Consenso all'uso dei cookie

Tu sei qui

Sostituzione demolizione con pena pecuniaria

Privato
Giovedì, 17 Settembre, 2020 - 10:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), sentenza n. 2160 del 30 marzo 2020, sulla possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria.

MASSIMA

La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma perfino rispetto all' adozione dell'ordine di demolizione. E' in tale fase, infatti, che le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, senza che ciò impatti sulla legittimità del presupposto provvedimento di demolizione.

L'art. 31, comma 2, della L. n. 47 del 1985, prevede due criteri alternativi per la verifica del requisito dell'ultimazione dei lavori, rilevante ai fini del rilascio del condono. Si tratta del criterio "strutturale", che vale nei casi di nuova costruzione e del criterio "funzionale", che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale. Quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici "ultimati", ci si riferisce a quelli completi almeno al "rustico", appunto, espressione con la quale si intende un'opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili. La nozione di completamento funzionale, implica invece uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione.

SENTENZA

N. 02160/2020REG.PROV.COLL.

N. 00197/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 197 del 2010, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli e Maria Athena Lorizio, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Dora, n. 1;

contro

la signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Di Lieto, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Santina Murano in Roma, via del Pelagio I, n. 10;

nei confronti

il Comune di-OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente reiezione di istanza di annullamento di concessione edilizia;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della signora -OMISSIS-;

Vista l’ordinanza della -OMISSIS-di questo Consiglio di Stato-OMISSIS-, di reiezione dell’istanza cautelare;

Vista l’ordinanza di questa Sezione n. -OMISSIS-, di rinvio della trattazione della causa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2020 il Consigliere Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Vincenzo Cerulli Irelli e l’avvocato Andrea Di Lieto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

 

FATTO

1. Con ricorso al T.A.R. per la-OMISSIS-l’odierna controinteressata chiedeva l’annullamento dell’atto prot. n. 7355 del 15 settembre 2004 con il quale il responsabile del settore urbanistico del Comune di-OMISSIS- aveva respinto la sua istanza di annullamento d’ufficio della concessione edilizia in sanatoria n. 7 del 7 novembre 2001 e relativa proroga n. 4691 del 10 luglio 2003, rilasciate all’appellante, signora -OMISSIS-, per l’avvenuta realizzazione di un fabbricato adibito a civile abitazione ubicato alla via Pistiello, strutturato su tre piani, di cui due fuori terra.

L’adìto Tribunale, con sentenza n. -OMISSIS-ha accolto il ricorso, sull’assunto che nel caso di specie la richiesta di annullamento d’ufficio e di conseguente attivazione dell’iter sanzionatorio avrebbe dovuto avere un seguito necessario, stante che trovava causa nella denunciata falsità delle attestazioni relative all’epoca di realizzazione del manufatto: l’avvenuta ultimazione delle opere alla data del 1°ottobre 1983, termine ultimo utile per la fruizione del condono richiesto, sarebbe stata “sconfessata” per tabulas dal verbale di sequestro effettuato, nell’ambito del procedimento penale conseguito ai fatti di causa, dai Carabinieri di Amalfi in data 29 agosto 1983, “congelando” descrittivamente in atti una situazione ben diversa da quella rappresentata dalla parte con riferimento alla cubatura realizzata. La discrasia ha trovato ulteriore conferma nella consulenza tecnica d’ufficio disposta allo scopo dal medesimo Tribunale.

2. Avverso tale sentenza presentava appello la signora -OMISSIS-, lamentandone l’erroneità sotto molteplici profili. In primo luogo, riproponeva le eccezioni di inammissibilità respinte dal giudice di prime cure:

-valutando la reiezione dell’istanza di annullamento d’ufficio, si sarebbe finito per rimettere in termini la parte con riferimento all’impugnativa di provvedimenti (la concessione in sanatoria e la relativa “proroga”) i cui termini di gravame sono invece irrimediabilmente scaduti;

-la ricorrente in primo grado, in quanto proprietaria di un immobile non “contiguo” a quello di controparte, perché ubicato ad altezza differente, non confinante, né frontista, né infine in posizione di allineamento diretto, non avrebbe avuto interesse a ricorrere, avuto riguardo alla consolidata elaborazione giurisprudenziale del requisito della vicinitas, nel caso di specie insussistente in concreto.

