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REITERAZIONE VINCOLI ESPROPRIATIVI IN EMILIA ROMAGNA

Pubblico
Mercoledì, 15 Marzo, 2017 - 12:02

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n.297 del 9 gennaio 2017, sulla reiterazione dei vincoli espropriativi 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sui seguenti ricorsi in appello:
1) nr. 3115 del 2016, proposto dalla PROVINCIA DI REGGIO EMILIA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesca Preite e Claudio Macioci, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Tacito, 23, 
contro
- i COMUNI DI NOVELLARA e CAMPAGNOLA EMILIA, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, non costituiti in giudizio; 
- la REGIONE EMILIA-ROMAGNA, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio; 
nei confronti di
- omissis in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Salvatore Alberto Romano ed Elena Pontiroli, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale XXI Aprile, 11; 
- omissis rappresentati e difesi dall’avv. Giovan Ludovico Della Fontana, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; 
 
 
 
2) nr. 3148 del 2016, proposto dal COMUNE DI NOVELLARA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Maria Salvatore Drogo, domiciliato ex art. 25 cod. proc. amm. presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13,
contro
i signori omissis rappresentati e difesi dall’avv. Giovan Ludovico Della Fontana, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2, 
nei confronti di
- PROVINCIA DI REGGIO EMILIA, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio; 
- COMUNE DI CAMPAGNOLA EMILIA, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; 
- REGIONE EMILIA-ROMAGNA, in persona del Presidente pro tempore, non costituito in giudizio; 
- INIZIATIVE AMBIENTALI S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Elena Pontiroli e Salvatore Alberto Romano, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale XXI Aprile, 11;
entrambi per l’annullamento e/o la riforma,
previa sospensione dell’esecuzione,
della sentenza del T.A.R. dell’Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, nr. 63/2016, depositata il 29 febbraio 2016, resa tra le parti e notificata al Comune di Novellara in data 10 marzo 2016 ed alla Provincia di Reggio Emilia in data 11 marzo 2016.
 
 
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di omissis
Viste le memorie prodotte da omissis 
Visti tutti gli atti della causa;
 
 
FATTO
I – La Provincia di Reggio Emilia ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale la Sezione di Parma del T.A.R. dell’Emilia-Romagna, decidendo sul ricorso proposto dai OMISSIS dichiarato la cessazione della materia del contendere per il ricorso introduttivo e accolto i motivi aggiunti, per l’effetto annullando gli atti con i quali il Consiglio Comunale di Novellara ha adottato e approvato il P.O.C. stralcio Tangenziale, finalizzato alla realizzazione del secondo e ultimo stralcio della Tangenziale Nord.
L’appello è affidato ai seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 25 e 43 cod. proc. amm. e 170 cod. proc. civ.; motivazione erronea e contraddittoria (in relazione alla reiezione dell’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti per nullità e inesistenza della notifica alla Provincia di Reggio Emilia);
2) violazione e falsa applicazione degli artt. 13, comma 3, e 26, comma 3, della legge regionale 19 dicembre 2002, nr. 37; motivazione erronea e contraddittoria; violazione dell’art. 39, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327 (in relazione alla ritenuta applicabilità alla presente fattispecie del divieto di reiterazione di vincoli espropriativi per più di una volta, di cui alle citate disposizioni regionali).
Si sono costituiti gli originari ricorrenti, i quali, oltre a opporsi all’accoglimento dell’appello, hanno riproposto come segue i motivi di primo grado rimasti assorbiti nella sentenza impugnata:
i) violazione dei principi in materia di reiterazione dei vincoli espropriativi e dell’art. 13 della l.r. nr. 37 del 2002; eccesso di potere per difetto o insufficienza della motivazione e di attività istruttoria; travisamento ed errore sui presupposti (in relazione alla carente o insufficiente motivazione addotta a sostegno della reiterazione del vincolo espropriativo sulla proprietà degli odierni appellati);
ii) violazione dell’art. 12 della l.r. 24 marzo 2000, nr. 20; violazione dell’art. 20 del decreto legislativo 12 aprile 2006, nr. 163; violazione del principio di necessaria conformità del progetto definitivo dell’opera pubblica ai vincoli storico-artistici, architettonici ed ambientali (stante la pendenza di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto avverso il decreto con cui l’autorità preposta al vincolo storico-artistico ha espresso parere favorevole all’intervento per cui è causa).
