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Sul procedimento espropriativo - TAR Lombardia, sez. II, sent. n. 595 del 02.03.2015

Pubblico
Mercoledì, 18 Marzo, 2015 - 01:00

Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, (Sezione Seconda), sentenza n. 595 del 2 marzo 2015, sul procedimento espropriativo 
 
 
N. 00595/2015 REG.PROV.COLL.
 
N. 03520/2005 REG.RIC.
 
N. 01440/2007 REG.RIC.
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
 
(Sezione Seconda)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 3520 del 2005, proposto da: 
Peter Landau e Angelica Landau, rappresentati e difesi dagli avv. Cesare Ribolzi, Giovanni Cocco e Luciano Salomoni, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori in Milano, Via Ariosto, 30; 
contro
Comune di Cusano Milanino, rappresentato e difeso dall'avv. Guido Bardelli, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Milano, Via Visconti di Modrone, 12; 
 
 
sul ricorso numero di registro generale 1440 del 2007, proposto da: 
Peter Landau e Angelica Landau, rappresentati e difesi dagli avv. Cesare Ribolzi, Giovanni Cocco e Luciano Salomoni, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Via Ariosto, 30;
contro
Comune di Cusano Milanino, rappresentato e difeso dall'avv. Guido Bardelli, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Milano, Via Visconti di Modrone, 12; 
Provincia di Milano, non costituita in giudizio;
Regione Lombardia, non costituita in giudizio; 
 
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 3520 del 2005:
- dell’avviso in data 3 novembre 2005 di avvio del procedimento di esproprio nei confronti dei ricorrenti;
- della delibera di Giunta comunale di Cusano Milanino n. 63 del 16.5.2005 ivi richiamata di approvazione del progetto definitivo per i lavori di sistemazione di area a verde tra Viale dei Fiorni e Viale Margherita;
- degli atti tutti ad essa allegati relativi al medesimo progetto definitivo, in particolare della relazione tecnico illustrativa, del computo metrico estimativo, del quadro economico dei lavori, del piano particellare d’esproprio, della perizia di stima dell’area dei ricorrenti;
- di ogni altro atto presupposto e comunque connesso;
nonché per la condanna del Comune di Cusano Milanino al risarcimento del danno;
quanto al ricorso n. 1440 del 2007:
- della variante generale al PRG comunale, adottata con deliberazione del Consiglio comunale di Cusano Milanino n. 28 del 16 aprile 2004, e con deliberazione del Consiglio comunale n. 36 del 9 giugno 2006 e definitivamente approvata con deliberazione di Giunta provinciale n. 79 del 12 febbraio 2007 e di tutti i relativi allegati, nella parte in cui reiterano sull’area dei ricorrenti il vincolo preordinato all’esproprio;
- della nota prot. 2007-0008964 in data 19 aprile 2007 del Comune di Cusano Milanino;
- per quanto occorrer possa, della deliberazione della Giunta comunale di Cusano Milanino n. 27 del 19 febbraio 2007 di approvazione del progetto preliminare di riqualificazione di viale Buffoli e della deliberazione di Giunta comunale n. 87 del 24 luglio 2006 di approvazione del progetto preliminare per la realizzazione del collegamento ciclabile fra i Comuni di Cusano Milanino e Cormano;
- di ogni altro atto presupposto e comunque connesso;
nonché per la condanna del Comune di Cusano Milanino al risarcimento del danno.
 
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cusano Milanino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 la dott.ssa Floriana Venera Di Mauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
1. I ricorrenti sig.ri Peter Landau e Angelica Landau sono proprietari di un lotto di terreno sito nel Comune di Cusano Milanino, a lato di Piazza Flora, identificato catastalmente al mapp. 142 - foglio 13, avente superficie di 1.370 mq.
L’area è stata oggetto, nel tempo, di previsioni pianificatorie che ne hanno costantemente escluso l’utilizzazione per edificazioni private.
In particolare: il PRG approvato con decreto ministeriale 29 ottobre 1971 prevedeva la destinazione dell’area a verde pubblico e attrezzature sportive; la variante approvata con delibera di Giunta regionale n. 18639 del 6 luglio 1982 vincolava l’area a standard; le deliberazioni di Consiglio comunale 17 novembre 1989, n. 6988 e 4 marzo 1991, n. 7291, approvate con delibera della Giunta regionale n. 29745 del 17 novembre 1992, hanno previsto la destinazione dell’area a verde di quartiere; la medesima destinazione è stata mantenuta anche dalla variante approvata con delibera di Giunta regionale n. 35679 del 21 aprile 1998, che parimenti escludeva qualsiasi utilizzazione edificatoria.
Infine, la variante al PRG adottata il 16 aprile 2004 ha previsto per l’area dei ricorrenti la destinazione a zona per attrezzature pubbliche.
Frattanto, nel periodo tra il 2000 e il 2005, si sono svolte trattative tra i sig.ri Landau e il Comune, interessato all’acquisto diretto dell’area dai proprietari. Le negoziazioni non sono tuttavia andate a buon fine.
A questo punto, con deliberazione della Giunta comunale n. 63 del 16 maggio 2005 è stato approvato il “progetto definitivo dei lavori di sistemazione dell’area verde tra Viale dei Fiori e Viale Margherita”, comportante la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera. Con successiva nota del 3 novembre 2005, il Comune ha quindi trasmesso agli odierni ricorrenti l’avviso pubblico di avvio del procedimento espropriativo.