Nel merito, lamentava:

-violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 40 della l. n. 47/1985 e dell’art. 3.4. della circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 3557/25. Alla data del 1° ottobre 1983 poteva effettivamente considerarsi “ultimata” la struttura composta da due piani fuori terra con copertura ed un piano seminterrato a sostegno, delimitato da sei pilastri in cemento armato, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure sulla base di un’errata lettura degli atti di causa. L’indicazione di superficie e volume nell’istanza di condono è effettivamente inficiata da un errore materiale, ma “innocuo” in quanto il dato è stato indicato in maniera corretta nella allegata documentazione tecnica. Pertanto la superficie dei due piani fuori terra sarebbe pari a mq.155,28, anziché mq.145,17, come dichiarato, mentre la cubatura sarebbe pari a mc.760,30, anziché mc.942,59, così come risultante dai titoli edilizi in sanatoria rilasciatile. Di ciò sarebbe conferma anche dalla lettura degli atti dei Carabinieri di -OMISSIS- epurati da innegabili imprecisioni, anche linguistiche, fornita da ultimo nella relazione peritale allegata in atti;

-in via subordinata, il Comune avrebbe dovuto intervenire a norma dell’art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, irrogando una sanzione amministrativa pecuniaria in luogo della demolizione, in applicazione del principio di proporzionalità;

- il provvedimento del 10 luglio 2003 sarebbe da qualificare correttamente come proroga, in conformità con quanto richiesto dalla parte, e non come nuova concessione;

- del tutto legittimamente avrebbe agito il responsabile dell’ufficio competente anche in relazione all’autorizzazione paesaggistico-ambientale, non assumendo rilievo in proposito il suo inquadramento quale dipendente a tempo determinato dell’Ente.

3. Si è costituita in giudizio la ricorrente in primo grado con memoria in controdeduzione. Essa ha in primo luogo eccepito l’inammissibilità -rectius, anche improcedibilità- dell’appello per carenza di interesse sopravvenuta: con provvedimento n. 10592 del 10 novembre 2009, infatti, l’ufficio comunale competente, sostanzialmente superando il proprio precedente diniego, ha disposto l'annullamento in autotutela della concessione in sanatoria di cui è causa, ingiungendo, poi, con l'ordinanza n. 121/09, la demolizione del manufatto abusivamente realizzato dalla -OMISSIS-. Ciò in quanto «le opere riportate nell'istanza di sanatoria inoltrata ai sensi della L. 47/85, dichiarate dalla parte eseguite alla data del 01.10.1983 non coincidono con quelle effettivamente realizzate e rilevate dal comando dei Carabinieri di Amalfi ed innanzi riportate in premessa e che non potevano considerarsi ultimate e/o· completate funzionalmente». Ha quindi ribadito la propria legittimazione ad agire in quanto proprietaria di un'abitazione sita in-OMISSIS-, con accesso da via Pistillo II, n. 4, contigua all’ immobile di cui è causa, di proprietà della -OMISSIS- -OMISSIS-, sito anch'esso in via Pistiello II, n. 12; nonché la tempestività del proprio agire, essendosi attivata non per ottenere l’annullamento dei titoli edilizi pur illegittimamente rilasciati, ma per compulsare i doverosi e imprescrittibili controlli di competenza comunale. Ad ogni buon conto, sul punto della legittimazione e della tempestività, si è ormai formato il giudicato, stante che il provvedimento oggi impugnato consegue ad ottemperanza alla sentenza n. 1706/2004 del medesimo T.A.R. per la -OMISSIS- inoppugnata, che ha sancito l'obbligo del Comune di-OMISSIS- di pronunciarsi sulla richiesta in tal senso della-OMISSIS-.

4. Con ordinanza-OMISSIS- la -OMISSIS-di questo Consiglio di Stato, preso atto dell’insussistenza del periculum in mora, giusta l’autonomia, anche motivazionale, dei provvedimenti adottati dal Comune in data 10 novembre 2009 (ovvero l’annullamento della sanatoria e l’ingiunzione a demolire), e la conseguente mancanza di interesse alla richiesta misura cautelare, respingeva l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.

Con ordinanza n. -OMISSIS-, questa Sezione, accogliendo la richiesta di parte, differiva la trattazione della causa, già fissata per il 3 dicembre 2019, allo scopo di consentire la produzione della preannunciata documentazione volta ad attualizzare lo stato di fatto e di diritto della complessa vicenda, stante la sua risalenza nel tempo e l’intersecarsi con autonomi, ma connessi, contenziosi.

