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Occupazioni illegittime ed obbligo di loro superamento: TAR Catanzaro, sez. II, sent. n. 1847 del 11.11.2014

Pubblico
Mercoledì, 19 Novembre, 2014 - 01:00

Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria,(Sezione Seconda), sentenza n. 1847 del 11 novembre 2014, sulle occupazioni illegittime 
 
 
N. 01847/2014 REG.PROV.COLL.
 
N. 01300/2012 REG.RIC.
 
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REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
 
(Sezione Seconda)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 1300 del 2012, proposto da: 
Ernesto Cosentino, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Servino, con domicilio eletto presso il suo studio in Catanzaro, Via Pugliese, 10; 
contro
Comune di Taverna, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio; 
Per la condanna
dell’amministrazione a pagare il valore dei terreni occupati che il giudice riterrà competere per la causale di cui è narrativa, oltre interessi legali dalla data dell’occupazione al soddisfo e rivalutazione monetaria, previa declaratoria dell’illegittimità ed abusività dell’occupazione del terreno di cui al ricorso atteso che la procedura non è stata ultimata con il decreto di esproprio;
dell’amministrazione a pagare l’indennità di occupazione illegittima, oltre interessi legali al soddisfo (ricorso in riassunzione).
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2014 la dott.ssa Giuseppina Alessandra Sidoti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Con l’odierno ricorso in riassunzione, notificato il 28 novembre 2012 e depositato il successivo 5 dicembre, il sig. Cosentino Ernesto, proprietario del terreno ubicato in Taverna – CZ e riportato in catasto al foglio n.44, p.lla 28, della superficie di mq. 2.044, ha esposto di aver subito un’occupazione dello stesso da parte del Comune di Taverna, allo scopo di costruirvi la Casa Mandamentale.
Ha precisato che l’occupazione del suolo è avvenuta con procedura d’urgenza e che alla costruzione dell’opera pubblica non ha fatto seguito l’emissione di decreto di esproprio, secondo le risultanze della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro, in un primo momento adita dall’odierno ricorrente per ottenere la giusta indennità.
Ha riferito di avere, quindi, introdotto giudizio ordinario con citazione notificata in data 27.12.2000 per chiedere l’accertamento dell’illegittimità dell’occupazione del terreno e conseguente risarcimento dei danni dovuti, deciso con sentenza n.3090/2012 con cui il Tribunale ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore del giudice amministrativo.
Avendo interesse a che la causa venga decisa ha, infine, presentato il presente atto, ai fini della riassunzione, chiedendo: a) la dichiarazione dell’illegittimità della procedura espropriativa in questione; b) la condanna dell’Amministrazione a pagare il valore dei terreni occupati, oltre interessi legali dalla data dell’occupazione al soddisfo e rivalutazione monetaria; c) la condanna dell’Amministrazione a pagare l’indennità di occupazione illegittima, oltre interessi sino al soddisfo; d) ai fini del quantum, di far riferimento agli importi risultanti dall’accertamento peritale del CTU disposto dal giudice ordinario; e) la condanna al pagamento delle spese e competenze di causa.
Il Comune intimato non si è costituito in giudizio.
Alla pubblica udienza del 7 novembre 2014, il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
1. La controversia ha ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno subito dal ricorrente per effetto della trasformazione di terreno di sua proprietà nell’ambito di una procedura ablativa non conclusasi con un provvedimento di esproprio.
Va, preliminarmente, ritenuta sussistente la giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, primo comma, lett. g), c.p.a., atteso che l’occupazione di cui si tratta è intervenuta nell’ambito di una procedura espropriativa.
Orbene, come noto, qualora, come nella specie, alla dichiarazione di pubblica utilità (nel caso insita nel progetto di costruzione della nuova casa mandamentale) non abbia fatto seguito l’adozione di un tempestivo decreto di esproprio, pur in presenza della realizzazione dell’opera programmata, non si ha il trasferimento della proprietà.
In tale ipotesi, l’Amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione “sine titulo” e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo l’immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto ivi realizzato, atteso che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato costituisce un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà; tale trasferimento può dipendere solo da un formale atto di acquisizione dell’Amministrazione, mentre deve escludersi che il diritto alla restituzione possa essere limitato da altri atti estintivi (rinunziativi o abdicativi) della proprietà o da altri comportamenti, fatti o contegni (sul punto, cfr. Cons. St., IV, n. 4833/2009 e n. 676/2011, nonché Tar Catania, II, n. 1220/2013 e n. 1974/2012).
I principi desumibili dall’art.42 bis del testo unico sugli espropri e le possibilità insite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna, di cui all’art. 34, primo comma, lett. c), c.p.a., consentono, tuttavia, una formulazione della sentenza che non pregiudichi la possibilità per l’Amministrazione di acquisire il bene ai sensi dell’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001 (sul punto, cfr. Cons. St., IV, n. n. 1514/2012, Tar Palermo, II, n. 428/2012, Tar Napoli, V, n. 1171/2012, nonché Tar Catania, II, n. 1220/2013 e n. 1974/2012), pertanto rimanendo impregiudicata la discrezionale valutazione in ordine agli interessi in conflitto da parte del Comune di Taverna, questi, ove ritenga di non restituire il fondo al legittimo proprietario, previa riduzione nel pristino stato, potrà, in via alternativa, disporre la sua acquisizione.
