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Occupazioni illegittime - TAR Lombardia-Milano, sent. n.7 del 07.01.2015

Pubblico
Sabato, 10 Gennaio, 2015 - 01:00

Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, (Sezione Terza), sentenza n.7 del 7 gennaio 2015, sulle occupazioni illegittime 
 
N. 00007/2015 REG.PROV.COLL.
 
N. 01278/2011 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
 
(Sezione Terza)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 1278 del 2011, proposto da: 
Rita Crespi, Antonietta Ferrario, Fabrizia Edoarda Erminia Muzzi, Rosalba Nicora, Marina Pietri, Vittoria Nicora, Claudia Nicora, rappresentate e difese dagli avv. Claudio Sala e Maria Sala, con domicilio eletto presso lo Studio di quest’ultima in Milano, V. Hoepli, n. 3; 
contro
ANAS S.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio eletto in Milano, via Freguglia, n. 1; 
per l'accertamento
del diritto alla restituzione delle aree interessate dai lavori di sistemazione della carreggiata stradale e del nodo Cinque Ponti lungo la S.S. n. 33 del Sempione, perché non intervenuto idoneo titolo al trasferimento della proprietà in favore dell’ANAS S.p.a. e conseguente condanna di ANAS alla restituzione
nonché
per la condanna di ANAS S.p.a. al risarcimento dei danni subiti per la temporanea non disponibilità dei beni dalla scadenza dell’occupazione legittima (16 luglio 2007) sino al termine della loro illecita occupazione e conseguente restituzione, oltre ai maggiori danni subiti;
in via subordinata,
nel caso di impossibilità della restituzione dei beni occupati,
per la condanna di ANAS al risarcimento dei danni da perdita del diritto di proprietà pari al valore venale del bene dal 20 aprile 2009, oltre i danni da occupazione illegittima dal 16 gennaio 2007 al saldo e i maggiori danni subiti;
previa declaratoria di nullità e/o annullamento, per quanto occorrer possa, del dispositivo di accessione invertita n. 49 del 20 aprile 2009 assunto da ANAS S.p.a., non notificato o comunicato, di cui le ricorrenti hanno avuto conoscenza in data 14 febbraio 2011.
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’ANAS S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2014 la dott.ssa Valentina Mameli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Con l’atto introduttivo del giudizio i ricorrenti hanno esposto di essere proprietari, dal 5 maggio 2009, di un compendio immobiliare ubicato nel Comune di Busto Arsizio, contraddistinto al catasto terreni con foglio 9 mappali 8513, 6988, e 6989 e al catasto fabbricati al foglio BU/10 mappali 12466 sub 1, 12468 sub 1 e 12467, costituito da terreni e fabbricati, per una superficie complessiva pari a mq. 19.540.
Tali aree erano precedentemente di proprietà della società Tiro a Volo, dante causa delle ricorrenti.
In data 16 gennaio 2002 l’allora Ente Nazionale per le Strade approvava il progetto relativo ai lavori di sistemazione e di adeguamento della carreggiata KM 32+300 e 35+500 – I lotto - sistemazione nodo dei Cinque Ponti lungo la SS n. 33 del Sempione, comprendente anche parte delle suddette aree.
Con decreto del 28 giugno 2002 il Prefetto di Varese autorizzava il predetto Ente ad occupare in via temporanea e d’urgenza, tra l’altro, parte delle aree contraddistinte con i mappali 6989, 6988 e 6979.
Con provvedimento del 16 ottobre 2002 veniva prorogato di cinque anni il termine per l’occupazione dei terreni, a decorrere dal 16 gennaio 2002, determinandosi quindi la relativa scadenza al 16 gennaio 2007.
In data 28 gennaio 2003 gli allora proprietari depositavano una perizia tecnico-estimativa per la determinazione dell’indennità di esproprio. Con nota del 14 maggio 2003 l’Anas li invitava a presentarsi per la sottoscrizione del verbale di cessione volontaria e l’accettazione dell’indennità.
Tuttavia, non essendo stato raggiunto alcun accordo, non si perfezionava la cessione bonaria delle aree.
Nel BURL n. 50 del 9 dicembre 2004 veniva pubblicata la determinazione dell’indennità di esproprio.
Nel febbraio 2005, a seguito di istanza di accesso agli atti, venivano comunicati alla società Tiro a Volo, per il tramite del proprio difensore, i provvedimenti della Commissione Provinciale Espropri con i quali erano state determinate le indennità di espropriazione.
Nel marzo 2005 veniva promossa opposizione alla suddetta determinazione, avanti alla competente Corte d’Appello di Milano.
Gli odierni ricorrenti, nel frattempo divenuti proprietari delle aree in questione, venivano a conoscenza solo il 14 febbraio 2011 del provvedimento dell’ANAS (subentrato all’Ente Nazionale per le Strade) n. 49 datato 20 aprile 2009, denominato “Dispositivo di accessione invertita”, con cui si dichiarava “l’avvenuta acquisizione a titolo originario dei cespiti occorrenti per i lavori di sistemazione ed adeguamento della carreggiata stradale lungo la SS n. 33 del Sempione, dando atto che le opere stradali erano state ultimate e aperte al traffico e che quindi era intervenuta l’irreversibile trasformazione delle aree e la loro destinazione all’uso pubblico quale bene patrimoniale indisponibile”. Al suddetto provvedimento era allegato l’elenco delle aree, tra le quali quelle di proprietà delle odierne ricorrenti, contraddistinte al catasto terreni al fg. 9 mapp. 39149 (ex 6989°), 34125 (ex 6988b), 35145 (ex 8513b) e 34147 (ex 8513d) della superficie complessiva di mq. 10.020.
I proprietari quindi notificavano il ricorso indicato in epigrafe, chiedendo, previa declaratoria di nullità ovvero previo annullamento del provvedimento di acquisizione per “accessione invertita”, in via principale, la condanna dell’ANAS alla restituzione, previa riduzione in pristino, delle aree interessate dai lavori di sistemazione della carreggiata stradale e del nodo Cinque Ponti lungo la S.S. n. 33 del Sempione, stante l’assenza di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, nonché il risarcimento dei danni subiti per la temporanea non disponibilità dei beni.