Alla pubblica udienza del 25 febbraio 2020, sentite le parti, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. In primo luogo, il Collegio ritiene di non poter accogliere l’ulteriore istanza di rinvio della trattazione della causa in ragione della rappresentata circostanza che sarebbe in corso di perfezionamento l’iter di riesame delle due pratiche di condono edilizio all’origine dell’odierna controversia (pratica n. 144 del 1° aprile 1986 e n. 172 del 1° marzo 1995), alla luce dell’asserito avvenuto abbattimento delle opere abusive in data 31 marzo 2017: in assenza di sostanziali mutamenti della situazione già descritta in occasione della precedente richiesta (tale non potendo essere considerato il solo parere favorevole espresso dalla Commissione locale del paesaggio in data 11 febbraio 2020), non appare giustificato un ulteriore differimento della trattazione della causa.

6. Sempre in via preliminare, appare necessario evidenziare che tra le parti di causa sono intercorsi diversi contenziosi, di cui è opportuno tenere conto al fine di decidere la controversia de qua.

Già alla base dell’adozione del provvedimento impugnato, infatti, come ricordato dall’appellata, si colloca l’esito del giudizio, pure promosso innanzi al T.A.R. per la -OMISSIS- con il quale è stato dichiarato l’obbligo del Comune di-OMISSIS- di provvedere sulle istanze avanzate e sull’atto di significazione e diffida dell’odierna appellata per “stimolare” le necessarie verifiche sulla regolarità della concessione in sanatoria n. 7/2001 rilasciata all’odierna appellante. In tale circostanza, il giudice di prime cure ha ritenuto sussistente la legittimazione attiva, scrutinando in concreto proprio il contestato requisito della vicinitas. Esso ha pertanto affermato che i fabbricati delle due parti benché non contigui, sono ubicati ad una limitata distanza in linea d’aria e, soprattutto, «con un posizionamento reciproco di allineamento pressoché diretto, pur risultando essi situati a quote diverse dal costone», ovvero uno «quasi al di sopra dell’altro», con ciò rendendo comprensibile l’esigenza che «l’edificazione nella parte superiore del costone [ovvero quella di cui si contesta il titolo in sanatoria] risponda a canoni di regolarità formale e sostanziale, onde garantire la sicurezza dei propri beni e della propria incolumità personale nel caso in cui dovessero verificarsi eccezionali eventi suscettibili di determinare frane, con i conseguenti pericoli». Il Tribunale ha altresì riconosciuto l’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza di autotutela, in quanto volta a «stimolare l’adozione dei doverosi provvedimenti sanzionatori previsti dagli artt. 40 e 45 L.47/1985 per i casi in cui la domanda di condono debba ritenersi dolosamente infedele». Ricostruzione, peraltro, fatta propria anche nella sentenza impugnata, e ad avviso della Sezione incontrovertibile in quanto cristallizzata nel precedente richiamato giudicato.

7. Ciò consente di respingere entrambe le eccezioni preliminari: la ritenuta necessità di adottare un provvedimento “di secondo grado”, con il quale sono state esplicitate le ragioni del mancato annullamento della sanatoria, implicitamente confermandola, assorbe ogni preliminare valutazione circa la doverosità o meno dell’esercizio dell’autotutela su istanza di parte, e implica il conseguente sindacato sulla scelta -in concreto motivatamente negativa - conseguita a tale attivazione. E’ pertanto inevitabile, ma non più in discussione in quanto riveniente da altro giudicato, che nel pronunciarsi sulla necessità di rivisitare il titolo rilasciato onde attivare il procedimento sanzionatorio, il Comune abbia dovuto scrutinarne la legittimità; egualmente inevitabile è che il perimetro dell’odierno giudizio, nel ripercorrerne la correttezza motivazionale, tocchi necessariamente il contenuto della concessione in sanatoria, siccome del resto ben noto all’appellante, che sulla correttezza della stessa, e non sulla esclusione di vizi propri del provvedimento impugnato, ha articolato la sua intera tesi difensiva.

