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La retrocessione di immobili - TAR, Lazio, sez.II, sent. n.7258 del 20.10.2014

Pubblico
Mercoledì, 29 Ottobre, 2014 - 01:00

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda), sentenza n.10492 del 20 ottobre 2014, sul diniego istanza di retrocessione beni immobili  
 
 
 
 
N. 10492/2014 REG.PROV.COLL.
 
N. 09399/2011 REG.RIC.
 
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REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
 
(Sezione Seconda)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 9399 del 2011, proposto da: 
Alfredo UGOLINI, Clara UGOLINI, Augusto UGOLINI, Vittorio UGOLINI, Simone PONTESILLI, Emanuela PONTESILLI, Alessia PONTESILLI, rappresentati e difesi dall'avv. Fabrizio Patrizi, con domicilio eletto presso Fabrizio Patrizi in Roma, via B. Platina, 10; 
contro
COMUNE DI ROMA, ora ROMA CAPITALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avv. Domenico Rossi, domiciliata in Roma, via Tempio di Giove, 21; 
per l'annullamento
- della nota datata 28 marzo 2011, recante il diniego in ordine all’istanza di retrocessione parziale del lotto di terreno identificato al catasto terreni di Roma al foglio 906 particella 497, espropriato ai fini di pubblica utilita' e mai utilizzato;
- di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale;
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2014 la dott.ssa Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Espongono in fatto gli odierni ricorrenti di aver presentato istanza volta ad ottenere la retrocessione parziale di parte del lotto identificato al catasto terreni di Roma al foglio 906 particella 497, espropriato ai fini di pubblica utilita' e mai utilizzato, nel dettaglio descrivendo la procedura espropriativa volta alla realizzazione di un asilo nido in via Ughelli, e precisando come l’area di cui è chiesta la retrocessione è sempre stata utilizzata dai proprietari che vi hanno continuato ad esercitare la propria attività economica, come risultante dal verbale di consistenza e dal verbale di immissione in possesso, anche a seguito della realizzazione dell’opera pubblica, per la quale è stata occupata un’area di soli 77 mq della particella n. 497.
Mediante adozione della gravata nota, l’Amministrazione Comunale ha rigettato l’istanza di retrocessione parziale dell’area sulla scorta del parere contrario espresso dal Dipartimento Servizi Educativi e Scolastici con nota del 10 maggio 2011, il quale ha rappresentato l’esiguità dello spazio verde per le attività all’aperto dell’asilo nido e l’assenza di un parcheggio pertinenziale e di un’area di sosta momentanea per gli utenti, evidenziando la compatibilità con la vigente destinazione urbanistica della riqualificazione e della maggiore dotazione degli spazi pubblici, nonché degli interventi destinati a servizi alle persone.
Nell’evidenziare i ricorrenti l’assenza di finanziamenti su progetti per l’utilizzo di detta area, come precisato dall’Ufficio U.O. Tecnica del Municipio IX, e di progetti approvati o finanziati, per come rilevato dal Dipartimento XVI – Politiche per lo Sviluppo e il Recupero delle Periferie, e nel sottolineare la contraddittorietà dei pareri intervenuti sulla questione espressi nel tempo dai medesimi uffici, deducono avverso il gravato diniego i seguenti motivi di censura:
1 – Violazione di legge. Violazione dell’art. 47 del D.P.R. n. 327 del 2001.
Nel richiamare la normativa di riferimento e la giurisprudenza formatasi in materia di retrocessione di aree non utilizzate, evidenzia parte ricorrente la necessità che sussista un nesso tra l’atto ablativo e la realizzazione dell’opera, significando come a seguito della ultimazione dell’asilo nido l’area di cui è chiesta la retrocessione non è mai stata utilizzata, né con riferimento alla stessa sono stati approvati o finanziati progetti specifici, non potendo l’interesse pubblico da perseguire idoneo a giustificare il diniego di retrocessione coincidere con la possibilità di un futuro e possibile uso dell’area, per come ipotizzato dai competenti uffici.
2 – Violazione ed erronea applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto. Manifesta illogicità ed irrazionalità. Sviamento.