2. La delibera di Giunta comunale n. 63 del 2005 e l’avviso del 3 novembre 2005 sono stati impugnati dai sig.ri Landau con il ricorso iscritto al numero di R.G. 3520 del 2005.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
I) violazione degli articoli 9, 10, 12, 13 e 19 del d.P.R. n. 327 del 2001, dell’articolo 9 della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005 e degli articoli 42 e 97 della Costituzione, nonché eccesso di potere, in quanto l’approvazione del progetto definitivo, avente effetto di dichiarazione di pubblica utilità, sarebbe intervenuta dopo la scadenza del termine quinquennale di efficacia del vincolo preordinato all’esproprio (reiterato da ultimo nel 1998), e quando l’ulteriore reiterazione del vincolo stesso non si era ancora perfezionata, essendo stata soltanto adottata (come detto, il 16 aprile 2004) e non anche approvata;
II) violazione dell’articolo 2 della legge n. 1187 del 1968, dell’articolo 7 della legge n. 1150 del 1942, dell’articolo 39 del d.P.R. n. 327 del 2001, dei principi procedimentali della legge n. 241 del 1990 e degli articoli 42 e 97 della Costituzione, nonché eccesso di potere; ciò in quanto con la delibera di Giunta impugnata il Comune avrebbe illegittimamente attivato la procedura espropriativa senza avere previamente ripianificato l’area e riconosciuto l’indennizzo per la reiterazione del vincolo;
III) violazione dell’articolo 16 della legge n. 109 del 1994, dell’articolo 25 del d.P.R. n. 554 del 1999, dell’articolo 1337 cc, dei principi procedimentali della legge n. 241 del 1990, incompetenza della Giunta comunale ed eccesso di potere; ciò in quanto: (a) la delibera di Giunta attesterebbe contraddittoriamente la conformità urbanistica dell’opera, nonostante la perizia di stima allegata al progetto evidenzi la decadenza del vincolo apposto nel 1998; (b) il progetto definitivo sarebbe carente dei particolari tecnici prescritti dall’articolo 16, comma 4 della legge n. 109 del 1994; (c) l’adozione della delibera sarebbe spettata al Consiglio comunale e non alla Giunta; (d) l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto delle istanze e osservazioni con cui i sig.ri Landau avevano evidenziato l’intervenuta decadenza del vincolo, così violando i principi partecipativi della legge sul procedimento amministrativo; (e) sarebbero stati violati i canoni di economicità e celerità dell’agire amministrativo, i quali avrebbero richiesto che il Comune, invece di dare avvio alla procedura espropriativa, proseguisse nella trattativa con i privati per l’acquisto diretto dell’area, formulando una nuova proposta che tenesse conto, oltre che del valore del bene, anche del pregiudizio subito dai ricorrenti per la ripetuta reiterazione del vincolo.
Con il medesimo ricorso i sig.ri Landau hanno altresì proposto domanda di risarcimento del danno derivante dall’illegittima reiterazione ultratrentennale del vincolo di inedificabilità. Al fine di comprovare tale pregiudizio, hanno depositato una perizia, volta a dimostrare che la trasformazione edificatoria dell’area di loro proprietà ne avrebbe condotto il valore a euro 565.010,00 (doc. 18 ricorrenti – RG 3520/2005).
3. Con successivo ricorso, iscritto al numero di RG 1440 del 2007, i ricorrenti hanno altresì proposto impugnazione contro la variante generale al PRG del Comune di Cusano Milanino adottata con le deliberazioni del Consiglio comunale n. 28 del 16 aprile 2004 e n. 36 del 9 giugno 2006 e approvata con deliberazione della Giunta provinciale n. 79 del 12 febbraio 2007, recante la destinazione del lotto di proprietà dei sig.ri Landau a zona per attrezzature pubbliche. Con il medesimo ricorso hanno inoltre gravato la nota comunale del 19 aprile 2007, recante la comunicazione di avvio del procedimento di sistemazione a verde pubblico dell’area, nonché “per quanto occorrer possa” delle deliberazioni della Giunta comunale n. 27 del 19 febbraio 2007, di approvazione del progetto preliminare di riqualificazione di Viale Buffoli, e n. 87 del 24 luglio 2006, di approvazione del progetto preliminare per la realizzazione del collegamento ciclabile tra i Comuni di Cusano Milanino e Cormano.
Avverso i provvedimenti impugnati vengono articolati i seguenti motivi di ricorso:
I) violazione dell’articolo 7 della legge n. 1150 del 1942, degli articoli 9 e 39 del d.P.R. n. 327 del 2001, dei principi procedimentali della legge n. 241 del 1990 e degli articoli 42 e 97 della Costituzione, nonché eccesso di potere; ciò in quanto il vincolo preordinato all’esproprio dell’area dei ricorrenti sarebbe stato reiterato senza la previsione della corresponsione dell’indennizzo;
II) violazione del d.P.R. n. 327 del 2001 e della legge n. 241 del 1990 ed eccesso di potere; a tal riguardo, i ricorrenti allegano la violazione dei canoni di economicità e celerità dell’agire amministrativo, per ragioni corrispondenti a quelle già proposte nel primo ricorso con il motivo III.e;
III) violazione della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005, del d.P.R. n. 327 del 2001, della legge n. 241 del 1990 e degli articoli 42 e 97 della Costituzione, nonché eccesso di potere; ciò in quanto: (a) il Comune di Cusano Milanino non si era dotato di un PRG successivo alla legge regionale n. 51 del 1975, ma aveva uno strumento urbanistico risalente al 1971; conseguentemente, la variante impugnata dai ricorrenti sarebbe illegittima, perché contrastante con il divieto imposto dall’articolo 25, comma 2 della legge regionale n. 12 del 2005, che preclude ai Comuni dotati di piani antecedenti alla legge regionale del 1975 di dare corso a varianti urbanistiche prima di aver approvato il Piano di Governo del Territorio; (b) la variante sarebbe inoltre contraddittoria, poiché l’area dei ricorrenti non sarebbe direttamente interessata dalla realizzazione della prevista pista ciclabile, che quindi potrebbe essere realizzata contemperando le esigenze edificatorie dei sig.ri Landau, il cui diritto di proprietà, a lungo compresso, meriterebbe adeguato ristoro;
IV) laddove – contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti – il progetto di pista ciclabile approvato con la delibera di Giunta comunale n. 87 del 24 luglio 2006 dovesse interessare l’area di loro proprietà, allegano la violazione del d.P.R. n. 380 del 2001, del d.P.R. n. 327 del 2001 e della legge n. 241 del 1990, nonché eccesso di potere, per l’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento di approvazione del progetto della pista.