In via subordinata, nel caso di accertata impossibilità della restituzione dei beni occupati, formulavano domanda di risarcimento per equivalente del danno da perdita del diritto di proprietà, pari al valore venale del bene, alla data del 20 aprile 2009, oltre i danni da occupazione illegittima.
Si costituiva in giudizio l’ANAS, con memoria di mero stile, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.
Con ordinanza n. 24 dell’8 gennaio 2014 il Tar disponeva l’acquisizione di tutti gli atti del procedimento di occupazione dei beni e di quello espropriativo, nonché di una relazione contenente la ricostruzione delle fasi dei procedimenti.
L’ANAS produceva la documentazione richiesta in data 31 marzo 2014.
In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti scambiavano memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni. In punto di fatto, con memoria depositata in data 3 ottobre 2014, le ricorrenti precisavano che in data 5 febbraio 2014 avevano conseguito la corresponsione dell’indennità di occupazione legittima, (per il periodo dal 16 gennaio 2002 al 15 gennaio 2007), in forza della sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 3601 del 3 novembre 2012. La relativa indennità, pari alla somma complessiva di € 223.950,31, veniva determinata sulla base della CTU disposta in corso di causa, che determinava in € 136/mq il valore delle aree. Chiedevano pertanto che tale valore fosse posto a base della quantificazione della domanda risarcitoria, a tal fine depositando la predetta relazione peritale.
Indi all’udienza pubblica del 21 ottobre 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
I) Come emerge dall’esposizione in fatto e dalla documentazione versata agli atti del giudizio, nel procedimento espropriativo di cui è causa, l’ANAS, con provvedimento n. 49 del 20 aprile 2009, denominato “Dispositivo di accessione invertita”, sul presupposto dell’intervenuta irreversibile trasformazione del fondo, ha dichiarato “l’avvenuta acquisizione a titolo originario dei cespiti occorrenti per i lavori di sistemazione ed adeguamento della carreggiata stradale lungo la SS n. 33 del Sempione”, facendo applicazione dell’istituto, di origine pretoria, della c.d. accessione invertita.
In relazione a tale provvedimento tanto la parte ricorrente quanto la resistente ANAS convengono circa l’inammissibilità nel nostro ordinamento della c.d. accessione invertita al fine del prodursi dell’effetto traslativo della proprietà del bene in capo alla pubblica amministrazione espropriante.
Il Collegio, in proposito, rileva che il richiamato provvedimento – assunto in data 20 aprile 2009 – è stato adottato sotto la vigenza dell'art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, dichiarato, successivamente, costituzionalmente illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale 8 ottobre 2010, n. 293.
Tuttavia nel provvedimento del 20 aprile 2009 l’ANAS non fa menzione dell’art. 43. Né è possibile qualificare, nella sostanza, tale atto come equivalente, nei presupposti, a quello previsto dalla norma richiamata, non recando alcuna valutazione degli interessi in conflitto, né determinando il risarcimento del danno nella misura prevista dalla disposizione.
Nel provvedimento stesso l’Amministrazione si limita a dare atto:
- della scadenza dei termini di occupazione temporanea nonché dei termini di inizio e fine delle espropriazioni indicati nella dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori, senza che sia stata conclusa la procedura con un formale provvedimento di esproprio;
- della compiuta realizzazione delle opere stradali e della loro apertura al traffico, essendosi quindi determinata la radicale trasformazione del fondo e la relativa irreversibile destinazione all’uso pubblico,
concludendo che tali circostanze hanno “determinato per il proprietario la perdita del proprio diritto e l’acquisizione del bene, a titolo originario, in favore dell’Amministrazione espropriante (ANAS S.p.a.); (Accessione invertita – Corte di Cassazione Sezioni Unite sentenza n. 1464 del 16.02.83”.
Tale atto ha dunque natura meramente dichiarativa, assumendo la “avvenuta” acquisizione a titolo originario dei beni sulla base della mera evidenza di fatto dell’irreversibile trasformazione del fondo, per la compiuta esecuzione dell’opera da parte dell’Amministrazione, e del suo asservimento alla fruizione pubblica.
Ora, secondo un ormai consolidato approdo giurisprudenziale, in assenza di un provvedimento di esproprio assunto entro i termini previsti dalla legge, la presenza di un'opera pubblica sull'area illegittimamente occupata costituisce in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo di acquisto, e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà (TAR Latina 4 luglio 2014 n. 531; TAR Toscana, sez. I, 20 dicembre 2012 n. 2052; TAR Liguria, sez. I, 14 dicembre 2012 n. 1653; TAR Lazio, sez. II, 6 novembre 2012 n. 9052; Cons. St., sez. IV, 3 ottobre 2012 n. 5189).
Il superamento, nel nostro ordinamento, dell'istituto dell'occupazione acquisitiva è stata fatta propria anche dalla Corte di cassazione, cui è dovuta, in massima parte, l'elaborazione giurisprudenziale dello stesso istituto, che nella sentenza 28 gennaio 2013 n. 1804 ha richiamato le pronunce con la quale la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha censurato le forme di "espropriazione indiretta" elaborate nell'ordinamento italiano, configurandole come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto fondamentale dell'uomo, garantito dall'art. 1 del Protocollo addizionale n. 11 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e sottolineando che mai l'acquisizione del diritto di proprietà possa conseguire a un illecito.
In tale prospettiva nessuna rilevanza può assumere il mero dato fattuale dell'intervenuta realizzazione di un'opera pubblica sul terreno interessato (sentenze CEDU Carbonara e Ventura c. Italia, 30 maggio 2000; Scordino c. Italia, 15 e 29 luglio 2004; Acciardi c. Italia, 19 maggio 2005; De Angelis c. Italia, 21 dicembre 2006; Pasculli c. Italia, 4 dicembre 2007), in quanto il requisito della legalità non permette "in generale all'amministrazione di occupare un terreno e di trasformarlo irreversibilmente,di tal maniera da considerarlo acquisito al patrimonio pubblico, senza che contestualmente un provvedimento formale che dichiari il trasferimento di proprietà sia stato emanato" (Cfr. CEDU 17 maggio 2005, Pasculli; 19 maggio 2005, Acciardi e Campagna; 11 ottobre 2005, La Rosa; 11 ottobre 2005, Chirò; 12 ottobre 2005, Scordino; 13 ottobre 2005, Serrao; 7 novembre 2005, Istituto diocesano; 12 gennaio 2006, Sciarrotta; 23 febbraio 2006, Cerro S.A.S.; 20 aprile 2006, De Sciscio; 8 gennaio 2009, Sotira).