Avuto riguardo alle ragioni addotte a sostegno del gravato diniego, come riferite all’assenza di parcheggio pertinenziale e all’esiguità dello spazio verde per attività all’aperto, evidenzia parte ricorrente la presenza di un parcheggio di fronte all’asilo nido e come la realizzazione del parcheggio non fosse prevista nell’originario progetto, non potendo l’utilizzo pubblico consistere in una necessità sopravvenuta, significando come, alla luce dei pareri espressi dai vari uffici interpellati, non sussista alcun progetto approvato o finanziato che richieda l’utilizzo della particella 497.
Sostiene, infine, parte ricorrente l’ininfluenza e l’inidoneità della destinazione urbanistica dell’area a sorreggere il diniego di retrocessione, essendo tale area sempre stata nella disponibilità della famiglia, chiedendo l’annullamento della gravata nota e l’accertamento del proprio diritto ad ottenere la retrocessione dell’area.
Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione Comunale sostenendo, previa ricostruzione della vicenda espropriativa, l’infondatezza del ricorso, con richiesta di corrispondente pronuncia, evidenziando come non sia stata mai certificata la non utilizzabilità dell’area di cui è chiesta la retrocessione e che tale area non è mai stata abbandonata dal Comune, ma solo lasciata in detenzione agli originari proprietari.
Con memoria successivamente depositata parte resistente ha controdedotto a quanto ex adverso sostenuto, ulteriormente argomentando ed insistendo nelle proprie richieste.
Alla Pubblica Udienza dell’8 ottobre 2014 la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti presenti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
DIRITTO
Con il ricorso in esame viene proposta azione impugnatoria avverso la nota – meglio descritta in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Amministrazione Comunale ha rigettato l’istanza, presentata dai ricorrenti, volta ad ottenere la retrocessione parziale di un’area, identificata al catasto terreni di Roma al foglio 906 particella 497, espropriata ai fini di pubblica utilita' per la realizzazione di un asilo nido ma mai utilizzata e da sempre lasciata in detenzione agli originari proprietari.
Affiancano i ricorrenti alla proposta azione impugnatoria, la richiesta di accertamento del loro diritto ad ottenere la retrocessione dell’area.
Così brevemente ricostruito l’oggetto della controversia sottoposta all’esame del Collegio, deve preliminarmente procedersi, ai fini del decidere, ad una breve ricostruzione dell’intera vicenda, come originata dalla procedura di esproprio che interessa l’area di cui è chiesta la retrocessione, da sempre rimasta inutilizzata anche a seguito della realizzazione dell’opera pubblica di cui alla procedura di esproprio.
A tale riguardo, occorre precisare che con ordinanza sindacale n. 1791 del 18 aprile 1975 è stata disposta l’occupazione d’urgenza di un’area, tra cui la particella per la quale è chiesta la retrocessione, al fine di realizzare un asilo nido, cui è seguita l’adozione del decreto di esproprio n. 1618 del 1979.
La particella n. 497, di cui è chiesta la retrocessione, è stata occupata per soli mq 77, come risultante dal verbale di consistenza, insistendo sulla restante parte della stessa manufatti indispensabili per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale dei proprietari, come confermato dal verbale di consegna e immissione in possesso del 13 febbraio 1980, in cui si dà atto che detta area era rimasta in possesso della ditta espropriata.
Ultimata la realizzazione dell’opera in data 25 novembre 1980, essendo rimasta l’area residua della particella n. 497 nella disponibilità degli espropriati, che vi hanno continuato ad esercitare la propria attività imprenditoriale, gli stessi hanno già dal 1980 richiesto la retrocessione dell’area non occupata e non utilizzata per l’opera pubblica, a fronte della quale l’Ufficio Espropri ha sollecitato la presa in consegna di detta area.
A tale sollecitazione i competenti uffici della Ripartizione e della Circoscrizione hanno corrisposto rappresentando l’impossibilità di prendere in consegna l’area in quanto occupata.
I soggetti espropriati hanno presentato nuova istanza di retrocessione in data 21 ottobre 2008, reiterata in data 2 febbraio 2009, in ordine alla quale si sono pronunciati i competenti Uffici Comunali.
In particolare, l’Ufficio UO Tecnica del Municipio IX, in data 12 febbraio 2009, ha rappresentato l’inesistenza di finanziamenti per progetti per l’utilizzo dell’area in questione, analogamente a quanto riferito dal Dipartimento XVI – Politiche per lo Sviluppo e il Recupero delle Periferie con nota del 19 febbraio 2009.