Viene altresì riproposta la domanda – già avanzata con il precedente ricorso RG 3520 del 2005 – di risarcimento del danno per l’illegittima reiterazione ultratrentennale del vincolo di inedificabilità.
4. Risulta agli atti di entrambi i giudizi che con atto di citazione innanzi alla Corte d’Appello di Milano, notificato il 21 settembre 2009, i sig.ri Peter Landau e Umberto Griziotti hanno convenuto in giudizio il Comune di Cusano Milanino al fine di conseguire, ai sensi dell’articolo 39 del d.P.R. n. 327 del 2001, la condanna dell’Ente alla corresponsione dell’indennizzo per la reiterazione dei vincoli sulla medesima area oggetto del presente giudizio, catastalmente identificata al mapp. 142, foglio 13.
Con sentenza depositata il 3 novembre 2014, la Corte d’Appello di Milano ha condannato il Comune al pagamento ai ricorrenti, a tale titolo, della somma di euro 10.495,88, con interessi dal 28 gennaio 2011 al saldo. La medesima pronuncia ha dichiarato altresì, in accoglimento dell’eccezione sollevata dalla difesa comunale, la prescrizione del diritto con riferimento alla “reiterazione di vincoli conseguenti alle varianti oggetto del contendere precedenti negli anni ’90 quella approvata con delibera del C.C. di Cusano Milanino 9/6/2006 n. 36 (a sua volta approvata con delibera di giunta provinciale n. 79 del 12/2/2007...)” (così la sentenza richiamata, al punto cc).
5. Si è costituito in entrambi i giudizi il Comune di Cusano Milanino, il quale eccepisce la sopravvenuta carenza di interesse dei ricorrenti alle domande di annullamento, poiché la procedura espropriativa di cui al primo ricorso non è mai stata portata a compimento, e anche la variante di cui al secondo ricorso è stata seguita dall’entrata in vigore del nuovo PGT, che classifica l’area come “VP 48”, con destinazione a parchi, giardini e aree a verde, da acquistarsi mediante compensazione urbanistica. Conseguentemente, gli atti impugnati sarebbero ormai da ritenere superati.
Non sussisterebbe, inoltre, un interesse strumentale ad accertare l’illegittimità dei provvedimenti al fine del risarcimento del danno, poiché la domanda risarcitoria sarebbe a sua volta inammissibile per violazione del principio del ne bis in idem. La pretesa azionata avrebbe infatti ad oggetto il medesimo pregiudizio di cui i ricorrenti hanno già ottenuto ristoro agendo innanzi alla Corte d’Appello, nonostante la diversa formale rubricazione delle domande di tutela proposte nelle due diverse sedi giurisdizionali.
Nel merito, il Comune allega l’infondatezza dei ricorsi.
6. In prossimità dell’udienza pubblica, fissata per entrambi i ricorsi il 18 dicembre 2014, le parti hanno prodotto memorie.
7. All’udienza pubblica del 18 dicembre 2014 entrambe le cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
1. Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’articolo 70 cod. proc. amm., la riunione dei due ricorsi RG n. 3520 del 2005 e n. 1440 del 2007, stanti le ragioni di connessione derivanti dall’unicità della posizione giuridica lesa e dall’unitarietà della pretesa alla tutela giurisdizionale di essa (Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36). Entrambi i ricorsi sono infatti volti a far valere l’interesse dei ricorrenti all’utilizzazione edificatoria dell’area di loro proprietà, sia mediante l’impugnazione dei provvedimenti che hanno precluso tale utilizzazione, sia azionando la pretesa risarcitoria nei confronti della prospettata illegittima reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio del fondo. Risulta pertanto necessaria la loro congiunta trattazione.
2. Venendo all’esame del primo ricorso, rileva il Collegio che i ricorrenti non hanno più alcun interesse all’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1 La difesa comunale ha infatti evidenziato che la procedura espropriativa avviata con la delibera di Giunta comunale n. 63 del 2005 non ha avuto alcun seguito, come risultante altresì dalla nota comunale in data 16 maggio 2013 (doc. 1 del Comune). Anche quanto agli effetti della dichiarazione di pubblica utilità l’interesse dei ricorrenti è venuto meno, a seguito del decorso del termine previsto normativamente (articolo 13, comma 6 del d.P.R. n. 327 del 2001). Il Comune ha inoltre affermato, senza alcuna contestazione sul punto, che i ricorrenti non hanno mai perso la disponibilità dell’area (v. memoria comunale del 17 novembre 2014, pag. 2). Circostanza, quest’ultima, che può quindi ritenersi provata, ai sensi dell’articolo 64, comma 2 cod. proc. amm.
Ciò posto, ritiene il Collegio che non residui alcun interesse alla rimozione degli atti impugnati con il primo ricorso.
2.2 D’altra parte, non sussiste neppure un interesse dei ricorrenti all’accertamento dell’illegittimità della delibera di Giunta comunale n. 63 del 2005 ai fini della domanda risarcitoria, ai sensi dell’articolo 34, comma 3 cod. proc. amm.