L’amministrazione resistente, qualora decida per l'acquisizione, dovrà liquidare in favore del ricorrente il valore venale del bene al momento dell'emanazione del provvedimento di acquisizione, aumentato del 10% a titolo di forfettario ristoro del pregiudizio non patrimoniale arrecato, nonchè il 5% del valore annuo sul valore venale del bene occupato per tutto il tempo di occupazione sine titulo, detratto, ovviamente, quanto già corrisposto a vario titolo al ricorrente, subordinando, come per legge, l'effetto traslativo all'effettivo pagamento delle somme. L’ultima posta risarcitoria indicata dovrà essere corrisposta anche nel caso in cui l'amministrazione dovesse optare per la restituzione. In quest'ultimo caso, ove le somme già ricevute dal ricorrente si rivelassero superiori al danno da occupazione, esse dovranno essere restituite per l'eccedenza.
Quanto al risarcimento del danno da occupazione illegittima, il Consiglio di Stato, (sez. IV, 1 giugno 2011, n. 3331) ha chiarito che il risarcimento, che si qualifica come illecito permanente, deve coprire le voci di danno dal momento del suo perfezionamento fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie.
Ciò impone, quindi, l’individuazione del momento iniziale e di quello finale del comportamento lesivo.
In relazione al termine iniziale, questo deve essere identificato nel momento in cui l’occupazione dell’area privata è divenuta illegittima, il che significa che decorre dalla prima apprensione del bene, ossia dalla sua occupazione, qualora l’intera procedura espropriativa sia stata annullata, oppure dallo scadere del termine massimo di occupazione legittima, qualora invece questa prima fase sia rimasta integra, come appare nel caso in questione. Ciò in considerazione del fatto che l’iniziale occupazione, se non sono stati annullati tutti gli atti a decorrere dalla dichiarazione di pubblica utilità, diviene illegittima solo successivamente, ed in ragione degli ulteriori vizi del procedimento, normalmente collegati alla mancata tempestiva emanazione del decreto di esproprio (Consiglio di Stato, IV, 20.07.2011, n.4408).
In relazione al termine finale, questo deve essere individuato nel momento in cui la resistente restituirà le aree o acquisterà legittimamente le stesse.
1.1. Riassumendo l’Amministrazione resistente, in applicazione della disciplina attualmente vigente, è tenuta:
a) a restituire al proprietario il terreno occupato, previa riduzione in pristino stato, corrispondendo, inoltre, per il periodo di occupazione illegittima, la somma come sopra determinata;
b) a procedere, in alternativa, all’acquisizione dell’immobile di cui si è detto mediante un valido titolo di acquisto, e, in primo luogo, tramite quello disciplinato dall’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2000, corrispondendo le somme come sopra determinate.
Ai sensi dell’art. 34, primo comma, lett. c), cod. proc. amm., è, pertanto, opportuno disporre che l’Amministrazione proceda, entro centoventi giorni dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, della presente sentenza, alla restituzione delle aree in questione oppure, entro il medesimo termine, proceda ad un valido acquisto, in primis tramite provvedimento ex art.42-bis, e che l’eventuale provvedimento di acquisizione sia tempestivamente notificato al proprietario e trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’Amministrazione procedente, nonché comunicato alla Corte dei Conti.
Resta inteso che i predetti termini, disposti nell’esclusivo interesse del ricorrente, potranno essere aumentati su autorizzazione scritta di questo.
In ordine alla specifica statuizione concernente la possibilità per l’Amministrazione di procedere, in alternativa, all’acquisizione dei beni ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001, può essere utile rappresentare che, in fattispecie analoga, si sono pronunciati nello stesso senso, oltre che il Consiglio di Stato (con la sentenza, Sezione IV, n. 1514/2012), anche il Tar di Palermo (Sezione I 610/2014; Sezione II, n. 428/2012), il Tar Campania (Napoli, Sezione V, n. 1171/2012), e il Tar Sicilia (sezione staccata di Catania, sezione seconda, n.705/201; n.1986/2012).
2. Va, quindi, esaminata l’istanza di avvalersi, ai fini del quantum, delle risultanze dell’accertamento peritale del CTU, disposta in sede civile innanzi al giudice che, con sentenza n.3090/2012, ha declinato la giurisdizione.
In tema, l’indirizzo prevalente in giurisprudenza è nel senso che il giudice può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto ed in virtù del principio dell’unità della giurisdizione, anche prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse parti, e da esse desumere elementi che, al di fuori dei casi di opponibilità dell’accertamento derivante dal giudicato, devono, peraltro, costituire oggetto di autonoma valutazione dei fatti sottoposti alla sua cognizione (cfr. Cass. Civ., sez. III, 2 aprile 2014, n.7698; id., 14 maggio 2013, n.11555; Consiglio di Stato, sez. IV, 25 settembre 2014, n.4817).
Tanto premesso, si ritiene che l’accertamento peritale del CTU disposto nel detto giudizio ordinario, svoltosi tra le medesime parti, possa essere assunto come parametro di partenza e costituire la base per un calcolo del valore venale dell’immobile che, però, dovrà essere aderente alla realtà, tenuto conto della protrazione dell’occupazione sine titulo.
Pertanto, qualora l’Amministrazione addivenga alla decisione di procedere ad un valido acquisto dell’area, ai fini della determinazione del quantum dovuto, le parti dovranno fare riferimento alla detta perizia, verificando se i dati accertati in essa conservino attualità.
Resta inteso che tutte le questioni che dovessero insorgere nella fase di conformazione alla presente sentenza potranno formare oggetto di incidente di esecuzione e risolte, se del caso, tramite commissario ad acta.
3. In conclusione, il ricorso va accolto nei termini e nei limiti di cui in motivazione.
4. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Condanna parte resistente alla rifusione in favore del ricorrente delle spese di lite, liquidate in complessivi € 1.500,00 (euro millecinquecento/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Schillaci,Presidente
Concetta Anastasi,Consigliere
Giuseppina Alessandra Sidoti,Referendario, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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