Il Dipartimento XII, LL.PP., IV U.O. Edilizia, III Servizio, Edilizia Scolastica Nuove Realizzazioni, con nota del 26 febbraio 2009, nell’evidenziare l’inesistenza di progetti di ampliamento dell’asilo nido, ha tuttavia rappresentato che la superficie utilizzata per la realizzazione dell’asilo nido è appena sufficiente allo svolgimento dell’attività, risultando penalizzato lo spazio verde a disposizione per le attività all’aperto e non essendovi un parcheggio pertinenziale pubblico.
Ancora, mentre il Dipartimento VI, U.O. Ufficio Pianificazione e Progettazione Generale, con nota 4 marzo 2009, ha rappresentato di non avere motivi ostativi alla restituzione del bene, il Dipartimento XI Politiche Educative e Scolastiche, con nota del 16 marzo 2009, ha espresso parere negativo in ordine alla richiesta retrocessione al fine di un opportuno ampliamento del servizio educativo.
Con nota del 21 maggio 2009 il Municipio IX ha anch’esso espresso parere negativo alla retrocessione in considerazione della futura utilizzazione del terreno quale spazio verde a servizio dell’asilo nido esistente.
I proprietari espropriati, con nota del 10 dicembre 2010, nel contestare i motivi ostativi alla richiesta retrocessione, ne hanno reiterato la richiesta, esitata con la gravata nota di diniego fondata sul parere contrario, di cui alla nota datata 10 maggio 2011, espresso dal Dipartimento XI Politiche Educative e Scolastiche, riferito all’esiguità dello spazio verde per le attività all’aperto dell’asilo nido e all’assenza di un parcheggio pertinenziale e di un’area di sosta momentanea per gli utenti, in cui si evidenzia altresì la compatibilità con la vigente destinazione urbanistica della riqualificazione e maggiore dotazione degli spazi pubblici e degli interventi destinati a servizi alle persone.
Dalla illustrata ricostruzione del quadro provvedimentale e fattuale della vicenda da cui origina la presente controversia, emerge come l’area di cui è chiesta la retrocessione non sia stata mai occupata né utilizzata dalla resistente Amministrazione Comunale, essendo rimasta sempre nella disponibilità dei soggetti espropriati che hanno continuato a svolgere sulla stessa la propria attività imprenditoriale.
Parimenti incontrovertibile, alla luce della documentazione versata al fascicolo di causa, è l’assenza di progetti e di finanziamenti finalizzati all’utilizzazione di detta area, che risulta quindi conoscere unicamente l’originario vincolo impresso dalla procedura di esproprio per la realizzazione di un asilo nido, ultimato in data 25 novembre 1980.
In tale contesto si innesta il gravato provvedimento di diniego sull’istanza di retrocessione, basato sulla dichiarata sua utilizzabilità in ragione dell’esiguità dello spazio verde per le attività all’aperto dell’asilo nido e dell’assenza di un parcheggio pertinenziale e di un’area di sosta momentanea per gli utenti.
Tanto premesso, la delibazione in ordine alle questioni sottoposte all’esame del Collegio transita attraverso la previa ricognizione della fisionomia dell’istituto della retrocessione parziale, al fine di delineare il perimetro del potere discrezionale rimesso all’Amministrazione a fronte della posizione soggettiva del soggetto espropriato che chiede la restituzione del bene non utilizzato a fini pubblici.
In tale direzione, va rilevato che l’istituto della retrocessione, prima disciplinato dagli art. 60-63, della legge n. 2359 del 1865 e ora dagli art. 46-48, del d.P.R. n. 327 del 2001, dà titolo alla restituzione dei beni espropriati ove non sia stata posta in essere o non sia più utilizzabile l'opera alla cui realizzazione gli stessi erano stati destinati dalla dichiarazione di p.u. – avendosi in tal caso la retrocessione totale - ovvero quando, pur essendo stata eseguita l'opera pubblica o di pubblica utilità, emerga che uno o più fondi espropriati non abbiano ricevuto, in tutto o in parte, la prevista destinazione, verificandosi in tal caso un’ipotesi di retrocessione parziale.