E invero, rinviando a quanto si dirà al successivo punto 11.1 in merito alla causa petendi della domanda risarcitoria proposta dai ricorrenti, basta evidenziare in questa sede che il danno che i sig.ri Landau lamentano nel presente giudizio è unicamente quello – eventualmente eccedente la misura dell’indennizzo, già conseguito agendo innanzi al giudice ordinario – derivante dalla ritenuta illegittimità della reiterazione dei vincoli che hanno compresso lo ius aedificandi (in conformità all’insegnamento di C. cost. n. 179 del 1999).
E invero, ancora nella memoria del 17 novembre 2014 i ricorrenti, al fine di evidenziare il proprio interesse all’impugnativa, affermano che “l’approvazione del progetto di realizzazione di verde comunale sull’area dei ricorrenti ha inibito l’utilizzo del bene, di chiara vocazione edificatoria (...), creando un danno ai ricorrenti, costituito dalla perdita di valore del bene a far corso dall’approvazione degli atti impugnati e dall’impossibilità di utilizzarli” (v. pag. 2 della memoria richiamata).
Orbene, contrariamente a quanto ritenuto dai sig.ri Landau, rispetto a tale lamentato pregiudizio nessuna rilevanza potrebbe assumere l’eventuale illegittimità della delibera – impugnata con il ricorso RG n. 3520 del 2005 – che ha dato avvio alla procedura espropriativa, poi non andata a buon fine.
Il provvedimento, infatti, non si inserisce nella serie degli atti che hanno determinato la compressione della capacità edificatoria dell’area e dai quali dovrebbe discendere il danno di cui essi chiedono il pieno ristoro, ma si pone – per così dire – a lato rispetto alle reiterazioni del vincolo urbanistico, poiché afferisce alla distinta procedura espropriativa.
Né potrebbe ritenersi che la dichiarazione di pubblica utilità, pur essendo atto autonomo dal vincolo (e dalle sue reiterazioni) abbia comportato anch’essa, sostanzialmente, la compressione delle aspettative edificatorie dei ricorrenti, determinando la perpetuazione della situazione di inedificabilità del suolo. Una siffatta conclusione è invero nettamente smentita dalle circostanze di fatto risultanti agli atti del giudizio.
Basta infatti osservare che, alla data della delibera di Giunta n. 63 del 2005, impugnata nel ricorso RG n. 3520 del 2005, era già stata adottata (il 16 aprile del 2004) la variante recante la reiterazione del vincolo urbanistico. E quest’ultimo provvedimento dispiegava già effetti urbanistici, incidendo sulle potenzialità edificatorie del suolo, quanto meno in ragione dell’operatività delle misure di salvaguardia, che come è noto impediscono qualunque trasformazione non compatibile con la disciplina pianificatoria in itinere (articolo 12, comma 3 del d.P.R. n. 380 del 2001).
In altri termini, già l’adozione della variante precludeva la trasformazione edificatoria dell’area, anche nei ristretti limiti derivanti dall’applicazione della disciplina degli standard ope legis di cui all’articolo 9 del d.P.R. n. 380 del 2001, che è ciò di cui si dolgono i ricorrenti.
D’altra parte, la variante è stata poi approvata con deliberazione della Giunta provinciale n. 79 del 12 febbraio 2007 e tutti gli atti della relativa serie procedimentale (adozione 2004, adozione 2006, approvazione 2007) sono stati impugnati dai ricorrenti con il secondo ricorso (RG n. 1440 del 2007).
Ne discende che, con riferimento al segmento temporale dal 16 aprile 2004 fino all’entrata in vigore del nuovo PGT (adottato con delibera di Consiglio comunale n. 58 del 5 dicembre 2011 e approvato con delibere nn. 33, 34 e 35, rispettivamente del 16, 17 e 18 luglio 2012; piano non impugnato dai ricorrenti), gli atti ai quali ricondurre lo specifico pregiudizio lamentato nel presente giudizio sono rinvenibili unicamente nei provvedimenti di adozione e approvazione della variante perfezionatasi nel 2007. Variante che, come detto, è peraltro oggetto di impugnazione nel ricorso RG n. 1440 del 2007, che si esaminerà nel seguito.
Nessuna rilevanza assume invece, in relazione al danno prospettato da illegittima compressione della capacità edificatoria del fondo, la delibera con effetti di d.p.u. impugnata con il primo ricorso.
Né i ricorrenti lamentano alcun ulteriore pregiudizio, diverso da quello sopra menzionato, che possa ritenersi specificamente ascrivibile alla delibera in esame, la quale peraltro non ha avuto alcun seguito e non ha mai determinato la perdita della disponibilità dell’area da parte dei proprietari.
2.3 In conclusione, per le ragioni sopra esposte, la domanda di annullamento degli atti impugnati con il primo ricorso va dichiarata improcedibile, non sussistendo alcun interesse attuale dei ricorrenti all’esame delle relative censure, neppure ai fini risarcitori.
2.4 Va invece rinviato al successivo punto 11 l’esame della domanda di risarcimento del danno, che i ricorrenti hanno reiterato con il successivo ricorso RG n. 1440 del 2007, e che va reputata come unitaria.
La seconda domanda risarcitoria è volta, infatti, semplicemente a estendere la portata della prima, aggiungendo l’allegazione di nuovi fatti costituitivi della pretesa (l’illegittimità dei nuovi provvedimenti gravati) e ampliando corrispondentemente il periodo da prendere in considerazione ai fini della determinazione del quantum del risarcimento.
La trattazione dell’azione risarcitoria va quindi posposta allo scrutinio delle censure articolate contro i provvedimenti impugnati con il secondo ricorso.