In adesione all’orientamento sopra ricordato, il provvedimento assunto dall’ANAS denominato “dispositivo di accessione invertita”, poggiando su un istituto ormai espunto dal nostro ordinamento, deve ritenersi inefficace ai fini del determinarsi dell’effetto traslativo.
Va dunque escluso che, per effetto del suddetto provvedimento, si sia determinato un acquisto a titolo originario delle aree da parte dell’amministrazione in virtù della radicale e definitiva trasformazione del suolo, conseguente alla sua occupazione e alla realizzazione dell’opera pubblica, ostando a tale conclusione il primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, recepiti dall’ordinamento interno.
II) Ne discendono due evidenti conseguenze: da un lato non può ritenersi estinto il diritto di proprietà del suolo in capo alle ricorrenti, dall’altro le aree, di proprietà dei privati, sono occupate sine titulo dall’Amministrazione.
Ciò rilevato, la Pubblica Amministrazione ha l'obbligo di far venir meno l'occupazione illecita e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto.
Secondo la maggioritaria giurisprudenza formatasi sull’argomento (ex plurimis Tar Reggio Calabria 20 novembre 2014 n. 719 e 17 giugno 2014 n. 265; Cons. Stato sez. VI 10 maggio 2013 n. 2559; sez. IV 29 agosto 2012, n. 4650 e 27 gennaio 2012, n. 427), in caso di illegittima ablazione di un immobile per effetto di un procedimento espropriativo non conclusosi con un regolare e tempestivo decreto di esproprio, sorge l’obbligo per l’Amministrazione di sanare la situazione di illecito venutasi a creare, dovendo scegliere, a tal fine ed alternativamente tra:
- la restituzione dei terreni (con la corresponsione del risarcimento per il periodo di illegittima occupazione), ovvero
- l’adozione del decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis del DPR 327/01 (corrispondendo il relativo risarcimento secondo i parametri ivi disciplinati).
Deve darsi conto infatti che, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 43 del DPR 327/2001 (cfr. Corte Cost. n. 293/2010), il legislatore, con l'art. 34, comma 1, del decreto legge 98 del 2011, convertito in legge 111 del 2011, ha introdotto, nel TU espropriazioni, l’art. 42 bis, disciplinante l'istituto dell'acquisizione coattiva dell'immobile del privato utilizzato senza titolo dall'Amministrazione per fini di interesse pubblico, potendosi così acquisire al patrimonio indisponibile il bene del privato allorché la sua utilizzazione risponda a "scopi di interesse pubblico", nonostante difetti un valido ed efficace provvedimento di esproprio. L'obbligo motivazionale, ai sensi del comma 4, impone di dare conto dell'assenza di ragionevoli alternative alla adozione del nuovo provvedimento.
Nell’odierno giudizio, la fattispecie all’esame del Collegio è caratterizzata da una vicenda espropriativa che ha riguardato sia terreni sia un fabbricato, questi’ultimo demolito e quindi definitivamente soppresso nella sua entità fisica.
Ne deriva che, mentre per il fabbricato sussistono i presupposti per condannare l’Ente al risarcimento della perdita del diritto di proprietà, posto che non vi sono più entità fisiche da restituire o per le quali emanare un decreto di acquisizione sanante, per i terreni è necessario disporre che l’Amministrazione provveda, entro i termini e con le modalità meglio oltre indicate, a statuire circa la restituzione dei cespiti o la loro acquisizione al patrimonio.
Quanto alla restituzione dei terreni l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, peraltro in termini dubitativi (si veda pag. 2 della memoria depositata in data 26 settembre 2014), ha dedotto che la restituzione delle aree potrebbe essere negata alla stregua del combinato disposto di cui agli artt. 2933 comma 2 e 2058 comma 2 cod.civ.
L’eccezione non può essere condivisa.
Innanzi tutto deve rilevarsi che le due disposizioni operano in ambiti di disciplina profondamente differenti: l’art. 2933 cod.civ. riguarda l’esecuzione coattiva degli obblighi di non fare, prevedendo che l’avente diritto possa ottenere che venga distrutto ciò che è stato fatto in violazione dell’obbligo; l’art. 2058 cod.civ. disciplina il risarcimento in forma specifica.
Ora, nel presente giudizio la domanda, formulata in via principale, di restituzione dei terreni illegittimamente occupati e trasformati dalla pubblica amministrazione, ha natura non già risarcitoria, bensì recuperatoria o reipersecutoria, non assumendo alcuna rilevanza l’elemento soggettivo della colpa, profilo che, invece, sarebbe imprescindibile ai fini dell’integrazione della fattispecie illecita. Il che porta ad escludere la possibilità, anche astratta, di applicazione dell’art. 2058 comma 2 cod. civ. (T.A.R. Cagliari sez. II 11 gennaio 2014 n. 15; T.A.R. Torino sez. I 10 gennaio 2014 n. 43; Cass. Sez. I 23 agosto 2012 n. 14609).
Ugualmente non applicabile risulta essere la disciplina di cui all’art. 2933 cod. civ. che postula una violazione degli “obblighi di non fare”. Nel caso di specie la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 2933 non sarebbe in grado di “paralizzare” l’azione restitutoria, ma semmai la riduzione in pristino stato delle aree.
In ogni caso, poi, il disposto di cui al secondo comma (laddove impedisce l’ordine di distruzione della cosa se la stessa è di pregiudizio all’economia nazionale) è norma da interpretare in modo rigorosamente restrittivo, riferendosi alle cose insostituibili ovvero di eccezionale importanza per l'economia nazionale, con conseguente inapplicablità qualora il pregiudizio riguardi interessi individuali e locali (Cass. Sez. I 23 agosto 2012 n. 14609; Sez. II 17 febbraio 2004, n. 3004 e 25 maggio 2012, n. 8358), come deve ritenersi nel caso di specie, tenuto conto che il “pregiudizio all’economia nazionale” non coincide con l’interesse pubblico alla realizzazione di una qualunque opera a servizio della collettività. V’è da aggiungere che la prova di tale pregiudizio incombe sull'amministrazione resistente, che, nella specie, non ha addotto alcun elemento utile.