Si è altresì costituita la OMISSIS, affidataria della progettazione e realizzazione della Tangenziale di Novellara sulla base di accordo a suo tempo intervenuto col Comune e con la Provincia di Reggio Emilia, la quale, oltre a opporsi con diffuse argomentazioni all’accoglimento del gravame avverso, ha evidenziato la novità costituita dal sopravvenire dell’art. 30 della l.r. 30 maggio 2016, nr. 9, il quale avrebbe interpretato il divieto di reiterazione di vincoli espropriativi di cui al già citato art. 13, comma 3, della l.r. nr. 37/2002 in senso non ostativo alla realizzazione dell’intervento per cui è causa.
II – La medesima sentenza del T.A.R. dell’Emilia-Romagna forma oggetto di separato appello col quale il Comune di Novellara ne ha chiesto l’annullamento o la riforma, previa sospensione dell’esecuzione, sulla base dei seguenti motivi:
a) inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti di primo grado per mancata notifica dell’impugnazione alla Provincia di Reggio Emilia presso il domicilio dell’Ente costituito ex art. 43 cod. proc. amm.;
b) nullità della sentenza per mancanza del contraddittorio ex artt. 43, 49 e 105 cod. proc. amm. (stante la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Amministrazione provinciale);
c) erroneità della sentenza nel merito, per non corretta applicazione dell’art. 13, comma 3, della l.r. nr. 37/2002;
d) nullità della sentenza per contrasto con il giudicato della sentenza del T.A.R. di Parma nr. 692/2009 (in relazione alla ritenuta natura retroattiva del divieto introdotto dal citato art. 13, comma 3, l.r. nr. 37/2002);
e) inammissibilità del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti per mancata instaurazione del contraddittorio rispetto al signor OMISSIS ricorrente nel procedimento di appello definito con la sentenza del Consiglio di Stato nr. 3214/2014;
f) inammissibilità del ricorso per ottemperanza, del ricorso in riassunzione e del ricorso per motivi aggiunti per mancata produzione dell’autorizzazione a effettuare le notifiche in proprio da parte del difensore dei ricorrenti in prime cure;
g) erronea reiezione delle ulteriori eccezioni di inammissibilità dei motivi aggiunti formulate dal Comune di Novellara (con specifico riferimento all’eccezione di tardività dell’impugnazione della deliberazione nr. 26 del 29 aprile 2015).
Anche in questo giudizio si sono costituiti gli originari ricorrenti, riproponendo ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm. le censure di primo grado assorbite, negli stessi identici termini di cui al giudizio nr. 3115 del 2016.
Si è altresì costituita OMISSIS, svolgendo deduzioni sovrapponibili a quelle articolate nel primo giudizio.
III – Alla camera di consiglio del 23 giugno 2016, fissata per l’esame delle domande incidentali di sospensiva, questo è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.
IV – Di poi, tutte le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore sviluppo delle rispettive tesi, argomentando anche in relazione all’incidenza sulla causa del sopravvenuto art. 30 della l.r. nr. 9 del 2016.
V – All’udienza del 15 dicembre 2016, entrambe le cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
1. Il presente giudizio concerne la realizzazione della Tangenziale Nord di Novellara, opera pubblica la cui realizzazione è stata prevista in un accordo di programma stipulato nel 2003 tra la Provincia di Reggio Emilia e i Comuni di Novellara e Campagnola Emilia (e successivamente integrato da atti aggiuntivi nel 2007 e nel 2013) al fine di risolvere i problemi di viabilità e congestione che affliggevano l’abitato di Novellara, nel quale confluivano quattro direttrici del traffico stradale.