3. Venendo all’esame del ricorso RG n. 1440 del 2007, deve anzitutto respingersi l’eccezione comunale di improcedibilità, poiché – contrariamente a quanto ritenuto dall’Amministrazione – sussiste un interesse dei ricorrenti ad accertare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, almeno ai fini della domanda risarcitoria.
4. Passando al merito, deve ulteriormente premettersi che le parti del giudizio non concordano sulla natura del vincolo imposto sul terreno dei sig.ri Landau.
I ricorrenti ritengono infatti che si tratti di vincolo preordinato all’espropriazione, mentre il Comune allega il carattere conformativo della disciplina urbanistica introdotta dalla variante, essendo prevista la facoltà per i privati di attuare direttamente la destinazione stabilita.
Al riguardo, occorre osservare che la tesi comunale risulta essere stata espressamente disattesa dalla Corte d’Appello di Milano, la quale ha condannato il Comune di Cusano Milanino alla corresponsione dell’indennizzo per la reiterazione del vincolo.
Il Collegio ritiene peraltro che possa prescindersi dall’approfondimento della questione, poiché – anche assumendo la natura sostanzialmente espropriativa del vincolo – nessuno dei motivi articolati dai ricorrenti può trovare accoglimento, per le ragioni che di seguito si espongono.
5. Con il primo motivo si censurano i provvedimenti di adozione e di approvazione della variante perfezionatasi nel 2007, in quanto il vincolo sull’area dei ricorrenti sarebbe stato reiterato senza la previsione della corresponsione dell’indennizzo.
Al riguardo – in disparte ogni considerazione in merito al perdurare dell’interesse dei ricorrenti alla censura, posto che essi hanno poi conseguito la condanna del Comune alla corresponsione dell’indennizzo – va rilevato che la mancata previsione dell’indennizzo non costituisce di per sé una ragione di illegittimità del provvedimento che ha operato la reiterazione del vincolo.
E invero, la giurisprudenza ha chiarito che “I profili attinenti alla spettanza o meno dell’indennizzo e al suo pagamento non attengono, infatti, alla legittimità del procedimento, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale (che presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione), devolute alla cognizione della giurisdizione civile. Tale principio – già desumibile dal preesistente quadro normativo - è stato ora esplicitato dall’art. 39, comma 1, del testo unico sugli espropri, approvato con il D.P.R. n. 327 del 2001, il quale ha previsto che - a seguito della reiterazione – il proprietario possa attivare un procedimento amministrativo nel corso del quale egli ha l’onere di provare “l’entità del danno effettivamente prodotto”, quale presupposto processuale necessario per poter agire innanzi alla corte d’appello. Nel quadro normativo vigente, dunque, continua a sussistere il principio per il quale gli atti dei procedimenti di adozione e di approvazione di uno strumento urbanistico, contenente un vincolo preordinato all’esproprio, non devono prevedere la spettanza di un indennizzo” (così Cons. Stato, Sez. IV, 6 maggio 2010, n. 2627; nello stesso senso Id., 6 agosto 2013, n. 4143).
La mancata previsione dell’indennizzo non incide quindi in alcun modo sulla possibilità per il proprietario di conseguire quanto gli spetta a questo titolo. Ciò è del resto avvenuto anche nel caso di specie, poiché – come detto – i ricorrenti hanno poi effettivamente ottenuto la condanna del Comune di Cusano Milanino al pagamento dell’indennizzo.
La censura va quindi respinta.
6. Con il secondo motivo i ricorrenti allegano la violazione dei canoni di economicità e celerità dell’agire amministrativo.
In particolare essi affermano che il corretto operare da parte del Comune avrebbe richiesto che l’Ente proseguisse nella trattativa con i privati per l’acquisto diretto dell’area, formulando una nuova proposta che tenesse conto, oltre che del valore del bene, anche del pregiudizio subito dai ricorrenti per la trentennale reiterazione del vincolo. Illegittimamente, quindi, il Comune avrebbe prima dato avvio alla procedura espropriativa (con la delibera impugnata nel ricorso RG n. 3520 del 2005) e poi approvato la nuova variante.
Al riguardo, rileva il Collegio che la censura risulta inconferente riguardo alla procedura di variante, oggetto del ricorso RG n. 1440 del 2007. Ciò in quanto la destinazione del lotto ad attrezzature pubbliche, prevista appunto dalla variante, non era di per sé incompatibile con il proseguimento delle trattative per l’acquisto diretto del terreno da parte del Comune, ma anzi costituiva il presupposto stesso di tale acquisto, giustificato proprio dall’interesse dell’Ente a destinare l’area ad attrezzature pubbliche. Non a caso, l’abbandono delle trattative per la cessione diretta è avvenuto – secondo quanto riferito dagli stessi ricorrenti – nel 2005, ossia dopo l’adozione della variante (deliberata, come detto, il 16 aprile 2004).
Posto, quindi, che i provvedimenti impugnati nel ricorso RG n. 1440 del 2007 non risultano aver interferito con le trattative per l’acquisto diretto dell’area, non può dirsi comunque dimostrata la dedotta contraddittorietà e antieconomicità del complessivo agire del Comune. E’ infatti da ritenere di per sé non irragionevole l’abbandono della negoziazione a fronte del mancato raggiungimento dell’accordo in ordine al corrispettivo da erogare ai proprietari.
Anche il secondo motivo di ricorso va quindi respinto.
