campagna, per cui non andava computata (art. 14 N.T.A.);
4) che la strada di piano è graficizzata nella tavola 7b a servizio della zona di espansione e non può qualificarsi quale strada comunale; peraltro, la sua costruzione è a carico dei proprietari ed il suo tracciato avrebbe potuto essere modificato;
5) che il vincolo aveva durata quinquennale ed era scaduto, né era rilevante la deliberazione del Consiglio Comunale 2 marzo 2010, n. 4, dato che con questa deliberazione erano stati reiterati i vincoli preordinati all’esproprio (cioè le sole strade di piano);
6) che l’Amministrazione non aveva considerato che con atto per notaio Di Maio del 27 marzo 2008 erano stati rettificati i confini, per cui la piscina è in realtà posta a più di cinque metri dai confini; mentre la strada progettata viene a ricadere sulla proprietà dei ricorrenti. La graficizzazione del P.R.E. del 2003 ricalca, invero, i confini delle particelle catastali, per cui la strada in questione dovrebbe, in realtà, essere traslata sulle aree di proprietà dei confinanti.
Tali doglianze sono state ulteriormente illustrate con memoria depositata il 19 novembre 2014.
Il Comune di Mozzagrogna si è costituito in giudizio e con memoria depositata il 16 giugno 2014 ha diffusamente contestato il fondamento delle censure dedotte.
Con ordinanza collegiale istruttoria 19 giugno 2014, n. 305, sono stati disposti incombenti istruttori a carico del Comune, che sono stati solo in parte eseguiti; in particolare l’Amministrazione non ha effettuato - così come richiesto - una nuova misurazione della distanza della piscina dalla strada di piano, né ha chiarito perché l’opera non possa considerarsi come “interrata”.
Alla pubblica udienza del 4 dicembre 2014 la causa è stata trattenuta a decisione.
DIRITTO
 
1. - L’impugnato provvedimento con il quale il Comune di Mozzagrogna ha annullato d’ufficio i permessi di costruire 10 febbraio 2006, n. 10, e 16 aprile 2012, n. 23, assentiti ai ricorrenti, limitatamente alla parte relativa alla costruzione di una piscina, è nella sostanza motivato con riferimento alla considerazione che tale piscina era posta a distanza inferiore a 5 metri da una strada di piano; si è evidenziato, inoltre, in tale atto che negli atti progettuali non era stata indicata tale strada, né si era indicata la quota finita della piscina rispetto a tale strada.
Con tale atto impugnato, in estrema sintesi, l’Amministrazione comunale in via di autotutela ha annullato il titolo edilizio rilasciato, sia pur nella sola parte relativa alla costruzione della piscina, dopo che le opere edilizie erano già state realizzate e tale annullamento è stato disposto in quanto non era stata rispettata la distanza di cinque metri da una strada di piano, che non era stata ancora realizzata.
Il ricorso, va subito precisato, è fondato.
2. - Ai fini del decidere occorre necessariamente partire dall’esame della disciplina urbanistica applicabile nella zona.
Va sul punto evidenziato che l’edificazione nel Comune di Mozzagrogna è disciplinata dal piano regolatore esecutivo (P.R.E.) approvato con deliberazione consiliare del 30 giugno del 2003, cioè da uno strumento urbanistico che è disciplinato dagli artt. 12 e 13 della L.R. Abruzzo 12 aprile 1983, n. 18.
Tale strumento urbanistico - come è stato ripetutamente chiarito (Cons. St., sez. IV, 22 maggio 2008 n. 2460) - associa al contenuto pianificatorio generale, proprio del p.r.g., quello esecutivo, proprio degli strumenti urbanistici attuativi di iniziativa pubblica (p.p.e., p.i.p., p.e.e.p., piano di recupero), così come espressamente disposto dal comma 4 del predetto art. 12 della legge urbanistica regionale; con la conseguenza che i vincoliespropriativi in esso contemplati hanno valore di dichiarazione di pubblica utilità e decadono, se non attuati, alla scadenza del termine quinquennale di efficacia di tali vincoli (art. 9 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).
L’area di proprietà dei ricorrenti è inclusa nella zona B1 di completamento, disciplinata dall’art. 14 delle N.T.A. del P.R.E. vigente nel Comune, ed in base a tale norma la costruzione degli edifici deve rispettare il distacco minimo di 5 metri dai confini e di cinque metri dalle strade comunali.