Il progetto preliminare dell’opera, già approvato “in linea tecnica” da entrambi i Comuni interessati, è stato ritualmente approvato dall’Amministrazione di Novellara con delibera di G.M. nr. 83 del 28 ottobre 2003; in sede di successiva approvazione del progetto definitivo, sempre “in linea tecnica”, con delibera di G.M. nr. 77 del 13 luglio 2005, si è ritenuto poi di suddividere l’opera in tre stralci esecutivi, al fine di avviare immediatamente i lavori per il primo e il terzo stralcio, nelle more dell’adeguamento alle prescrizioni imposte dalla Soprintendenza ai Beni Culturali alla parte relativa al secondo stralcio (quella in concreto destinata a evitare l’attraversamento del centro abitato).
Con deliberazione del Consiglio Comunale nr. 45 del 28 luglio 2005, è stato adottato il Piano operativo comunale (P.O.C.) – primo stralcio, con apposizione dei vincoli destinati all’esproprio sulle aree interessate; il P.O.C. è stato poi definitivamente approvato con la deliberazione consiliare nr. 31 del 27 aprile 2006.
Tali ultimi provvedimenti sono stati impugnati in sede giurisdizionale dalla signora OMISSIS, in qualità di proprietaria di uno dei suoli interessati dall’intervento, unitamente ad altro proprietario interessato (signor OMISSIS), con ricorso successivamente integrato da motivi aggiunti.
Peraltro, nelle more del giudizio così instaurato, il primo e il terzo stralcio della Tangenziale sono stati ultimati e aperti al traffico.
2. La Sezione staccata di Parma del T.A.R. dell’Emilia-Romagna, decidendo sull’impugnazione, ha respinto il ricorso introduttivo e dichiarato in parte inammissibili e in parte infondati i motivi aggiunti (sent. nr. 692 del 26 ottobre 2009).
3. Proposto appello avverso tale decisione, questa Sezione la ha riformata annullando le deliberazioni di adozione e approvazione del P.O.C. nonché gli atti di approvazione del progetto definitivo del secondo stralcio medio tempore intervenuti a seguito del mutato avviso della Soprintendenza (sent. nr. 3214 del 25 giugno 2014).
4. A seguito di ricorso per l’ottemperanza al giudicato proposto dalla OMISSIS  (questi ultimi in qualità di aventi causa di parte dei suoli interessati) per la declaratoria di nullità di ulteriori atti posti in essere dall’Amministrazione, la Sezione ha altresì in parte dichiarato cessata la materia del contendere, essendo stati i predetti atti già rimossi spontaneamente dallo stesso Comune, e in parte dichiarato inammissibile la domanda attorea, previa conversione dell’azione di nullità in ordinaria azione di annullamento (sent. nr. 1892 del 14 aprile 2015).
5. Riassunta la causa dinanzi al primo giudice, questo – per quanto qui rileva – ha accolto la nuova impugnazione e annullato le sopravvenute delibere consiliari nr. 87 delll’11 dicembre 2014 e nr. 26 del 29 aprile 2015, recanti rispettivamente nuova adozione e approvazione del P.O.C.
La ragione dell’illegittimità di tali nuovi provvedimenti, secondo il T.A.R., riposa nella violazione dell’art. 13, comma 3, della legge regionale dell’Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, nr. 37, il quale, occupandosi dei vincoli preordinati all’esproprio, statuisce che “il vincolo decaduto può essere motivatamente reiterato, per una sola volta”.
Infatti, secondo il primo giudice con le delibere impugnate in prime cure si era provveduto a reiterare sulle aree interessate dalle opere stradali un vincolo impresso dal P.R.G. del 1989 e già reiterato dalla successiva variante del 1996.
6. Avverso tale sentenza hanno proposto appello, sulla base di motivi sostanzialmente sovrapponibili, la Provincia di Reggio Emilia e il Comune di Novellara.
7. Tutto ciò premesso, va innanzi tutto disposta la riunione degli appelli in epigrafe, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. amm., avendo essi a oggetto la medesima sentenza.