III) Riassumendo, tenuto conto di quanto fin’ora esposto, deve disporsi la condanna dell’ANAS alla restituzione dei terreni di proprietà delle ricorrenti (salvo il risarcimento del danno da perdita di proprietà del fabbricato demolito), fatto salvo il potere dell’Amministrazione di acquisire i terreni stessi al proprio patrimonio attraverso l’adozione del provvedimento previsto dall’art. 42 bis TU espropriazioni, il quale fonda un potere autonomo e originario della p.a. suscettibile di essere esercitato indipendentemente da pendenze e statuizioni giurisdizionali esistenti tra le parti (Cons. Stato sez. IV 25 giugno 2013 n. 3449), che si articola in un procedimento avente peculiari ed autonomi presupposti e con un’efficacia pro futuro.
Va in ogni caso precisato che non risulta esclusa dall'ordinamento la possibilità per le parti di accordarsi per una cessione bonaria dell'immobile alla pubblica amministrazione con contestuale accordo per il ristoro dei danni derivanti dall'occupazione illegittima subita.
IV) Sia in caso di restituzione dei terreni sia nell’ipotesi di adozione del provvedimento ai sensi dell’art. 42 bis citato, il Collegio ritiene che i parametri di riferimento dei relativi valori di risarcimento (per l’illegittima occupazione nel primo caso ovvero per la monetizzazione del diritto di proprietà) debbano essere quelli accertati dalla CTU espletata nel corso del giudizio avanti la Corte d’Appello di Milano (e conclusosi con la sentenza n. 3601 del 3 novembre 2012). Tale CTU è stata depositata agli atti del presente giudizio dalla parte ricorrente e non è stata contestata, neppure in questa sede, dall’Amministrazione resistente, ai fini di cui all’art. 64 comma 2 c.p.a.
La relazione peritale e le relative conclusioni sono riferite alla medesima situazione di fatto tra le stesse parti, risultando quindi superfluo e, comunque, diseconomico e ingiustificatamente dilatorio disporre una nuova CTU.
Pertanto, l’ANAS va condannata a rinnovare, entro giorni 60 (sessanta) dalla notificazione della presente sentenza a cura della parte ricorrente, la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione del fondo per cui è causa.
In esito a siffatta rinnovata valutazione, l’Amministrazione dovrà adottare – entro l’ulteriore termine di giorni 30 (trenta) – un provvedimento con il quale dispone, alternativamente, che il bene:
a) venga acquisito non retroattivamente al patrimonio indisponibile comunale.
In tal caso il provvedimento di acquisizione:
- dovrà specificare l’attualità e la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione dei beni per cui è causa, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati nonchè evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione;
- dovrà prevedere che, entro il termine di 60 (sessanta) giorni, ai proprietari sia corrisposto il valore venale del bene, nei termini accertati dal CTU nel presente giudizio alla data della domanda (28 aprile 2011), nonché un indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale, forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del medesimo valore venale;
- dovrà essere tempestivamente notificato ai proprietari e comporterà il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’art. 20, comma 14, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327;
- sarà soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente;
- sarà trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’art. 14, comma 2, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327;
- sarà comunicato, entro trenta giorni, alla Corte dei Conti, mediante trasmissione di copia integrale;
b) sia restituito ai legittimi proprietari, previo ripristino dello stato di fatto esistente al momento dell’apprensione (ad eccezione degli immobili ivi esistenti il cui valore sarà invece risarcito come indicato successivamente), entro i successivi 90 (novanta) giorni.
Resta inteso che i termini sopra indicati, in quanto disposti nell’interesse dei ricorrenti, potranno essere aumentati su autorizzazione scritta da parte di questi ultimi e che tutte le questioni che dovessero insorgere nella fase di conformazione alla presente decisione potranno formare oggetto di incidente di esecuzione e risolte, se del caso, tramite commissario ad acta.
Sia nel caso a), che nel caso b), il provvedimento da emanarsi dovrà contenere la liquidazione, in favore dei ricorrenti, di una somma in denaro a titolo risarcitorio, pari all’applicazione del saggio di interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dell’intero bene occupato, come accertato (sia nel valore al m/q sia quanto all’estensione della superficie occupata) dal CTU nella relazione depositata nel presente giudizio in riferimento alla data di scadenza del periodo di occupazione legittima (16 gennaio 2007) e per tutto il periodo di occupazione illegittima, previa necessaria rivalutazione della somma, e terminerà solo con l’acquisizione della proprietà da parte dell’ANAS ovvero con la riconsegna del bene.
Quanto al fabbricato demolito, l’ANAS va condannata al risarcimento del danno da liquidarsi secondo il valore stimato dalla CTU resa nel giudizio avanti la Corte d’Appello di Milano, per le ragioni sopra esposte, quantificato in complessivi € 110.000,00 oltre interessi e rivalutazione sino al soddisfo.
In difetto della realizzazione dei sopradescritti adempimenti da parte dell’ANAS resistente le odierne ricorrenti potranno agire – come sopra anticipato - innanzi a questo stesso giudice, a tutela della propria posizione giuridica, ai sensi e per gli effetti dell'art. 112 e ss. c.p.a., al fine di ottenere la nomina di un commissario ad acta, il quale si sostituisca negli adempimenti di competenza della predetta Amministrazione.
Il ricorso va dunque accolto nei termini sin qui esposti e con ogni conseguenza sulle spese di lite che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti e nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, dispone a carico dell’ANAS S.p.a. l’obbligo di porre in essere gli adempimenti pure in motivazione indicati, nei termini ivi fissati.