7. Con il terzo motivo vengono articolate due distinte doglianze.
7.1 Sotto un primo profilo, i ricorrenti affermano che il Comune di Cusano Milanino non si era dotato di un PRG successivo alla legge regionale n. 51 del 1975, ma aveva uno strumento urbanistico risalente al 1971. Conseguentemente, la variante impugnata dai ricorrenti sarebbe illegittima, poiché contrasterebbe con il divieto imposto dall’articolo 25, comma 2 della legge regionale n. 12 del 2005; disposizione, quest’ultima, che preclude ai Comuni dotati di piani antecedenti alla legge regionale del 1975 di dare corso a varianti urbanistiche prima di aver approvato il Piano di Governo del Territorio.
7.2 La difesa comunale evidenzia, al riguardo, che in realtà dopo il PRG del 1971 il Comune di Cusano Milanino ha approvato, in epoca successiva all’entrata in vigore della legge regionale n. 51 del 1975, diverse varianti al proprio strumento urbanistico. Ad avviso del Comune, le varianti generali sono da ritenere sostanzialmente assimilabili ad altrettanti nuovi piani urbanistici (v. in particolare la memoria di replica comunale del 17 novembre 2014, pp. 4 ss.). Ne discenderebbe, quindi, la non operatività del divieto posto dalla richiamata disposizione della legge regionale n. 12 del 2005, poiché il Comune di Cusano Milanino non verserebbe nella fattispecie prefigurata dall’articolo 25, comma 2, dovendo essere annoverato piuttosto tra i Comuni dotatisi di un piano urbanistico generale in epoca successiva alla legge regionale del 1975.
7.3 Ritiene il Collegio che, a prescindere dalle considerazioni svolte dalla difesa comunale, la disposizione legislativa richiamata non possa essere interpretata nel senso di precludere l’introduzione della controversa disciplina urbanistica sul suolo dei ricorrenti.
Invero, l’articolo 25, comma 2 della legge regionale n. 12 del 2005 dispone che “I comuni, il cui strumento urbanistico generale sia stato approvato anteriormente all'entrata in vigore della legge regionale 15 aprile 1975, n. 51 (Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico), sino all'approvazione del PGT non possono dar corso all'approvazione di varianti di qualsiasi tipo, del piano dei servizi, nonché di piani attuativi in variante e di atti di programmazione negoziata di iniziativa comunale, con esclusione delle varianti dirette alla localizzazione di opere pubbliche da assumersi con la procedura di cui all'articolo 3 della L.R. n. 23/1997.”.
Al riguardo, la Sezione ha avuto modo recentemente di affermare che “la norma è chiara nel vietare l’approvazione di piani attuativi in variante per i comuni il cui PRG sia stato approvato prima dell’entrata in vigore della l.r. n. 51 del 1975. Unica eccezione al divieto è data per le varianti dirette alla localizzazione di opere pubbliche da approvarsi con le speciali procedure di cui alla l.r. n. 23 del 1997” (TAR Lombardia, Sez. II, 11 marzo 2014, n. 622).
Nondimeno, della disposizione della legge regionale deve necessariamente darsi un’interpretazione costituzionalmente orientata, alla luce dei principi di cui agli articoli 3, 42 e 117, terzo comma della Carta fondamentale.
Giova in particolare ricordare che, nel caso oggetto del presente giudizio, i ricorrenti censurano la variante generale adottata nel 2004-2006 e approvata nel 2007, evidentemente per quanto di loro interesse, ossia nella parte in cui si riferisce alla destinazione dell’area di loro proprietà. Con riferimento a quel lotto, tuttavia, gli stessi ricorrenti affermano che, antecedentemente alla variante, era decaduto il vincolo del 1998. Ciò comportava l’applicazione l’articolo 9, comma 3 del d.P.R. n. 327 del 2001. Disposizione quest’ultima che, in caso di decadenza dei vincoli urbanistici, prevede la qualificazione dell’area come c.d. “zona bianca”, ossia priva di pianificazione, come tale soggetta ai c.d. standard ope legis (articolo 9 del d.P.R. n. 380 del 2001), e rispetto alla quale sussiste il potere-dovere di ripianificazione da parte dell’Amministrazione (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2008, n. 6378).
Ne deriva che, in presenza di aree del territorio comunale soggette a vincoli decaduti, il Comune è necessariamente tenuto a dettare una nuova disciplina. Il regime di “zona bianca” (con il conseguente già visto potere-dovere di ripianificazione) è infatti previsto da una norma nazionale avente certamente valenza di principio della materia “governo del territorio”. Per altro verso, il dovere di dettare una nuova disciplina urbanistica è strettamente correlato anche alla tutela della situazione giuridica soggettiva del privato. Quest’ultimo, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo alla ripianificazione dell’area di sua proprietà, dopo la scadenza del vincolo, poiché solo in tal modo può conseguire la definizione del regime giuridico del proprio suolo e, conseguentemente, evitare l’applicazione dei richiamati standard ope legis, particolarmente restrittivi.
Ne deriva che laddove la legge regionale n. 12 del 2005 dovesse essere intesa nel senso di aver precluso anche l’approvazione della disciplina urbanistica necessaria per la ripianificazione delle aree soggette a vincoli decaduti – disciplina resa obbligatoria, come detto, dalla normativa nazionale di principio, e funzionale anche alla soddisfazione dell’interesse pretensivo del proprietario – sarebbe lecito interrogarsi sulla sua legittimità costituzionale. In particolare, alla luce di quanto fin qui esposto, la disposizione risulterebbe di dubbia compatibilità sia con i limiti alla potestà legislativa concorrente della Regione in materia di governo del territorio (articolo 117, terzo comma Cost.), sia con i principi di ragionevolezza (articolo 3) e di tutela della proprietà privata (articolo 42 Cost.), quest’ultima oltremodo gravata dall’assenza di pianificazione e dalla soggezione sine die alla rigorosa disciplina ope legis delle c.d. “zone bianche”.