8. Di poi, alla stregua di quanto sopra esposto occorre porsi la questione dell’incidenza sul presente giudizio della sopravvenuta disposizione contenuta nell’art. 30 della l.r. 30 maggio 2016, nr. 9 (rubricato “Norma di interpretazione autentica dell’articolo 13, comma 3, della legge regionale n. 37 del 2002”), il quale così dispone: “…Il comma 3 dell’articolo 13 della legge regionale 19 dicembre 2002, n. 37 (Disposizioni regionali in materia di espropri) si interpreta nel senso che, fermo restando l’obbligo di puntuale motivazione, nonché della corresponsione al proprietario dell’indennità di cui all’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità. (Testo A)), il divieto di reiterare più di una volta il vincolo espropriativo decaduto non trova applicazione per il completamento di opere pubbliche o di interesse pubblico lineari la cui progettazione preveda la realizzazione per lotti o stralci funzionali, secondo la normativa vigente”.
Secondo le parti odierne appellanti, la disposizione testé riformata dimostrerebbe ex post l’infondatezza del ricorso di primo grado, rendendo chiara l’inapplicabilità del divieto di plurima reiterazione dei vincoli alle opere pubbliche da realizzarsi secondo lotti o stralci, con l’effetto di imporre l’accoglimento degli appelli.
9. La Sezione è però dell’avviso che la detta disposizione palesi aspetti di incostituzionalità tali da indurre a sollevare avverso di essa questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, nr. 87.
Prima però di esporre le ragioni che inducono a dubitare della legittimità costituzionale della norma, occorre soffermarsi sul presupposto processuale della rilevanza della questione nel presente giudizio: infatti l’applicazione della norma de qua alla causa che occupa, con gli effetti auspicati dalle parti appellanti di cui si è detto, presuppone innanzi tutto il superamento di una serie di questioni di rito sollevate con alcuni dei motivi d’impugnazione, sui quali il Collegio ritiene di doversi prioritariamente pronunciare.
9.1. In particolare, con il primo motivo di entrambi gli appelli viene eccepita – per la prima volta nel presente grado di appello – la nullità o l’inesistenza della notifica dei motivi aggiunti di primo grado, per essere stati questi notificati al domicilio reale della Provincia di Reggio Emilia anziché al domicilio risultante dalla costituzione in giudizio (da individuarsi peraltro nella Segreteria del T.A.R. adìto ai sensi dell’art. 25, comma 1, lettera a), cod. proc. amm., non avendo l’Amministrazione provinciale eletto ritualmente domicilio all’atto della propria costituzione).
Il motivo va disatteso, dovendo condividersi il diffuso indirizzo di merito per cui, pur ribadendosi la necessità che la notifica dei motivi aggiunti avvenga al domicilio eletto ai sensi dell’art. 170 cod. proc. civ., può ritenersi ammissibile anche la notifica effettuata al domicilio reale, quando questa abbia raggiunto lo scopo e il contraddittorio sia stato di fatto instaurato.
È quanto avvenuto nel caso che qui occupa, laddove l’Amministrazione provinciale non solo si è regolarmente costituita in primo grado, ma neanche ha eccepito alcunché in ordine alla regolarità della notifica, sollevando la relativa eccezione – come detto – solo nel presente grado di appello.
9.2. I rilievi che precedono palesano altresì l’infondatezza del secondo motivo dell’appello del Comune di Novellara, con il quale si lamenta la mancata integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 49 cod. proc. amm. nei confronti della Provincia.
Infatti è evidente che, una volta ritualmente costituitasi l’Amministrazione provinciale, non vi era più alcuna necessità di un ordine di integrazione del contraddittorio da parte del giudice.
9.3. Infondato è anche il quarto motivo d’appello del Comune, col quale si lamenta l’inammissibilità del ricorso di primo grado per violazione del principio ne bis in idem, atteso che alcune delle questioni controverse (segnatamente, quelle relative alla possibilità di tener conto, ai fini dell’applicazione della norma regionale, anche dei vincoli imposti e reiterati anteriormente alla sua entrata in vigore) sarebbero coperte da giudicato riveniente dalla precedente sentenza del T.A.R. di Parma nr. 692 del 2009, in parti non specificamente censurate nell’appello poi accolto dal Consiglio di Stato.
A evidenziare l’inconsistenza del rilievo, basti osservare che la ricordata sentenza nr. 692 del 2009 è stata integralmente riformata da questa Sezione con la già richiamata sentenza nr. 3214 del 2014, di tal che non può predicarsi l’esistenza di alcun ipotetico giudicato formatosi su di essa o su sue parti.