8. Con due ulteriori ricorsi al T.A.R. per la-OMISSIS--solo uno dei quali richiamato anche dall’appellata- sono poi stati impugnati gli atti susseguenti alla sentenza del T.A.R.-OMISSIS-n. -OMISSIS-. In particolare:

-con ricorso n.r.g. 135/2010, tutt’oggi pendente, sono stati impugnati l’annullamento d’ufficio delle sanatorie, l’ordinanza ingiunzione a demolire n. 121 del 10 novembre 2009, nonché, con motivi aggiunti, l’accertamento di inottemperanza del 16 gennaio 2015; nel corso del procedimento è stata accordata la misura cautelare con ordinanza n. 246 del 24 aprile 2015, ancorché apparentemente riferita alla «irrogata sanzione pecuniaria accessoria»;

- con successivo ricorso n.r.g. 1706/2015, è stato impugnato il silenzio serbato dal Comune di-OMISSIS- in relazione alla richiesta di esecuzione della richiamata ordinanza di demolizione n. 121/2009 e la nota di riscontro prot. n. 2131 del 10 marzo 2015. Con sentenza n. 1806 del 16 luglio 2015 il T.A.R., dopo aver riepilogato le vicende giudiziarie ancora in itinere, ha respinto il ricorso, ritenendo insussistente l’invocato silenzio inadempimento giusta la risposta fornita dal Comune, non senza ricordare come la scadenza del termine per ottemperare ad un’ingiunzione a demolire sia presupposto per l’applicazione automatica del trasferimento coattivo al Comune della proprietà sull’immobile.

Infine, con sentenza n. 47 del 4 febbraio 2013 del Tribunale penale -OMISSIS-, sezione distaccata di -OMISSIS- si è addivenuti alla declaratoria di non doversi procedere nei confronti dell’odierna appellante per il reato di violazione dei sigilli apposti in occasione di precedente sequestro penale (art. 349 c.p., in concorso con il custode) per intervenuta prescrizione. Trattasi dell’esito del procedimento scaturito dal duplice accesso in loco dei Carabinieri di -OMISSIS- i cui atti costituiscono imprescindibile momento di valutazione dello stato di fatto dell’epoca. Solo per completezza, la Sezione ricorda come il primo sopralluogo, in data 26 agosto 1983, è conseguito alla necessità di valutare la conformità dei lavori all’unico titolo edilizio in possesso della proprietà, ovvero la concessione edilizia n. 4 del 21 luglio 1983, avente ad oggetto la realizzazione di un w.c. da annettere ad un vano ad uso cantina e ha comportato il sequestro del cantiere; da qui, l’ipotizzata violazione dei sigilli avendo la polizia giudiziaria riscontrato che il giorno successivo, 27 agosto 1983, i lavori erano comunque proseguiti. In motivazione, il giudice ha doverosamente esplicitato la mancanza di «elementi che rendono evidente l’innocenza dei prevenuti, con la conseguente impossibilità di pervenire ad una pronuncia del loro proscioglimento».

9. Ritiene la Sezione che, alla luce degli atti sopravvenuti nel 2009 e, a seguire, nel 2015 l’appello debba essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. Come eccepito dalla difesa dell’appellata, infatti – cfr. pag. 6 della memoria depositata in data 5 febbraio 2010, ove si ipotizza l’inammissibilità, avuto riguardo solo ai primi due atti – con il provvedimento comunale, datato 10 novembre 2009, è stata annullata in autotutela la concessione in sanatoria e contestualmente disposta la demolizione del manufatto abusivo. A ciò va aggiunta l’avvenuta verbalizzazione dell’inottemperanza a ridetta ingiunzione, in data 16 gennaio 2015.

L’eventuale annullamento dell’atto oggetto dell’odierna impugnativa non potrebbe superare l’attivazione procedimentale autonoma, con atti non confermativi, ma, al contrario, di senso diametralmente opposto allo stesso, avverso i quali, peraltro, pende autonomo giudizio.

L’intersecarsi delle vicende, tuttavia, ha determinato un comprensibile stato di incertezza nell’Amministrazione operante che nel rispondere alla (nuova) diffida di parte evoca anche la necessità di attendere gli esiti dell’odierno giudizio, laddove come sopra chiarito esso lambisce soltanto gli atti successivi, una volta che in forza di autonoma e divergente scelta ci si sia determinati per la loro adozione. Non a caso, infatti, nella richiamata sentenza n. -OMISSIS-. per la-OMISSIS-ha al contrario ricordato la necessità di dar seguito al procedimento sanzionatorio a prescindere dagli esiti formali delle interlocuzioni tra le parti, essendo il trasferimento coattivo della proprietà la sanzione conseguente ope legis all’accertamento dell’inottemperanza.