Condanna l’ANAS a rifondere le spese del presente giudizio in favore delle ricorrenti, che liquida nella misura complessiva di € 3.500,00 (tremilacinquecento/00) oltre agli accessori di legge nonchè al rimborso del contributo unificato, se versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2014 e 15 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Adriano Leo,Presidente
Alberto Di Mario,Primo Referendario
Valentina Santina Mameli,Referendario, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, (Sezione Terza), sentenza n.7 del 7 gennaio 2015, sulle occupazioni illegittime 
 
 
N. 00007/2015 REG.PROV.COLL.
 
N. 01278/2011 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
 
(Sezione Terza)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 1278 del 2011, proposto da: 
Rita Crespi, Antonietta Ferrario, Fabrizia Edoarda Erminia Muzzi, Rosalba Nicora, Marina Pietri, Vittoria Nicora, Claudia Nicora, rappresentate e difese dagli avv. Claudio Sala e Maria Sala, con domicilio eletto presso lo Studio di quest’ultima in Milano, V. Hoepli, n. 3; 
contro
ANAS S.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio eletto in Milano, via Freguglia, n. 1; 
per l'accertamento
del diritto alla restituzione delle aree interessate dai lavori di sistemazione della carreggiata stradale e del nodo Cinque Ponti lungo la S.S. n. 33 del Sempione, perché non intervenuto idoneo titolo al trasferimento della proprietà in favore dell’ANAS S.p.a. e conseguente condanna di ANAS alla restituzione
nonché
per la condanna di ANAS S.p.a. al risarcimento dei danni subiti per la temporanea non disponibilità dei beni dalla scadenza dell’occupazione legittima (16 luglio 2007) sino al termine della loro illecita occupazione e conseguente restituzione, oltre ai maggiori danni subiti;
in via subordinata,
nel caso di impossibilità della restituzione dei beni occupati,
per la condanna di ANAS al risarcimento dei danni da perdita del diritto di proprietà pari al valore venale del bene dal 20 aprile 2009, oltre i danni da occupazione illegittima dal 16 gennaio 2007 al saldo e i maggiori danni subiti;
previa declaratoria di nullità e/o annullamento, per quanto occorrer possa, del dispositivo di accessione invertita n. 49 del 20 aprile 2009 assunto da ANAS S.p.a., non notificato o comunicato, di cui le ricorrenti hanno avuto conoscenza in data 14 febbraio 2011.
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’ANAS S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2014 la dott.ssa Valentina Mameli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Con l’atto introduttivo del giudizio i ricorrenti hanno esposto di essere proprietari, dal 5 maggio 2009, di un compendio immobiliare ubicato nel Comune di Busto Arsizio, contraddistinto al catasto terreni con foglio 9 mappali 8513, 6988, e 6989 e al catasto fabbricati al foglio BU/10 mappali 12466 sub 1, 12468 sub 1 e 12467, costituito da terreni e fabbricati, per una superficie complessiva pari a mq. 19.540.
Tali aree erano precedentemente di proprietà della società Tiro a Volo, dante causa delle ricorrenti.
In data 16 gennaio 2002 l’allora Ente Nazionale per le Strade approvava il progetto relativo ai lavori di sistemazione e di adeguamento della carreggiata KM 32+300 e 35+500 – I lotto - sistemazione nodo dei Cinque Ponti lungo la SS n. 33 del Sempione, comprendente anche parte delle suddette aree.
Con decreto del 28 giugno 2002 il Prefetto di Varese autorizzava il predetto Ente ad occupare in via temporanea e d’urgenza, tra l’altro, parte delle aree contraddistinte con i mappali 6989, 6988 e 6979.
Con provvedimento del 16 ottobre 2002 veniva prorogato di cinque anni il termine per l’occupazione dei terreni, a decorrere dal 16 gennaio 2002, determinandosi quindi la relativa scadenza al 16 gennaio 2007.
In data 28 gennaio 2003 gli allora proprietari depositavano una perizia tecnico-estimativa per la determinazione dell’indennità di esproprio. Con nota del 14 maggio 2003 l’Anas li invitava a presentarsi per la sottoscrizione del verbale di cessione volontaria e l’accettazione dell’indennità.
Tuttavia, non essendo stato raggiunto alcun accordo, non si perfezionava la cessione bonaria delle aree.
Nel BURL n. 50 del 9 dicembre 2004 veniva pubblicata la determinazione dell’indennità di esproprio.
Nel febbraio 2005, a seguito di istanza di accesso agli atti, venivano comunicati alla società Tiro a Volo, per il tramite del proprio difensore, i provvedimenti della Commissione Provinciale Espropri con i quali erano state determinate le indennità di espropriazione.
Nel marzo 2005 veniva promossa opposizione alla suddetta determinazione, avanti alla competente Corte d’Appello di Milano.
Gli odierni ricorrenti, nel frattempo divenuti proprietari delle aree in questione, venivano a conoscenza solo il 14 febbraio 2011 del provvedimento dell’ANAS (subentrato all’Ente Nazionale per le Strade) n. 49 datato 20 aprile 2009, denominato “Dispositivo di accessione invertita”, con cui si dichiarava “l’avvenuta acquisizione a titolo originario dei cespiti occorrenti per i lavori di sistemazione ed adeguamento della carreggiata stradale lungo la SS n. 33 del Sempione, dando atto che le opere stradali erano state ultimate e aperte al traffico e che quindi era intervenuta l’irreversibile trasformazione delle aree e la loro destinazione all’uso pubblico quale bene patrimoniale indisponibile”. Al suddetto provvedimento era allegato l’elenco delle aree, tra le quali quelle di proprietà delle odierne ricorrenti, contraddistinte al catasto terreni al fg. 9 mapp. 39149 (ex 6989°), 34125 (ex 6988b), 35145 (ex 8513b) e 34147 (ex 8513d) della superficie complessiva di mq. 10.020.
I proprietari quindi notificavano il ricorso indicato in epigrafe, chiedendo, previa declaratoria di nullità ovvero previo annullamento del provvedimento di acquisizione per “accessione invertita”, in via principale, la condanna dell’ANAS alla restituzione, previa riduzione in pristino, delle aree interessate dai lavori di sistemazione della carreggiata stradale e del nodo Cinque Ponti lungo la S.S. n. 33 del Sempione, stante l’assenza di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, nonché il risarcimento dei danni subiti per la temporanea non disponibilità dei beni.
