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Mancata o meno conclusione esproprio

Pubblico
Lunedì, 31 Gennaio, 2022 - 15:30

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda Bis), sentenza n. 1015 del 28 gennaio 2022, mancata conclusione o meno dell’esproprio 
MASSIMA 
In materia di espropriazione, il presupposto necessario affinchè si possa prospettare una domanda di risarcimento del danno conseguente ad una ablazione illegittima è che il relativo procedimento non sia pervenuto a conclusione (così che l’apprensione del bene acquisito risulti avvenuta sine titulo).
SENTENZA 

N. 01015/2022 REG.PROV.COLL.
N. 06100/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6100 del 2012, proposto da
OMISSIS ciascuna in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Barbara Frateiacci, Francesco Antonio Romito, con domicilio eletto presso lo studio Barbara Frateiacci in Roma, via Ottaviano, 9;
contro
Comune di Fabrica di Roma, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Riccardo Mizzelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Casilina,1674;
per la condanna
del Comune di Fabrica di Roma al risarcimento del danno determinato da illegittima occupazione in seguito a delibera di Giunta Comunale nr. 618 del 7.10.1996, dell’area attualmente censita al catasto terreni del Comune di Fabrica di Roma, al foglio 9, particella nr. 943 – art. 30 del c.p.a.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Fabrica di Roma;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2022 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Nell’odierno giudizio, le ricorrenti agiscono per ottenere il risarcimento del danno conseguente all’illegittima occupazione dell’area di cui sono proprietarie, ciascuna per un mezzo dell’intero, che assumono essere stata compiuta dal Comune di Fabrica di Roma in dipendenza di un procedimento di espropriazione per opere di pubblica utilità.
Espongono a tale riguardo quanto segue.
Il Comune deliberava l’occupazione d’urgenza dell’area catastalmente identificata alla partita 10453, foglio 9, particella 813, per un totale di mq 3280 per un periodo di anni 5 dall’immissione in possesso (delibera della Giunta del 7.10.1996, n. 618), che avveniva in data 7.11.1996 (come da verbale in atti).
Con deliberazione nr. 2 del 26.02.1998, il Consiglio Comunale stabiliva di accettare l’accordo bonario per l’esproprio con cessione volontaria di una porzione dell’area occupata, pari ai 2100 mq utilizzati per l’opera pubblica, previo pagamento del prezzo.
La rimanente area di mq 1180 non era oggetto di provvedimenti di esproprio e subiva trasformazioni in dipendenza della realizzazione dell’opera pubblica che le ricorrenti assumono non essere mai state autorizzate (realizzazione di una scarpata e posa di opere di urbanizzazione).
Inutili erano le reiterate richieste che le proprietarie avanzavano circa il pagamento dell’indennità di occupazione ed il risarcimento dei danni, prospettando una richiesta risarcitoria complessiva per euro 46.916,80 in data 5.08.2008, sollecitata con diffida del 2.12.2011.
Precisano che, in esito al frazionamento n. 942 dell’8.4.1999, l’area d’interesse, con superficie di mq 1180, è censita al catasto terreni del Comune di Fabrica di Roma, foglio 9, particella n. 943.
Lamentando, quindi, la violazione dell’art. 2 della l. 241/90, la violazione della disciplina dell’espropriazione di cui all’art. 42 della Costituzione, all’art. 17 della Carta di Nizza ed al DPR n. 327/2001, nonché l’eccesso di potere sotto diversi profili sintomatici, concludono chiedendo, “previa declaratoria dell’illegittima occupazione ex delibera di Giunta Comunale nr. 618 del 7.10.1996 e conseguenziale verbale di immissione in possesso del 7.11.1996 dell’area sita nel Comune di Fabrica di Roma con identificativi catastali foglio 9, particella 943, per un totale di mq 1180, protrattasi a tutt’oggi dopo la immissione in possesso del 7.11.1996 e non seguita dal decreto di esproprio, condannare il Comune di Fabrica di Roma, in persona del Sindaco p.t., al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, a favore delle ricorrenti, in ragione di un mezzo ciascuna, da liquidarsi come per legge, avuto riguardo al valore venale del bene, comprensivi di indennizzo da esproprio e di indennità per illegittimo spossessamento per il periodo di occupazione illegittima, valutabili in almeno complessivi euro 54.736,24 o, comunque, nella diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia dall’Ecc.mo TAR adito”.