9.4. Col proprio quinto mezzo, il Comune assume l’illegittimità del ricorso di prime cure in quanto non notificato al signor Valseno Bartoli, che era stato ricorrente unitamente alla sig.ra Davoli nell’originario giudizio definito con la sentenza di questa Sezione nr. 3214 del 2014.
Il motivo è manifestamente infondato, dovendo osservarsi che, dopo la sentenza da ultimo citata, ad attivarsi per l’ottemperanza del giudicato fu la sola sig.ra Davoli (e non anche l’altro originario ricorrente), cui si affiancarono i suoi aventi causa signori Spaggiari: di modo che può escludersi che alla stessa incombesse l’onere di notificare l’azione, ai sensi dell’art. 114 cod. proc. amm., anche all’altro ricorrente vittorioso, il quale era titolare di un interesse comune a quello da lei azionato.
In ogni caso, anche a voler dare una lettura rigorosa del precitato art. 114 cod. proc. amm., laddove statuisce che il ricorso per l’ottemperanza va notificato a tutte le parti del giudizio a quo, la questione avrebbe dovuto essere sollevata nell’originaria sede dell’ottemperanza, e non può certamente essere riproposta dopo la conversione dell’azione in ordinaria azione di annullamento (in relazione alla quale, come è evidente, non può predicarsi alcun onere di evocazione in giudizio di cointeressati).
9.5. Col sesto mezzo del proprio appello, il Comune di Novellara lamenta la mancata produzione dell’autorizzazione del Consiglio dell’Ordine a eseguire la notifica personalmente da parte del procuratore dei ricorrenti in prime cure.
Al riguardo, va innanzi tutto richiamato l’indirizzo giurisprudenziale per cui la nullità della notifica riveniente dalla carenza della predetta autorizzazione è in ogni caso sanata dalla tempestiva costituzione in giudizio delle parti intimate (cfr. Cass. civ., sez. trib., 19 febbraio 2014, nr. 3934).
Ciò premesso, è a dirsi che le parti intimate nel predetto modo irrituale e che non risultano essersi costituite nel giudizio di primo grado non possono qualificarsi come parti necessarie del giudizio, dovendo ritenersi che la loro evocazione sia avvenuta solo per tralaticia riproduzione delle notifiche effettuate nei pregressi giudizi intervenuti inter partes, e che pertanto l’eventuale vizio della notificazione non abbia cagionato alcuna lesione del contraddittorio processuale.
In particolare:
- quanto alla Regione Emilia-Romagna, questa risulta evocata verosimilmente perché parte del precedente giudizio definito con la più volte citata sentenza nr. 3214 del 2014, ma è pacifico e incontestato che nel presente giudizio non risulti censurato alcun atto regionale;
- analoghi rilievi valgono per il Comune di Campagnola Emilia, il cui unico ruolo nella vicenda di che trattasi è stato quello di co-firmatario dell’originario accordo di programma inteso alla realizzazione della Tangenziale Nord (ciò che, al più, ne farebbe un cointeressato rispetto alle ragioni delle parti odierne appellanti);
- infine, quanto alla posizione di Iniziative Ambientali S.r.l., che risulta costituita solo nel presente grado di appello, pur essendo la stessa espressamente qualificata come “controinteressata” nella originaria sentenza del T.A.R. di Parma nr. 692 del 2009, in realtà deve escludersi che rivestisse tale qualità, dovendo al riguardo richiamarsi condivisibile giurisprudenza di merito secondo cui nei giudizi in materia di espropriazione e occupazione d’urgenza non sono configurabili controinteressati diversi dai soggetti a diretto beneficio dei quali viene disposta l’espropriazione o l’occupazione, e la posizione dei soggetti incaricati della progettazione dell’opera può venire in rilievo unicamente rispetto ai provvedimenti di conferimento dell’incarico professionale, e non anche rispetto ad altri atti del procedimento direttamente e immediatamente lesivi della posizione giuridica dei ricorrenti, quali l’approvazione del progetto e l’attivazione della procedura espropriativa.