Mentre con riferimento alla retrocessione totale, contraddistinta dalla mancata realizzazione dell'opera prevista dalla dichiarazione di p.u., ivi compreso il caso della sostituzione con un'opera completamente diversa da quella programmata, sussiste un vero e proprio diritto soggettivo dell'originario proprietario ad ottenere la restituzione del bene oggetto della procedura ablatoria, a fronte di una mancata utilizzazione solo parziale del terreno interessato dall'opera pubblica, la situazione soggettiva del privato è qualificabile in termini di interesse legittimo, potendo la retrocessione parziale essere riconosciuta solo a seguito di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione – a fronte della quale la posizione del privato è, appunto, di interesse legittimo – che abbia dichiarato che quei fondi più non servono all'opera pubblica, nell'esercizio di una pubblica funzione volta al perseguimento dell'interesse pubblico.
La posizione di interesse legittimo alla retrocessione parziale dei proprietari dei suoli rimasti inutilizzati, come radicata in ragione dell’utilizzo solo parziale dei suoli di cui alla dichiarazione di pubblica utilità, può essere in via generale tutelata nella forma del silenzio-rifiuto di cui all'art. 117 c.p.a., volto all'accertamento dell'inservibilità delle aree espropriate ma non interamente utilizzate, venendo in rilievo la scelta discrezionale dell'Amministrazione in ordine all’eventuale mantenimento della parte residua per ragioni di pubblico interesse, ovvero, in caso di diniego espresso ad accordare la retrocessione parziale, attraverso l’ordinaria azione impugnatoria, potendo ritenersi implicita nel diniego la pronuncia negativa in ordine alla inservibilità dell’area, che costituisce valutazione discrezionale propedeutica alla possibilità di concedere la retrocessione parziale.
Avuto riguardo alla fattispecie in esame, il gravato diniego in ordine all’istanza dei ricorrenti di retrocessione parziale dell’area espropriata e non utilizzata, contiene una implicita dichiarazione in ordine alla volontà dell’Amministrazione di utilizzare l’area, risultando quindi pienamente ammissibile la proposta azione impugnatoria senza necessità di previa attivazione della procedura volta all'accertamento dell'inservibilità dei beni, cui soltanto consegue il diritto alla restituzione, tutelabile attraverso l’eventuale impugnazione del silenzio.
Posto che, nei casi di retrocessione parziale, la legge rimette all'Autorità espropriante la discrezionale valutazione in ordine alla eventuale inservibilità dell’area per le finalità risultanti dalla dichiarazione di pubblica utilità e la formale diversa destinazione della parte del bene espropriato che non può più essere utilizzata - che di conseguenza può tornare nella disponibilità del soggetto che ne è stato privato - occorre stabilire il perimetro entro il quale l’esercizio di tale potere discrezionale può essere esercitato.
In ragione dei principi costituzionali che sorreggono l'istituto dell'espropriazione, al bene sottratto al proprietario per il conseguimento di un determinato interesse pubblico è impresso il vincolo discendente da tale destinazione e non può essere unilateralmente ed arbitrariamente utilizzato per un fine diverso da quello per il quale fu espropriato e per il quale ha ricevuto la formale e specifica destinazione pubblica per effetto della dichiarazione di pubblica utilità.
Ciò in quanto il vincolo imposto dalla dichiarazione di pubblica utilità, nella logica della legge fondamentale 25 giugno 1865, n. 2359, rimasta pressoché inalterata nel vigente testo unico di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, individua il concreto interesse pubblico da perseguire attraverso l’approvazione del progetto dell’opera da realizzare, e destina definitivamente il bene del privato, necessario per la realizzazione di quell’opera, al soddisfacimento dei relativi interessi generali connessi alla realizzazione dell’opera.
Nell’ottica del contemperamento dei valori in gioco sottesi alla procedura espropriativa – ovvero quello pubblico al perseguimento degli interessi collettivi e generali, quello della solidarietà sociale e quello del proprietario a non vedersi sottrarre un bene, da cui ha diritto di trarre ogni possibile e lecita utilità, se non per prevalenti ragioni di interesse pubblico – la dichiarazione di pubblica utilità costituisce quindi la causa giustificatrice del potere ablatorio ed attesta il necessario collegamento tra l’opera dichiarata di pubblica utilità e i beni oggetto di esproprio, in quanto funzionali rispetto alla realizzazione dell’opera.
Tale collegamento delinea i limiti del potere ablatorio, dovendo lo stesso sorreggersi sulla stretta corrispondenza tra il provvedimento espropriativo ed il bene dichiarato di pubblica utilità, essendo l’Amministrazione autorizzata a sottrarre il bene al legittimo proprietario solo ed esclusivamente nella misura in cui effettivamente il bene stesso sia effettivamente utilizzato per il conseguimento dello specifico interesse pubblico fissato con la dichiarazione di pubblica utilità.