7.4 D’altra parte, la volontà di vietare anche la (doverosa) ripianificazione delle porzioni di territorio comunale gravate da vincoli decaduti non sembra potersi evincere dal tenore dell’articolo 25, comma 2 della legge regionale. La previsione normativa appare, piuttosto, sorretta dalla ratio di evitare che, mediante l’adozione di successive varianti a piani urbanistici molto risalenti nel tempo, i Comuni possano differire l’approvazione del nuovo strumento pianificatorio introdotto dalla legge n. 12 del 2005, ossia il Piano di Governo del Territorio. Vietando di dare corso a nuove varianti, la Regione ha quindi palesemente inteso spronare proprio i Comuni dotati dei piani regolatori meno aggiornati a “transitare” per primi nel nuovo assetto regionale del governo del territorio.
E’ pertanto da ritenere che esuli dalla ratio della disposizione normativa l’intento di precludere l’approvazione di previsioni pianificatorie che costituiscano diretta attuazione del prioritario obbligo di porre fine alla situazione patologica, e particolarmente gravosa anche per il privato, consistente nella presenza di “zone bianche” nel tessuto pianificatorio comunale.
7.5 In definitiva, per tutte le suesposte ragioni, il Collegio ritiene che il divieto posto dall’articolo 25, comma 2 della legge regionale n. 12 del 2005 non precluda ai Comuni la doverosa ripianificazione delle aree soggette a vincoli urbanistici decaduti, quale quella di proprietà dei ricorrenti, secondo la loro stessa prospettazione.
Le doglianze articolate dai ricorrenti nella prima parte del terzo motivo di ricorso sono quindi infondate.
7.6 Vanno parimenti respinte le censure allegate nella seconda parte del terzo motivo, volte ad affermare la contraddittorietà della variante.
In particolare, i ricorrenti evidenziano che – secondo quanto si evince anche dalla nota comunale prot. 2007-0008964 in data 19 aprile 2007 (doc. 8 dei ricorrenti) – l’area di loro proprietà non sarebbe direttamente interessata dalla realizzazione della prevista pista ciclabile. L’opera, a loro avviso, potrebbe quindi essere realizzata senza sacrificio delle aspettative edificatorie del loro lotto; aspettative che meriterebbero adeguato ristoro per essere state lungamente compresse.
La censura, così come prospettata, consiste nella generica affermazione, con inammissibili valutazioni di merito, della ritenuta irragionevolezza della variante, senza che siano allegati elementi idonei a evidenziare la manifesta illogicità dell’agire dell’Amministrazione e, quindi, a far emergere un vizio funzionale sindacabile da parte del giudice amministrativo.
Al riguardo, occorre tenere presente che, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, “le decisioni assunte in sede di pianificazione costituiscono apprezzamenti di merito che sono sottratti al sindacato giurisdizionale, salvo che non siano inficiate da arbitrarietà od irragionevolezza manifeste ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare” (così, ex multis, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 15 maggio 2014, n. 1281).
Nella specie, non essendo dimostrato che le scelte operate dal Comune siano manifestamente arbitrarie o frutto di travisamento dei fatti, la censura va quindi rigettata.
8. Il quarto motivo viene proposto soltanto subordinatamente alla circostanza che – contrariamente a quanto ritenuto nel ricorso – il progetto di pista ciclabile approvato con la delibera di Giunta comunale n. 87 del 24 luglio 2006 interessi l’area dei sig.ri Landau. Con riferimento a tale eventualità, i ricorrenti lamentano l’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento di approvazione del progetto della pista.
Al riguardo, la difesa comunale ha però confermato che l’opera cui si riferisce la suddetta delibera non incide sul terreno dei sig.ri Landau. Tale asserzione, non specificamente contestata, può dunque ritenersi definitivamente provata, ai sensi dell’articolo 64, comma 2 cod. proc. amm.
Le censure allegate sono quindi inammissibili, per difetto di interesse e, comunque, infondate nel merito, poiché nessun avvio del procedimento avrebbe dovuto essere indirizzato ai ricorrenti, il cui lotto non era interessato dal progetto di pista ciclabile.
9. Va infine evidenziato che nessuna specifica doglianza risulta essere stata rivolta nei confronti della delibera di Giunta comunale n. 27 del 19 febbraio 2007. La relativa impugnazione – peraltro proposta con la formula “per quanto occorrer possa” – risulta quindi non rispondente ad alcun interesse dei ricorrenti.
10. In conclusione, le domande di annullamento proposte avverso i provvedimenti impugnati con il ricorso RG n. 1440 del 2007 sono in parte infondate e in parte inammissibili per difetto di interesse, secondo quanto sopra esposto.
11. Può quindi passarsi all’esame della domanda risarcitoria, che si riferisce al complesso delle reiterazioni del vincolo, risalenti a oltre un trentennio.
Al riguardo, occorre tenere presente che – come detto – i ricorrenti hanno già ottenuto dalla Corte d’Appello di Milano l’indennizzo per il pregiudizio derivante dalla mera reiterazione del vincolo. Ciò che essi chiedono in questa sede è dunque solo il quantum della differenza tra tale indennizzo e il risarcimento del danno.
Giova, al riguardo, ricordare che, secondo i principi, l’indennizzo va riconosciuto a prescindere da ogni valutazione in ordine alla legittimità degli atti di reiterazione del vincolo, essendo dovuto anche a fronte di una legittima compressione del diritto di proprietà, protrattasi tuttavia oltre il termine quinquennale (C. cost. n. 179 del 1999). Il risarcimento presuppone invece la prova che l’Amministrazione abbia impedito l’esercizio dello ius aedificandi del proprietario mediante atti illegittimi di imposizione o di reiterazione del vincolo urbanistico.