Di conseguenza, la costituzione di Iniziative Ambientali S.r.l. nel presente grado del giudizio va più che altro qualificata come atto di intervento legittimato da interesse indiretto e di mero fatto, ai sensi dell’art. 97 cod. proc. amm.
9.6. Infine, va respinto l’ultimo motivo di appello del Comune, col quale sono reiterate le eccezioni di tardività del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado.
Sul punto, vanno integralmente condivisi i rilievi del primo giudice, e in particolare quello relativo all’essere i motivi aggiunti dotati di tutti i requisiti formali e sostanziali per l’eventuale conversione in ricorso autonomo (sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 giugno 2013, nr. 3071; id., 17 agosto 2011, nr. 4792): questione sulla quale, per vero, l’Amministrazione appellante non svolge alcuna osservazione.
Inoltre, stante l’evidente autonomia degli atti impugnati con i motivi aggiunti di primo grado rispetto alla delibera gravata col ricorso introduttivo (e in relazione alla quale il T.A.R. ha dichiarato cessata la materia del contendere, essendo stato tale atto spontaneamente ritirato dalla stessa Amministrazione), un’eventuale inammissibilità dell’impugnazione originaria non sarebbe stata in ogni caso suscettibile di spiegare effetto caducante sui successivi motivi aggiunti.
10. Lo scrutinio di rilevanza della questione di legittimità costituzionale del precitato art. 30, l.r. nr. 9/2016 presuppone, inoltre, l’esame delle osservazioni formulate al riguardo dagli originari ricorrenti, odierni appellati; questi ultimi infatti, prima ancora di denunciare l’incostituzionalità della sopravvenuta disposizione regionale, ne assumono l’inapplicabilità alla presente controversia sulla base di un duplice ordine di motivi:
a) perché essa è specificamente riferita alle opere pubbliche suddivise in lotti o stralci sulla base della “progettazione”, mentre nel caso che qui occupa la suddivisione del tracciato in tre stralci è stata stabilita dal P.O.C., come già esposto;
b) perché, in ogni caso, nella specie non si tratterebbe di “lotti o stralci funzionali, secondo la normativa vigente”, essendo stata la suddivisione imposta da ragioni pratiche e contingenti, con la conseguente creazione di stralci privi di autonomia funzionale rispetto a un’opera che era stata concepita e avrebbe dovuto essere realizzata come unitaria.
10.1. Il primo rilievo non trova conferma nella documentazione in atti, dalla quale emerge che il progetto definitivo della Tangenziale Nord, con la previsione della sua suddivisione in stralci funzionali, fu approvato con la delibera di G.C. nr. 77 del 13 luglio 2005, non travolta dalla sentenza di questa Sezione nr. 3214 del 2014; il fatto che tale approvazione fosse avvenuta “in linea tecnica” non ha rilevanza ai fini che qui interessano, trattandosi comunque dell’atto con cui venivano definite le caratteristiche tecniche dell’opera da realizzare, lasciando a provvedimenti successivi le misure consequenziali quali la variante urbanistica, l’imposizione dei vincoli espropriativi etc.
Pertanto, non può essere condiviso l’assunto degli odierni appellati, secondo cui la delibera de qua avrebbe una rilevanza meramente finanziaria, e non tecnica o esecutiva.
10.2. Quanto alla seconda questione, se è vero che per la definizione del concetto di “lotti o stralci funzionali”, alla stregua della normativa vigente va richiamato il disposto dell’art. 3, comma 1, lettera qq), del d.lgs. 18 aprile 2016, nr. 50 (per cui lotto funzionale è “uno specifico oggetto di appalto da aggiudicare anche con separata ed autonoma procedura, ovvero parti di un lavoro o servizio generale la cui progettazione e realizzazione sia tale da assicurarne funzionalità, fruibilità e fattibilità indipendentemente dalla realizzazione delle altre parti”), sostanzialmente riproduttivo del contenuto di disposizioni previgenti, è però difficile negare che nella prassi sia diffusa la pratica di “scomporre” le opere stradali in lotti o stralci, rendendo immediatamente fruibili all’utenza quelli già realizzati, come avvenuto anche nel caso che qui occupa.