Il necessario rapporto di coerenza e di finalizzazione tra la destinazione del bene e la sua espropriazione deve permeare anche la valutazione che l’Amministrazione procedente è chiamata ad effettuare a fronte della richiesta che il soggetto espropriato rivolge al fine di ottenere la retrocessione parziale del bene non utilizzato, potendo il mantenimento in mano pubblica dell’area residua essere giustificato solo in presenza di un suo utilizzo coerente con la destinazione impressa dalla dichiarazione di pubblica utilità.
Coordinando le suesposte considerazioni con i tratti caratterizzanti la fattispecie in esame, emerge come la dichiarata possibilità di utilizzazione, da parte dell’Amministrazione comunale, dell’area residua non utilizzata - e ab origine lasciata in detenzione agli originari proprietari, anche a seguito dell’intervenuto esproprio e realizzazione dell’opera pubblica – in quanto riferita all’esiguità dello spazio verde per le attività all’aperto dell’asilo nido e dell’assenza di un parcheggio pertinenziale e di un’area di sosta momentanea per gli utenti, appare essere riconducibile, secondo un rapporto di coerenza con la causa ablatoria del potere, all’opera pubblica realizzata, facendosi riferimento a interventi riguardanti opere pertinenziali rispetto all’opera principale costituita dall’asilo nido, la cui realizzazione ha fondato l’esercizio del potere espropriativo.
Tuttavia l’utilità dell’area per scopi pubblici, per come dedotta nella gravata nota e per come meglio specificata nei pareri resi dai competenti uffici comunali, viene formulata in termini astratti ed ipotetici, in quanto riferita a interventi allo stato non progettati né finanziati.
Trattasi di circostanza che va riguardata e valutata unitamente al dato temporale che caratterizza la vicenda da cui origina l’istanza dei ricorrenti volta ad ottenere la retrocessione dell’area residua non utilizzata.
Al riguardo, occorre difatti evidenziare come la procedura espropriativa ha avuto inizio nel 1975 e che l’opera pubblica è stata ultimata nel 1980.
Da allora l’area oggetto di richiesta di retrocessione parziale è sempre rimasta nella detenzione degli originari proprietari, ivi conducendovi la propria attività economica, senza che l’Amministrazione abbia mai concretamente manifestato la volontà di adibirla ad un uso pubblico coerente con l’opera per la quale è stato disposto l’esproprio.
Pur a distanza di molti anni dalla realizzazione dell’opera, infatti, non vi sono progetti che interessano l’area in questione che possano dare concretezza all’interesse dell’Amministrazione alla conservazione in mano pubblica dell’area, dovendo ulteriormente rilevarsi come i soggetti espropriati abbiano sin dal 1980 chiesto la retrocessione dell’area, reiterando l’istanza nel 2008 e nel 2010, e che già in risposta all’istanza del 2008 sono state rappresentate le medesime circostanze ostative alla retrocessione riferite alla ridotta estensione dello spazio verde a disposizione dell’asilo nido e all’assenza di un parcheggio pertinenziale.
Ciò posto, ritiene il Collegio che a fronte del manifestato interesse degli originari proprietari a riacquistare la titolarità dell’area rimasta inutilizzata, l’Amministrazione, secondo i basilari canoni di buona fede e di buon andamento dell’azione amministrativa, avrebbe dovuto attivarsi al fine – alternativamente - di attuare concretamente la finalità per la quale l’area è stata espropriata, ovvero prendere atto della sua inservibilità, acconsentendo alla retrocessione di tale area.
Appare quindi censurabile il comportamento dell’Amministrazione che, in occasione dell’ultima istanza di retrocessione dell’area, ribadisce i medesimi motivi ostativi alla sua concessione già manifestati con riferimento alla precedente istanza e riferiti ad ipotetici utilizzi della stessa connessi con le attività dell’asilo nido.
Inoltre, il lungo periodo di tempo intercorso tra la data di esercizio del potere ablatorio e quello di adozione della gravata determinazione depone per l’insussistenza di tale interesse all’utilizzo dell’area, in termini di concretezza, interrompendo quel necessario nesso teleologico tra il bene espropriato e le finalità pubbliche consacrate nella dichiarazione di pubblica utilità, facendo emergere una situazione di fatto in cui l’avvenuto esproprio di un bene non risponde ad alcuna effettiva utilità pubblica.