In via subordinata, nel caso di accertata impossibilità della restituzione dei beni occupati, formulavano domanda di risarcimento per equivalente del danno da perdita del diritto di proprietà, pari al valore venale del bene, alla data del 20 aprile 2009, oltre i danni da occupazione illegittima.
Si costituiva in giudizio l’ANAS, con memoria di mero stile, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.
Con ordinanza n. 24 dell’8 gennaio 2014 il Tar disponeva l’acquisizione di tutti gli atti del procedimento di occupazione dei beni e di quello espropriativo, nonché di una relazione contenente la ricostruzione delle fasi dei procedimenti.
L’ANAS produceva la documentazione richiesta in data 31 marzo 2014.
In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti scambiavano memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni. In punto di fatto, con memoria depositata in data 3 ottobre 2014, le ricorrenti precisavano che in data 5 febbraio 2014 avevano conseguito la corresponsione dell’indennità di occupazione legittima, (per il periodo dal 16 gennaio 2002 al 15 gennaio 2007), in forza della sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 3601 del 3 novembre 2012. La relativa indennità, pari alla somma complessiva di € 223.950,31, veniva determinata sulla base della CTU disposta in corso di causa, che determinava in € 136/mq il valore delle aree. Chiedevano pertanto che tale valore fosse posto a base della quantificazione della domanda risarcitoria, a tal fine depositando la predetta relazione peritale.
Indi all’udienza pubblica del 21 ottobre 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
I) Come emerge dall’esposizione in fatto e dalla documentazione versata agli atti del giudizio, nel procedimento espropriativo di cui è causa, l’ANAS, con provvedimento n. 49 del 20 aprile 2009, denominato “Dispositivo di accessione invertita”, sul presupposto dell’intervenuta irreversibile trasformazione del fondo, ha dichiarato “l’avvenuta acquisizione a titolo originario dei cespiti occorrenti per i lavori di sistemazione ed adeguamento della carreggiata stradale lungo la SS n. 33 del Sempione”, facendo applicazione dell’istituto, di origine pretoria, della c.d. accessione invertita.
In relazione a tale provvedimento tanto la parte ricorrente quanto la resistente ANAS convengono circa l’inammissibilità nel nostro ordinamento della c.d. accessione invertita al fine del prodursi dell’effetto traslativo della proprietà del bene in capo alla pubblica amministrazione espropriante.
Il Collegio, in proposito, rileva che il richiamato provvedimento – assunto in data 20 aprile 2009 – è stato adottato sotto la vigenza dell'art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, dichiarato, successivamente, costituzionalmente illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale 8 ottobre 2010, n. 293.
Tuttavia nel provvedimento del 20 aprile 2009 l’ANAS non fa menzione dell’art. 43. Né è possibile qualificare, nella sostanza, tale atto come equivalente, nei presupposti, a quello previsto dalla norma richiamata, non recando alcuna valutazione degli interessi in conflitto, né determinando il risarcimento del danno nella misura prevista dalla disposizione.
Nel provvedimento stesso l’Amministrazione si limita a dare atto:
- della scadenza dei termini di occupazione temporanea nonché dei termini di inizio e fine delle espropriazioni indicati nella dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori, senza che sia stata conclusa la procedura con un formale provvedimento di esproprio;
- della compiuta realizzazione delle opere stradali e della loro apertura al traffico, essendosi quindi determinata la radicale trasformazione del fondo e la relativa irreversibile destinazione all’uso pubblico,
concludendo che tali circostanze hanno “determinato per il proprietario la perdita del proprio diritto e l’acquisizione del bene, a titolo originario, in favore dell’Amministrazione espropriante (ANAS S.p.a.); (Accessione invertita – Corte di Cassazione Sezioni Unite sentenza n. 1464 del 16.02.83”.
Tale atto ha dunque natura meramente dichiarativa, assumendo la “avvenuta” acquisizione a titolo originario dei beni sulla base della mera evidenza di fatto dell’irreversibile trasformazione del fondo, per la compiuta esecuzione dell’opera da parte dell’Amministrazione, e del suo asservimento alla fruizione pubblica.
Ora, secondo un ormai consolidato approdo giurisprudenziale, in assenza di un provvedimento di esproprio assunto entro i termini previsti dalla legge, la presenza di un'opera pubblica sull'area illegittimamente occupata costituisce in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo di acquisto, e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà (TAR Latina 4 luglio 2014 n. 531; TAR Toscana, sez. I, 20 dicembre 2012 n. 2052; TAR Liguria, sez. I, 14 dicembre 2012 n. 1653; TAR Lazio, sez. II, 6 novembre 2012 n. 9052; Cons. St., sez. IV, 3 ottobre 2012 n. 5189).
Il superamento, nel nostro ordinamento, dell'istituto dell'occupazione acquisitiva è stata fatta propria anche dalla Corte di cassazione, cui è dovuta, in massima parte, l'elaborazione giurisprudenziale dello stesso istituto, che nella sentenza 28 gennaio 2013 n. 1804 ha richiamato le pronunce con la quale la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha censurato le forme di "espropriazione indiretta" elaborate nell'ordinamento italiano, configurandole come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto fondamentale dell'uomo, garantito dall'art. 1 del Protocollo addizionale n. 11 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e sottolineando che mai l'acquisizione del diritto di proprietà possa conseguire a un illecito.
In tale prospettiva nessuna rilevanza può assumere il mero dato fattuale dell'intervenuta realizzazione di un'opera pubblica sul terreno interessato (sentenze CEDU Carbonara e Ventura c. Italia, 30 maggio 2000; Scordino c. Italia, 15 e 29 luglio 2004; Acciardi c. Italia, 19 maggio 2005; De Angelis c. Italia, 21 dicembre 2006; Pasculli c. Italia, 4 dicembre 2007), in quanto il requisito della legalità non permette "in generale all'amministrazione di occupare un terreno e di trasformarlo irreversibilmente,di tal maniera da considerarlo acquisito al patrimonio pubblico, senza che contestualmente un provvedimento formale che dichiari il trasferimento di proprietà sia stato emanato" (Cfr. CEDU 17 maggio 2005, Pasculli; 19 maggio 2005, Acciardi e Campagna; 11 ottobre 2005, La Rosa; 11 ottobre 2005, Chirò; 12 ottobre 2005, Scordino; 13 ottobre 2005, Serrao; 7 novembre 2005, Istituto diocesano; 12 gennaio 2006, Sciarrotta; 23 febbraio 2006, Cerro S.A.S.; 20 aprile 2006, De Sciscio; 8 gennaio 2009, Sotira).