Quanto sopra, ad avviso della Sezione, può reputarsi sufficiente a considerare concretata nella specie quell’autonomia funzionale dei singoli stralci cui ricollegare la legittimità del frazionamento dell’opera a prescindere dalle ragioni più o meno contingenti che possano averlo determinato (ed anche dal pur suggestivo rilievo di controparte, che evidenzia come la mancata realizzazione dello stralcio centrale comporti la mancata risoluzione nella sostanza dei problemi che l’opera stessa sarebbe stata intesa a superare).
Sul punto, va peraltro rilevato che non risponde al vero, come vorrebbe parte appellata, che nella sentenza nr. 3214 del 2014 sia stato rilevato un profilo di illegittimità del frazionamento dell’opera; ciò è confermato dal fatto che con la detta sentenza la ricordata delibera nr. 77 del 2005 non è stata annullata, e che anche nel presente giudizio la stessa è rimasta inoppugnata.
11. Venendo dunque al profilo della fondatezza della questione, va innanzi tutto richiamata la consolidata giurisprudenza costituzionale secondo cui, perché una norma possa dirsi di interpretazione autentica, è necessario che essa si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario; in tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo, in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto, o di ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini, cioè di princìpi di preminente interesse costituzionale (cfr. ex plurimis Corte cost., 29 maggio 2013, nr. 103; id., 21 ottobre 2011, nr. 271; id., 11 giugno 2010, nr. 209; id., 26 novembre 2009, nr. 311).
11.1. Tanto premesso, nel caso di specie è lecito dubitare della natura interpretativa della disposizione contenuta nell’art. 30 della l.r. nr. 9 del 2016, atteso che:
- nessuna oggettiva incertezza risultava sussistere in precedenza in ordine alla latitudine dell’applicabilità del divieto di reiterazione dei vincoli posto dall’art. 13 della l.r. nr. 37 del 2002, e in particolare nessun dubbio o contrasto era insorto - né nell’ambito del presente giudizio, né a quanto consta in altre sedi applicative – circa la sua riferibilità o meno ad opere pubbliche suddivise in lotti o stralci funzionali;
- non può sostenersi che il disposto della nuova norma, in termini di deroga al divieto di reiterazione dei vincoli posto dalla norma anteriore, fosse già in nuce nella formulazione originaria, non essendo condivisibile l’assunto delle parti odierne appellanti secondo cui ciò poteva cogliersi nel fatto che l’art. 13 parlava di “un’opera” (infatti, anche la definizione di “lotto funzionale” più sopra riportata presuppone pur sempre l’unitarietà dell’oggetto dell’appalto);
- per altro verso, suscita perplessità l’affermazione dell’interveniente Iniziative Ambientali S.r.l. secondo cui il problema ermeneutico sarebbe stato in re ipsa nel divieto di reiterazione dei vincoli espropriativi, perché questo di per sé renderebbe impossibile la realizzazione delle opere suddivise in lotti o stralci, essendo banale osservare che è sufficiente un’adeguata programmazione degli interventi per rispettare i tempi (10 anni) imposti dal divieto di reiterazione dei vincoli per una sola volta.
In definitiva, ed alla stregua di un’interpretazione della normativa improntata ai comuni criteri letterale e logico-sistematico, se anche ragionevole e giustificata, la decisione di escludere dal divieto di reiterazione dei vincoli le opere suddivise in lotti o stralci è da ricondurre per la prima volta all’intervento normativo del 2016, e non alla norma anteriore.
11.2. Così stando le cose, non può però convenirsi con gli odierni appellati quando auspicano che in questa sede si possa ritenere sic et simpliciter la norma non applicabile alla fattispecie che occupa: una tale operazione si risolverebbe nel tradire lo spirito della sopravvenuta disposizione, la quale fin dalla rubrica ha inteso chiaramente autoqualificarsi come di interpretazione autentica (e quindi applicabile anche retroattivamente), e pertanto non può ritenersi consentita in sede meramente esegetica.
11.3. Pertanto, ad avviso della Sezione l’unica opzione percorribile è quella consistente nel sollevare la questione di legittimità costituzionale della sopravvenuta disposizione regionale per violazione degli artt. 3, 24 e 117 Cost. attraverso la norma interposta di cui all’art. 6 della CEDU.