Pur apparendo, quindi, ragionevole e coerente con le finalità dell’esproprio l’ipotizzato utilizzo dell’area per la realizzazione di spazi pertinenziali all’asilo nido, deve ritenersi tuttavia che la mancanza di qualsiasi iniziativa pubblica per la concreta utilizzazione dell’area a distanza di tanto tempo dalla realizzazione dell’opera, si rifletta in termini negativi in ordine alla sussistenza di un interesse alla conservazione della natura pubblica dell’area, interrompendo la destinazione finalistica dell’area al soddisfacimento dell’interesse pubblico sotteso all’opera realizzata, in cui solo l’intervenuto esproprio trova la propria causa giustificativa.
Ne discende che l’assenza di progetti e di finanziamenti che interessano l’area in questione, da sempre nella detenzione degli originari proprietari e dunque sottratta all’uso pubblico, unitamente al lungo tempo trascorso dall’inizio della procedura espropriativa e a fronte del manifestato interesse dei proprietari a rientrare nelle titolarità dell’area, depongono nel senso della mera ipoteticità del dichiarato uso dell’area da parte dell’Amministrazione, astrattamente affermato e non avvalorato da concreti elementi idonei a dare consistenza alle finalità pubbliche cui il bene espropriato deve essere destinato.
Viene in tal modo reciso il rapporto di necessaria corrispondenza tra l’interesse pubblico ed il sacrificio imposto al privato espropriato, essendosi determinata una situazione in cui un’area è stata sottratta alla titolarità degli originari proprietari, ne è stata corrisposta la relativa indennità ma non è mai stata utilizzata per fini pubblici, determinandosi altresì un inutile esborso di denaro pubblico per l’acquisizione di un’area mai destinata alle finalità di cui alla dichiarazione di pubblica utilità, non essendo sufficiente a fondare una dichiarazione di servibilità dell’area la mera possibilità di un futuro e possibile uso della stessa, per come ipotizzato nella gravata nota e nel parere ivi richiamato.
Nelle considerazioni sin qui illustrate risiedono, quindi, le ragioni per le quali il ricorso deve trovare accoglimento, stante la rilevata illegittimità della gravata nota che, nel far riferimento a possibili usi dell’area – che non è mai stata destinata all'opera pubblica cui era preordinata l'espropriazione - per interventi pertinenziali rispetto all’opera pubblica realizzata, si fonda su mere dichiarazioni di intento e astratte possibilità di futuri interventi, in alcun modo accreditate da elementi idonei a dare concretezza all’interesse pubblico all’uso dell’area, che solo può giustificare sia l’avvio del procedimento ablativo che la permanenza dei suoi effetti in caso di mancato utilizzo dell’area una volta ultimata l’opera.
La gravata nota va, conseguentemente, annullata in quanto affetta dai vizi sopra rilevati, mentre non può procedersi al sollecitato – da parte ricorrente - accertamento del diritto ad ottenere la retrocessione parziale dell’area, venendo in rilievo, per quanto dianzi esposto, l’esercizio di un potere discrezionale rimesso all’Amministrazione in ordine alla valutazione della utilizzabilità dell’area, a fronte del quale l'espropriato vanta solo una posizione di interesse legittimo da azionare nell’ambito del giudizio di legittimità, con preclusione della possibilità per il giudice di procedere all’accertamento della spettanza della retrocessione parziale, la quale, non venendo in rilievo un potere vincolato, può conseguire solo alla dichiarazione da parte del beneficiario dell'espropriazione o dell'autorità espropriante, della sopravvenuta inutilizzabilità, il cui esercizio non risolve la precedente espropriazione, ma pone soltanto le condizioni di un nuovo trasferimento con effetto ex nunc, conseguendo la retrocessione parziale solo all'accertamento, da parte della competente Amministrazione, della inservibilità dei beni.
In conclusione, il ricorso in esame va accolto nella sua parte impugnatoria, con conseguente annullamento della gravata nota.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Roma - Sezione Seconda
definitivamente pronunciando sul ricorso N. 9399/2011 R.G., come in epigrafe proposto, lo accoglie nel senso di cui in motivazione.
Condanna la resistente Amministrazione al pagamento, a favore della parte ricorrente, delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo,Presidente
Elena Stanizzi,Consigliere, Estensore
Carlo Polidori,Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/10/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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