In adesione all’orientamento sopra ricordato, il provvedimento assunto dall’ANAS denominato “dispositivo di accessione invertita”, poggiando su un istituto ormai espunto dal nostro ordinamento, deve ritenersi inefficace ai fini del determinarsi dell’effetto traslativo.
Va dunque escluso che, per effetto del suddetto provvedimento, si sia determinato un acquisto a titolo originario delle aree da parte dell’amministrazione in virtù della radicale e definitiva trasformazione del suolo, conseguente alla sua occupazione e alla realizzazione dell’opera pubblica, ostando a tale conclusione il primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, recepiti dall’ordinamento interno.
II) Ne discendono due evidenti conseguenze: da un lato non può ritenersi estinto il diritto di proprietà del suolo in capo alle ricorrenti, dall’altro le aree, di proprietà dei privati, sono occupate sine titulo dall’Amministrazione.
Ciò rilevato, la Pubblica Amministrazione ha l'obbligo di far venir meno l'occupazione illecita e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto.
Secondo la maggioritaria giurisprudenza formatasi sull’argomento (ex plurimis Tar Reggio Calabria 20 novembre 2014 n. 719 e 17 giugno 2014 n. 265; Cons. Stato sez. VI 10 maggio 2013 n. 2559; sez. IV 29 agosto 2012, n. 4650 e 27 gennaio 2012, n. 427), in caso di illegittima ablazione di un immobile per effetto di un procedimento espropriativo non conclusosi con un regolare e tempestivo decreto di esproprio, sorge l’obbligo per l’Amministrazione di sanare la situazione di illecito venutasi a creare, dovendo scegliere, a tal fine ed alternativamente tra:
- la restituzione dei terreni (con la corresponsione del risarcimento per il periodo di illegittima occupazione), ovvero
- l’adozione del decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis del DPR 327/01 (corrispondendo il relativo risarcimento secondo i parametri ivi disciplinati).
Deve darsi conto infatti che, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 43 del DPR 327/2001 (cfr. Corte Cost. n. 293/2010), il legislatore, con l'art. 34, comma 1, del decreto legge 98 del 2011, convertito in legge 111 del 2011, ha introdotto, nel TU espropriazioni, l’art. 42 bis, disciplinante l'istituto dell'acquisizione coattiva dell'immobile del privato utilizzato senza titolo dall'Amministrazione per fini di interesse pubblico, potendosi così acquisire al patrimonio indisponibile il bene del privato allorché la sua utilizzazione risponda a "scopi di interesse pubblico", nonostante difetti un valido ed efficace provvedimento di esproprio. L'obbligo motivazionale, ai sensi del comma 4, impone di dare conto dell'assenza di ragionevoli alternative alla adozione del nuovo provvedimento.
Nell’odierno giudizio, la fattispecie all’esame del Collegio è caratterizzata da una vicenda espropriativa che ha riguardato sia terreni sia un fabbricato, questi’ultimo demolito e quindi definitivamente soppresso nella sua entità fisica.
Ne deriva che, mentre per il fabbricato sussistono i presupposti per condannare l’Ente al risarcimento della perdita del diritto di proprietà, posto che non vi sono più entità fisiche da restituire o per le quali emanare un decreto di acquisizione sanante, per i terreni è necessario disporre che l’Amministrazione provveda, entro i termini e con le modalità meglio oltre indicate, a statuire circa la restituzione dei cespiti o la loro acquisizione al patrimonio.
Quanto alla restituzione dei terreni l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, peraltro in termini dubitativi (si veda pag. 2 della memoria depositata in data 26 settembre 2014), ha dedotto che la restituzione delle aree potrebbe essere negata alla stregua del combinato disposto di cui agli artt. 2933 comma 2 e 2058 comma 2 cod.civ.
L’eccezione non può essere condivisa.
Innanzi tutto deve rilevarsi che le due disposizioni operano in ambiti di disciplina profondamente differenti: l’art. 2933 cod.civ. riguarda l’esecuzione coattiva degli obblighi di non fare, prevedendo che l’avente diritto possa ottenere che venga distrutto ciò che è stato fatto in violazione dell’obbligo; l’art. 2058 cod.civ. disciplina il risarcimento in forma specifica.
Ora, nel presente giudizio la domanda, formulata in via principale, di restituzione dei terreni illegittimamente occupati e trasformati dalla pubblica amministrazione, ha natura non già risarcitoria, bensì recuperatoria o reipersecutoria, non assumendo alcuna rilevanza l’elemento soggettivo della colpa, profilo che, invece, sarebbe imprescindibile ai fini dell’integrazione della fattispecie illecita. Il che porta ad escludere la possibilità, anche astratta, di applicazione dell’art. 2058 comma 2 cod. civ. (T.A.R. Cagliari sez. II 11 gennaio 2014 n. 15; T.A.R. Torino sez. I 10 gennaio 2014 n. 43; Cass. Sez. I 23 agosto 2012 n. 14609).
Ugualmente non applicabile risulta essere la disciplina di cui all’art. 2933 cod. civ. che postula una violazione degli “obblighi di non fare”. Nel caso di specie la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 2933 non sarebbe in grado di “paralizzare” l’azione restitutoria, ma semmai la riduzione in pristino stato delle aree.
In ogni caso, poi, il disposto di cui al secondo comma (laddove impedisce l’ordine di distruzione della cosa se la stessa è di pregiudizio all’economia nazionale) è norma da interpretare in modo rigorosamente restrittivo, riferendosi alle cose insostituibili ovvero di eccezionale importanza per l'economia nazionale, con conseguente inapplicablità qualora il pregiudizio riguardi interessi individuali e locali (Cass. Sez. I 23 agosto 2012 n. 14609; Sez. II 17 febbraio 2004, n. 3004 e 25 maggio 2012, n. 8358), come deve ritenersi nel caso di specie, tenuto conto che il “pregiudizio all’economia nazionale” non coincide con l’interesse pubblico alla realizzazione di una qualunque opera a servizio della collettività. V’è da aggiungere che la prova di tale pregiudizio incombe sull'amministrazione resistente, che, nella specie, non ha addotto alcun elemento utile.