Si è costituito il Comune intimato che resiste al ricorso del quale chiede il rigetto.
Precisa in fatto l’Ente che la progettazione e direzione lavori dell’opera pubblica, consistente nella realizzazione di una caserma per l’Arma dei Carabinieri, veniva affidata a due professionisti uno dei quali era amministratore e legale rappresentante della Silla Costruzioni s.r.l., odierna ricorrente e proprietaria dell’area di cui alla particella n. 813; dopo l’approvazione del progetto (delibera nr. 618 del 7.10.1996 della Giunta Comunale), veniva notificata alla proprietaria la nota di avvenuto deposito degli atti relativi al procedimento espropriativo della sola area necessaria alla realizzazione dell’opera, quantificata in mq 2.100; con verbale del 7.11.1996 il Comune veniva immesso nel possesso dell’intera estensione della part. 813, ovvero mq 3.280, solo in quanto non ancora frazionata.
Con nota del 04.02.1997 la resistente Silla Costruzioni si dichiarava disponibile alla cessione bonaria dell’area di tutto il lotto di mq 3280 e, successivamente, la medesima società, formulava una proposta alternativa consistente nella permuta del predetto terreno con altro con destinazione industriale di proprietà comunale. Alla conclusione delle menzionate proposte il Consiglio comunale, con deliberazione n. 2 del 26/02/98, vista la delibera di Giunta Comunale n. 480/95, con la quale veniva approvato il progetto esecutivo e attivata la procedura espropriativa per l’acquisizione dell’area necessaria di mq, 2100, in catasto F. 9 part. 813, della Silla Costruzioni, accoglieva la proposta di bonario accordo per la cessione volontaria del terreno necessario di mq 2100, oggetto della citata procedura di esproprio, al previo pagamento del prezzo ivi meglio stabilito.
La Direzione Lavori, unitamente alla proprietaria dell’area, provvedeva al frazionamento del terreno, come da istanza sottoscritta anche dalla proprietà in data 09.03.1999.
Pertanto, con deliberazione n. 25 del 19.04.1999, la Giunta comunale, richiamata la precedente deliberazione n. 480/95 con cui aveva stabilito di attivare la procedura espropriativa per l’acquisto dell’area necessaria dalla Silla Costruzioni per una superficie di 2.100 mq e visto il frazionamento relativo al terreno redatto a cura della Direzione lavori, deliberava di approvare il frazionamento relativo al terreno di pertinenza della costruenda Caserma; l’accordo si perfezionava con atto di compravendita della sola superficie di mq 2.100, necessaria all’opera pubblica, del 29 giugno 1999, nel quale, all’art. 7 (dopo aver richiamato nelle premesse lo svolgimento dell’attività procedimentale già illustrata) si dichiarava che “a conclusione di accordo bonario e a titolo definitivo di risoluzione della iniziata procedura espropriativa relativa all’area suddetta, in favore del quale rilascia ampia e finale quietanza di saldo con dichiarazione di non aver altro a pretendere dalla parte acquirente”.
Conclusivamente, secondo il Comune l’accordo avrebbe perfezionato la procedura espropriativa; non sussisterebbe pertanto alcuna occupazione illegittima dell’area d’interesse delle ricorrenti; non si sarebbe verificata alcuna trasformazione della stessa area, essendo il lotto di terreno del tutto sgombro nell’attualità (il lotto non presenterebbe scarpate né opere di altro genere, risultando accessibile dalla via dell’Ortale); il terreno, di proprietà di parte ricorrente, sarebbe nel suo pieno possesso e disponibilità già a far data dall’accordo preso e dal pedissequo frazionamento; di eventuali danni esecutivi risponderebbe solo l’appaltatore; in ogni caso non risulterebbero comprovati, con conseguente infondatezza ed inammissibilità dell’intera domanda.
Le parti hanno scambiato repliche.
Nella pubblica udienza del 14 gennaio 2022 i procuratori delle parti hanno approfondito oralmente le rispettive tesi ed argomentazioni e la causa è stata quindi trattenuta in decisione.