La circostanza è stata giustamente già valutata in sede cautelare, laddove si è evidenziato come la sospensione dell’efficacia dell’annullamento del provvedimento oggi avversato non avrebbe in alcun modo giovato alla parte, in quanto inidonea ad incidere sugli atti del procedimento sanzionatorio autonomamente istruiti ed adottati, dando seguito proprio a quei controlli che in esso si ritenevano superflui.

10. Proprio alla luce della peculiarità della vicenda in ragione della tipologia di provvedimento impugnato, il Collegio ritiene di doverne scrutinare anche il merito.

Sotto tale profilo, l’appello è comunque infondato.

Con brillante prospettazione di sintesi, enfatizzando talune imprecisioni descrittive degli atti di polizia giudiziaria costituenti il necessario documento di comparazione, l’appellante contesta da un lato la affermata non ultimazione delle opere abusive; dall’altro, la mancanza di “dolo” nella rappresentazione delle stesse come “ultimate”, versando la parte nella convinzione, anche attuale, della correttezza delle proprie dichiarazioni. Da qui, l’asserita violazione sia dell’art. 31 della l. n. 47/1985, che richiede, appunto, quale stadio di avanzamento della realizzazione dell’intervento per poter fruire del condono la sua avvenuta “ultimazione”; sia l’art. 40 della medesima legge, laddove dà rilievo alla domanda “dolosamente infedele” ai fini dell’attivazione del procedimento sanzionatorio.

L’assunto non è condivisibile, né in fatto, né in diritto.

Innanzi tutto va rilevato come una prima inesattezza sia esplicitamente ammessa anche dall’appellante, laddove riduce a mero refuso l’indicazione nell’istanza di condono di mc. 942,59, pur essendo quelli per i quali è sopravvenuta la sanatoria solo mc. 760,30. Trattasi, per esplicita interpretazione anche del consulente tecnico d’ufficio, di un incomprensibile errore di approssimazione, tuttavia in effetti inidoneo a falsare la valutazione dell’Amministrazione procedente stante che la misura corretta è presente nell’elaborato planivolumetrico di parte acquisito agli atti della Commissione edilizia comunale in data 16 febbraio 2000.

Ma anche rispetto a tale dato rettificato (mc.760,30) lo stato di fatto riscontrato e “bloccato” con atto di sequestro alla fine di agosto del 1983 non consentiva di ritenere “ultimata” l’opera in tale consistenza, essendosi rilevata la sostanziale inesistenza del piano seminterrato, ridotto a piloni di appoggio dei piani superiori, e quella, comunque inidonea ad essere computata, del primo piano. Il riferimento alla sola superficie di mq. 75 da parte della polizia giudiziaria operante, infatti, riviene dal semplice computo nella stessa, per quanto dichiaratamente approssimativo (“circa” mq.75), dell’unica volumetria effettivamente realizzata, ancorché al “rustico”, ovvero quella del secondo piano, ovvero dell’ultimo fuori terra, comunque denominato negli atti di causa in ragione della collocazione del fabbricato in appoggio alla dorsale collinare.

Né tale descrizione può essere integrata attingendo alle indicazioni fornite al riguardo dalla richiamata circolare ministeriale, che al contrario, limitando la mancanza di tamponatura a casi ben precisi e circoscritti di incompletezza volumetrica tuttavia superabile (mancanza di chiusure esterne in materiali o strutture prefabbricate da realizzare), non si attaglia in alcun modo al caso di specie.

10.1. La relazione peritale, dunque, pone una serie di insormontabili punti fermi:

-sotto il profilo documentale, è corretto ritenere assentita una superficie pari a mq. 155,28 (rivenienti dalla decurtazione dal totale edificato pari a mq. 171,43, dei soli mq.16,15, oggetto della concessione edilizia del 21 luglio 1983), e un volume pari a mc. 760,30, corrispondenti a quanto richiesto nell’istanza di sanatoria e relativa “proroga”, integrata -rectius, corretta- per il tramite della documentazione tecnica successivamente fornita;

- da un punto di vista fattuale, tuttavia, alla fine di agosto del 1983, il piano terra «non era configurato come volume, nel senso che non aveva alcun elemento di chiusura salvo la parete rocciosa di fondo, non aveva solaio di appoggio, essendo la parte pavimentale costituita da terrapieno scosceso tra m. 3,00 e m. 1,40», mentre il seminterrato neppure esisteva (pag. 7 della relazione peritale).