III) Riassumendo, tenuto conto di quanto fin’ora esposto, deve disporsi la condanna dell’ANAS alla restituzione dei terreni di proprietà delle ricorrenti (salvo il risarcimento del danno da perdita di proprietà del fabbricato demolito), fatto salvo il potere dell’Amministrazione di acquisire i terreni stessi al proprio patrimonio attraverso l’adozione del provvedimento previsto dall’art. 42 bis TU espropriazioni, il quale fonda un potere autonomo e originario della p.a. suscettibile di essere esercitato indipendentemente da pendenze e statuizioni giurisdizionali esistenti tra le parti (Cons. Stato sez. IV 25 giugno 2013 n. 3449), che si articola in un procedimento avente peculiari ed autonomi presupposti e con un’efficacia pro futuro.
Va in ogni caso precisato che non risulta esclusa dall'ordinamento la possibilità per le parti di accordarsi per una cessione bonaria dell'immobile alla pubblica amministrazione con contestuale accordo per il ristoro dei danni derivanti dall'occupazione illegittima subita.
IV) Sia in caso di restituzione dei terreni sia nell’ipotesi di adozione del provvedimento ai sensi dell’art. 42 bis citato, il Collegio ritiene che i parametri di riferimento dei relativi valori di risarcimento (per l’illegittima occupazione nel primo caso ovvero per la monetizzazione del diritto di proprietà) debbano essere quelli accertati dalla CTU espletata nel corso del giudizio avanti la Corte d’Appello di Milano (e conclusosi con la sentenza n. 3601 del 3 novembre 2012). Tale CTU è stata depositata agli atti del presente giudizio dalla parte ricorrente e non è stata contestata, neppure in questa sede, dall’Amministrazione resistente, ai fini di cui all’art. 64 comma 2 c.p.a.
La relazione peritale e le relative conclusioni sono riferite alla medesima situazione di fatto tra le stesse parti, risultando quindi superfluo e, comunque, diseconomico e ingiustificatamente dilatorio disporre una nuova CTU.
Pertanto, l’ANAS va condannata a rinnovare, entro giorni 60 (sessanta) dalla notificazione della presente sentenza a cura della parte ricorrente, la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione del fondo per cui è causa.
In esito a siffatta rinnovata valutazione, l’Amministrazione dovrà adottare – entro l’ulteriore termine di giorni 30 (trenta) – un provvedimento con il quale dispone, alternativamente, che il bene:
a) venga acquisito non retroattivamente al patrimonio indisponibile comunale.
In tal caso il provvedimento di acquisizione:
- dovrà specificare l’attualità e la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione dei beni per cui è causa, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati nonchè evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione;
- dovrà prevedere che, entro il termine di 60 (sessanta) giorni, ai proprietari sia corrisposto il valore venale del bene, nei termini accertati dal CTU nel presente giudizio alla data della domanda (28 aprile 2011), nonché un indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale, forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del medesimo valore venale;
- dovrà essere tempestivamente notificato ai proprietari e comporterà il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’art. 20, comma 14, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327;
- sarà soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente;
- sarà trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’art. 14, comma 2, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327;
- sarà comunicato, entro trenta giorni, alla Corte dei Conti, mediante trasmissione di copia integrale;
b) sia restituito ai legittimi proprietari, previo ripristino dello stato di fatto esistente al momento dell’apprensione (ad eccezione degli immobili ivi esistenti il cui valore sarà invece risarcito come indicato successivamente), entro i successivi 90 (novanta) giorni.
Resta inteso che i termini sopra indicati, in quanto disposti nell’interesse dei ricorrenti, potranno essere aumentati su autorizzazione scritta da parte di questi ultimi e che tutte le questioni che dovessero insorgere nella fase di conformazione alla presente decisione potranno formare oggetto di incidente di esecuzione e risolte, se del caso, tramite commissario ad acta.
Sia nel caso a), che nel caso b), il provvedimento da emanarsi dovrà contenere la liquidazione, in favore dei ricorrenti, di una somma in denaro a titolo risarcitorio, pari all’applicazione del saggio di interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dell’intero bene occupato, come accertato (sia nel valore al m/q sia quanto all’estensione della superficie occupata) dal CTU nella relazione depositata nel presente giudizio in riferimento alla data di scadenza del periodo di occupazione legittima (16 gennaio 2007) e per tutto il periodo di occupazione illegittima, previa necessaria rivalutazione della somma, e terminerà solo con l’acquisizione della proprietà da parte dell’ANAS ovvero con la riconsegna del bene.
Quanto al fabbricato demolito, l’ANAS va condannata al risarcimento del danno da liquidarsi secondo il valore stimato dalla CTU resa nel giudizio avanti la Corte d’Appello di Milano, per le ragioni sopra esposte, quantificato in complessivi € 110.000,00 oltre interessi e rivalutazione sino al soddisfo.
In difetto della realizzazione dei sopradescritti adempimenti da parte dell’ANAS resistente le odierne ricorrenti potranno agire – come sopra anticipato - innanzi a questo stesso giudice, a tutela della propria posizione giuridica, ai sensi e per gli effetti dell'art. 112 e ss. c.p.a., al fine di ottenere la nomina di un commissario ad acta, il quale si sostituisca negli adempimenti di competenza della predetta Amministrazione.
Il ricorso va dunque accolto nei termini sin qui esposti e con ogni conseguenza sulle spese di lite che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti e nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, dispone a carico dell’ANAS S.p.a. l’obbligo di porre in essere gli adempimenti pure in motivazione indicati, nei termini ivi fissati.
Condanna l’ANAS a rifondere le spese del presente giudizio in favore delle ricorrenti, che liquida nella misura complessiva di € 3.500,00 (tremilacinquecento/00) oltre agli accessori di legge nonchè al rimborso del contributo unificato, se versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2014 e 15 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Adriano Leo,Presidente
Alberto Di Mario,Primo Referendario
Valentina Santina Mameli,Referendario, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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