Avendo riguardo al contenuto degli atti di causa e tenuto conto delle censure per come formulate e nei relativi limiti, il Collegio condivide le tesi difensive del Comune resistente.
In materia di espropriazione, il presupposto necessario affinchè si possa prospettare una domanda di risarcimento del danno conseguente ad una ablazione illegittima è che il relativo procedimento non sia pervenuto a conclusione (così che l’apprensione del bene acquisito risulti avvenuta sine titulo).
Tale presupposto, nel caso di specie, non si è verificato, avendo le parti convenuto ed eseguito la cessione bonaria del cespite necessario all’opera pubblica, con la conseguenza che ogni aspetto relativo alla restituzione alla proprietaria della frazione di bene immobile originariamente inclusa nel verbale di immissione dell’Ente diviene una questione meramente esecutiva e materiale che, come tale, non è (più) causalmente riconducibile all’originaria causa espropriativa.
Più precisamente, a tacere di ogni rilievo circa la rappresentata circostanza della coincidenza tra uno dei progettisti-direttori dei lavori con il rappresentante legale di una delle due odierne società ricorrenti, quel che rileva è l’avvenuta conclusione rituale del procedimento espropriativo con un accordo bonario regolarmente approvato tra le parti ed altrettanto pacificamente eseguito, che ha prodotto un legittimo acquisto del terreno necessario all’opera pubblica in capo all’Ente locale procedente.
Ciò rende del tutto recessive le doglianze che la difesa di parte ricorrente ha formulato e che sostanzialmente si esauriscono nella lamentata assenza di un verbale di “dismissione” della quota del bene immobile originariamente occupato in via di urgenza, senza che peraltro abbiano dimostrato un collegamento anche solo residuale tra la realizzazione dell’opera pubblica e l’affermato asservimento di porzioni ulteriori corrispondenti all’area in contestazione.
La natura meramente formale della censura e la sua infondatezza risultano dunque palesi dall’esposizione delle ragioni dell’Ente: invero, una volta perfezionatosi l’accordo bonario, il procedimento espropriativo si è concluso e l’acquisto del bene immobile in capo all’Ente è avvenuto per effetto del titolo consensuale stipulato tra le parti, con la conseguenza che gli atti precedenti volti all’immissione in possesso, meramente anticipatori dell’effetto finale, hanno perso di efficacia.
Né può farsi questione di danni o indennità da illegittima occupazione (dell’area di maggior estensione) perché l’accordo intervenuto tra le parti, per come esposto in parte narrativa, ha avuto carattere e natura transattiva di ogni altra pretesa scaturente dalla procedura espropriativa; peraltro, a tacere del fatto che non viene comprovata la sussistenza di interventi sostanzialmente ablativi (conseguenti alla realizzazione dell’opera pubblica e quindi causalmente riconducibili all’esercizio del potere autoritativo dell’Ente) di tutta o parte della particella 943, in ogni caso è corretto quanto eccepito dall’Ente in ordine alla imputabilità di eventuali sconfinamenti alla responsabilità esclusiva dell’appaltatore (questione che apparterrebbe alla giurisdizione ordinaria).
Per tutte queste ragioni, dunque, l’odierno ricorso è infondato e come tale va respinto, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite che si liquidano come in dispositivo, nella misura che tiene conto della natura delle doglianze dedotte e dello sforzo difensivo che l’azione della parte ricorrente ha richiesto all’Ente locale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna le ricorrenti, in solido tra loro, alle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 6.000,00 (seimila) oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2022 con l'intervento dei magistrati:
Pietro Morabito, Presidente
Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore
Giuseppe Licheri, Referendario
            
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Salvatore Gatto Costantino        Pietro Morabito
         
               
IL SEGRETARIO

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