Tale ricostruzione, riveniente dalla comparazione tra i rilievi effettuati dai carabinieri all’atto del sequestro del cantiere e i dati planivolumetrici tratti dalla documentazione progettuale di parte, reca un’inconfutabile divergenza perfino del volume totale, calcolato includendovi il “non configurato” (pari a mc. 390,00). E ben chiarisce il dato dimensionale riportato nel verbale dei Carabinieri di mq.75, oltre 15 mq. per balconi, corrispondenti all’unico piano dell’edificio considerato ad uno stadio di avanzamento tale da potersi qualificare “ultimato”.

11. L’art. 31, comma 2, della l. n. 47/1985, pure invocato dalla parte, prevede due criteri alternativi per la verifica del requisito dell’ultimazione dei lavori, rilevante ai fini del rilascio del condono: si tratta del criterio «strutturale», che vale nei casi di nuova costruzione e del criterio «funzionale», che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale. Quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici «ultimati», ci si riferisce a quelli completi almeno al «rustico», appunto, espressione con la quale si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 130); la nozione di completamento funzionale, implica invece uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione (cfr. anche Cons. Stato, sez. II, 14 marzo 2020, n. 1434). Nel caso di specie, l’appellante non poteva fornire elementi idonei a comprovare la preesistenza del manufatto “ultimato” in nessuna delle due accezioni alla data del 1° ottobre 1983, per l’evidente ragione che la descrizione dello stato di fatto era stata “cristallizzata” in un atto di polizia giudiziaria che, avendo anche finalità probatorie, ne aveva immobilizzato la consistenza, con ciò impedendo che nel mese residuo alla scadenza del termine i lavori potessero in qualsiasi modo proseguire.

11.1. Né si può ipotizzare di superare le oggettive divergenze di fatto facendo leva, come proposto dall’appellante, sulla necessaria valutazione dell’elemento psicologico della falsità, in ragione dell’utilizzo da parte del legislatore di terminologia mutuata ed evocante categorie concettuali tipiche dell’illecito penale (le rappresentazioni “dolosamente infedeli” di cui all’art. 40).

Se, infatti, appare plausibile un errore di approssimazione, pur consistente, nella indicazione delle volumetrie effettuate dalla parte, non altrettanto può certo dirsi con riferimento agli elaborati progettuali, redatti a cura del professionista, perfettamente in grado di distinguere non tanto e non solo la mancata ultimazione dell’opera (con riferimento al piano terra o primo, che dir si voglia), ma addirittura la sua inesistenza giuridica, non potendosi certo computare in ambito di condono l’area ricompresa fra sei pilastri di cemento armato (piano interrato o seminterrato). Quanto detto, dunque, anche a prescindere dal fatto che costituisce giurisprudenza costante, dai cui principi non è ragione di decampare, che il dolo, ai fini per cui è causa, è in re ipsa laddove emerga una effettiva e non minimale divergenza tra stato di fatto e stato rappresentato, come avvenuto nel caso di specie (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2018, n. 2357).

Da ciò si ricava che è del tutto corretto quanto affermato dal T.A.R. per la-OMISSIS-laddove ha ritenuto doveroso che il Comune si attivasse in vigilanza -su impulso di chi, non ha più rilievo in questa sede- a fronte di una documentata falsa rappresentazione, non apparendo correttamente motivata la diversa scelta di difendere le sanatorie sottese all’intervento, benché la domanda originaria di condono fosse “dolosamente infedele”, in quanto riferita ad un’abitazione non ultimata nei tre piani oggetto della richiesta al momento del sequestro operato dai Carabinieri, che hanno riscontrato l’esistenza di un solo piano. La ricostruzione alternativa prospettata dall’appellante secondo la quale anche il piano seminterrato e il piano terra sarebbero stati già esistenti non è condivisibile, perché, come accertato nel corso del giudizio di primo grado, pretende di dare qualificazione giuridica non corrispondente ai fatti.

12. La peculiarità dell’odierno giudizio, cui consegue la ravvisata necessità da parte del Collegio di scrutinare anche il merito della controversia, seguendo peraltro l’articolazione dell’atto di appello, sta nel fatto che oggetto dello stesso è sì esclusivamente il formalizzato diniego di agire in vigilanza edilizia su un abuso ritenuto sanabile; ma motivando la correttezza della cui sanatoria si finisce necessariamente con impingere nella vicenda sostanziale sottesa all’adozione del provvedimento impugnato.