Come è noto, la giurisprudenza della Corte è da tempo consolidata nel senso che le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione - integrino, quali “norme interposte”, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, comma 1, Cost. , nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (cfr. ex plurimis sentt. 5 gennaio 2011, nr. 1; 4 giugno 2010, nr. 196; 28 maggio 2010, n. 187; 15 aprile 2010, nr. 138; 19 aprile 2007, nn. 347 e 348).
Con riferimento all’introduzione di nuove disposizioni retroattive, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dal ricordato art. 6 della CEDU ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia (cfr. ex plurimis sez. II, 7 giugno 2011, Agrati e al. c. Italia; id., 31 maggio 2011, Maggio c. Italia; sez. V, 11 febbraio 2010, Javaugue c. Francia; sez. II, 10 giugno 2008, Bortesi e al. c. Italia).
Siffatta ricostruzione si completa con l’affermazione che spetta alla stessa Corte costituzionale, nell’ambito del margine di apprezzamento riconosciuto dalla giurisprudenza della CEDU ai singoli ordinamenti nazionali, verificare la sussistenza o meno di “motivi imperativi d’interesse generale” idonei a giustificare l’intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all’art. 25 Cost.), alla stregua di princìpi, diritti e beni di rilievo costituzionale (Corte cost., sent. 26 gennaio 2012, nr. 15).
In particolare, è stata più volte esclusa la legittimità costituzionale di disposizioni le quali, pur qualificandosi come di interpretazione autentica, introducessero con valore retroattivo regole innovative destinate a incidere su rapporti giuridici maturati e consolidati da tempo, nonché a influenzare situazioni processuali altrimenti indirizzate in modo diverso (cfr. Corte cost., 17 dicembre 2013, nr. 308; id., 27 giugno 2013, nr. 160; id., nr. 78 del 2012, cit.; id., 271 del 2011, cit.; id., nr. 209 del 2010, cit.; id., 30 gennaio 2009, nr. 29).
Nel caso di specie, è evidente il potenziale e irriducibile conflitto fra il diritto di proprietà degli originari ricorrenti (a sua volta oggetto di incisiva tutela a livello CEDU), e l’interesse pubblico al completamento dell’opera (al quale è chiaramente ispirata la disposizione di che trattasi): donde è arduo però ricavare l’evidente sussistenza di un motivo imperativo di interesse generale che autorizzi il varo di una norma destinata a incidere, con effetto ex tunc, su un giudizio in corso come quello presente.
11.4. Risulta del tutto evidente, pertanto, come debba essere rimessa esclusivamente alla Corte costituzionale la valutazione in ordine non solo alla compatibilità fra l’art. 30 della l.r. nr. 9 del 2016 e l’art. 6, par. 1, della CEDU (nel senso più volte precisato), ma anche – una volta verificato il conflitto tra le due fonti – a quale delle due debba effettivamente prevalere, stante il descritto quadro normativo di riferimento costituzionale e comunitario.
12. Per le ragioni dianzi esposte, questa Sezione solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30 della legge regionale dell’Emilia-Romagna 30 maggio 2016, nr. 9, in relazione agli artt. 3, 24 e 117, comma 1, della Costituzione, per tramite della norma interposta costituita dall’art. 6, comma 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
13. Il presente giudizio va quindi sospeso in attesa della decisione della Corte costituzionale; ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e in ordine alle spese del giudizio viene riservata alla decisione definitiva.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando, riuniti gli appelli in epigrafe:
- respinge in parte gli appelli, come precisato in motivazione;
letti gli artt. 134 Cost. e 23 della legge 11 marzo 1953, nr. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24 e 117 Cost., dell’art. 30 della legge regionale dell’Emilia-Romagna 30 maggio 2016, nr. 9.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio.
Dispone altresì che la presente sentenza sia notificata, a cura della Segreteria, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti del giudizio, ed inoltre comunicata al Presidente della Camera dei Deputati, nonché al Presidente del Senato della Repubblica.
Riserva al definitivo ogni statuizione in rito, nel merito e sulle spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Raffaele Greco Filippo Patroni Griffi
 
 
 
 
 
IL SEGRETARIO
 

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