L’area adiacente (di proprietà della sig.ra Gabriella Schips, che aveva sollecitato l’adozione dell’atto di autotutela impugnato) è situata in zona C (nuova urbanizzazione residenziale estensiva) ed è disciplinata dagli artt. 16 e segg. delle stesse N.T.A. Relativamente a tali zone sono stati elaborati ed allegati al P.R.E. dei piani attuativi di dettaglio (nella specie, la tavola 7b), vincolanti (con possibilità però apportare “lievi modifiche”) e prevalenti sulle prescrizioni generali di zona; tali elaborati prevedono la costruzione in zona C di una strada a confine con l’area di proprietà dei ricorrenti. Tale normativa prevede, in particolare, al quinto comma dell’art. 16 che l’attuazione degli interventi edilizi sia “subordinata alla cessione gratuita dei terreni da destinarsi ad opere di urbanizzazione primaria e secondaria, così come individuati nelle tavole di piano, nonché alla stipula di apposita convenzione” ed al successivo sesto comma è previsto che “ove l’Amministrazione non abbia provveduto alla realizzazione diretta preventiva” il rilascio del titolo edilizio è subordinato alla stipula di apposita convenzione con la quale gli interventori si assumono gli oneri relativi all’esecuzione delle opere di urbanizzazione “in quanto le trasformazioni territoriali attengono ad aree di nuova urbanizzazione residenziale”.
Va, infine, aggiunto, che i confini della zona C3 sono stati fatti coincidere con i confini delle particelle catastali interessate, per cui, in definitiva, per realizzare le opere di urbanizzazione (tra le quali le strade) non avrebbero dovuto svolgersi procedure espropriative, dato che i proprietari delle aree ricomprese nella zona C3, per realizzare eventuali interventi costruttivi, avrebbero dovuto necessariamente cedere gratuitamente “i terreni da destinarsi ad opere di urbanizzazione primaria e secondaria”, assumendosi anche gli oneri di realizzazione di tali opere. Per cui la qualificazione della natura espropriativa o conformativa dei vincoli imposti per la realizzazione di tali opere di urbanizzazione non ha assunto, in concreto, un particolare rilevo al momento di approvazione del piano, dato che i proprietari delle aree, ove avessero voluto procedere all’edificazione dei lotti, avrebbero dovuto anche contestualmente cedere i terreni necessari per realizzare le opere di urbanizzazione.
Purtuttavia, è accaduto che pochi anni dopo l’approvazione del piano, con atto per notaio Di Maio del 27 marzo 2008 stipulato dai ricorrenti con la confinante sig.ra Schips sono stati rettificati i confini tra il lotto dei ricorrenti (incluso in zona B1) e quello della confinante (incluso in zona C), con la conseguenza che una parte dell’area di proprietà dei ricorrenti è venuta a trovarsi interessata dalla costruzione della strada prevista nella tavola 7b del P.R.E. ed, in ragione di tale modifica dei confini, per realizzare la strada di piano a servizio della zona C dovrebbe oggi necessariamente procedersi nei confronti dei ricorrenti all’attivazione della procedura espropriativa di tale area.
La questione, quindi, della natura espropriativa o conformativa delle previsioni contenute nelle tavole allegate al P.R.E. ha oggi assunto uno specifico rilievo, dato che la piscina progettata rispetta la distanza di 5 metri dai confini, ma non quella dalla strada di piano non ancora realizzata e realizzabile solo ove venga attivata la procedura espropriativa.
Ai fini di tale qualificazioni dei vincoli in parola va evidenziato che la normativa in questione prevedeva anche che l’Amministrazione avrebbe potuto procedere alla “realizzazione diretta preventiva” di tali opere di urbanizzazione, per cui anche ove i proprietari delle aree interessate non avessero richiesto un titolo edilizio, il Comune avrebbe potuto, in via autonoma, procedere direttamente alla realizzazione delle opere di urbanizzazioni, salvo poi farsi rimborsare dai proprietari dei lotti inclusi nella zona C, ove questi avessero richiesto un titolo edilizio.
Con riferimento a tale circostanza, ritiene il Collegio che il vincolo a strada impresso con la predetta tavola 7b abbia di certo natura espropriativa.
Come è noto, infatti, per vincoli conformativi si intendono i vincoli che impongono una destinazione, anche di contenuto specifico, realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, tale da non richiedere necessariamente l’espropriazione dell’area e l’intervento ad esclusiva iniziativa pubblica; tali vincoli, di conseguenza, restano al di fuori della schema ablatorio-espropriativo, non comportano indennizzo, non decadono al quinquennio e non fanno sorgere un dovere di ritipizzazione
Al contrario il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione (Cons. St., sez. IV, 22 novembre 2013 n. 5553).
Ciò posto, tendo conto della predetta disciplina di piano - che consentiva al Comune di realizzare “in via preventiva” la strada prima ancora che i proprietari delle aree interessate avessero richiesto un titolo edilizio - e di quello che è il reale stato dei luoghi, sembra alla Sezione che la predetta previsione di piano, nel disegnare con precisione il tracciato della nuova strada, abbia impresso sulle aree dei ricorrenti (che non sono in alcun modo interessati alla edificazione della zona di espansione) un vincolo di natura espropriativa, dato che tale strada avrebbe potuto essere realizzata solo espropriando i ricorrenti del terreno in questione.
Ritiene, pertanto, il Collegio che il vincolo a strada imposto sulle aree dei ricorrenti abbia di certo natura espropriativa e non conformativa e che, pertanto, era destinato a decadere dopo cinque anni dalla sua imposizione.