Ancor più in dettaglio, con riferimento a quanto riveniente dal verbale della polizia giudiziaria, facente fede fino a querela di falso di quanto in esso attestato, il dirigente firmatario del diniego impugnato dapprima ne mette in dubbio l’autenticità, in quanto allegato alla diffida «senza fornire la prova della sua originalità o, quanto meno, della sua conformità all’originale»; indi ne “adatta” il contenuto alla ricostruzione effettuata, stralciando la sola descrizione della parte esistente del manufatto, senza porsi minimamente il problema della divergenza di superficie e di volume rispetto a quanto indicato nell’istanza di condono, anche ai fini di un mero approfondimento istruttorio. Il provvedimento, infatti, reca quale motivazione una tautologica elencazione degli atti endoprocedimentali, recepiti in maniera acritica, malgrado le evidenziate insanabili incongruenze.

13. Del tutto inconferente, infine, appare il richiamo all’art. 34 del T.U.E. quale norma applicabile al caso di specie in alternativa alla demolizione. Essendo sub iudice nell’odierno giudizio solo l’an del procedimento sanzionatorio, e non il quomodo, ne è del tutto palese l’eterogeneità contenutistica.

E tuttavia il Collegio non può esimersi dal rilevare come la norma sia interpretata da giurisprudenza consolidata, i cui principi si intendono interamente richiamati, nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria debba essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma perfino rispetto all' adozione dell’ordine di demolizione. E’ in tale fase, infatti, che le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, senza che ciò impatti sulla legittimità del presupposto provvedimento di demolizione. Il carattere eccezionale e derogatorio della disposizione, fa dunque sì che non debba essere l’amministrazione a valutarne l’applicabilità, prima di emettere l'ordine di demolizione dell'abuso, ma il privato interessato a dimostrarne, in modo rigoroso, nella fase esecutiva, il presupposto dell’obiettiva impossibilità fattuale (e non, ad esempio, la semplice onerosità) di ottemperare all'ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 12 settembre 2019, n. 6147; Sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4939; id. 21 maggio 2019, n. 3280; 9 luglio 2018, n. 4169; 19 novembre 2018, n. 6497; 29 novembre 2017, n. 5585).Evenienza che, tenuto conto della sostanziale definizione del procedimento sanzionatorio, l’appellante potrà se del caso far valere in tale sede.

14. Egualmente inconferente, infine, il richiamo finale alle censure sollevate dalla ricorrente in primo grado e assorbite dal giudice di prime cure: in nessun modo, infatti, rilevano in questa sede i sottesi profili di (ulteriore) illegittimità dei titoli edilizi in sanatoria, che l’amministrazione dovrà valutare -rectius, potrebbe avere già valutato, giusta l’avvenuta adozione dell’annullamento in autotutela- in sede di riedizione, o per meglio dire riattivazione del potere di vigilanza, cui aveva inteso illegittimamente abdicare con il provvedimento oggetto dell’odierna impugnazione.

15. Alla luce di tutto quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello debba essere dichiarato inammissibile e improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, oltre che infondato e, per l’effetto, debba essere confermata la sentenza del T.A.R. per la-OMISSIS-n. -OMISSIS-.

Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

16. La complessità in fatto della vicenda, e la difficoltà ricostruttiva avuto riguardo al suo intersecare ulteriori autonomi procedimenti, giustificano la compensazione tra le parti delle spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile e, per l’effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per la-OMISSIS-n. -OMISSIS-.

Spese del grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’odierna appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente

Francesco Frigida, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Cecilia Altavista, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere

 

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Antonella Manzione

Fabio Taormina

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

Pubblicato in: Edilizia » Giurisprudenza

Registrati

Registrati per accedere Gratuitamente ai contenuti riservati del portale (Massime e Commenti) e ricevere, via email, le novità in tema di Diritto delle Pubbliche Amministrazioni.

Contenuto bloccato! Poiché non avete dato il consenso alla cookie policy (nel banner a fondo pagina), questo contenuto è stato bloccato. Potete visualizzare i contenuti bloccati solo dando il consenso all'utilizzo di cookie di terze parti nel suddetto banner.