11.1 Ciò sinteticamente premesso, va respinta l’eccezione della difesa comunale, secondo la quale la pretesa risarcitoria dei ricorrenti – a dispetto della sua formale rubricazione – sarebbe fondata, in realtà, sui medesimi fatti costituitivi della domanda di indennizzo proposta innanzi alla Corte d’Appello e diretta a conseguire il medesimo bene della vita, come sarebbe comprovato anche dall’utilizzo, in entrambi i giudizi, della medesima perizia di stima.
Dalla lettura dei ricorsi si evince, infatti, che i ricorrenti hanno inteso azionare innanzi alla Corte d’Appello una pretesa diversa da quella vantata nel presente giudizio.
E’ vero che gli atti di reiterazione del vincolo richiamati in quella sede non potevano che coincidere con quelli cui si fa riferimento nel presente giudizio, così come è evidente che l’allegato valore complessivo di stima dell’area a seguito delle (mai compiute) edificazioni private non può che essere lo stesso. Tuttavia, nel giudizio innanzi al giudice ordinario quegli elementi erano volti a chiedere il mero indennizzo per la compressione, protratta nel tempo, della capacità edificatoria (responsabilità da atto lecito). In questa sede invece, una volta definito il contenzioso innanzi alla Corte d’Appello, si chiede solo la differenza tra il quantum già riconosciuto a titolo di indennizzo e l’eventuale maggior somma spettante a titolo di risarcimento del danno, che presuppone lo scrutinio in ordine alla legittimità dei provvedimenti amministrativi adottati. E ciò ad avviso del Collegio si evince chiaramente dalle difese dei ricorrenti.
Sussiste conseguentemente – contrariamente a quanto affermato dalla difesa comunale – anche la giurisdizione del giudice amministrativo, vertendosi in materia di risarcimento del danno derivante da provvedimenti amministrativi illegittimi.
11.2 Ritenuto, quindi, che la domanda risarcitoria non violi il principio del ne bis in idem, essa è dunque ammissibile. Rileva tuttavia il Collegio che – assumendo, come sopra detto, che il vincolo sia preordinato all’esproprio, come ritenuto dalla Corte d’Appello – la domanda è in ogni caso infondata nel merito.
E, invero, la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno richiede – come detto – che sia comprovata l’illegittimità degli atti con cui il Comune ha reiterato il vincolo urbanistico.
Proprio in ciò risiede, infatti, l’elemento qualificante dell’azione risarcitoria rispetto alla mera pretesa indennitaria (da agire legittimo dell’amministrazione).
Nel caso di specie, l’illegittimità dei provvedimenti che hanno compresso, nel tempo, le aspettative edificatorie dei ricorrenti non è tuttavia dimostrata.
In particolare:
- con riferimento al periodo dal 1971 fino all’adozione di variante del 2004, i ricorrenti si limitano a ricapitolare quali provvedimenti hanno imposto e poi reiterato il vincolo sulla loro proprietà, senza tuttavia neppure allegare censure di legittimità degli stessi, con conseguente difetto assoluto di prova dell’ingiustizia del danno ascrivibile ai suddetti provvedimenti;
- per ciò che attiene ai periodi intercorrenti tra la decadenza di ciascun vincolo e la sua reiterazione, i ricorrenti si sono limitati a riportare il mero dato dell’esistenza di periodi di vuoto di pianificazione del lotto (durante i quali era quindi da ritenere operante il già richiamato regime delle c.d “zone bianche”), ma non hanno né allegato, né tanto meno comprovato la sussistenza di una colpa dell’Amministrazione nella limitazione delle possibilità di utilizzo edificatorio dell’area. Risulta anzi che nel periodo 2000-2005 il Comune abbia tentato di acquisire l’area direttamente dai ricorrenti, avviando una trattativa poi non andata a buon fine, il che evidenzia quanto meno l’intento di dirimere in radice il problema della destinazione urbanistica dell’area e del sacrificio dello ius aedificandi;
- il provvedimento impugnato con il ricorso RG n. 3520 del 2005 (progetto definitivo avente effetti di d.p.u., non seguito dall’espropriazione) non rientra nella serie degli atti che hanno inciso sulle aspettative edificatorie dei ricorrenti, per cui la relativa impugnazione è improcedibile, come detto sopra;
- l’impugnazione proposta avverso la reiterazione del vincolo operata tra il 2004 e il 2007 è stata respinta, poiché, come sopra illustrato, i provvedimenti resistono alle censure articolate dai ricorrenti.
11.3 In ragione di quanto sopra esposto, deve concludersi che i ricorrenti non hanno dimostrato la sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità dell’Amministrazione.
Conseguentemente, non può trovare accoglimento la domanda volta a ottenere un ristoro superiore rispetto al mero indennizzo per la reiterata compressione delle aspettative edificatorie relative alla loro area, già riconosciuto dal giudice ordinario.
12. In definitiva, la domanda di annullamento proposta con il ricorso RG 3520/2005 va dichiarata improcedibile; le domande di annullamento proposte con il ricorso RG 1440/2007 sono da respingere in parte e in parte da dichiarare inammissibili; va altresì rigettata la domanda risarcitoria.
13. La complessità delle questioni affrontate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), previa riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, definitivamente pronunciando sui medesimi:
- dichiara improcedibile la domanda di annullamento proposta con il ricorso RG 3520/2005;
- respinge in parte le domande di annullamento proposte con il ricorso RG 1440/2007 e le dichiara inammissibili per la restante parte;
- respinge le domande di risarcimento del danno.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Lorenzo Stevanato,Presidente
Silvia Cattaneo,Primo Referendario
Floriana Venera Di Mauro,Referendario, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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