3. - Ciò detto, può utilmente passarsi all’esame delle censure dedotte.
In via pregiudiziale, vanno esaminate le censure con le quali i ricorrenti hanno contestato la legittimità della deliberazione del Consiglio Comunale 2 marzo 2010, n. 4, di reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio, nella parte relativa all’area di loro proprietà.
Come è noto, il predetto art. 9 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, al comma 4 dispone che detti vincoli possano essere “motivatamente” reiterati “con la rinnovazione dei procedimenti”.
La scadenza dei vincoli preordinati all’espropriazione contenuti in uno strumento di pianificazione urbanistica non priva, cioè, l’Amministrazione del potere di reiterazione degli stessi, ove persistano situazioni che ne impongano la realizzazione; ciò tuttavia a condizione che detta reiterazione sia adeguatamente motivata circa la necessità ed attualità di acquisire la proprietà privata ed alla stregua di una nuova ed apposita istruttoria, preordinata all’emersione dell’interesse pubblico che deve nuovamente prevalere rispetto a quello privato.
E costituisce al riguardo un principio pacificamente acquisito anche in giurisprudenza (cfr., per tutti, Cons. St., Ad. pl., 24 maggio 2007, n. 7) quello per il quale la reiterazione di un vincolo espropriativo decaduto è legittima e possibile, specie quando vengano incisi dei beni ben determinati, solo se corredata da una rinnovata e specifica motivazione, che asseveri l’attualità e la rispondenza al pubblico interesse della previsione reiterata. Inoltre, tale rinnovazione può avvenire solo “rinnovando” il procedimento seguito per imporre tale vincolo.
Nella specie il vincolo era stato imposto con il P.R.E. del 2007 ed era scaduto dopo cinque anni, per cui per la rinnovazione di tale vincolo avrebbe dovuto seguirsi il procedimento di cui all’art. 13 della L. urbanistica regionale, in base al quale l’avvenuta approvazione del piano deve essere notificata “ai proprietari degli immobili da espropriare”.
Tale notifica nella specie non risulta documentato sia mai avvenuta, per cui allo stato degli atti deve ritenersi che l’impugnativa proposta dai ricorrenti dell’atto deliberativo di reiterazione dei vincoli non sia tardiva.
Chiarito tale aspetto, sembra al Collegio fondata la censura sopra riassunta al n. 6 e con la quale i ricorrenti si sono lamentati del fatto che l’Amministrazione non aveva considerato che con atto per notaio Di Maio del 27 marzo 2008 erano stati rettificati i confini e che la strada progettata veniva a ricadere sulla proprietà dei ricorrenti.
Tale indagine non sembra, invero, che sia stata svolta in sede di reiterazione del vincolo in questione, né la rinnovazione del vincolo sembra sorretta da quella specifica motivazione, richiesta dalla legge, volta ad asseverare l’attualità e la rispondenza al pubblico interesse della previsione espropriativa reiterata, specie in relazione al fatto che il P.R.E. e la predetta tavola 7b era stati elaborati con riferimento a dei confini delle due proprietà, diversi da quelli reali.
Deve, pertanto, annullarsi, per difetto di motivazione e di istruttoria, l’impugnato atto deliberativo consiliare di reiterazione del vincolo espropriativo sull’area di proprietà dei ricorrenti.
4. - Giunti a tale conclusione, sembra evidente che l’impugnato atto di autotutela si fondi su un presupposto erroneo, cioè sul fatto che la piscina (allo stato, peraltro, già realizzata) era stata localizzata ed edificata ad una distanza inferiore a 5 metri dalla strada di piano, dato che il vincolo espropriativo, che avrebbe potuto in futuro consentire la costruzione di tale strada, era in realtà decaduto.
Alla luce delle suesposte considerazioni l’atto di annullamento d’ufficio dei permessi di costruire assentiti ai ricorrenti deve, pertanto, anch’esso essere annullato, perché tale atto si fonda su un presupposto erroneo (l’esistenza di un valido vincolo espropriativo).
La spese, come di regola, seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, tenendo conto dei parametri e di quanto oggi disposto dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
P.Q.M.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnata ordinanza 9 agosto 2013, n. 11, del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Mozzagrogna e la presupposta deliberazione del Consiglio Comunale 2 marzo 2010, n. 4, nella parte con cui è stato reiterato il vincolo espropriativo a strada sull’area di proprietà dei ricorrenti.
Condanna il Comune di Mozzagrogna al pagamento a favore dei ricorrenti delle spese e degli onorari di giudizio che liquida nella complessiva somma di € 3.000 (tremila), oltre agli accessori di legge (spese generali, IVA e CAP) ed al rimborso del contributo unico versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Michele Eliantonio, Presidente, Estensore
Dino Nazzaro, Consigliere
Massimiliano Balloriani, Consigliere
 
 
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 
 

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